Biblioteca digitale (intervista) RAI Educational

Luigi Dadda

Milano - SMAU, 21/09/95

"Dal calcolatore alla società dell'informazione"

SOMMARIO:

  • E' probabile che il telelavoro, possibile grazie alle tecnologie dell'informazione, modifichi le attitudini di lavoro introdotte dalla rivoluzione industriale, con il relativo spostamento delle masse operaie dalle periferie residenziali ai quartieri di lavoro. Già oggi esistono degli esempi di telelavoro in Italia e negli Stati Uniti (1).
  • Dadda portò personalmente il primo computer dagli Stati Uniti al Politecnico di Milano nel 1954. Da allora si sono fatti degli enormi progressi nell'informatica (2).
  • La società dell'informazione è una nuova era della storia dell'umanità, e segue logicamente la fase industriale. In quest'ultima venivano prodotti o variati oggetti materiali, mentre nella società dell'informazione vengono manipolati oggetti immateriali, le informazioni (3).
  • I bit sono un'unità microscopica con cui vengono prodotte ed elaborate le informazioni (4).
  • L'informazione è immateriale e concepita dalla mente dell'uomo (5),
  • e deve essere assimilata per diventare conoscenza (6).
  • L'interazione con una macchina, analogamente a quanto avviene con un libro, è in realtà interazione con l'opera di un essere umano (7).
  • L'aumento straordinario della velocità delle macchine viene utilizzato per migliorare la qualità dell'informazione (8).
  • Rimane all'uomo la volontà di regolare il flusso di informazione (9).

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INTERVISTA:

Domanda 1
Professor Dadda, si può realisticamente pensare che il mondo digitale stia traghettando l'economia e la società fuori dall'era della produzione di massa per sostituirla con la leggerezza della cybereconomia, l'economia delle reti? Come cambia la produzione ed il mondo del lavoro?

Risposta
Lei mi chiede di fare il profeta. Il profeta è un mestiere molto difficile e molto pericoloso, comunque ci tenterò. Non penso che ciò che lei dice si verificherà alla lettera: non credo, ad esempio, che verranno eliminate le automobili. Però il fatto nuovo dei nostri tempi, dato dalla facilità con cui oggi si muove l'informazione, può certamente aiutare a decentrare almeno in parte il lavoro. Le grandi concentrazioni lavorative costituiscono una situazione di lavoro, di vita, che è stata indotta dalla rivoluzione industriale, e legata ad un certo tipo di produzione. Ho avuto occasione di visitare lo stabilimento di una grossa società di informatica, un po' più a nord di Boston, dove fabbricano software. In quello stabilimento, chi voleva poteva lavorare da casa, dato che il lavoro veniva svolto su stazioni di lavoro costituite da computer collegati per telefono. La cosa era possibile, appunto, perché fabbricavano software: non si dovevano trasformare oggetti, quel che si fabbricava era informazione e l'informazione corre sui fili del telefono, tranquillamente, anche se è fatta di bit che escono dalle macchine. Ma si può pensare ad un qualcosa di analogo anche per altri tipi di attività. Per esempio le attività bancarie. E' perfettamente concepibile avere uno sportello con un operatore che risiede non importa dove, perché si fa tutto per comunicazione. D'altra parte, la moneta che cosa è? E' pura informazione. Non è oro. La moneta è il biglietto di banca, un foglio di carta con su scritto qualche cosa. Dunque, una simile prospettiva non è in contraddizione con la materia trattata dalle banche. Un altro caso è quello delle assicurazioni. E' possibile pensare ad un effettivo decentramento lavorativo. Naturalmente avremo bisogno di una grossa infrastruttura di comunicazione, molto più evoluta e potente di quanto sia il nostro tradizionale sistema telefonico. Ma questa la si sta attuando. Si sa già benissimo che il telefono non è l'unico strumento a richiedere una rete di comunicazioni. Insomma, tra breve sarà possibile lavorare comunicando ognuno da casa propria, senza dover stare seduti uno accanto all'altro in un ufficio. Come pure, per citare un'altra applicazione delle nuove tecnologie, sarà possibile acquistare senza dover sgomitare in un supermercato, a distanza, semplicemente indicando per via telematica le nostre scelte su un catalogo di merci.

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Domanda 2
Professore, lei ha vissuto dalle origini la rivoluzione informatica. Cosa ricorda di quei tempi?

Risposta
Mi sono laureato nel '47, cioè appena dopo la guerra, quando i calcolatori elettronici esistevano solo negli Stati Uniti. Dopo la laurea ho intrapreso la carriera al Politecnico e poi mi sono recato negli Stati Uniti e da lì ho portato in Italia il primo calcolatore, installandolo al politecnico di Milano. Era il 1954. Questo calcolatore era un grande armadio, diciamo così, un tre metri di altezza, due di lunghezza e uno di spessore. Esiste ancora, al Politecnico di Milano. Funziona a tubi elettronici. Andava alla tremenda velocità di 70 operazioni al secondo, lo dico ridendo, perché erano moltissime allora, ma oggi fa ridere, oggi i calcolatori fanno 70 milioni di operazioni al secondo, e anche di più. Installata la macchina al Politecnico, ho iniziato tutta una attività di ricerca e di insegnamento su questa nuova tecnologia. Questo è stato l'inizio. Certo i progressi sono stati enormi. Uno può chiedermi: ma cosa pensavate allora? Non pensavamo che avremmo raggiunto i traguardi che di fatto abbiamo raggiunto, eravamo molto più modesti.

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Domanda 3
Questa rivoluzione sta producendo la società dell'informazione. Ma che cosa significa società dell'informazione?

Risposta
Significa che l'attenzione si sta spostando dalla produzione o variazione della materia - produrre un oggetto attraverso un tornio vuol dire alterare lo stato di una materia - all'elaborazione dell'informazione, al calcolo. Perché calcolatore? Perché in realtà, all'inizio, ci si riferiva a dei numeri, volevamo fare dei calcoli numerici. Poi si è visto che si poteva elaborare molto di più, per esempio, i testi scritti oppure, oggi, le immagini. Le macchine che noi produciamo, che sono sempre più importanti in tutte le fasi della nostra vita, non sono fatte per modificare materia oppure trasportarla da un posto all'altro, ma per elaborare dati, come si diceva una volta, oggi possiamo dire elaborare informazione. Perciò questa è una fase della civiltà certamente molto distinta da quella che ci ha preceduti.

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Domanda 4
Bisogna esseri digitali, sostiene Negroponte, perché viviamo ormai in un mondo fatto non più di atomi ma di bit. L'informazione è in realtà formata da un flusso di bit, di dati. Ma l'informazione che a noi arriva che cosa è?

Risposta
I bit sono un'unità microscopica. Non vediamo né sentiamo i bit, ma le immagini e i suoni che ormai le macchine producono. Noi guardiamo solamente quel che viene fuori dalla composizione di questi numerosissimi bit che formano una voce, una musica, un'immagine o addirittura o un film. Ormai trattiamo l'informazione così come è percepita dai sensi dell'uomo.

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Domanda 5
Ecco, deve essere sentita, l'informazione, percepita, dice lei giustamente. Diventa informazione nel momento in cui la riconosciamo.

Risposta
Io ho prima detto dei sensi dell'uomo; in realtà avrei dovuto completare facendo riferimento alla mente dell'uomo. Perché l'informazione non è un puro fatto materiale, induce nella nostra mente dei pensieri.

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Domanda 6
Ma l'informazione basta per vivere?

Risposta
Certamente l'informazione non basta. L'informazione è un qualcosa di passivo, che è fuori di noi, che arriva coi fili del telefono, sullo schermo di un televisore. In realtà noi la dobbiamo interiorizzare, allora diventa conoscenza, e la conoscenza è un fatto personale, cioè un fatto che richiede l'assimilazione nel nostro essere di queste sollecitazioni che sono in fondo materiali, che arrivano attraverso i canali che colpiscono i nostri sensi, per esempio, la vista e l'udito.

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Domanda 7
Quindi la vera interattività è quella che avviene dentro noi stessi, è quella che noi chiamiamo riflessione?

Risposta
Certo, quando noi, faccio il caso più elementare, parliamo al telefono con un interlocutore lontano è come se fosse presente. E' chiaro che quel che conta è l'interazione tra i due uomini. Uno può obbiettare: ma noi possiamo anche interagire con le macchine. E' vero, ma appunto perché lì, nella macchina, un uomo ha messo qualche cosa. L'esempio più chiaro lo si ha quando noi interagiamo con un libro, con un quadro. Noi leggiamo un libro o guardiamo un quadro, ma quel libro e quel quadro sono l'opera di esseri umani, materializzata e diffusa, resa trasmissibile; dietro queste opere, c'è sempre un uomo. Nelle biblioteche noi interagiamo con l'umanità del passato.

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Domanda 8
Siamo abituati sempre di più alla velocità delle macchine, una crescita esponenziale. Lei prima ha detto che la crescita è continua, ma l'uomo può adattarsi a questa velocità o ha bisogno invece di altri ritmi, di una lentezza diversa per arrivare alla conoscenza?

Risposta
Quel che dice è verissimo. Però faccio osservare che in realtà la velocità delle macchine è stata usata ed è usata soprattutto per aumentare e migliorare la qualità dell'informazione che noi riceviamo. Faccio il caso noto a tutti: la televisione: una volta non c'era, poi è venuta e dalla radio abbiamo fatto un bel salto, no? Abbiamo messo in gioco il senso più raffinato e più potente dell'uomo che è la vista. Ma anche nella televisione siamo ad un gradino che probabilmente verrà superato, si parla di televisione ad alta definizione, cioè di qualità migliore, nettamente migliore, o addirittura di quella stereoscopica. Questo vuol dire che la qualità di quanto ci viene presentato ai sensi viene aumentata dalle macchine.

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Domanda 9
Insomma, è l'uomo che deve condurre il gioco?

Risposta
Certamente, la misura rimane l'uomo. Certo, potremmo anche essere messi nella situazione di essere assaliti da un fiume di informazioni, e lo chiamo fiume perché nei fiumi ci si annega. Ma come possiamo spegnere il televisore, così sta a noi regolare il flusso.

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