Biblioteca digitale (intervista) RAI Educational

Alberto Abruzzese

Venezia, 15-10-1996

"Società di massa e tv generalista"

SOMMARIO:

  • La tradizione testuale della fiction influisce molto sullo stile dei programmi televisivi in quanto sviluppa un suo linguaggio che é espressione di una serie di stereotipi condivisi da una parte del pubblico (1).
  • L'industria culturale di massa ha contribuito a realizzare dagli anni '30 agli anni '70-'80 un processo divulgativo esteso sia ai ceti maggiormente preparati da un punto di vista culturale che ai ceti meno avvantaggiati da questo punto di vista. Il processo si é sviluppato progressivamente iniziando sempre dalle elites della società; ciò che differenzia le nuove tecnologie dalle vecchie é il fatto che le nuove saranno probabilmente in grado di diffondersi e di veicolare cultura tra tutti i ceti, in direzione orizzontale piuttosto che dall'alto verso il basso, come é avvenuto in passato. Per il momento chi usa Internet appartiene quasi sempre ai ceti più abbienti e con maggiori strumenti culturali a disposizione (2).
  • Fino ad ora il lavoro televisivo é stato considerato da tutti come qualcosa di effimero, inutile ed estremamente variabile. Oggi, invece, rispetto alla estensione incontrollabile della rete, la programmazione televisiva sembra essere un punto di riferimento comune per chi condivide l'interesse per certi programmi. Tutto ciò conferisce anche al lavoro televisivo un ruolo di necessità: diventa qualcosa di cui non si può fare a meno (3).
  • La TV ha contribuito al processo di unificazione ed omologazione del suo pubblico; le nuove tecnologie, invece, puntano molto sulla riduzione di questa omologazione a vantaggio di una sempre maggiore differenziazione degli utenti che, secondo molti, minaccia l'identità collettiva costituitasi per merito della TV generalista (4).
  • Resta aperto il problema se le nuove tecnologie riusciranno o meno a costituire un nuovo territorio condiviso e unificante per gli utenti, pur mantenendo le loro diversità (5).

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INTERVISTA:

Domanda 1
Quanto pesa la tradizione testuale della Fiction sulla natura sociale dei programmi?

Risposta
Credo che sia un peso relativo al rapporto tra evoluzione e sviluppo della società, dei tempi sociali e sviluppo dei media. E' evidente che in periodi intensi di produzione sociale c'è una certa vicinanza tra la tradizione testuale e i ritmi interni dei linguaggi, le figure che metaforizzano il tempo e il tempo sociale. I linguaggi, però, nei loro formati e nelle loro interazioni testuali hanno e conservano una loro, propria, tradizione. In un grande linguaggio (come può essere accaduto per la letteratura dall'800 superando il 900, oppure per il cinema rientrando nell'epoca della televisione), la testualità contiene una sua tradizione, che è una tradizione estetica, formale, in cui le figure rappresentate sono legate agli stereotipi di quel linguaggio; stereotipi, naturalmente, molto forti, che hanno la loro radice proprio in una possibilità di rappresentare, attraverso l'immaginario, il tempo sociale. Poi, ad un certo punto, gli stereotipi si logorano facendo prevalere una rappresentazione che è relativa ad elementi strutturali del linguaggio, e non è relativa al fatto che quel linguaggio debba riuscire a far comunicare chi lo fruisce. Il linguaggio deve essere vicino a chi lo fruisce, e il fruitore deve vedere rappresentato, in quel testo, qualcosa che ha a che vedere con l'interiorizzazione, la rappresentazione del tempo che gli appartiene in quel momento, in quell'hic et nunc.

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Domanda 2
Qual è la fascia di mercato che trae dal processo educativo di un programma televisivo? Sono ancora le fasce alte, o quelle più basse, profonde e sofferenti? L'interesse verso le nuove tecnologie, in alcuni casi è già in atto, in altri casi è in "potenza".

Risposta
Considerando il rapporto fra tecnologia e sviluppo -diciamo sottosviluppo, per conservare una terminologia che è tipica del processo di modernizzazione-, credo che, in effetti, con l'avvento delle nuove tecnologie postindustriali, prevalentemente immateriali, legate al "soft" piuttosto che all'"hard", in questa nuova frontiera si metta in discussione un paradigma che ha dominato tutto il processo di modernizzazione, dalle sue origini ottocentesche sino alla estrema televisione di massa, quella generalista. Che cosa era accaduto in quel lungo percorso? Intorno agli anni '30 del nostro secolo si erano uniti due opposti movimenti: un meccanismo di socializzazione legato alla metropolitanizzazione, all'urbanizzazione, alla socializzazione, praticato dai fenomeni di sviluppo della società. Si trattava, quindi, di un processo che dal centro dei vertici si propagava, per aree sempre più estese, verso la massa; era un meccanismo educativo. A questo corrispondeva il meccanismo delle avanguardie, il paradigma delle avanguardie, che, viceversa, rifiutava la divulgazione e tentava di contrapporre, in modo molto forte, il vertice con la base. Questo doppio movimento, di un movimento divulgativo e di un movimento invece oppositivo tra vertice e base, era comunque all'interno di un'idea di sviluppo in cui i ceti più avanzati (le classi, i gruppi più avanzati), in una sintesi di motivazioni sociali e di motivazioni culturali, costituivano l'elemento trainante, comunque, della globalità sociale. La tecnica e la strategia potevano essere diverse: poteva essere una strategia divulgativa ed educativa o poteva essere una strategia oppositiva, di conflitto e di negazione. Ma la grande capacità dell'industria culturale di massa dagli anni '30 agli anni '70 - '80, è stata proprio quella di riuscire ad integrare perfettamente sia il paradigma oppositivo, negativo, conflittuale, sia quello divulgativo. Con queste nuove tecnologie forse questo paradigma ha raggiunto un suo punto di rottura; nel senso che queste tecnologie, di fatto, virtualmente hanno la possibilità di percorrere liberamente tutta la scala sociale. Naturalmente si tratta di preparare la macchina, di tararla, per corrispondere a queste funzioni; ma la duttilità di questa tecnologia è enorme, poiché non è inserita in un meccanismo tradizionale di divulgazione, di socializzazione, di collettivizzazione; non segue la strategia naturale del mercato e delle mode: prima un'élite, un piccolo gruppo e poi progressivamente pubblici sempre più estesi; questa tecnologia può rappresentare, invece, dei bisogni, dei desideri che sono estremamente localizzati. Ecco: questo può suggerire una riflessione: è proprio vero che ancora domina o può dominare il criterio per cui io debbo pensare anche allo sviluppo del mercato nei termini dei bisogni che vengono espressi, delle necessità che vengono espresse da alcune avanguardie in termini di ceto o in termini culturali? Non può essere che nei luoghi più profondi, nei momenti più profondi della massa sociale e proprio, quindi, in alcune sacche di arretratezza, si esprima, invece, un'intensità di desiderio che è proprio quell'energia che ci vuole per fare esplodere le tecnologie tradizionali che invece inibiscono queste possibilità di forti dislocazioni, bloccano la macchina in uno sviluppo graduale? Non può essere che in quelle sacche ci sia l'elemento originario di una tecnologia diversa, o per lo meno l'elemento originario di un uso diverso, di un uso mirato di queste nuove tecnologie? Perché queste nuove tecnologie, se subentrano in termini esclusivamente collaborativi, con i bisogni espressi dalle élite, dagli elementi trainanti della società di massa tradizionale, da società industriali tradizionali e dal tipo di poteri e conflitti tradizionali, in qualche modo, davvero, allora, sono qualcosa di inquietante! E lo sono perché consentono un'arma straordinaria alla vecchia meccanica dello sviluppo, ed esattamente a quella meccanica che ha prodotto molto benessere sociale e contemporaneamente, però, un accentuarsi del potere in termini lineari. Allora avrebbero ragione i soliti chiacchieroni apocalittici a vedere in queste tecnologie un incremento di pericolo ed un incremento di dominio. Ma se queste tecnologie vengono mirate ad invertire questa dinamica potrebbero praticare un processo qualitativo diverso. Ci si potrebbe domandare, allora: perché questo discorso viene sulle nuove tecnologie e non sulle vecchie tecnologie? Perché le vecchie tecnologie erano l'unica tecnologia possibile e praticabile all'interno di una società di massa, all'interno di un processo di socializzazione, di forme di comunicazione che non potevano non essere forme condivise dalla collettività; perché il problema era far comunicare l'ambiente sociale nel suo insieme, rendere visibili le cose in una collettività, in identità che avevano la loro forza, la loro potenza e la loro espressività nell'essere collettivo. In un processo sociale, viceversa, che tende alla demassificazione, alla frantumazione, alla localizzazione, questa nuova tecnologia può realizzare un processo inverso. Questa è un'ipotesi su cui si potrebbe riflettere. Non basta pensare ad Internet ed alla qualità di Internet avendo come riferimento il target che usa Internet, che, in questa fase, è un target prevalentemente abbiente, con strumenti culturali sufficienti per poter navigare. Bisogna ragionare su quello che Internet rappresenta, sulle qualità di Internet, considerando se quelle stesse qualità non possano coinvolgere, seppure un po' sotto la cenere, un altro tipo di target. E, a questo punto, scoprire, per esempio, che in presenza di tecnologie, in strati giovanili acculturati, ma anche in strati giovanili non acculturati si esprimono paradigmi, sapere, sensibilità, obiettivi che sono molto simili e che, appunto, sono nella direzione di un abbandono dei territori tradizionali per una sorta di disincanto, di desiderio nuovo di viaggiare altrove. Cos'è che manca a queste ricerche in modo sorprendente? Io credo che la ricerca in quanto tale, poiché ha un suo committente e i suoi obiettivi, non può che avere dei limiti. La ricerca a cui si riferisce il mio discorso sull'uso del tempo, è una ricerca monumentale, in qualche modo, e quindi raccoglie una serie di dati estremamente utili; se l'abbandoniamo a se stessa e non cerchiamo, invece, di imprimentarla, di arricchirla (intanto di altre ricerche che abbiano diverse committenze e diversi obiettivi o ruoli, che abbiano diversi scopi e cerchino diversi indicatori), e poi non cerchiamo di ragionare complessivamente in modo tale che questi dati vengano confrontati attraverso diversi punti di vista, quella stessa ricerca, se non viene fatta parlare dal punto di vista sociologico, dal punto di vista antropologico, dal punto di vista merceologico, dal punto di vista espressivo, si priva anche delle possibilità di servire a quello per cui è stata commissionata: semplicemente come possiamo vendere meglio l'innovazione tecnologica.

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Domanda 3
Quanto il superfluo preme, ormai, sul consumo televisivo reso solida spazzatura di una forma sofisticata di lavoro sociale: quella di spettatore?

Risposta
Questa è un'altra riflessione che propongo semplicemente come tema. Noi siamo abituati a pensare che il mondo televisivo sia, in larga misura, un mondo superfluo, non un lavoro necessario e soprattutto che palinsesti e flussi televisivi abbiano la loro caratteristica sostanziale nel fatto di essere effimeri, si bruciano giorno per giorno. Questo sicuramente è stato vero dentro la dimensione di un consumo televisivo globale che era il linguaggio della società, in qualche modo era davvero il luogo della società di massa, dove si sono trasferite tutte le sue funzioni e tutte le sue istituzioni, non la politica separata dei media o la scuola, l'educazione e la formazione, ma la formazione mediatica, politica mediatica. Questa è stata la cornice della cultura di massa; dentro quella dimensione la televisione riusciva a sintetizzare il luogo del tempo libero e quindi di ciò che non è estremamente necessario, con abbondanti contaminazioni con l'informazione. Progressivamente, però, quel luogo televisivo è diventato generale; nella fase terminale, quella che è l'estrema frontiera dopo di cui questo dominio trainante della televisione, questa territorialità tutta televisiva, schermica sta venendo meno, si sta sfrangiando; forse, questo aspetto merita una riflessione. Probabilmente, la contemporaneità della nostra società è stata rappresentata dalla televisione, e le reti, il Personal Computer, le altre tecnologie o comunque anche sensibilità e modi di vita cercano di uscire da questo unico territorio costruito dalla televisione. Paradossalmente, tra un po' potremo cominciare a pensare che quanto di più stabile c'è è proprio il flusso televisivo, sono proprio le reti televisive e che quelle reti e quel flusso sono molto lontani dall'idea di superfluo a cui erano riferiti in passato (tra l'altro, con scarsa ragione, perché semmai sono diventati qualcosa di necessario). Noi, oggi, nella televisione che consumiamo probabilmente possiamo cogliere due modalità che rappresentano un momento in cui, di fatto, la televisione non è molto distinguibile dagli altri lavori; -la ricerca di cui stiamo parlando documenta, appunto, un tempo in cui la televisione è un po' fondale, ambiente e un tempo in cui invece ci si presta alla televisione, ci si applica alla televisione-. Oltre tutto, in questa tarda società industriale, il lavoro si mescola col tempo libero e il tempo libero si mescola con la televisione, e la televisione, in qualche modo, diventa il luogo dove si esemplifica meglio il concetto per il quale anche il tempo libero è un lavoro, qualcosa di necessario, insomma.

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Domanda 4
L'idea di tempo, con le tecnologie della comunicazione, sta creando un flusso continuo nel rapporto con il lavoro: ad esempio, io lavoro mentre mi sposto.

Risposta
Esatto. Di fatto, con le nuove tecnologie attraversiamo un'esperienza che ribalta esattamente il conflitto che abbiamo vissuto attraverso tutto il processo di massificazione, di collettivizzazione, di omogeneizzazione rappresentato dalla televisione. Questo processo, certo, garantisce alcune caratteristiche di omogeneizzazione: la televisione crea l'unità nazionale, la televisione che, bene o male, pur degradandola, rispetta i vecchi modelli tradizionali, crea un'unica koiné e non una lingua, ecc.; però, questo si paga a prezzo di che cosa? Della negazione delle differenze. A torto o a ragione -questa è stata la teoria ed anche la pratica che hanno caratterizzato lo sviluppo televisivo- in questa fase dello sviluppo cibernetico la preoccupazione ed il problema si ribalteranno. Noi avremo tecnologie che investono sulla diversificazione ed il problema che sarà posto, a quel punto, sarà: come salviamo l'omologazione? Questo è un problema anche relativo alla definizione del nuovo sistema; non si tratta di mettere in contrapposizione dicotomica sistema mediale generalista e nuovi sistemi di comunicazione, new media. Il problema da porsi è: come si può ridefinire un sistema generale comunicativo in cui la televisione generalista, in quanto rete connettiva, possa garantire alcune funzioni che, almeno nel passaggio da un sistema all'altro, sono necessarie ai fini di una conservazione di identità collettiva? E, contemporaneamente, garantendo ciò, non diventi l'elemento trainante, qualificante dell'intero sistema, ma sia invece una sua componente rispetto a tutte le altre componenti che sono invece centrifughe, che sono di differenziazione, che sono di moltiplicazione delle differenze all'interno di un unico consumatore?

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Domanda 5
Concludiamo soltanto con quest'ipotesi affascinante, per molti versi: solo la qualità delle nuove tecnologie è in grado di destrutturare e ristrutturare le mediazioni della società industriale di massa?

Risposta
Questo è il problema che stiamo vivendo adesso. La Sua è semplicemente una considerazione-domanda che non è dubitativa sul contenuto! E' il futuro sempre incerto. Le tecnologie dei media generalisti, dei media di massa hanno operato un qualcosa di clamoroso: sono riuscite a controllare la destrutturazione del territorio fisico riuscendo a costruire un territorio immateriale che fosse abitato dalla società. Tutto è diventato televisione; ciò viene visto da molti negativamente, però è un dato reale: il territorio praticabile, visibile, in cui si poteva comunicare è diventato il territorio del piccolo schermo, il territorio fantasmatico della contemporaneità televisiva. Riusciranno, le nuove tecnologie, a governare e produrre il transito ed il passaggio da questo territorio fantasmatico ad una nuova territorialità che invece ha come caratteristica non quella della contemporaneità e dell'omologazione, bensì quella della diversificazione e di un tempo totalmente asincrono? Ai posteri.

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