Biblioteca digitale (intervista) RAI Educational

Philippe Queau

Parigi - European IT Forum, 04/09/95

"Diritti d'autore nell'era digitale"

SOMMARIO:

  • Il cyberspazio è la trasparenza assoluta di tutti i computer della terra (1),
  • uno spazio-tempo fluido con proprietà del tutto nuove (2),
  • che include diversi livelli di realtà (3).
  • Queau ricorda l'origine etimologica latina della parola virtuale e la sua contrapposizione al potenziale aristotelico (4).
  • Il virtuale è una rappresentazione del reale, che può essere efficace o alienante (5).
  • La replicabilità praticamente infinita a bassissimo costo dei prodotti immateriali, che caratterizzano l'era digitale, pone dei problemi essenziali ai diritti d'autore (6).
  • Le tendenze economiche di questa era smentiscono le previsioni di Marx sulla caduta del saggio di profitto (7).
  • Vi sono delle possibilità tecniche e giuridiche di proteggere immagini originali da manipolazioni, ma sono reazionarie, e si oppongono allo spirito della rivoluzione tecnologica (8).
  • Parallelamente allo sviluppo su Internet di zone di protezione tecnologica del copyright, sarà necessario sviluppare zone di distribuzione gratuita dell'informazione per l'educazione dei giovani e dei paesi in via di sviluppo (9).
  • Il software appartiene all'ordine dei mezzi e per questo non può essere protetto da diritti d'autore, mentre il contenuto è un'opera finita con i relativi diritti d'autore (10).
  • Il marchio depositato non è equivalente al suo contenuto, ma può spesso, come nel caso di Microsoft, detenere il monopolio de facto (11).
  • La cultura americana è dominante in Internet, ma questo non impedisce alle altre culture, anche a quelle più deboli, di utilizzare questo mezzo di divulgazione dei propri prodotti (12).
  • Il diritto internazionale sta cadendo in desuetudine, perché il cyberspazio è per sua natura immateriale e indipendente da un territorio (13).

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INTERVISTA:

Domanda 1
Che cosa è precisamente il cyberspazio?

Risposta
La trasparenza assoluta di tutti i calcolatori della terra: questo è il cyberspazio.

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Domanda 2
Che cosa sono spazio e tempo nel cyberspazio?

Risposta
Il cyberspazio obbedisce alle proprietà del tutto nuove di ubiquità, di istantaneità, di accessibilità, di trasparenza, di replica indefinita. Le concezioni classiche, kantiane, per esempio di spazio e di tempo, spariscono ormai a profitto di uno spazio-tempo fluido, direi quasi plasmatico, fusionale, ma con frammentazioni, rotture, scarti, separazioni sempre più profondi. Si parla, per esempio, di "information gap ", di dislivelli fra i diversi gradi di conoscenza, di accessibilità tra le regioni del cyberspazio. Dunque è uno spazio da una parte più fluido, dall'altra più rigido, più frammentato, con proprietà diverse dallo spazio-tempo classico...

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Domanda 3
Si parla del cyberspazio come di una realtà che non esiste. Si potrebbe dire piuttosto che è una non-realtà che esiste...?

Risposta
Ci sono diverse specie di realtà. Il cyberspazio ci insegna che la realtà non è qualcosa di statico, ma che ci sono diversi livelli di realtà. Platone avrebbe detto che ci sono dei livelli intermedi di realtà. Dunque io credo che bisogna evitare di opporre il reale e il virtuale. E' troppo semplicistico. Bisogna cercare di comprendere che cosa c'è di virtuale nel reale e che cosa c'è di reale nel virtuale. C'è un rischio sempre maggiore di confusione tra i diversi livelli di realtà e di virtualità. Dunque lo sforzo che dovremmo fare è di chiarire quanto più possibile le nostre categorie mentali, perché il grande rischio è la confusione: confusione fra diverse specie di realtà e diverse specie di virtualità. La chiarezza è ormai il miglior metodo per navigare tra queste differenti specie di realtà.

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Domanda 4
Si potrebbe usare allora la distinzione di Aristotele tra potenziale e attuale invece che quella tra virtuale e reale, cioè la potenzialità da un lato e il fatto, l'attualità dall'altro?

Risposta
Aristotele opponeva la potenza e l'atto, il potenziale e l'attuale. Ma il virtuale è una nozione diversa che non viene da Aristotele, ma da Roma, dalla cultura latina. E' la "virtus ". La "virtus " è la forza d'animo. La radice di virtuale e di "virtus " è "vir ", l' "uomo", parola che è affine a "vis ", la "forza". D'altronde per i Romani la "virtus " è ciò che caratterizza più profondamente l'uomo, cioè il progetto, la virtù, il coraggio, la visione. Quindi opporrei la nozione di virtualità alla nozione di potenzialità. La potenzialità - come dice Aristotele - è ciò che non esiste ancora; ma la virtualità per i Romani è ciò che permette di preparare la realtà, è la visione di ciò che deve essere la realtà. Quindi, appartiene piuttosto all'ordine del progetto. Sono due nozioni assai diverse, potenzialità e virtualità, secondo me altrettanto diverse, ancora una volta, quanto lo è la "virtus " della romanità e la "dynamis " che è come un embrione di realtà, mentre nel caso della "virtus " non c'è un embrione, ma un uomo, un "vir ", che, in qualche modo, decide del suo destino. Dunque, per parlare in modo pragmatico, la nozione di virtualità non è una specie di irrealtà, qualcosa che non è ancora reale, ma qualcosa che permette di passare all'atto, e che ne contiene la finalità profonda. Il virtuale è un progetto, un progetto di reale.

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Domanda 5
Quali sono i ponti che legano il virtuale, il mondo del cyberspazio col mondo quotidiano della realtà esistenziale? C'è molta gente che passa ore e ore, di notte e di giorno nel cyberspazio. Qualcuno dice che è un fatto patologico, perché costoro sono alienati rispetto alla realtà. Ci sono dei legami, dei ponti fra realtà e cyberspazio?

Risposta
Sì, perché, come ho detto, la realtà è sempre più virtuale. Facciamo un esempio. Si sa che il 99% dei capitali che circolano ogni giorno nel mondo - una circolazione di 3000 miliardi di dollari di capitale finanziario al giorno - è speculazione. Quindi soltanto l'1% dei capitali corrisponde all'economia reale. Qui dunque il reale è già virtuale e inversamente il virtuale è reale. Perché? Perché ormai, mediante segnali, si può "preparare" la realtà, si può agire sul mondo reale con immagini virtuali: questo vale per la chirurgia, per la guerra, per progettare nuovi piani urbanistici, eccetera. Dunque il virtuale contiene una parte di realtà e quindi non bisogna più opporre il virtuale e il reale, bisogna, al contrario, metterli insieme in una categoria più generale, in una metacategoria. Naturalmente ci sono delle passerelle tra il reale e il virtuale. E poi c'è il virtuale della droga. La droga virtuale è una nuova categoria in uso, come gli "irreality park ", i "parchi di irrealtà". Ma c'è anche il virtuale come strumento di guerra, come strumento economico, come strumento di educazione o comunicazione tra i popoli. Quindi non bisogna avere idee precostituite sulla nozione di virtuale, bisogna considerare che il virtuale è come una rappresentazione del reale, potenzialmente altrettanto buona delle nostre rappresentazioni reali del reale. E' una nuova rappresentazione che può benissimo essere efficace, ma che può essere altrettanto una rappresentazione alienante, una forma di droga; tanto un nuovo strumento di intelligibilità quanto uno strumento di alienazione dell'uomo. E sarà indubbiamente tutte e due le cose insieme.

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Domanda 6
Possiamo parlare del problema dei diritti? Quali sono i problemi che si pongono all'idea di proprietà nell'epoca dei prodotti immateriali?

Risposta
Il problema principale dei diritti d'autore, dei diritti di brevetto o di marca depositata è che nell'era digitale è possibile una replicabilità infinita quasi a costo zero. A differenza dell'economia del XIX secolo o dell'economia del XX, basata sulla materia, noi siamo nella pura immaterialità. Il problema dell'immateriale è che non costa niente riprodurlo, diffonderlo e per di più è assai difficile dare un carattere personale alle idee immateriali o alle immagini. Sempre più la multimedialità può essere realizzata con immagini, con suoni che vengono dai più diversi orizzonti. Ed è assai difficile proteggere un software, perché spesso le idee sono qualcosa di immateriale alla seconda potenza. E' assai difficile caratterizzare l'apporto originale di un'invenzione. Oggi si presentano due ordini di problemi. Primo: la rapida smaterializzazione del supporto dell'informazione. Secondo: l'incapacità di distinguere precisamente ciò che è nuovo, ciò che innova, da quello che c'è di originale in un'opera dello spirito. Questi due parametri di novità mi fanno pensare che c'è stata una completa rivoluzione e che il diritto d'autore oggi è inadeguato. Io so che certi, all'OMPI (Organizzazione Mondiale della Proprietà Industriale), pensano che sia possibile usare, modificandoli un po', accordi come quelli della Convenzione di Berna o della Convenzione di Roma sui diritti d'autore. Secondo me è una soluzione insoddisfacente, perché la rivoluzione che noi stiamo vivendo è altrettanto importante dell'invenzione della stampa o dell'invenzione dell'alfabeto. Ne deriveranno dei quadri mentali completamente diversi e dovremo cambiare radicalmente il nostro rapporto con la nozione di originalità, con la nozione di protezione dei diritti d'autore. Questo è il mio parere.

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Domanda 7
Marx aveva previsto la caduta progressiva del saggio di profitto. Potrebbe verificarsi adesso attraverso l'immaterialità?

Risposta
Niente affatto. Oggi con le tecnologie dell'immateriale e del virtuale, in senso largo, assistiamo a una tendenza inversa alla predizione di Marx, cioè a un aumento degli utili, mentre per Marx il destino del capitalismo era la caduta tendenziale del saggio del profitto. Oggi con le reti, con i software , con l'industria del virtuale in senso largo, con la smaterializzazione del valore aggiunto, accade esattamente il contrario: più un software è venduto, più un'immagine è distribuita, più collegamenti ha una rete, più prende valore, con un conseguente aumento degli utili che va in un senso completamente opposto alle predizioni, non soltanto di Marx, ma direi dei classici dell'economia. Dunque è una rivoluzione fondamentale dei quadri di pensiero a cui ci aveva abituati il XIX secolo.

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Domanda 8
La manipolazione digitale pone a sua volta il problema dei diritti sull'immagine originale e sull'immagine manipolata. Come si può risolvere questo problema?

Risposta
E' un problema che si può risolvere in due modi, secondo che si sia reazionari o che si voglia andare avanti. Se si è reazionari lo si può risolvere mettendo delle protezioni sulle immagini. Ci sono delle soluzioni tecniche: si possono codificare le immagini con tecniche crittografiche e di "firma elettronica" e quindi si possono decisamente proteggere. Si può evitare che altre persone, che non siano in possesso della "firma elettronica" vengano a decodificare e a prelevare immagini. O inversamente si possono distribuire le immagini e mostrare che non sono state modificate grazie alla prova dell'originalità, legata alla "firma elettronica". Ma questa, io penso, è una opzione assai pesante, che va contro lo spirito fondamentale della rivoluzione tecnologica. Vorrei fare a questo punto l'esempio della scrittura e della stampa. Oggi, quando si batte un testo alla macchina da scrivere, senza firmarlo, è soltanto un pezzo d'informazione, e nessuno può giudicare a priori della validità intrinseca di quel testo. Lo stesso avviene con il digitale: ogni immagine, ogni testo, ogni suono, composto di numeri astratti, può essere perfettamente anonimo. Da un punto di vista filosofico, bisogna considerare che i dati a cui avremo accesso non sono autentici, nello stesso senso in cui non è autentico un volantino o un articolo di giornale, anche se ci può essere una firma. Come bisogna acquisire tutta una cultura supplementare, grammaticale, sintattica, retorica, e quello spirito critico che si forma a scuola con lo studio di decine d'anni, prima di padroneggiare la cultura dello scritto, allo stesso modo bisognerà sviluppare una cultura del virtuale e ci vorranno decine d'anni per metterla a punto. Ma una risposta puramente tecnocratica e giuridica, che non prenda in considerazione l'ampiezza della rivoluzione culturale che si sta preparando, mi sembra assolutamente miope.

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Domanda 9
E quando ci troviamo nella babele di Internet, il problema delle immagini, della copia, della proprietà d'autore, diventa impossibile...

Risposta
Penso che è impossibile filosoficamente, ma è possibile tecnologicamente creare piccoli spazi riservati, in cui si potrà custodire, con precauzione, il diritto di proprietà, in cui ci si potrà chiudere nel proprio "copyright ". Ma c'è un altro concetto, che mi sembra più interessante, quello di "copyleft ". Alle zone privilegiate, private, dei "copyright ", bisognerà opporre delle zone generose, di distribuzione dell'informazione, che serviranno la ditribuzione gratuita delle idee, indirizzata soprattutto verso le scuole, verso l'educazione, educazione in senso lato, verso i paesi in via di sviluppo, mediante le azioni necessarie a ridurre le distanze tra gli "have " e gli "have not ", tra chi ha e chi non ha, tra gli info-ricchi e gli info-poveri. Queste azioni potrebbero appoggiarsi su un aspetto del diritto d'autore e del diritto morale di proprietà, molto interessante della giurisprudenza anglosassone, che è il diritto di "fair use": un diritto che non è dell'autore, ma del lettore, non del proprietario dell'opera, ma dell'utente, perché bisogna pensare anche al bene comune e il bene comune esige che si protegga non soltanto il diritto degli autori, ma anche quello degli utenti. Questa nozione di "fair use " è estremamente feconda e oggi, d'altronde, ci sono commissioni di studio come quella della N.I.I. (National Information Infrastructure ) negli Stati Uniti, che riflettono su un allargamento della nozione di "fair use ", che permetterebbe di avere su Internet un equivalente della consultazione gratuita di un libro, nelle biblioteche o nelle librerie - dove si sfoglia un libro senza essere obbligati a comprarlo. Bisogna creare l'equivalente di questa funzione sulle reti tipo Internet, bisogna dunque inventare un sistema di "browsing", di consultazione virtuale, senza che si sia obbligati ad acquistare l'opera. Questo tipo di riflessione mi sembra essere un primo passo nella direzione giusta, che è quella di dare più ampi diritti agli utenti, piuttosto che ai produttori.

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Domanda 10
C'è differenza tra la protezione dei diritti del software e la protezione dei diritti del contenuto, delle immagini, dei testi?

Risposta
Sì, penso che è un punto molto importante. Il contenuto, in senso classico, è l'oggetto finito, l'oggetto prodotto, il prodotto che possiamo dire finito, terminato, e che può essere firmato; mentre nella nozione di software c'è l'idea di mezzo, di strumento. Quando si fabbrica una casa con martello e chiodi, non c'è un diritto d'autore sul martello. Ci può essere un diritto d'autore sul progetto dell'architetto, ma non sul mattone, sull'armatura. Oggi i software sono come i martelli e le seghe. Nessuno ha mai pensato a esigere il diritto d'autore sui martelli o sulle seghe, quando si costruisce una casa. Altrimenti dovremmo immaginare che ci sono diversi livelli del diritto d'autore. Ad esempio quando si fa un film con gli effetti speciali si potrebbe immaginare che ci siano i diritti d'autore del regista, quelli del programmatore degli effetti speciali e anche quelli di colui che ha progettato il software, che permette di fare gli effetti speciali, eccetera. Ma poiché questo non è possibile, bisognerà distinguere chiaramente due regimi: il regime dell'opera finita, dell'opera in senso aristotelico, cioè il prodotto, l'opera dell'artigiano e ciò che appartiene all'ordine dei mezzi e che non può essere protetto, secondo me, perché il farlo porterebbe troppe complicazioni.

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Domanda 11
Ma il martello, l'utensile o il software non può essere protetto dal marchio depositato piuttosto che dal diritto d'autore?

Risposta
La questione del marchio depositato è interessante perché si confonde ormai con ciò che si suppone essere il suo contenuto. Prendiamo il caso di un software come Windows 95. Windows 95 si venderà senza dubbio a milioni di esemplari non perché sia un buon software, ma grazie alla marca. Dunque è l'inverso: non si vende più il prodotto, si vende la marca. Già da lungo tempo è noto che i software Mac sono assai migliori di Windows, ma si vendono meno. Perché? Perché nella civiltà del virtuale ci sono dei punti di passaggio obbligati, che spingono verso l'unificazione. Bisogna standardizzare, bisogna unificare. E' stato necessario, a un certo punto, avere lo stesso scartamento nelle ferrovie, la stessa frequenza nell'elettricità, lo stesso software nell'informatica, ma ciò non vuol dire che coloro grazie alle cui invenzioni si formalizza e si cristallizza la tendenza fondamentale alla trasparenza e alla standardizzazione possano avere un diritto feudale, uno "jus primae noctis " sul complesso degli usi che se ne faranno, in base alla tendenza fondamentale alla globalizzazione. In altre parole credo che ci sia un vantaggio indebito, un monopolio "de facto " che si crea, ma che è inerente, immanente alla civiltà del virtuale. Bisognerebbe evitare che coloro grazie ai quali questo bisogno si formalizza dispongano di un vantaggio specifico incomparabile. Penso in particolare a Microsoft. Dunque il problema fondamentale oggi è di evitare che si crei questo monopolio "de facto". Bisognerebbe in qualche modo costituire come bene pubblico tutto ciò che va verso gli standard e le norme globali, che siano "de jure " o "de facto ". Poiché le norme e gli standard di fatto e di diritto concernono il bene comune, dovrebbero essere regolati dal bene comune, in modo da evitare che si creino monopoli contrari all'interesse pubblico.

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Domanda 12
Un'ultima domanda su Internet. Lei crede che, come è successo per la televisione, stia avvenendo con Internet una specie di colonizzazione mondiale da parte degli Stati Uniti e della lingua inglese, che accrescerà lo squilibrio tra Nord e Sud?

Risposta
Io credo che questo squilibrio esiste ma che in fondo Internet è una Torre di Babele, che permette a ognuno di esprimersi: basta un microcomputer e una linea telefonica per essere emittenti della propria cultura. E quello che noi facciamo, per esempio, anche all'I.N.A. è di costituire un centro di musica dell'Africa e di altri paesi, che non hanno quasi nessun rapporto Internet con il mondo. Noi stiamo mettendo tutta, o almeno gran parte, della loro cultura musicale "online" e credo che, se gli Stati Uniti sono in vantaggio, niente impedisce agli Europei e alle altre culture del mondo intero, di usare Internet, che è uno strumento incredibile per la sua efficacia, il suo basso prezzo di funzionamento e la sua versatilità funzionale di base in modo da compensare la standardizzazione della cultura a cui ci sta portando la televisione. La televisione è una tecnologia più pesante in quanto nella televisione c'è una tendenza alla concentrazione, all'oligopolio, a causa della tecnologia. Invece Internet ha una tendenza naturale alla proliferazione.

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Domanda 13
Ancora a proposito dei diritti. Lei ha parlato di crisi dell'idea di proprietà nell'informatica, ma ci sono avvocati americani che fanno pagare i diritti galattici. Non più diritti mondiali, ma diritti galattici, proprietà riservata anche nello spazio.

Risposta
Sì, è normale, perché ormai il diritto, che negli Stati Uniti è spesso legato al territorio, sta perdendo la sua natura. Il cyberspazio è per natura deterritorializzato e se si possono creare ora dei centri server Internet su una semplice navicella "off shore" perché non anche su un satellite? Dunque i diritti galattici sono necessari, se si vuole tentare di opporsi a questa tendenza, ma io credo che sia impossibile. Il cyberspazio non ha territorio, dunque la nozione di diritto internazionale sta cadendo in desuetudine, sta morendo. Anche sul piano giuridico si annuncia la morte degli Stati-nazione. Si potrà forse tentare di rimandare questo decesso con accordi tra i G7, con leggi sopranazionali, ma neanche questo basterà, perché ormai in Finlandia o nelle Galapagos anche da un semplice battello, lungo pochi metri, in mezzo al Pacifico, si può trasmettere in tutto il mondo. Dunque qualcosa della nozione di territorio sta morendo e questa è forse la rivoluzione più profonda. Il mondo non si iscrive più nell'ordine della materia, ma tende ad andare sempre più verso l'idea pura.

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