Biblioteca digitale (intervista) RAI Educational

Marcello Veneziani

ROMA, 03/06/1998

"Orientamenti della stampa italiana tra pubblico e privato"

SOMMARIO:

  • Nella storia della stampa italiana ci sono stati vari momenti di rottura che hanno rispecchiato le fasi della storia del nostro Paese. Una svolta importante si ebbe negli anni Settanta quando la Repubblica e il Giornale assunsero una posizione critica contro il potere senza con questo aderire a un partito di opposizione. Questi giornali si slegavano così dalla tradizione italiana dei giornali di partito (1).
  • L'asservimento dei giornali al potere è un fenomeno patologico della stampa italiana. Le sue origini sono da ricercare ancora prima del fascismo. Il fascismo ha comunque gettato le basi per l'atteggiamento servile dei giornali rispetto al potere (2).
  • Oggi questo servilismo è applicato ai poteri industriali che hanno anche interessi primari in campo editoriale. Inoltre fra i giornali italiani è diffusa una forma di servilismo al clima politico che impone al giornalista di adeguarsi e conformarsi allo spirito del tempo (3).
  • La cultura industriale pesa sul giornalismo. I giornali cambiano, mutano le opinioni e interpretano diversamente i fatti a seconda di quello che il mercato richiede. Un tempo prevaleva l'egemonia ideologia e ora prevale l'egemonia del mercato (4).
  • Si può parlare di auto censura più che di censura nei giornali italiani. L'informazione è controllata in modo da non danneggiare gli interessi di quei settori dove sono presenti gli interessi industriali ed editoriali italiani (5).
  • In Italia l'appartenenza a una lobby di potere è negata da parte del giornalista. Sarebbe più accettabile invece una dichiarata appartenenza ad una lobby se questa rappresentasse interessi leciti. Nel nostro paese invece da un lato si dichiara una autonomia rispetto alle lobby e dall'altro si rappresentano interessi anche quando non sono propriamente leciti (6).
  • I giornali italiani non rappresentano quella che Flaiano chiamava la trascurabile maggioranza degli italiani. La stampa rappresenta gli interessi e i valori di una élite. Questa distanza dal sentire comune allontana i lettori (7).
  • La televisione concorre alla crisi della stampa. Il suo successo dipende non da una migliore qualità rispetto ai giornali ma dalla facilità di ricezione della informazione che non richiede alcuna mediazione da parte del fruitore (8).
  • Si dice che i media non hanno memoria. In realtà il giornalismo rispecchia un deficit di memoria diffuso nel paese. Si assiste a una certa glorificazione del presente di una generazione che si ritiene il centro del mondo e che si sente separata sia dalla generazione che l'ha preceduta sia da quelle che verranno (9).
  • La gestione pubblica della informazione ha senso solo se garantisce un servizio culturale ai cittadini. Al momento si nota una impercettibile differenza tra l'informazione dei canali pubblici e quella dei canali privati. Pubblico e privato sono guidati infatti dalla stessa logica di audience e di raccolta della pubblicità (10).
  • La nomina di Romiti, ex presidente della FIAT, a comando della Rizzoli Corriere della Sera non ha fatto altro che esplicitare il peso importante che la FIAT già prima come grande azionista aveva nel gruppo Rizzoli. Se da un lato la proprietà privata garantisce una certa autonomia dal potere politico d'altra parte segna un più esplicito controllo degli interessi industriali della proprietà (11).

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INTERVISTA:

Domanda 1
Quali sono stati, secondo lei, i grandi cambiamenti, i passaggi epocali, se ve ne sono stati, nella storia della stampa italiana? E' un lungo fluire o vi sono stati dei punti di rottura?

Risposta
Credo che ci siano stati molti punti di rottura, e, che in molti casi, essi hanno rispecchiato le fasi della storia del nostro Paese. Credo che un punto di rottura importante sia stata - agli inizi del Novecento - la nascita di giornali che finalmente dedicarono attenzione alla cultura con la nascita della terza pagina. Penso che un altro evento importante sia stata la nascita del Popolo d'Italia, nella preparazione della prima guerra mondiale, perché esso ha sicuramente fondato un nuovo tipo di fare giornalismo, un giornalismo che riesce ad incidere nella storia e nella politica. Poi, naturalmente, il giornalismo di regime ha rappresentato una caratterizzazione particolare che credo meriti di essere affrontata; se vogliamo invece limitarci ai nostri anni del dopo guerra, credo che negli anni Settanta ci sia stata una vera e propria svolta nel giornalismo italiano perché sono nati i primi due giornali partito, non giornali di partito, mi riferisco a La Repubblica e al Il Giornale che hanno assunto una posizione critica nei confronti del potere, senza con questo aderire ad un partito di opposizione. Invece eravamo abituati in Italia a giornali governativi, o a giornali di opposizione ma legati comunque ad una realtà di partito.

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Domanda 2
Con il fascismo c'è stato un modo di fare il giornale e il giornalismo molto centralizzato, cioè il governo, o il partito fascista, attraverso l'Agenzia Stefani piuttosto che L'EIAR eccetera dava delle direttive uguali per tutti e poi, in questa sorta di omologazione d'informazione, ognuno agiva settorialmente, oggi si direbbe secondo i target di riferimento. E' l'origine del pensiero unico di cui si parla oggi o è qualcosa di diverso?

Risposta
Io credo che nel fascismo sia emersa una vena conformista e servile della nostra stampa che reputo fosse precedente al fascismo e che è stata anche successiva al fascismo. Il regime totalitario incompiuto del fascismo ha sicuramente gettato le basi per un controllo dell'informazione, però penso che il dato più detestabile di quel periodo sia stato il servilismo spontaneo da parte di molti giornalisti, e credo che questo fenomeno rientri nella patologia, purtroppo, del nostro Paese e della nostra stampa, e quindi che non sia soltanto limitabile al periodo del fascismo.

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Domanda 3
Oggi questo servilismo a che cosa è applicato? Alla cultura industriale, ai partiti del governo, alla proprietà del giornale...questo atteggiamento che lei dice essere uno degli atteggiamenti preminenti dei giornalisti, a chi viene applicato oggi?

Risposta
Direi che viene applicato da una parte ai cosiddetti poteri forti, i poteri che contano, che non sono solo i poteri politici ma soprattutto i poteri industriali, che hanno anche interessi primari in campo editoriale, e in secondo luogo credo che questo servilismo sia legato anche al cosiddetto clima, cioè c'è una forma di conformismo che recita che è necessario adeguarsi allo spirito del tempo, e questo credo che sia uno dei dati salienti della stampa italiana.

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Domanda 4
Il peso della cultura industriale nel modo di fare il giornalismo e i giornali, e cioè anche di produrre e di selezionare le notizie, c'è e quale è secondo lei?

Risposta
Il peso della cultura industriale c'è sicuramente nel nostro giornalismo, anzi direi che siamo passati da una fase in cui prevaleva l'egemonia ideologica, ad una fase in cui prevale l'egemonia del mercato, anche se ideologicamente corretto, quindi credo che in questa fase sia importante sottolineare come i giornali siano subalterni, in qualche modo, alle logiche del marketing e spesso siano disposti anche a cambiare, mutare le opinioni e ad interpretare diversamente i fatti sulla base della funzionalità o meno a certi processi industriali e di mercato.

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Domanda 5
Quindi c'è un peso della cultura industriale anche sulla notiziabilità, cioè sui criteri per cui una cosa è notizia o no? Penso di base agli incidenti sul lavoro che non fanno notizia, ma invece a cosa può fare notizia rispetto a questa cultura.

Risposta
Io credo che ci sia sicuramente una specie di autocensura, prima ancora che una censura, da parte dei giornalisti in relazione alla omogeneità di certe notizie rispetto agli interessi dell'editore, della grande industria di riferimento, e comunque del piano nel quale vengono inserite. Quindi c'è sicuramente una forma di autocontrollo, che credo si eserciti soprattutto in alcuni settori vitali ovviamente da quello dei trasporti ad altri settori dove sono più presenti gli interessi industriali ed editoriali italiani.

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Domanda 6
C'è stato in Italia un caso, il caso Zicari, cioè di un'agente segreto che era un'importante giornalista de Il Corriere della Sera, poi c'è stato il caso della P2 ancora più eclatante, diciamo come ingerenza, o comunque presenza di soggetti estranei al giornalismo, all'interno dei giornali, con un ruolo di guida, questa situazione è ripetibile o in qualche modo il giornalismo italiano ha fatto crescere degli anticorpi rispetto a cose del genere?

Risposta
Io credo non solo che sia ripetibile, ma che sia già in corso, cioè sono convinto che ci siano delle lobby rispetto alle quali alcuni giornalisti rispondono in senso dell'omogeneità. Vorrei dire che c'è anche un discorso di liceità delle lobby e un discorso invece inaccettabile, ovvero se alcune lobby sono rese trasparenti e comunque rappresentano interessi leciti, è giusto che ci siano dei giornalisti che esplicitino innanzitutto la loro appartenenza a queste lobby e che si dichiarino in qualche modo promotori dello sviluppo di queste lobby. Invece, nel nostro Paese, c'è da una parte l'idea di simulare un'altra discendenza delle proprie informazioni, e quindi un'autonomia rispetto alle lobby, e poi spesso si rappresentano interessi che non sono propriamente leciti ma che, viceversa, segnano soltanto il primato di alcuni interessi rispetto ad altri.

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Domanda 7
In questa fase, in questi fine anni Novanta, la stampa sta vivendo un momento di crisi riconosciuto, sia di crisi di contenuti, di crisi di lettura, tutto sommato forse di crisi di credibilità. E' possibile che questa crisi di credibilità sia dovuta a tante cause o anche concause, quale sono secondo lei le maggiori, se condivide che c'è una crisi di credibilità della stampa italiana.

Risposta
Credo che ci sia una crisi, ma non mi pare che sia nella fase più acuta, ho l'impressione che alle volte si esageri la portata della crisi della stampa. Detto questo comunque indubbiamente siamo in un periodo di difficoltà, anche perché se compariamo i dati di vendita a quelli del '38 ci rendiamo conto che, nonostante la rivoluzione tecnologica-industriale che c'è di mezzo e nonostante il benessere, vendiamo praticamente le stesse copie di allora. Credo che una delle ragioni principali della disfunzione sia naturalmente il primato di una cultura orale, che è oggi rappresentata dalla cultura televisiva. Credo in secondo luogo che ci sia un difetto di credibilità dei giornali, perché ho l'impressione che i nostri giornali non rappresentino adeguatamente quella che Flaiano chiamava la trascurabile maggioranza degli italiani. Credo che il comune sentire non sia adeguatamente rappresentato in Italia, e credo che ci sia più omogeneità ad alcuni interessi e ad alcuni valori di casta piuttosto che agli interessi e ai valori diffusi.

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Domanda 8
Crede che la televisione rispetti meglio, e quindi dia più credito alla citazione di Flaiano, o che i giornali nell'inseguire la televisione abbiano intrapreso una strada sbagliata nel tentativo di conquistare pubblico?

Risposta
No, credo che la televisione sia semplicemente un mezzo più facile, e per questo viene più facilmente recepito. Più facile perché gratuito, o comunque considerato tale, perché arriva direttamente a casa, perché non ha bisogno di una mediazione come comunque la lettura, e quindi credo sia questo il dato in più che facilita la televisione, non credo che sia una maggiore qualità rispetto alla carta stampata.

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Domanda 9
I media si dice che non hanno memoria, lei lo ritiene vero? a leggerlo sembra vero, cosa pensa dei motivi di questa mancanza di memoria, è dei giornali, è dei giornalisti, è del modo di fare informazione?

Risposta
Credo che i giornali rispecchino, da questo punto di vista, un deficit di memoria che è comunque diffuso nel Paese. Non credo cioè che abbiano avuto una funzione particolare nella diffusione dell'oblio, credo anzi che ci sia da parte dei giornali, alle volte, anche un tentativo di far riemergere storie del passato; ho invece l'impressione che viviamo nella dimensione di una sorta di glorificazione del presente, una forma di egocentrismo di una generazione che ritiene di essere l'ombelico del mondo e che si ritiene separata sia dalla generazione che l'ha preceduta, sia dalle generazioni che verranno, e quindi ho l'impressione che questa perdita di memoria non sia una causa determinata dal giornalismo, ma il giornalismo rispecchi semplicemente un deficit diffuso.

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Domanda 10
La RAI, Il Giorno, sono state e sono imprese editoriali pubbliche però abbiamo visto che sia durante il fascismo sia dopo non è la proprietà pubblica rispetto a quella privata, l'Agenzia Stefani era privata, L'EIAR era privata, a garantire alcunché rispetto alla libertà di espressione o alla possibilità di essere liberi nell'espressione. Questa differenza tra pubblico e privato nella proprietà implica qualcosa o no rispetto alla libertà di stampa?

Risposta
Dovrebbe implicare una funzione più di servizio e anche in certi limiti di educazione, anche se la parola è inquieta, che invece non vedo presente attualmente nell'informazione pubblica, o vedo comunque scarsamente presente. Credo che questa sia la vera differenza, il vero scarto, se c'è un servizio reso ai cittadini, allora ha una ragion d'essere l'informazione pubblica. Allo stato attuale in effetti sono molto sfumati i confini tra informazione pubblica e privata, anche perché l'unico parametro di riferimento è l'audience o magari la raccolta della pubblicità, e quindi rispetto a questi sfumano tutti gli altri criteri. Allo stato attuale vedo, anche a livello di informazione, e proprio mi riferisco in particolare ai telegiornali, una impercettibile differenza tra l'informazione dei canali pubblici e quella dei canali commerciali.

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Domanda 11
L'ex Presidente della FIAT in questo giugno '98 ha assunto un ruolo di comando nella Rizzoli Corriere della Sera, questo ha in qualche modo svegliato l'attenzione del sindacato dei giornalisti e dei comitati di redazione, è sensata questa attenzione, è una novità, è una storia che continua anche questa, quella cioè dell'impresa industriale che influisce direttamente anche con la nomina di proprietari e dirigenti rispetto all'industria editoriale?

Risposta
Io credo che sia un'esplicitazione di una tendenza che era già in corso, sarebbe ipocrita indignarsi rispetto a queste nomine, perché semplicemente portano alla luce del sole quello che era già di fatto. Noi sappiamo, sapevamo, che la FIAT aveva già un peso importante che influenzava l'universo giornalistico della Rizzoli, e quindi con questo atto, con la nomina di Romiti, si è esplicitata maggiormente questa politica. Rispetto a questa nomina io vedo un passo avanti e un passo indietro: il passo avanti lo vedo perché si tratta di una nomina comunque forte che può comunque garantire un tasso di maggiore autonomia rispetto al potere politico, e quindi rispetto a quel clima ulivista che io ritengo sia abbastanza pervasivo nel nostro Paese; dall'altra parte un passo indietro perché segna, comunque, un maggiore e più esplicito controllo appunto della proprietà e quindi degli interessi industriali.

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