INTERVISTA:
Domanda 1
Quanto pesa la tradizione testuale della Fiction sulla natura sociale dei programmi?
Risposta
Credo che sia un peso relativo al rapporto tra evoluzione e sviluppo della società, dei
tempi sociali e sviluppo dei media. E' evidente che in periodi intensi di produzione
sociale c'è una certa vicinanza tra la tradizione testuale e i ritmi interni dei
linguaggi, le figure che metaforizzano il tempo e il tempo sociale. I linguaggi, però,
nei loro formati e nelle loro interazioni testuali hanno e conservano una loro, propria,
tradizione. In un grande linguaggio (come può essere accaduto per la letteratura dall'800
superando il 900, oppure per il cinema rientrando nell'epoca della televisione), la
testualità contiene una sua tradizione, che è una tradizione estetica, formale, in cui
le figure rappresentate sono legate agli stereotipi di quel linguaggio; stereotipi,
naturalmente, molto forti, che hanno la loro radice proprio in una possibilità di
rappresentare, attraverso l'immaginario, il tempo sociale. Poi, ad un certo punto, gli
stereotipi si logorano facendo prevalere una rappresentazione che è relativa ad elementi
strutturali del linguaggio, e non è relativa al fatto che quel linguaggio debba riuscire
a far comunicare chi lo fruisce. Il linguaggio deve essere vicino a chi lo fruisce, e il
fruitore deve vedere rappresentato, in quel testo, qualcosa che ha a che vedere con
l'interiorizzazione, la rappresentazione del tempo che gli appartiene in quel momento, in
quell'hic et nunc.
Domanda 2
Qual è la fascia di mercato che trae dal processo educativo di un programma televisivo?
Sono ancora le fasce alte, o quelle più basse, profonde e sofferenti? L'interesse verso
le nuove tecnologie, in alcuni casi è già in atto, in altri casi è in
"potenza".
Risposta
Considerando il rapporto fra tecnologia e sviluppo -diciamo sottosviluppo, per conservare
una terminologia che è tipica del processo di modernizzazione-, credo che, in effetti,
con l'avvento delle nuove tecnologie postindustriali, prevalentemente immateriali, legate
al "soft" piuttosto che all'"hard", in questa nuova frontiera si metta
in discussione un paradigma che ha dominato tutto il processo di modernizzazione, dalle
sue origini ottocentesche sino alla estrema televisione di massa, quella generalista. Che
cosa era accaduto in quel lungo percorso? Intorno agli anni '30 del nostro secolo si erano
uniti due opposti movimenti: un meccanismo di socializzazione legato alla
metropolitanizzazione, all'urbanizzazione, alla socializzazione, praticato dai fenomeni di
sviluppo della società. Si trattava, quindi, di un processo che dal centro dei vertici si
propagava, per aree sempre più estese, verso la massa; era un meccanismo educativo. A
questo corrispondeva il meccanismo delle avanguardie, il paradigma delle avanguardie, che,
viceversa, rifiutava la divulgazione e tentava di contrapporre, in modo molto forte, il
vertice con la base. Questo doppio movimento, di un movimento divulgativo e di un
movimento invece oppositivo tra vertice e base, era comunque all'interno di un'idea di
sviluppo in cui i ceti più avanzati (le classi, i gruppi più avanzati), in una sintesi
di motivazioni sociali e di motivazioni culturali, costituivano l'elemento trainante,
comunque, della globalità sociale. La tecnica e la strategia potevano essere diverse:
poteva essere una strategia divulgativa ed educativa o poteva essere una strategia
oppositiva, di conflitto e di negazione. Ma la grande capacità dell'industria culturale
di massa dagli anni '30 agli anni '70 - '80, è stata proprio quella di riuscire ad
integrare perfettamente sia il paradigma oppositivo, negativo, conflittuale, sia quello
divulgativo. Con queste nuove tecnologie forse questo paradigma ha raggiunto un suo punto
di rottura; nel senso che queste tecnologie, di fatto, virtualmente hanno la possibilità
di percorrere liberamente tutta la scala sociale. Naturalmente si tratta di preparare la
macchina, di tararla, per corrispondere a queste funzioni; ma la duttilità di questa
tecnologia è enorme, poiché non è inserita in un meccanismo tradizionale di
divulgazione, di socializzazione, di collettivizzazione; non segue la strategia naturale
del mercato e delle mode: prima un'élite, un piccolo gruppo e poi progressivamente
pubblici sempre più estesi; questa tecnologia può rappresentare, invece, dei bisogni,
dei desideri che sono estremamente localizzati. Ecco: questo può suggerire una
riflessione: è proprio vero che ancora domina o può dominare il criterio per cui io
debbo pensare anche allo sviluppo del mercato nei termini dei bisogni che vengono
espressi, delle necessità che vengono espresse da alcune avanguardie in termini di ceto o
in termini culturali? Non può essere che nei luoghi più profondi, nei momenti più
profondi della massa sociale e proprio, quindi, in alcune sacche di arretratezza, si
esprima, invece, un'intensità di desiderio che è proprio quell'energia che ci vuole per
fare esplodere le tecnologie tradizionali che invece inibiscono queste possibilità di
forti dislocazioni, bloccano la macchina in uno sviluppo graduale? Non può essere che in
quelle sacche ci sia l'elemento originario di una tecnologia diversa, o per lo meno
l'elemento originario di un uso diverso, di un uso mirato di queste nuove tecnologie?
Perché queste nuove tecnologie, se subentrano in termini esclusivamente collaborativi,
con i bisogni espressi dalle élite, dagli elementi trainanti della società di massa
tradizionale, da società industriali tradizionali e dal tipo di poteri e conflitti
tradizionali, in qualche modo, davvero, allora, sono qualcosa di inquietante! E lo sono
perché consentono un'arma straordinaria alla vecchia meccanica dello sviluppo, ed
esattamente a quella meccanica che ha prodotto molto benessere sociale e
contemporaneamente, però, un accentuarsi del potere in termini lineari. Allora avrebbero
ragione i soliti chiacchieroni apocalittici a vedere in queste tecnologie un incremento di
pericolo ed un incremento di dominio. Ma se queste tecnologie vengono mirate ad invertire
questa dinamica potrebbero praticare un processo qualitativo diverso. Ci si potrebbe
domandare, allora: perché questo discorso viene sulle nuove tecnologie e non sulle
vecchie tecnologie? Perché le vecchie tecnologie erano l'unica tecnologia possibile e
praticabile all'interno di una società di massa, all'interno di un processo di
socializzazione, di forme di comunicazione che non potevano non essere forme condivise
dalla collettività; perché il problema era far comunicare l'ambiente sociale nel suo
insieme, rendere visibili le cose in una collettività, in identità che avevano la loro
forza, la loro potenza e la loro espressività nell'essere collettivo. In un processo
sociale, viceversa, che tende alla demassificazione, alla frantumazione, alla
localizzazione, questa nuova tecnologia può realizzare un processo inverso. Questa è
un'ipotesi su cui si potrebbe riflettere. Non basta pensare ad Internet ed alla qualità
di Internet avendo come riferimento il target che usa Internet, che, in questa fase, è un
target prevalentemente abbiente, con strumenti culturali sufficienti per poter navigare.
Bisogna ragionare su quello che Internet rappresenta, sulle qualità di Internet,
considerando se quelle stesse qualità non possano coinvolgere, seppure un po' sotto la
cenere, un altro tipo di target. E, a questo punto, scoprire, per esempio, che in presenza
di tecnologie, in strati giovanili acculturati, ma anche in strati giovanili non
acculturati si esprimono paradigmi, sapere, sensibilità, obiettivi che sono molto simili
e che, appunto, sono nella direzione di un abbandono dei territori tradizionali per una
sorta di disincanto, di desiderio nuovo di viaggiare altrove. Cos'è che manca a queste
ricerche in modo sorprendente? Io credo che la ricerca in quanto tale, poiché ha un suo
committente e i suoi obiettivi, non può che avere dei limiti. La ricerca a cui si
riferisce il mio discorso sull'uso del tempo, è una ricerca monumentale, in qualche modo,
e quindi raccoglie una serie di dati estremamente utili; se l'abbandoniamo a se stessa e
non cerchiamo, invece, di imprimentarla, di arricchirla (intanto di altre ricerche che
abbiano diverse committenze e diversi obiettivi o ruoli, che abbiano diversi scopi e
cerchino diversi indicatori), e poi non cerchiamo di ragionare complessivamente in modo
tale che questi dati vengano confrontati attraverso diversi punti di vista, quella stessa
ricerca, se non viene fatta parlare dal punto di vista sociologico, dal punto di vista
antropologico, dal punto di vista merceologico, dal punto di vista espressivo, si priva
anche delle possibilità di servire a quello per cui è stata commissionata: semplicemente
come possiamo vendere meglio l'innovazione tecnologica.
Domanda 3
Quanto il superfluo preme, ormai, sul consumo televisivo reso solida spazzatura di una
forma sofisticata di lavoro sociale: quella di spettatore?
Risposta
Questa è un'altra riflessione che propongo semplicemente come tema. Noi siamo abituati a
pensare che il mondo televisivo sia, in larga misura, un mondo superfluo, non un lavoro
necessario e soprattutto che palinsesti e flussi televisivi abbiano la loro caratteristica
sostanziale nel fatto di essere effimeri, si bruciano giorno per giorno. Questo
sicuramente è stato vero dentro la dimensione di un consumo televisivo globale che era il
linguaggio della società, in qualche modo era davvero il luogo della società di massa,
dove si sono trasferite tutte le sue funzioni e tutte le sue istituzioni, non la politica
separata dei media o la scuola, l'educazione e la formazione, ma la formazione mediatica,
politica mediatica. Questa è stata la cornice della cultura di massa; dentro quella
dimensione la televisione riusciva a sintetizzare il luogo del tempo libero e quindi di
ciò che non è estremamente necessario, con abbondanti contaminazioni con l'informazione.
Progressivamente, però, quel luogo televisivo è diventato generale; nella fase
terminale, quella che è l'estrema frontiera dopo di cui questo dominio trainante della
televisione, questa territorialità tutta televisiva, schermica sta venendo meno, si sta
sfrangiando; forse, questo aspetto merita una riflessione. Probabilmente, la
contemporaneità della nostra società è stata rappresentata dalla televisione, e le
reti, il Personal Computer, le altre tecnologie o comunque anche sensibilità e modi di
vita cercano di uscire da questo unico territorio costruito dalla televisione.
Paradossalmente, tra un po' potremo cominciare a pensare che quanto di più stabile c'è
è proprio il flusso televisivo, sono proprio le reti televisive e che quelle reti e quel
flusso sono molto lontani dall'idea di superfluo a cui erano riferiti in passato (tra
l'altro, con scarsa ragione, perché semmai sono diventati qualcosa di necessario). Noi,
oggi, nella televisione che consumiamo probabilmente possiamo cogliere due modalità che
rappresentano un momento in cui, di fatto, la televisione non è molto distinguibile dagli
altri lavori; -la ricerca di cui stiamo parlando documenta, appunto, un tempo in cui la
televisione è un po' fondale, ambiente e un tempo in cui invece ci si presta alla
televisione, ci si applica alla televisione-. Oltre tutto, in questa tarda società
industriale, il lavoro si mescola col tempo libero e il tempo libero si mescola con la
televisione, e la televisione, in qualche modo, diventa il luogo dove si esemplifica
meglio il concetto per il quale anche il tempo libero è un lavoro, qualcosa di
necessario, insomma.
Domanda 4
L'idea di tempo, con le tecnologie della comunicazione, sta creando un flusso
continuo nel rapporto con il lavoro: ad esempio, io lavoro mentre mi sposto.
Risposta
Esatto. Di fatto, con le nuove tecnologie attraversiamo un'esperienza che ribalta
esattamente il conflitto che abbiamo vissuto attraverso tutto il processo di
massificazione, di collettivizzazione, di omogeneizzazione rappresentato dalla
televisione. Questo processo, certo, garantisce alcune caratteristiche di
omogeneizzazione: la televisione crea l'unità nazionale, la televisione che, bene o male,
pur degradandola, rispetta i vecchi modelli tradizionali, crea un'unica koiné e non una
lingua, ecc.; però, questo si paga a prezzo di che cosa? Della negazione delle
differenze. A torto o a ragione -questa è stata la teoria ed anche la pratica che hanno
caratterizzato lo sviluppo televisivo- in questa fase dello sviluppo cibernetico la
preoccupazione ed il problema si ribalteranno. Noi avremo tecnologie che investono sulla
diversificazione ed il problema che sarà posto, a quel punto, sarà: come salviamo
l'omologazione? Questo è un problema anche relativo alla definizione del nuovo sistema;
non si tratta di mettere in contrapposizione dicotomica sistema mediale generalista e
nuovi sistemi di comunicazione, new media. Il problema da porsi è: come si può
ridefinire un sistema generale comunicativo in cui la televisione generalista, in quanto
rete connettiva, possa garantire alcune funzioni che, almeno nel passaggio da un sistema
all'altro, sono necessarie ai fini di una conservazione di identità collettiva? E,
contemporaneamente, garantendo ciò, non diventi l'elemento trainante, qualificante
dell'intero sistema, ma sia invece una sua componente rispetto a tutte le altre componenti
che sono invece centrifughe, che sono di differenziazione, che sono di moltiplicazione
delle differenze all'interno di un unico consumatore?
Domanda 5
Concludiamo soltanto con quest'ipotesi affascinante, per molti versi: solo la qualità
delle nuove tecnologie è in grado di destrutturare e ristrutturare le mediazioni della
società industriale di massa?
Risposta
Questo è il problema che stiamo vivendo adesso. La Sua è semplicemente una
considerazione-domanda che non è dubitativa sul contenuto! E' il futuro sempre incerto.
Le tecnologie dei media generalisti, dei media di massa hanno operato un qualcosa di
clamoroso: sono riuscite a controllare la destrutturazione del territorio fisico riuscendo
a costruire un territorio immateriale che fosse abitato dalla società. Tutto è diventato
televisione; ciò viene visto da molti negativamente, però è un dato reale: il
territorio praticabile, visibile, in cui si poteva comunicare è diventato il territorio
del piccolo schermo, il territorio fantasmatico della contemporaneità televisiva.
Riusciranno, le nuove tecnologie, a governare e produrre il transito ed il passaggio da
questo territorio fantasmatico ad una nuova territorialità che invece ha come
caratteristica non quella della contemporaneità e dell'omologazione, bensì quella della
diversificazione e di un tempo totalmente asincrono? Ai posteri.
|
|