INTERVISTA:
Domanda 1
Professore, Lei si occupa, da lungo tempo, dell'applicazione delle nuove tecnologie nello
studio dei testi. Crede che questo tipo di applicazioni possa fornire nuove prospettive
allo studio del testo letterario?
Risposta
Io credo di sì. Naturalmente, occorre distinguere tra gli obiettivi che ci si pongono. E'
difficile pensare che le nuove tecnologie riescano a sostituire in toto l'intelligenza del
critico, anzi, sarebbe auspicabile che le nuove tecnologie possano servire ad aumentare
l'intelligenza del critico o del filologo. Ci sono comunque dei fatti concreti: le nuove
tecnologie, in particolare in alcuni settori, modificano in positivo la situazione di
partenza, prima di tutto nel settore della documentazione. Noi possiamo raggiungere,
sostanzialmente, delle situazioni ottimali all'interno delle quali il ricercatore può
avere il massimo dell'informazione possibile, la totalità dell'informazione possibile. In
secondo luogo, utilizzando degli strumenti come gli analizzatori di testi, per esempio, è
possibile realizzare delle forme di conoscenza, e quindi, di critica del testo,
probabilmente più ricche ed anche più interessanti di quelle tradizionali.
Domanda 2
E' opinione comune che scienze umane e scienze delle tecnologie siano due poli
completamente opposti. Lei ritiene che le nuove tecnologie possano avere una funzione di
rinnovamento della cultura umanistica?
Risposta
Credo di sì; ma credo anche che questo incontro possa rinnovare il mondo delle scienze e
della natura. Io sono propenso per una linea di scambio reciproco in cui i soggetti attivi
siano due: gli ingegneri nudi e crudi da una parte, e gli umanisti belli e pimpanti
dall'altra. Quindi, da questo punto di vista credo che, l'incontro, e anche eventualmente
momenti di dibattito molto forte, debbano avvenire a parità di condizioni e con uno
scambio reale.
Domanda 3
Ma come reagisce la comunità scientifica degli umanisti a queste nuove opportunità
culturali che si aprono?
Risposta
Direi in modo abbastanza negativo, per diversi motivi. Il primo potremmo chiamarlo la
sindrome di accerchiamento: la comunità degli umanisti italiana è per sua natura una
comunità che ha una forte tendenza all'autoconservazione, e in una società come la
nostra, questa tendenza sembra avere un suo, non dico auspicabile, ma probabile epilogo:
quello della riduzione tendenziale e progressiva dei suoi membri. Quindi, da questo punto
di vista è naturale che la reazione sia quella di impedire che si creino delle condizioni
in cui, per esempio, si verifica il lavoro svolto e si mettono in questione i fondamenti
della ricerca, compresi i fondamenti delle grandi metodologie: quella storicistica, quella
filologica, e le grandi metodologie in area linguistica, che sono dominanti. Da questo
punto di vista, in linea di massima, non sono particolarmente ottimista. Il mio ottimismo
consiste nel ritenere che nella società dell'informazione l'apprendimento possa essere
attivo fino ai 24 anni. Mentre la posizione estremistica propria di alcuni, consiste nel
sostenere che nella società dell'informazione dopo gli 8 anni non ci siano più speranze
di apprendimento, per cui gli unici soggetti attivi sono i bambini dagli 8 ai 10 anni.
Domanda 4
La formazione umanistica, proprio in virtù di questi cambiamenti, potrà trovare una
forma di valorizzazione nel contatto coi nuovi media, anche nel rimettere in funzione un
circuito in cui l'umanista ha un valore nel mercato del lavoro.
Risposta
Questa è una questione centrale. Uno dei pregiudizi che oggi non conviene mantenere, per
lo meno nel settore delle scienze umane, è quello della separazione drastica tra
vocazione alla ricerca, allo studio, e mondo del mercato, dell'imprenditorialità, delle
professioni. E' un paradosso che gli umanisti, oggi, si dimentichino che gli umanisti
veri, quelli del XV e del XVI secolo, erano molto spesso dei grandi imprenditori, non solo
culturali: erano dei grandi tipografi, erano dei grandi tecnologi, erano dei grandi
scienziati. Io credo che uno dei grandi vantaggi che possono derivare, nella situazione
italiana, dall'introduzione delle nuove tecnologie possa essere questa: noi avremo sempre
più bisogno di tecnici, ma avremo bisogno anche di figure intermedie, in cui coesistano
una certa competenza, alta il più possibile, tecnologica, ma un'altrettanta alta
competenza di tipo umanistico.
Domanda 5
In quali settori, in particolare, ritiene che la competenza umanistica potrà essere
valorizzata?
Risposta
Io considererei questi terreni parlando in termini di mercato. Intanto, la trasformazione
del libro: io sono convinto che il libro, o la cultura del libro, sarà sempre più una
cultura di minoranza e quindi, quando si parla di mercato, di utenti, bisogna pensare in
un modo completamente diverso. Dobbiamo pensare ad un mercato in cui un rapporto tra
azienda ed utente tenderà ad essere un rapporto diretto, e quindi, si andrà verso quelle
forme di personalizzazione del prodotto che sono, tra l'altro, già tipiche di altre
società. Allora, in quel caso, la funzione di un sapere di tipo umanistico è essenziale.
Per dirla con una battuta: quando si riuniscono a congresso degli scienziati o degli
ingegneri, discutono a lungo; quando si pongono la domanda: "a che cosa serve il
congresso?", convocano un umanista.
Domanda 6
Lei è stato protagonista di un interessante esperimento di didattica legata alle
tecnologie. Quali potranno essere i vantaggi per l'insegnamento universitario offerti
dalle nuove tecnologie? Come potranno rinnovare o risolvere i problemi dell'università?
Risposta
Io vedrei due campi distinti; se tutto andrà bene si riuniranno, però, in prima battuta,
probabilmente sono distinti. Un campo è strategico, però richiede delle scelte politiche
di investimento essenziali, ed è quello che deve avvalersi, in qualche misura, delle
nuove tecnologie della comunicazione. In particolare, io penso alle forme di Distance
Education e di On Line Education. Allora, su questo punto, bisogna essere molto chiari.
Credo che il discorso riguardi l'insieme della comunità universitaria e delle sue scelte
fondamentali. Ad esempio, negli ultimi incontri, il Ministro dell'Università Luigi
Berlinguer ha annunciato queste cifre: 185.000 studenti iscritti all'università di Roma,
135.000 di questi 185.000 non hanno dato neppure un esame negli ultimi 5 anni. Se questi
sono i dati, se queste sono le situazioni (compresa, a mio avviso, la tragedia
dell'edilizia universitaria), io credo che, al di là di tutte le resistenze che si
possono manifestare, la questione dell'insegnamento a distanza nelle sue varie forme (in
rete, non in rete, integrata, via satellite, televisiva), vada posta assolutamente.
L'altro terreno, invece, più facilmente percorribile, è quello più specifico. Nel
caso nostro, il punto di partenza è stato molto semplice, ed è nato dalla difficoltà di
non avere un rapporto decente e dignitoso tra docente e studente. In secondo luogo, è
stato il tentativo di superare quella che, tutto sommato, è la posizione media -alcuni,
in modo spiritoso, dicono, "più avanzata"-, che emerge dai vari consigli di
facoltà: quella di considerare lo studente un'appendice dolorosa, ma necessaria. Allora,
a quel punto, la scelta di una comunità virtuale di tesisti si è rivelata di bassissimo
costo perché gli studenti hanno avuto, com'è giusto, l'accesso ad Internet, hanno avuto
indirizzi di posta elettronica, hanno costruito un Web con investimenti zero-lire, (hanno
ottenuto semplicemente un'ospitalità gratuita, ma come tutti sanno lo spazio ha un costo
irrisorio), ed hanno incominciato a costruirsi il loro rapporto didattico col docente, tra
di loro. Quindi, si è scoperto che gli studenti possono anche comunicare reciprocamente,
possono comunicare nel tempo, trasferire le loro esperienze anche a coloro che verranno
dopo, evitando quella che è una vera e propria forma di segregazione culturale, infine,
mettendosi sul mercato. Hanno fatto i loro profili, i loro curricula, e gli imprenditori e
le aziende che erano interessate potevano vedere rapidamente e facilmente i loro curricula
su Internet e quindi eventualmente intervenire. A me sembra che questo tipo di esperienze
siano, credo, facilmente realizzabili all'interno di un'università normale.
Domanda 7
Dal punto di vista didattico e cognitivo pensa che queste tecnologie modificheranno
l'insegnamento e l'apprendimento? Ha notato già un cambiamento nella qualità e nelle
modalità dell'apprendimento nei suoi allievi?
Risposta
Per quanto riguarda i testi letterari, l'esperienza che ho avuto io mi induce a queste
considerazioni: la prima è che, in linea di massima, gli studenti che hanno utilizzato
analizzatori di testi o comunque strumenti informatici sul trattamento dei testi, hanno
imparato a leggere di più i testi stessi, e non di meno. Secondo: in linea generale, gli
studenti, che potremmo dire, di capacità medie, di intelligenze medie, con curricula
medi, utilizzando le nuove tecnologie, hanno dato i risultati migliori, rispetto alle
aspettative. Sono due dati, mi sembra, abbastanza interessanti.
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