INTERVISTA:
Domanda 1
Possiamo dare una definizione del concetto di informazione?
Risposta
Il termine informazione è usato in molti modi, e un poco tutti i modi hanno un loro
significato. L'uomo è sottoposto a situazioni di conflitto, sia a livello individuale sia
nelle sette di un piccolo gruppo, di un gruppo aziendale o di un intero paese o,
addirittura, dell'intera umanità. Questi conflitti, in qualche modo, si possono
risolvere, o meglio: si usa quella che si chiama informazione per cercare di risolvere
tali conflitti. L'informazione serve per decidere, non è un dato. Un insieme di
informazioni nella memoria di un computer o scritte su un testo, se non danno contributi
ad una scelta non è informazione. I dati costruiscono l'informazione, ma l'informazione
è un'insieme di dati in relazione ai conflitti. L'informazione è la conoscenza
necessaria per risolvere o anche per produrre un conflitto. L'espressione conoscenza
necessaria per risolvere un conflitto o per generare un conflitto è una espressione che
va interpretata nelle diverse culture, nei diversi linguaggi. La conoscenza di un articolo
di legge per risolvere una situazione difficile di un conflitto fra due tesi contrapposte
rispetto ad una competizione in tribunale, ha un significato in ambito giuridico legale;
in altri settori sarà una conoscenza necessaria per risolvere una contesa scientifica;
altre volte, semplicemente, per conoscere qualcosa su qualcuno rispetto ad una specifica
situazione. Il modo con cui la conoscenza si esprime dipenderà dal linguaggio in cui essa
viene espressa, dal contesto socio-culturale e socio-tecnico-scientifico in cui la
conoscenza viene espressa. Fondamentalmente, tutte queste istanze hanno qualche cosa in
comune: c'è una conoscenza ed un conflitto da risolvere, da appianare, oppure da
costruire. Esiste una modalità "breve" per risolvere conflitti, e questa è la
violenza; non si tratta proprio di informazione, ma anche la violenza viene usata per
risolvere conflitti nelle guerre, nei rapporti interpersonali, ed è la forma più stupida
della soluzione di conflitti. Forse, in casi estremi, essa è purtroppo inevitabile,
perché in una questione di vita o di morte il conflitto, se non viene risolto in un modo
razionale, sulla base della conoscenza, all'estremo della conoscenza stessa purtroppo c'è
la violenza. L'uomo, però, è intelligente e l'intelligenza umana serve a risolvere i
conflitti. Informazione, conoscenza, conflitti ed intelligenza sono un grumo di istanze
che l'uomo non dovrebbe mai dimenticare di considerare: l'intelligenza è tanto più alta
quanto più si è capaci di risolvere conflitti senza ricorrere alla violenza.
Domanda 2
La violenza, dunque, è una delle strade rapide per la risoluzione di conflitti. Esistono
strade più lunghe meno violente da percorrere?
Risposta
Si, certo, attraverso l'intelligenza. L'intelligenza noi non sappiamo bene cosa sia,
sappiamo molto bene che compaiono conflitti perché li viviamo tutti i giorni a livello
individuale e sociale e sappiamo che in qualche caso essi vengono risolti pacificamente e,
in una certa misura, nella felicità di tutti. La felicità è pure un concetto soggettivo
dei partecipanti ad un conflitto e dipende dalla conoscenza e dai modelli culturali che
questo soggetto ha assimilato. Inevitabilmente, il concetto di felicità dipende anche
dall'intelligenza di chi cura la soluzione dei conflitti, di fare conoscere i vantaggi
all'altro, i pro e i contro di una determinata situazione. E' molto probabile che, in una
certa misura, ci sia un pro ed un contro in una situazione di conflitto; la misura con cui
si accetta il pro rispetto al contro è un fatto individuale che, ancora una volta,
dipende dalla conoscenza, dall'informazione e dalla gestione dell'informazione da parte
dell'individuo. Questo mette in evidenza che non c'è limite superiore all'intelligenza e
che forse essa è una qualità che si costruisce, non che si possiede; una qualità che si
costruisce sulla base della volontà di contribuire alla soluzione di problemi senza
violenza.
Domanda 3
Forza e violenza sono istanze che si incontrano in situazioni di conflitto?
Risposta
Non va confusa la violenza con la forza, non va confusa la forza con l'uso della forza e
neanche con il possesso della forza. Il possesso della forza è importante per evitare
fondamentalmente la violenza; è chiaro che anche l'uso della forza è soggetto
all'intelligenza, e quanto più l'uso della forza contro la violenza è intelligente,
tanto più l'umanità progredisce. Una forza unidimensionale, unilaterale che spinga in
una sola direzione gli altri che non la posseggono, crea dei problemi. Le forze
contrapposte creano il rischio, ma l'uomo ha vissuto il rischio da sempre, nello stesso
istante in cui viene al mondo rischia di non sopravvivere, di morire e nello stesso
momento in cui fa un passo in avanti, cammina, deve lanciare il corpo in avanti e deve
saperlo recuperare. Il rischio fa parte del problema dell'informazione e la conoscenza
sulle forze in gioco non possono essere trascurate; è un problema molto difficile quello
di usare correttamente le informazioni per evitare il ricorso alla violenza attraverso un
uso simbolico della forza, come avviene, ad esempio, nel caso della pace quando esistono
ugualmente gli eserciti. Gli eserciti hanno un grande senso nella costruzione della pace,
non hanno solo un senso nella costruzione della guerra. Io penso che un buon esercito
voglia evitare le guerre, usando la ragione e l'informazione. Violenza, forza, conoscenza,
intelligenza, informazione, conflitti ed anche emozioni: questi sono l'insieme dei
concetti che sono sempre coinvolti quando esiste un conflitto reale e risolvere un
conflitto richiede conoscenza, richiede informazione. Tale conoscenza, al fine di
risolvere il conflitto, è realmente necessaria. Può darsi che i partecipanti a questa
contesa non siano disponibili al divenire di una soluzione razionale o non siano capaci di
farlo per dei limiti di intelligenza. Tutti abbiamo dei limiti d'intelligenza. La
soluzione dei conflitti qualche volta implica una capacità di prevedere, perché una
soluzione in un senso oggi sembra positiva, però potrebbe diventare negativa domani. A
seconda della capacità di prevedere, i gruppi o le persone in conflitto accettano o non
accettano una soluzione e, questa, ancora una volta è una questione di informazione e di
conoscenza, una questione di capacità di modellare il futuro. Nel caso estremo di
incapacità a risolvere un conflitto razionalmente si ricorre alla forza o alla violenza.
La violenza è un mezzo estremo perché tende a distruggere il problema, non a risolvere
il conflitto; d'altra parte, per evitare la violenza c'è la distruzione del problema, la
distruzione dei partecipanti alla contesa e inevitabilmente è necessaria forza. La forza
morale di un esercito è quella di saper essere presente senza essere usato; naturalmente,
se non esistesse un esercito, in questi casi, il rischio è che le piccole contese
diventino piccole violenze, che poi si trasformano in grandi violenze. Da questo punto di
vista gli eserciti nel momento della pace hanno un grande valore per evitare la guerra.
Domanda 4
E l'emozione che ruolo assume in una situazione di conflitto?
Risposta
Se si guarda la storia di questi ultimi anni, è vero che ci sono stati grandi conflitti,
però, in fondo, è comparso un nuovo modo per affrontarli: l'uso dell'opinione pubblica
attraverso la comunicazione di massa. Oggi con la televisione si può cambiare l'opinione
del mondo quasi in quindici giorni basandosi sulla cultura. Non è una questione così
facile risolvere un conflitto, perché non si può dire al mondo che ha una cultura
"da domani pensala esattamente in modo opposto". La gestione delle opinioni è
determinato dai mezzi di comunicazione di massa, i giornali, le televisioni ed attualmente
anche Internet è molto importante: ha fatto già la sua comparsa nella costruzione di
opinioni e di conflitti di livello molto significativo. Seppure gli episodi su Internet
sono pochi, certamente questo mezzo va considerato uno degli attori dei prossimi anni
nella costruzione delle opinioni. L'opinione si basa sull'emozione; la multimedialità ha
una forza formidabile per trasmettere un'emozione attraverso l'uso del colore, della voce
persuasiva, nella capacità di mostrare immagini, nella sua capacità di convincere. La
multimedialità non è solo uno strumento di razionalità, è uno strumento di
argomentazione; e l'argomentazione utilizzata per convincere le persone non è sempre
rigorosamente corretta o dimostrabile. Convincere di una tesi qualcuno significa portarlo
emozionalmente ad avere la stessa opinione, magari facendo dei salti logici o
semplicemente facendo delle previsioni che non sempre sono giustificate o giustificabili.
Io penso che nei prossimi anni le tecnologie apriranno lo spazio alla ricerca su come fare
democrazia prima nel piccolo gruppo poi nella scuola, successivamente nei gruppi un poco
più grandi ed infine anche a livello nazionale ed internazionale. I tentativi in corso su
Internet sono in questa direzione, ma oggi si può tranquillamente affermare che non
funzionano ancora, sono utili esperimenti ma non funzionano. Per concludere, direi che è
inevitabile che per evitare conflitti si debba fare ricorso alla comunicazione di massa.
In Italia, abbiamo evitato molta violenza semplicemente attraverso delle discussioni su
canali televisivi o attraverso i giornali.
Domanda 5
Quali sono le conseguenze che la convergenza digitale provoca sulle nostre capacità
espressive e comunicative?
Risposta
La tecnologia digitale ha fatto la sua comparsa con motivazioni fortemente digitali
all'inizio, si volevano usare numeri anziché informazioni continue, più difficili da
trattare. Questa tecnologia digitale ha reso possibile il computer, la televisione
digitale e ha reso possibile molti altri fenomeni di cui abbiamo per adesso solo una
minima percezione. La multimedialità stessa, il trattamento del colore e della voce in
modo combinato insieme al software, i cosiddetti dischi ottici, il libro elettronico sono
una conseguenza delle tecnologie digitali; ripropongono, però, quello che conosciamo già
- la voce, il suono, la musica, il software - in un modo integrato, più gradevole
complessivamente; tuttavia, non si è verificato ancora un salto di qualità. Il salto di
qualità sperato era quello dell'intelligenza artificiale. L'idea di intelligenza
artificiale e di agenti intelligenti completamente autonomi, man mano che conosciamo le
tecniche, si allontana sempre di più. E si allontana una enorme capacità distribuita su
molte persone di trattare le informazioni in modo digitale. Tutti gli aspetti della nostra
vita quotidiana tendono, in qualche modo, ad essere digitalizzati, ma dal punto di vista
esteriore il mondo non è cambiato; è diventato, forse, un po' più magico: la lavagna è
diventata digitale, la lavatrice può capire la voce, e le si può dire:
"fermati!". Voglio dire che si possono trasformare concetti della vita comune in
comandi che diventano digitali, ma di digitale non hanno nulla, perché fanno riferimento
all'uomo con le sue competenze primitive: la voce, i gesti. Anche il pensare,
gradualmente, sta entrando nei limiti dei comandi digitali. Esperimenti sull'uso del
pensiero in comunicazione diretta col computer ci sono, ci saranno. La multimedialità è
una tecnica che mette assieme tutto, però non ha ancora utilizzato la digitalizzazione
dei concetti. La digitalizzazione dei concetti è un fenomeno complessivo e partecipativo,
che coinvolgerà tutti i settori della nostra nostra vita: le scuole, la fabbrica, gli
uffici, la casa, l'intrattenimento, la strada, i trasporti, la medicina. Si sta schiudendo
un orizzonte che si potrebbe chiamare "vita digitale", che sarà una vita del
tutto normale in cui, però, le tecnologie digitali compaiono e si nascondono. Il foglio
di istruzioni dei farmaci può diventare il foglio di istruzioni digitale, che ci dà
informazioni dirette sulla convenienza dell'assunzione di un farmaco, la sedia potrebbe
dirci quanti chili pesiamo, in modo tale che la dieta venga controllata in modo digitale.
Alcune persone già usano questi metodi digitali. Il personal computer è l'elemento
principe per costruire la competenza sulla tecnologia digitale, perché le persone
attualmente possono interagire con ciò che di digitale esiste attraverso il software.
Questo fenomeno di massa che è la costruzione della vita digitale passa attraverso i
personal computer. Come linea intermedia avremo la virtualità. La virtualità è la
costruzione di mondi digitali un po' schematici, in cui si possono già riprodurre
situazioni del mondo reale: il video-gioco per la guida di aerei e il combattimento con
aerei è un esempio. Ma virtualità può significare anche entrare in un ospedale virtuale
per farsi fare una diagnosi da un medico virtuale; può essere uno strumento per studiare
la matematica in modo virtuale, per entrare nei mondi virtuali dei concetti matematici. La
multimedialità, dunque, è la base di partenza; il passo immediatamente successivo è la
virtualità. La televisione diventerà viaggio nei mondi virtuali; abbiamo visto alcuni
spettacoli televisivi, meravigliosi, come quello di Piero Angela in cui egli stesso
navigava nel sistema solare: queste navigazioni nel sistema solare sono navigazioni
ricostruite virtualmente. Il mondo della televisione ci farà rivivere in modo virtuale la
vita di altri. Tutti, in un modo o nell'altro potremo andare in fondo all'Oceano,
all'interno dei crateri dei vulcani, e visitare gli organismi umani veri semplicemente
attraverso un fenomeno virtuale.
Domanda 6
Possiamo parlare dell'evoluzione dei sistemi operativi?
Risposta
La questione dei sistemi operativi è molto complicata, perché è il tipico esempio dove
la decisione aziendale si confronta con la decisione del singolo individuo; il fatto che
un mercato scelga un sistema operativo non può essere trascurato, poiché significa che
quel sistema operativo, nel bene e nel male, soddisfa alcune esigenze. In particolare, la
scelta dei sistemi operativi è operata dai lavoratori in funzione anche della loro
prospettiva del lavoro e del ruolo che svolgono, del ruolo dei tecnici nell'interno delle
fabbriche, delle imprese, delle strutture. Questo è un aspetto che non può essere
trascurato, perché il sistema operativo non è uno strumento solamente per una macchina
che deve usare un utente normale, o per una macchina che deve integrarsi con un'azienda,
è uno strumento che deve integrarsi con delle reti aziendali; inevitabilmente il sistema
operativo è soggetto a un confronto fra chi propone e chi accetta. La questione è
identica per quanto concerne le interfacce. Le interfacce uomo/macchina vengono scelte da
uomini, e la loro utilità è relativa alla funzione che devono svolgere. Ci sono dei
luoghi di lavoro dove un interfaccia visuale è considerata assolutamente l'avanguardia
dell'informatica; ci sono altri luoghi in cui queste interfacce sono considerate troppo
lente. Se il lavoratore della conoscenza deve trattare con molte informazioni ed è molto
efficiente sul piano produttivo del lavoro, le interfacce attuali sono uno strumento per
riposare, rallentano, non sono efficienti. Si pensa, dunque, a interfacce più innovative,
ma in ultima analisi l'interfaccia dei computer è destinata a sparire. Il futuro della
tecnologia è orientato a restituire una forma di normalità, in fondo l'informatica è
una medicina, le medicine qualche volta fanno male, sono dolorose, non hanno un buon
sapore, non sempre si prendono volentieri. Ma la medicina cosa deve dare al paziente? La
sua condizione di salute e la sua condizione ottimale di normalità. L'uomo usa la voce,
gli occhi, i gesti, ha bisogno di comportamento fisico, di non star seduto davanti a una
sedia solamente, ma di muoversi, di camminare. L'obiettivo, dunque, è l'uomo, è la
società. E l'equilibrio tra l'uomo e la società, nel caso dell'informatica, lo
stabilisce chi compra, inevitabilmente. La politica potrebbe stabilirlo, però la
politica, almeno nel passato, non è intervenuta nelle scelte dell'utente. È l'utente che
ha portato al successo l'informatica, è l'utente che ha dato un valore politico
all'informatica, ma le scelte politiche vere le opera colui che progetta il computer e
colui che lo compra. Gli altri ne danno un valore politico. Non è la scelta: la scelta la
farà sempre l'utente. E l'uomo vuole ritornare normale. Quindi, le tecnologie avanzano
per rendere l'uomo sempre più vicino a se stesso.
Domanda 7
E l'interfaccia?
Risposta
Le interfacce sono lo strumento per adattare l'uomo alla tecnologia e alla comunicazione
che questa tecnologia comporta. Quindi, in linea di principio, il modo migliore di
concepire l'evoluzione delle interfacce è di farle sparire. D'altra parte, gli oggetti di
cui l'interfaccia ci parla, sono le cose con cui dovremo interagire, anche se vengono dai
computer. In qualche modo occorre trasformare quegli oggetti da informatici a oggetti
reali, sia che si tratti di idee sia che si tratti di progetti. Il caso del progetto è il
più semplice da far evolvere, e sta già evolvendo: è il caso tipico della progettazione
di sistemi, di oggetti fisici, di cose che si possano vedere. È chiaro che essi possono
essere guardati come disegni in un computer, ma si può fare in modo che questi disegni si
traducano immediatamente in oggetti virtuali che si vedono come se ci fossero, ma non ci
sono, magari direttamente sulla scrivania del proprio tavolo di lavoro; e ci sono delle
interfacce di collaborazione virtuale in cui gli oggetti compaiono sul tavolo accanto agli
oggetti reali. Si parla di realtà estesa: sul tavolo compaiono oggetti che si muovono,
che hanno una forma; si guardano con gli occhiali, attualmente, ma spariranno anche
quelli. Si possono toccare con le mani direttamente e avere una sensazione tattile degli
oggetti; ci sono degli opportuni aghi immessi in un ditale: quando si tocca un oggetto
virtuale il computer dà il comando di fare una piccola segnalazione. Questi oggetti ci
sono e si vedono. Si può lavorare in équipe a migliaia di chilometri di distanza sullo
stesso progetto, e vedere un pezzo di una macchina, di un motore; si può lavorare tutti
assieme addirittura sull'oggetto che stiamo facendo funzionare. Se dovessimo far
funzionare un pezzo di telecamera, si vedrebbe la parte della telecamera davanti agli
occhi. Gli oggetti si vedono in tre dimensioni sul tavolo, accanto a un oggetto reale. Il
computer è sparito, non c'è più. Però è dietro, a ricostruirci questa realtà con cui
si interagisce: con le mani, con i suoni, con la parola (si danno comandi vocali). Il
computer capisce i comandi vocali, sempre di più. In molti posti di lavoro esistono
dattilografi elettronici: si comandano a voce. Questo è un esempio di cambiamento totale
dell'interfaccia uomo/macchina. E' attraverso la concezione digitale di ciò che dobbiamo
comunicare che si fa un passo avanti; e ciò perché l'umanità è di fronte a un grosso
problema: si dovrebbe superare la barriera esistente tra la produzione letteraria,
scientifica, tecnica, di documentazione e la capacità dell'uomo di usare questa immensa
massa di informazioni. La barriera si può superare solamente avendo un chiaro riferimento
di fiducia fra chi ci dice delle cose astratte e chi costruisce quelle conoscenze. Mi
spiego attraverso il caso di una requisitoria in un tribunale. Il pubblico ministero,
l'avvocato, la difesa, l'accusa, devono necessariamente sintetizzare i loro concetti,
perché spiegarli nella loro completezza sarebbe impossibile al fine di una comunicazione
comprensibile. È impossibile seguire gli infiniti dettagli, ma i dettagli devono
esistere. Quindi, la requisitoria deve essere un riassunto, che deve anche cercare di
convincere, possibilmente dando delle informazioni rigorose, che corrispondano a dei
riscontri oggettivi. Il possesso dei riscontri oggettivi nella banca dei dati e il
riassunto sono imparentati. A questo punto deve formarsi una nuova etica, quella secondo
cui non si deve mentire; oltretutto, qualcuno può controllare se quello che si è detto
corrisponde a realtà. E la verità va ricercata nei riscontri che sono stati certificati
da altri all'interno di un archivio di informazioni. In conclusione, il rapporto fra la
sintesi e il dettaglio è la cosa su cui l'umanità deve imparare a lavorare, perché
altrimenti aumentiamo i dettagli, aumentiamo la confusione, aumentiamo l'arbitrarietà e
non andiamo verso una civiltà costruita in equilibrio. Tale civiltà avrà bisogno anche
di tolleranza accanto alla precisione rigorosa: non è detto che l'uomo sia capace di
cogliere tutti gli aspetti di rigore che sono insiti nell'evoluzione informatica del
mondo. Quindi, l'evoluzione informatica del mondo implica che andiamo verso una cultura
diversa della precisione e della verità. Non possiamo avere una precisione assoluta in
alcuni casi e un'imprecisione totale in altri; dovremo essere più cauti, più graduali in
ogni tipo di gesto.
Domanda 8
Può definire il concetto di rete telematica?
Risposta
Il concetto è già così noto che non oso spiegarlo. Penso che non ci sia nessuno, oggi,
in questo paese che non l'abbia capito. Quando mia madre si è vista arrivare la
fotografia di una nipote attraverso una rete telematica, da un'altra città, ha capito
immediatamente che cosa sia una rete telematica: è il modo per trasportare immagini
digitali che si possono realizzare con la fotocamera digitale. È un modo per trasportare
testi, lettere, immagini. Le fibre ottiche trasportano queste informazioni. La vera
multimedialità, infatti, consiste nella capacità di usare queste informazioni in un modo
integrato da parte dell'utente; l'utente deve costruirsi la sua visione multimediale e
possibilmente digitale del mondo. Oggi di digitale si può fare solamente quello che le
tecnologie digitali mettono a disposizione: suono, immagini, testo e poco altro. I
concetti digitali che si possono trattare per ora sono pochi, ma nel giro di pochi anni
arriveranno le reti dove i concetti digitali si prenderanno in prestito. Adesso guardiamo
nel sito del Web, fra qualche anno guarderemo in siti digitali dove saranno disponibili
strumenti per lavorare sui concetti. E allora l'utente avrà il mondo delle idee che
corrisponderà ai suoi concetti, ma che è realizzato in modo digitale. In fondo Internet
non è altro che la realizzazione di Iperurania, una realizzazione parziale, per oggi, ma
che continua ad evolversi. Iperurania era il mondo delle idee di Platone. Ora, il mondo
delle idee diventa il mondo delle realizzazioni digitali delle idee. Prima erano
ipertesti, domani saranno le iperstrutture digitali, concettuali che verranno costruite. I
ragazzi costruiranno un mondo digitale in questa specie di Iperurania delle idee
trasformate in oggetti digitali riutilizzabili da altri. Quindi, è il riuso delle idee
ridotte a forma digitale il lavoro dei ragazzi di oggi e di domani; e questo processo
evidentemente non ha limite, perché man mano che la conoscenza si approfondisce e
impariamo nuove cose, abbiamo nuove idee digitali da realizzare.
Domanda 9
Una definizione di multimedialità?
Risposta
La multimedialità è la base della virtualità, la possibilità di costruire mondi
simulati dove l'utente vive all'interno, o finge di viverci, oppure ha la sensazione
parziale di vivere in quel mondo. Questo mondo è fatto di immagini, suoni, e oggetti. Si
tratta, però, di oggetti digitali. In un mondo multimediale questi oggetti digitali hanno
una forma, ed esiste la possibilità di fare un gesto: che poi si faccia col mouse, con la
tastiera o si finga di toccarla col dito non fa una grande differenza. L'importante è che
ci siano oggetti con cui si interagisce: penne stilografiche per scrivere, gomme per
cancellare, tastiere simulate da usare, che non ci sono. Questi oggetti sono pezzi di
informatica, pezzi di software, di programmi che hanno un'immagine. Noi li percepiamo
attraverso la loro immagine. Essi hanno anche un'anima profonda che è il software che li
fa funzionare, perché questi oggetti funzionano come tali. Quindi si possono realizzare
delle macchine fotografiche virtuali che corrispondono a oggetti disegnati. La
multimedialità, dunque, è il modo per mettere assieme tutto questo in senso tecnologico:
l'immagine, i suoni, i gesti, e la ripetizione di gesti di altri. La televisione è
sicuramente un oggetto multimediale con interattività modesta, ma non nulla: il
telecomando è uno strumento per agire sul televisore, per cambiare quello che il
televisore ci mostra. L'interattività può essere basata sulla tastiera o sul telecomando
e, in futuro, sarà basata anche sul pensiero: io penso di voler cambiare programma e la
televisione cambierà il programma. Avremo un'interattività perfino con le emozioni.
Negli Stati Uniti questa tecnologia di bio-feedback ha minacciato di diffondersi a livello
di massa: noi possiamo vedere sullo schermo una rappresentazione colorata, grafica, delle
nostre emozioni; è sufficiente applicare una cinturina sul nostro corpo per far comparire
sullo schermo del computer immagini colorate delle nostre emozioni. Davanti a un filmato
che ci fa spaventare l'immagine sarà fatta in un modo, se ci fa gioire l'immagine sarà
fatta in un altro. Poco alla volta proviamo dimestichezza con le emozioni e lentamente
impariamo anche, addirittura, a giocarci, quasi a controllarle. Questa tecnologia cambia
completamente la natura dell'interattività, non si tratta solo di guardare; ci sono
computer in grado di accorgersi dove guardiamo, e a seconda di dove guardiamo reagiscono
in un modo piuttosto che in un altro. L'interattività è totale quando l'uomo è in una
forma di comunicazione simbiotica con il computer. Naturalmente questa simbiosi deve
essere tale da non isolarlo dai suoi problemi, dalle sue esigenze e dal mondo reale,
perché i problemi possono diventare anche solo interiori. Oggi è difficile definire il
concetto di interattività, poiché essa si trasforma insieme all'evoluzione delle
tecnologie. Inoltre, oggi l'interazione si ha con gli oggetti trattati dal computer, e non
con il computer, si chiamino testi, si chiamino immagini, o posta elettronica. Il computer
non esiste più, in una certa misura. La tecnologia, man mano che migliora fa sparire il
computer e ci fa essere di fronte alle cose, ai problemi, ai concetti resi vivi e veri dal
computer; in altre parole alla virtualità che è la produzione di realtà: non è
finzione, è produzione di un nuovo reale. Nella virtualità potremo avere ciascuno
milioni di metri quadri di superficie a nostra disposizione per fare delle cose. E non è
affatto escluso che nella virtualità questi mondi avranno un valore economico su cui
potremo confrontarci, giocare, fare guerre, vincere, perdere, confrontarci con gli altri e
avere vite in comune. Queste comunità vivranno in una civiltà virtuale che avrà una
contropartita nel mondo reale. Il mondo reale ha i suoi limiti, il mondo virtuale, questi
limiti, fondamentalmente, non li ha.
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