Biblioteca digitale (intervista) RAI Educational

Andrea Canevaro

Bologna, 14 ottobre 1998

"L’handicap e le nuove tecnologie"

SOMMARIO:

  • L’intervistato spiega la differenza che intercorre tra deficit e handicap (1).
  • Il concetto di ausilio può essere interpretato sia come strumento utilizzabile da tutti gli individui sia come strumento mirato specificatamente alle esigenze dei portatori di handicap (2).
  • Il rapporto tra handicap e nuove tecnologie può presentare anche degli aspetti negativi (3).
  • La telematica deve diventare un elemento complementare ai rapporti umani diretti e non sostituirsi ad essi (4).
  • Attraverso le nuove tecnologie si può aiutare sensibilmente un individuo a ridurre il proprio handicap (5).
  • Dipende dall’uomo gestire positivamente l’informatica e farla diventare uno strumento per ridurre gli handicap e produrre un progetto di integrazione delle diversità umane (6).
  • Le tecnologie aiutano i portatori di handicap a valorizzare le proprie competenze (7).
  • La percezione che un portatore di handicap ha di se stesso cambia in relazione alla mediazione con gli altri. Una relazione positiva può porre in secondo piano l’handicap e permettere una percezione migliore delle proprie capacità (8).
  • L’utilizzo di Internet può favorire negli individui un maggior equilibrio tra dimensione pubblica e dimensione privata (9).
  • Perché il rapporto fra handicap e telematica sia proficuo occorre procedere a un'operazione di educazione alle nuove tecnologie della società (10).
  • Le comunità virtuali nate per discutere le tematiche dell'handicap agiscono in un ambito sperimentale che deve ancora dare dei frutti (11).
  • Le nuove tecnologie possono suscitare nel portatore di handicap sia un sentimento di libertà che un sentimento di paura (12).
  • Per avviare un portatore di handicap all'uso delle nuove tecnologie è necessario partire dall’analisi dei suoi bisogni (13).

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INTERVISTA:

Domanda 1
Lei parla spesso di differenza tra deficit e handicap. Può spiegare questa distinzione, facendo anche qualche esempio?

Risposta
Poniamo il caso di una persona non vedente. Il deficit è la cecità mentre gli handicap sono gli ostacoli che questa persona può incontrare, che possono derivare da una assenza di ausili, dalla mancanza di educazione a servirsi di un registratore, dall’assenza di una educazione percettiva o ritmica. Questi sono gli handicap. Non sono quindi dei dati, ma sono piuttosto degli inconvenienti, degli ostacoli, che possiamo cercare di ridurre o di aggirare. Purtroppo, a volte, nel tentativo di ridurli invece li aumentiamo. Questo accade perché magari non facciamo un tentativo insieme a quella persona, ma lo facciamo pensando al suo posto, e già questo è un handicap. Pensare al posto degli altri è spesso un handicap. Allora per noi il compito diventa quello, magari mettendoci tutta la vita, di cercare di capire e di conoscere un deficit per accettarlo, e soprattutto di capire e conoscere gli handicap per ridurli. Avendo la consapevolezza che ci sono anche forme handicap che derivano non da deficit, ma dal fatto di aver cambiato cultura o paese, di avere un'età che va verso degli impedimenti, di avere momenti in cui un individuo che si rompe una gamba a sciare diventa temporaneamente portatore di handicap. Quindi, gli handicap sono qualche cosa di molto mobile, mentre i deficit, per quello che sappiamo, sono irreversibili.

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Domanda 2
In questo quadro di riferimento teorico, come si può definire il concetto di ausilio?

Risposta
Il concetto di ausilio è interessante perché può essere interpretato in due modi. Non necessariamente bisogna fare una scelta. Un ausilio è uno strumento comunemente usato da molte persone e può servire a tutti creando piccole modifiche per chi ha dei bisogni particolari. E’ l’ausilio per la comunicazione a distanza che chiamiamo telefono, oppure è l'ausilio della scrittura. La scrittura può servirsi a sua volta di ausili, perché può servirsi della penna, può servirsi però anche di un computer, al computer si può collegare un supplemento del computer, che è la posta elettronica. Tutte queste sono possibilità di ausili diffusi. Ci sono poi degli ausili che hanno bisogno di essere più specificamente mirati a dei bisogni particolari. Per esempio, la barra Braille è un ausilio che permette a un non vedente di avere una lettura con i rilievi dell'alfabeto della scrittura Braille. La scrittura Braille è una scrittura in rilievo, fatta di puntini che permettono di catturarne immediatamente il significato e trasformarlo in una lettera e quindi procedere alla lettura di un messaggio. Questi sono ausili più mirati, più specifici, complementari agli altri. Personalmente sono dell'idea, ma per fortuna non sono il solo a dirlo, che bisognerebbe curare molto la produzione di ausili adatti alla popolazione reale, quindi anche alla popolazione che ha degli handicap costanti o di transizione. Ad esempio, si potrebbero costruire le cucine con dei piani a cui si possa accedere anche seduti, mettendo quindi le gambe sotto il piano di cottura. Questa modifica potrebbe essere fatta di serie, evitando così di creare un handicap in più a qualcuno che non può stare in piedi di fronte al fornello, ma ci può arrivare o seduto su una sedia a rotelle, oppure seduto con una sedia vicino al fornello. Questo è un esempio molto banale che però potrebbe essere funzionale per un grande numero di persone.

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Domanda 3
Il rapporto fra handicap e nuove tecnologie va visto esclusivamente in modo positivo o vi sono anche delle zone d'ombra e dei pericoli?

Risposta
Zone d'ombra ce ne sono sempre. Ci sono le zone d'ombra che derivano dal fatto che alcune tecnologie presentano il rischio dell'isolamento sociale. Negli Stati Uniti, qualche anno fa, ci fu una notizia, accolta sulla stampa con un certo tono di trionfalismo, che riguardava un ausilio particolare: l’utilizzo di scimmiette addestrate al servizio della persona disabile. Il rifiuto fu massiccio sia da parte delle associazioni di categoria sia da parte di singoli perché entrambi videro in questa possibilità un tentativo di isolare socialmente e umanamente i portatori di handicap. In Italia ci sono fenomeni analoghi, problemi, preoccupazioni di persone che vedono nell'ausilio il sostituto di un rapporto umano. Per questo bisognerebbe avere sempre molta cura nel proporre l'ausilio in un rapporto di dialogo con la persona. Presso l’università di Bologna, ad esempio, ci fu il caso di uno studente che aveva degli evidenti problemi di deambulazione e di comunicazione. Io intervenni, credendo di far bene, consigliando di contattare l'ausilioteca che avrebbe fornito a questa persona tutte le indicazioni utili che permettevano di snellire il suo impegno e il suo lavoro di studio. Commisi un errore perché destabilizzai, se si può dir così, questa persona che aveva in quel momento una sua organizzazione con un obiettore che era molto funzionale ai sui bisogni. Certamente quello che suggerivo era opportuno, ma non in quel momento, non nel corso degli studi. Quindi in quel momento creai più disagi che benefici. Con un altro studente, che aveva condizioni più o meno simili, aspettai che si laureasse e il giorno della tesi gli consigliai di servirsi dei consigli dell’ausilioteca. Entrava in un periodo della vita in cui poteva riorganizzare i suoi ausili trovando un equilibrio tra ausili umani, che creano sempre una certa dipendenza, a ausili tecnologici, che contengono il rischio dell'isolamento sociale.

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Domanda 4
Quali prospettive può aprire la rete Internet per i portatori di handicap, per favorire la loro integrazione nella società ?

Risposta
Le prospettive sono, per certi versi, le stesse di tutti gli altri individui. Nel senso che per tutti c'è una maggiore possibilità di comunicazione con i rischi che questa comunicazione comporta. Proprio per la rapidità con cui avviene, a volte la comunicazione attraverso la Rete è troppo disinvolta, non è accompagnata dalla giusta riflessione, dalla giusta elaborazione. E poi c'è un problema che è latente per tutti ma si accentua quando ci troviamo di fronte ad una persona disabile. Se con la telematica le barriere dello spazio e dell'immagine vengono superate, se ne possono creare delle altre che sono dovute al fatto che, credendo di essere in contatto diretto, mandandosi messaggi molto frequenti, si rischia di non vedersi e di non incontrarsi più. Credo che l'incontro debba essere quasi sempre un incontro dei cinque sensi e i cinque sensi in una posta elettronica non sono esercitati. Bisognerebbe far diventare la telematica un elemento complementare agli incontri e mai sostitutivo ad essi.

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Domanda 5
Come si può ridefinire allora, attraverso le nuove tecnologie, un contesto fisico e sociale, in cui vi sia inserita una persona con un deficit?

Risposta
Si può ridefinire pensando che ci sono sicuramente delle possibilità di ridurre l’handicap. O meglio gli handicap, mettiamolo pure al plurale, perché sono sempre più d’uno. Non si può illudere nessuno sulla riduzione del deficit perché, se il danno è irreversibile, non si può ridurre. Però la riduzione dell’handicap, consente di vivere meglio un deficit irreversibile. Il deficit è un dato di fatto, è un po’ come l'anagrafe, non ci si può togliere gli anni che si hanno. Però se un individuo è in salute, anche se è avanti con l’età, porta meglio gli anni che ha. Se poi si illude che star bene significhi essere un ragazzino, allora in quel caso ci troviamo di fronte ad una fase di rimbambimento.

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Domanda 6
Ritiene che l'informatica possa fornire un contributo per l'avvento di una cultura dell’handicap e, più in generale, di una cultura delle differenze?

Risposta
Ritengo che l'espressione 'cultura dell’handicap' sia da completare aggiungendo 'cultura della riduzione dell'handicap'. A me piacerebbe più usare 'cultura dell'integrazione'. Però l’integrazione è già un termine che richiama le diversità. L’informatica può aiutare in questo senso. Anche se a volte l’informatica può dare l’impressione di favorire una omologazione, una riduzione delle diversità. Credo che si possa dire che l'informatica è strumento. Dipende da noi gestirla e farla diventare un ottimo strumento per ridurre gli handicap e per produrre un progetto di integrazione che rispetti e che arricchisca l'umanità nelle diversità.

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Domanda 7
Come cambia e può cambiare l'identità di portatore di handicap, la percezione che ha di se stesso, del suo corpo, della sua mente, quando il rapporto con gli altri è mediato da un computer e da una rete di cavi telefonici. Il fatto, per esempio, di poter mentire sulle proprie condizioni fisiche o psichiche, può creare un vantaggio, favorendo atteggiamenti come l'autostima, o uno svantaggio, causando delle frustrazioni?

Risposta
Credo che il mentire non costituisca un elemento positivo. Anche le persone normali hanno comunque la possibilità di presentare le loro capacità, e quindi di migliorare l’autostima, in modo tale che la loro immagine sia segnata maggiormente da elementi positivi. Certamente nascondere i difetti fa parte non solo di un amor proprio, ma anche di un amor proprio allargato, di un amore per gli altri, nel senso che non è mai piacevole esibire le proprie mancanze. È più facile offrire agli altri le proprie competenze e le tecnologie ci aiutano ad avere qualche competenza da rivelare. Le tecnologie non sono le competenze, ma sono le competenze che si rivelano attraverso le tecnologie.

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Domanda 8
Quindi la percezione che un portatore di handicap ha di se stesso, del suo corpo e della sua mente, può anche cambiare in relazione alla mediazione con gli altri.

Risposta
Certo, può cambiare nel senso che può mettere in secondo piano il suo handicap e avere una invece una percezione maggiore delle proprie capacità. Quindi, il discorso sull'autostima diventa una specie di montacarichi che porta in superficie gli elementi belli da mettere in esposizione affinché le persone possano prenderli in considerazione e apprezzarli.

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Domanda 9
In una società in cui la cultura proposta dai media è basata sull'immagine, sulla visibilità, su ciò che si vede dall'esterno, Internet e, in generale, le nuove tecnologie possono ripristinare un giusto equilibrio tra visibile e invisibile, fra sfera pubblica e sfera privata, ridonando o donando ai portatori di handicap, e non solo ad essi, uno spazio intimo?

Risposta
Non attribuirei a Internet questo potere. Internet però può assecondare o favorire un progetto in cui le due dimensioni, la sfera pubblica e la sfera privata, siano equilibrate. Recentemente leggevo, a proposito di Bill Clinton e del caso Lewinsky, un commento di un giornalista francese sul significato del termine vita privata. Il giornalista definiva la vita privata come: "Quello che vogliamo privare, nascondere di noi agli altri. Quello che vogliamo portare via di noi agli occhi degli altri". Nella vita privata spesso facciamo delle cose che non sono degne degli altri; era questo il senso del commento. In questo senso è meglio non avere vita privata. È meglio allora poter essere, se ce la facciamo, a disposizione anche degli sguardi indiscreti, senza dover nascondere niente. Però vita intima significa anche possibilità di non avere una continua esibizione dei propri sentimenti, strumentalizzando i propri sentimenti per richiamare l'attenzione su di sé, poiché questo è esibizionismo. L'esibizionismo fa dei danni alla stessa persona che si esibisce e quindi credo che Internet possa consentire un maggior equilibrio tra pubblico e privato. Però un progetto di questo genere deve essere fatto dalle persone, non lo può fare Internet al posto nostro.

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Domanda 10
Come può il rapporto fra handicap e nuove tecnologie essere utile per comprendere i meccanismi più generali dell'esistenza umana da un punto di vista, ad esempio, della comunicazione, della percezione e dell'apprendimento?

Risposta
Credo che questo sia un punto su cui c'è ancora molto da studiare. Vorrei usare una metafora che può far capire l’importanza di questo tipo di studio. Quando una persona, per esempio a causa dell'età, ha bisogno di usare una protesi acustica perché non ci sente più bene, ha bisogno anche di una educazione alla protesi. Non basta avere la protesi per ripristinare il suono che non si sente. Che succede alle persone anziane con problemi di udito? Spesso la persona che ha la protesi la prova e poi la mette nel cassetto e non la vuole usare più perché non ci sono i filtri adatti. I filtri sono appunto un’educazione all’ascolto. Infatti quando parliamo abbiamo quasi sempre un panorama sonoro che riusciamo a tenere sullo sfondo per ascoltare in primo piano la voce o il suono che vogliamo sentire. Se questo filtro, che è intenzionale e quindi frutto di educazione, salta, arrivano tutti i rumori nello stesso momento e il soggetto viene disorientato. La stessa cosa avviene con le nuove tecnologie. Con la facilità di comunicazione che abbiamo, possiamo subire una sorta di overdose di informazioni. Abbiamo una grande capacità e possibilità di comunicare tutto: quello che è importante, quello che non è importante, quello che dovrebbe essere riservato. Tutto questo ci frastorna e ci spaventa. Dobbiamo perciò fare un'operazione di educazione. Mentre per la protesi acustica è necessaria una educazione del singolo, in questo caso abbiamo una educazione sociale da fare.

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Domanda 11
Esistono comunità virtuali sulle tematiche dell'handicap e del disagio. Sono ‘newsgroup’ o ‘mailing list’, che si pongono l'obiettivo di mettere in contatto i disabili stessi, ma anche operatori e famiglie, per discutere, scambiarsi informazioni, condividere problemi. Ritiene che queste realtà possano favorire l'integrazione o siano una ulteriore ghettizzazione che non fa altro che creare corporazioni, nicchie chiuse, all’interno della rete delle reti ?

Risposta
Al momento la mia sensazione è che stiamo maneggiando dinamite e quindi dobbiamo essere molto cauti. Quando si maneggia la dinamite si possono anche avere delle automutilazioni. Si possono costruire molte opere civili importanti ma si possono creare anche molti danni. Perché dico questo? Perché noi abbiamo più l'esperienza positiva dei gruppi di auto, il più celebre dei quali è quello degli alcolisti anonimi, che hanno uno svolgimento in cui la presenza fisica è di grande importanza e senza quella è molto difficile immaginare che un gruppo di aiuto possa procedere. Comunicare a distanza, attraverso l’utilizzo di un gruppo virtuale, è una nuova forma di assistenza. Al momento mi pare che siamo in un campo di pura sperimentalità che deve ancora dare dei frutti, per cui esiterei a indicarlo come una strada da percorrere. Vorrei prima fare le giuste esplorazioni per capire dove può portare questo tipo di comunicazione.

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Domanda 12
Secondo la sua esperienza quale atteggiamento hanno le persone handicappate verso Internet e, in particolare, verso le comunità virtuali dell’handicap: paura, entusiasmo, vergogna, coinvolgimento?

Risposta
Nella mia esperienza ho incontrato sia reazioni positive che negative. Forse incontro di più persone che hanno paura perché è più facile che tra noi ci si incontri per segnalare i problemi piuttosto che per parlare di risultati positivi. Però incontro anche persone che invece sono contente di queste esperienze virtuali. Personalmente sono più impegnato con le persone che hanno paura. Paura di rimanere isolate, paura che il telelavoro voglia dire permanere in una condizione di invalidità. Evidentemente c'è ancora un’educazione culturale alle nuove tecnologie da compiere. Quasi sempre le tecnologie devono essere avvicinate con molta cautela accanto alle culture dei singoli e dei gruppi. Pensare che le tecnologie abbiano un apporto salvifico di per sé è un po’ pericoloso. E’ un po’ pericoloso perché nasconde una mentalità da colonizzatori. Abbiamo inventato la tua libertà e te la diamo. Bisogna riflettere sul fatto che c'è una grande differenza tra essere liberati e essere liberi.

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Domanda 13
Quali sono, in sede educativa, le linee generali da seguire per tracciare un progetto, per avviare un portatore di handicap all'uso di Internet e delle comunità virtuali?

Risposta
L'avvio di un progetto coincide sempre con l'analisi dei bisogni. È necessario capire insieme quali sono i bisogni e le risorse a disposizione. A partire dalle risorse che già abbiamo, possiamo muoverci per cercarne delle altre e questa ricerca non va limitata. Non va limitata nel senso che si può veramente esplorare il mondo alla ricerca delle risorse e poi accostare le risorse che già abbiamo alle risorse che possono arrivare. Quindi, riassumendo, un progetto va realizzato nell’analisi di tre momenti: che bisogni abbiamo, che risorse abbiamo, quali risorse possiamo accostare alle risorse che già possediamo.

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