Biblioteca digitale (intervista) RAI Educational

Alessandro Polistina

Milano, 09-11-1996

"Nuove tecnologie e design"

SOMMARIO:

  • Per diffondere un valore d'uso delle nuove tecnologie il mondo della progettazione industriale deve avvicinarsi a quello del buon design (1).
  • L'avvento del digitale è senza dubbio un avvenimento straordinario che implica il ripensamento dei confini locali, rispetto alla globalità della rete, e la ricollocazione degli oggetti nel mondo dell'immateriale (2).
  • In ambito formativo di alfabetizzazione informatica, chi investe realmente non è né il pubblico né il privato, bensì il singolo cittadino (3).
  • La progettazione di ambienti virtuali implica una revisione del concetto di spazio a cui ci si riferisce: non si tratta più di spazio in cui si abita e si vive ma di spazio per mostrare, per collegare, per sollecitare l'attenzione (4).
  • Il rapporto tra arte e tecnologia implica il pericolo che sia la macchina a dominare sul concepimento stesso di un'opera d'arte. La loro convivenza deve ancora trovare un equilibrio che sarà, forse, raggiunto solo tra venti o cinquanta anni (5).
  • L'utilizzo di nuove tecnologie offre molte possibilità alla progettazione anche se non ne rivoluziona l'essenza. Inoltre i nuovi programmi non sempre sono così semplici come si crede e il più delle volte banalizzano antiche procedure realizzate manualmente con strumenti ormai superati (6).
  • Lavorando con il computer l'atto concettuale di concepimento dell'idea è separato da quello della realizzazione. Il digitale offre molto ma è ancora troppo diverso dal mondo esterno (7).

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INTERVISTA:

Domanda 1
Parlando di nuove tecnologie e multimedialità è inevitabile chiedersi se davvero tutti sapranno e potranno usufruire dei vantaggi che questo progresso porta con sé. Forse bisogna compiere un salto di qualità dal consumo all'uso. C'è, infatti, chi ritiene che solo con il costituirsi di un valore d'uso della nuova tecnologia e della comunicazione sarà possibile apprezzarne ogni applicazione. Cosa fare, dunque, per diffondere l'idea di valore d'uso del computer e delle potenzialità legate a questo concetto?

Risposta
La prima cosa da fare è quella di introdurre dei metodi di disegno industriale nella progettazione di oggetti d'uso, che al loro interno possiedono diversi tipi di microprocessori. Noi sappiamo che, per esempio, il "multiprocessor" più diffuso è l'automobile. Un'automobile normale contiene più computer. Certamente in futuro, e già adesso, abbiamo una trasformazione degli oggetti. Gli oggetti che prima erano basati sull'analogico oggi sono strutturati sul digitale. Quindi, anche il rapporto tra la forma e l'oggetto e la sua funzione cambia radicalmente. La forma non è più legata strettamente alla tecnologia analogica, per la quale un alambicco è un alambicco e nient'altro; l'alambicco può essere qualsiasi cosa in digitale. Però, questo salto dalla scala dell'uomo, dalla misura dell'uomo alla misura del bit, comporta un problema di raccordo tra questi due livelli. Non siamo più sul tavolo da disegno con la matita da prendere in mano. Bisogna, in qualche modo, costruire queste interfacce, che non sono solo decorative, ma sono la necessità che gli oggetti e le tecnologie basate su una manipolazione indiretta devono necessariamente avere per essere fruibili. Naturalmente, in tutti gli oggetti, e quindi anche negli oggetti di tipo multimediale, che hanno un'espressione multimediale, sono presenti varie componenti: la componente comunicativa, la componente d'uso, la componente affettiva, la componente di sentirsi bene nell'abito, e così via. In fin dei conti, a mio avviso, si tratta di utilizzare le tecniche del buon design. Ed è, quindi, molto importante che quest'aria si sviluppi non solo partendo dall'immagine, dal mondo dell'immagine, ma anche dal mondo della progettazione, in particolare della progettazione industriale.

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Domanda 2
Umberto Eco ha dichiarato che l'idea guida nel tentare di diffondere l'uso delle nuove tecnologie, non deve essere quella della vendita della merce quanto piuttosto della vendita del servizio. Allora, creare una serie di realtà multimediali, come lui ha fatto a Bologna, può essere la strada giusta per realizzare percorsi di formazione tecnologica davvero efficaci?

Risposta
Non lo so. Questo è legato un poco all'idea di rete e, forse, anche all'uso delle metafore che in questo mondo dell'informatica si elaborano. Essendo un mondo un po' impalpabile, si usano delle metafore, in particolare si usano molto metafore di architettura. Per esempio: sono le piazze telematiche, però non sono le piazze; si dice: noi navighiamo in rete. Io posso raccontare che ho compiuto un viaggio in rete, ma non è affatto vero. Io sono seduto su una sedia, di fronte a uno schermo e mi vengono trasmesse delle informazioni. Quindi, sicuramente, il problema della diffusione dell'informazione, di modalità di comunicazione, di distribuzione del sapere, ma anche l'essere presenti nella rete, pubblicare, editare, comunicare nella rete, è un fatto nuovo e di una possibilità estremamente interessante. Come sarà lo sviluppo? Dipende da moltissimi scenari tecnologici, non solo dalla nostra volontà di uso della rete. Un po' come il discorso delle autostrade: se tutti partono in un certo giorno, l'autostrada si ferma. Non c'è ancora una risposta. Probabilmente è successo anche quando è nata la stampa, insomma, con Gutenberg. Subito dopo sono state formate le accademie, sono nati i primi programmi editoriali europei: l'Accademia della Fama, a Venezia, che voleva distribuire in Europa i grandi testi; ma è nato anche l'indice, sono nati anche i libri all'indice. Quindi, noi non abbiamo una visibilità sul futuro. Sappiamo che viviamo un'epoca instabile, in cui da tecnologie, e quindi da modi d'uso basati sull'analogico -sull'analogico vuol dire, comunque, su fenomeni fisici, su fatti materiali- passiamo ad un'epoca in cui moltissime cose diventano digitali. Diciamo che questo, in senso largo, è multimediale. Ma il fatto rilevante è che siamo entrati nel digitale nell'uso di una delimitazione locale rispetto ad una rete. Tutto ciò va ripensato. E' utile mettere in piedi dei meccanismi per ripensare il rapporto tra gli oggetti e il loro mercato, ma, soprattutto, anche per creare luoghi di aggregazione diversa. Stanno nascendo questi spazi in cui le persone si incontrano, c'è questa solidarietà contro la tecnologia, ci si trova per aiutarsi ad usare queste macchine. Questo è un fatto in sé positivo.

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Domanda 3
Riguardo alla formazione di nuove professionalità connesse ai nuovi media, chi crede che investirà in questo settore? Sarà il pubblico o maggiormente il privato?

Risposta
Io penso che saranno gli individui, non sarà né il pubblico né il privato. Le scuole sono conservatrici, lo sono sempre state. L'Accademia, ma in genere gli insegnanti, sono conservatori: si abituano ad insegnare. Il privato è conservatore, nel senso che se investe in un certo settore, difficilmente disinveste in quel settore per investire in un settore ignoto. Prendiamo in considerazione la storia dei CD ROM, per la quale, gli editori a Francoforte ad un certo punto dicono: "ma sì, investiamo nei CD ROM; però costano molto". La questione della rete di Internet è esplosa nel giro di un anno e mezzo - due come fenomeno europeo, e se noi avessimo investito tutto sui CD ROM, a questo punto avremmo avuto dei costi molto alti di investimento e di elaborazione, che sono necessari se si vuole ottenere la qualità. Io penso che però gli individui -e per individui intendo quelli che frequento normalmente, cioè i giovani studenti- sanno che se non imparano a usare il computer, ad usare una comunicazione visiva moderna, ad essere in rete, saranno considerati degli analfabeti, o quasi, e che le loro biblioteche, probabilmente, saranno sempre più le biblioteche di Internet e sempre meno gli archivi, i musei. Tutte queste istituzioni monomediali che sono nate verso la fine del Settecento, oggi, già così separate, non che non abbiano più ragione di esistere (quelle storiche hanno una loro tradizione). Tuttavia non abbiamo ancora elaborato un sistema per garantire anche la memoria del digitale, e quindi per garantire un'accessibilità, un uso, una diffusione di queste cose. Sicuramente gli individui stanno investendo moltissimo: alcuni al livello di gioco, di divertimento, di volontariato per moltissime organizzazioni, altri per l'esigenza di essere nel mondo attuale e sia pur collegati a delle tradizioni che sono importantissime.

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Domanda 4
A proposito di architettura ed in particolare di creazione attraverso le tecnologie digitali, quali sono le caratteristiche che distinguono la progettazione di spazi virtuali dalla progettazione classica? Cosa significa progettare realtà virtuali?

Risposta
L'architettura è entrata nell'immagine di sintesi in due modi: l'uno come soggetto, come uno dei personaggi dell'immagine. Una bella architettura è come nel documentario: si gira uno spot in una piazza, la piazza fa la sua figura. Sono immagini di architettura, ma non sono immagini per comunicare il progetto di architettura, è l'architettura che viene usata per costruire delle immagini. Sono architetture spettacolari. Se mano a mano ci avviciniamo, invece, all'architettura del cyber spazio, in quegli spazi tridimensionali che abbiamo cominciato a costruire l'anno scorso in rete attraverso queste tecnologie nuove, (che non sono più l'HTML, ma VRML, cioè gli standard per definire i modelli tridimensionali in rete), questo spazio, in realtà, noi non lo abitiamo, non ha esigenze per essere abitato: lo navighiamo. Quindi, gli oggetti non hanno peso, gli spazi tra gli oggetti possono essere più piccoli. Io non devo entrare, ma devo disporre di un corridoio di sessanta centimetri: basta che entri il mouse, ho il mio testimone. Insomma, è come quando io progetto una vetrina: in una vetrina un sistema di oggetti è pronto per essere esibito per un allestimento, per essere visto. Se io prendo questi stessi soggetti, li metto in una casa, ho bisogno di un altro spazio. Gli spazi del cyber spazio sono spazi per mostrare, sono spazi per collegare, sono spazi per sollecitare l'attenzione, per dare delle informazioni, non sono spazi in cui noi abitiamo.

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Domanda 5
Quale ritiene sia il futuro dei linguaggi artistici in relazione alla nuova tecnologia, in particolare alla realtà virtuale? Sarà, forse, la cultura artistica a regolare lo sviluppo nel futuro del rapporto fra uomo e computer?

Risposta
Questa storia del rapporto tra arte e scienza non è una storia nuova. Già alla fine degli anni Sessanta si facevano le prime sculture interattive, che rispondevano alla presenza delle persone in sala: c'era un piccolo sensore e qualcuno si avvicinava; quest'ultimo aveva un modello di comportamento, ci andava vicino; poi, se io parlavo, si ritraeva. Alcuni dicono che quando arte e scienza si incontrano ciascuno dà il peggio di sé. E, probabilmente, in moltissimi casi non hanno torto. Noi vediamo, per esempio, che l'uso di effetti facilissimi da ottenere, dà veramente il primato alle macchine: sono poco costosi, che sono, più o meno, tutti una ripetizione del linguaggio televisivo; il computer si traveste da insegnante, si traveste da progettista, si traveste da... Un po' come il personaggio di Zelig di Woody Allen, che se parla con uno obeso diventa obeso. L'informatica ha bisogno di farsi accettare! Quindi, riempie tutti gli spazi che sono disponibili. In questo rapporto tra arte e tecnologia bisogna, a mio avviso, inserirsi in modo abbastanza onesto. Ci saranno sempre fenomeni artistici che fanno uso della tecnologia in senso premonitorio. A Milano, le cose che oggi sono più interessanti, sono quelle prodotte negli anni Sessanta. Oggi le chiameremmo "opere di realtà virtuale", anche se sono state create con lampadine, con la tecnologia di allora. Non si disponeva ancora del computer. Esiste un'area intermedia che io chiamo "dell'artigianato tecnologico", o, comunque, di competenze che sicuramente sono quelle del settore della comunicazione visiva. Noi abbiamo varato, per la prima volta dopo dieci anni di fatiche inenarrabili, il nuovo corso di laurea in Disegno Industriale, in cui un settore di specializzazione di formazione è Comunicazione Visiva e Multimediale. Nel multimediale però esiste un aspetto, a differenza degli altri prodotti: il prodotto non è né chiaro, né stabile. Soppianterà il libro? Ma scherziamo? Io, la sera vado a dormire con un libro, non posso mica portarmi un oggetto supermultimediale! Per girare una pagina devo usare quattro interfacce. Poi, io posso disegnare la migliore interfaccia per girar la pagina, resta il fatto che la tecnologia del libro, con il suo "codex," con la sua rilegatura possiede una sua scioltezza che non sarà facilmente superata, se non sviluppiamo prodotti più leggeri, meno inquinanti. Basta uscire, insomma, e vedere come si lavora nella multimedialità o come siamo costretti noi a lavorare con l'informatica. Non abbiamo più questo bel tavolo pulito, bianco, dove possiamo concentrare le nostre idee, ma un monitor grande, dieci scatolette, venticinque cavi da interfacciare e le condizioni di lavoro sono sicuramente peggiorate da questo punto di vista. Il lavoro intellettuale o creativo si sviluppa in un ambiente molto più vicino a quello di un'officina i cui costi di manutenzione e di aggiornamento sono formidabili. Quindi, un grossissimo problema è proprio questo: il privato, l'industria, vuole lavorare solo in condizioni di monopolio, e tirar fuori il prodotto vincente e nuovo, cercando di non fissare subito degli standard in modo da sfruttare le innovazioni; d'altro canto, i processi di formazione, comunque, poggiano su dei meccanismi molto rigidi; quindi, bisogna cercare di rompere questa separazione. Ma si tratta di una rottura che deve essere compiuta dai due settori: da una parte dall'industria e dall'altra dal settore pubblico; altrimenti, la logica del mercato, degli oggetti, della produzione, del consumer, o giapponese o americano, prevarrà assolutamente. Noi lavoreremo sull'arte decorativa, progettando i CD ROM un po' colorati, non creativi. Quindi, io penso che bisogna confrontarsi anche creativamente con la complessità di questa tecnologia, come è stato per il cinema, dove è presente una serie di ruoli, funzioni, di assimilazione culturale. Purtroppo non abbiamo raggiunto ancora questo livello, per una serie di motivi, oggettivi, che riguardano la nostra resistenza culturale al provvisorio, al cambiamento continuo. Dopo tutto, si tratta di una tecnologia molto giovane. Io penso che questo scenario instabile dei cambiamenti andrà avanti per altri vent'anni, o cinquant'anni. Saranno le generazioni che verranno, probabilmente, ad avere delle situazioni più stabili. Oppure, si saranno abituate ad adattarsi molto rapidamente.

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Domanda 6
Il ricorso al computer nell'utilizzo di costruzioni virtuali degli enti simulati può comportare la perdita di ruolo del corpo?

Risposta
Questo aspetto che i teorici dell'architettura liquida o anche dell'architettura generata dal computer, dell'arte genetica sottolineano, per il quale non si disegna più la forma, ma si descrivono degli algoritmi, mi sembra troppo semplice. Si cerca di imitare le leggi della natura per creare delle forme che sono assolutamente antropiche, pensate dall'uomo, progettate dall'uomo, attraverso processi non razionali, ma comunque umani. Molte di queste architetture liquide, di scenari frattali, mi fanno venire in mente i virus, le metastasi spaziali. Io metto in piedi un meccanismo in cui vedere le forme che crescono continuamente e riempiono lo spazio. Sostenere che questo sarà, e che è un modo serio di progettare, mi sembra sia una delle tendenze un po' estreme, nichiliste presenti nel settore della progettazione, che io, personalmente, rifiuto completamente. L'avanguardia non esiste solo nell'espressione artistica, o, comunque se è vera avanguardia, deve basarsi su delle posizioni teoriche riconoscibili, non continuamente mimetizzate. Quindi, da questo punto di vista, il computer, sicuramente, aiuta. Noi abbiamo degli strumenti di rappresentazione efficaci e probabilmente non li usiamo ancora a sufficienza, perché il tempo di apprendimento è limitato. Alcuni sostengono che le nuove automobili, le nuove forme così attillate, così gonfiate dipendono dal computer, da questi mezzi di simulazione. In parte è vero, perché nella storia della progettazione degli oggetti, in particolare delle automobili, per esempio, la luce che fila sulle superfici veniva prima disegnata sul modello; Era bella perché la luce correva, o perché c'era il riflesso giusto sulla fiancata. Adesso queste forme si possono generare al computer. A partire dal '65, con questa grande invenzione alla Renault, la parte posteriore della Fuego o anche la prima macchina attillata, che era la R5, derivano senz'altro dall'aver messo in mano a dei designer uno strumento. I giapponesi che cercano di imporsi sul mercato automobilistico, tirano fuori delle curve un po' troppo gonfiate. Per un po' di tempo conservano una certa originalità, ma poi stancano molto rapidamente. Se noi introduciamo il meccanismo della moda e dell'obsolescenza acceleratissima, su prodotti che hanno comunque bisogno di un sistema di produzioni, investimenti colossali, è chiaro che, se ci sbagliamo, non troviamo più uno stile riconoscibile. Quindi, il rapporto tra computer e progettazione è complesso. Noi non possiamo dire che l'architettura moderna deriva dal fatto che gli architetti moderni usavano il tecnigrafo e avevano perso l'idea di saper usare bene il compasso, come facevano gli architetti barocchi. Sarebbe troppo semplice, significherebbe ridurre le persone a delle piccole forme, a dei piccoli robot. Certo, io, in passato, con quattro strumenti -tecnigrafo, compasso, curvilinea, gomma, matita- facevo tutto. Adesso mi arriva il programma nuovo con milleduecento modi di fare il cerchio; poi c'è anche questa obesità dell'interfaccia. Infatti, molti di questi programmi, a cominciare dal Word, erano semplici programmi per scrivere. Adesso è necessario essere un impaginatore, un redattore, un grafico, per scrivere la news ed inserirla in rete. E si ha a disposizione un programma che compie tutte queste operazioni insieme. D'altra parte, però, si deve usare il programma, e si avrà a disposizione almeno duecentocinquanta pulsanti che bisogna imparare ad utilizzare per compiere, in fondo, un'operazione molto semplice. Finché questo imparare non è diventato automatismo, ci si muove come uno che sta imparando ad usare l'automobile.

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Domanda 7
Che tipo di modello c'è dietro a queste nuove tecnologie? E' un modello che assomiglia più ad un'idea rinascimentale della misura o ad un'idea barocca dell'affastellamento degli elementi?

Risposta
Nel settore del disegno, della rappresentazione, esiste un aspetto fondamentale: affinché io lavoro con le tecniche tradizionali, io disegno e compongo, disegno il modello, scrivo il mio racconto e mentre lo scrivo si vede: non posso separare il concetto dalla scrittura. Se, viceversa, io compongo un disegno, in quel momento disegno e costruisco il mio modello che è architettura di oggetto. Io posso costruire il modello geometrico della forma, anzi è quello che devo fare; poi lo vedo con la telecamera; dunque, devo lavorare subito a livello tridimensionale. Quindi separo il momento concettuale del plasmare la forma con la forma stessa. Il modello digitale esiste anche se nessuno lo vede, possiede un suo uso, può essere distribuito in rete: si hanno modelli di rinoceronti, di automobili, di case; la cattedrale di St. Paul, per esempio, si può trovare in rete, quindi esiste. Io penso che noi ci troviamo in una situazione simile a quella che ha registrato il passaggio dal Gotico alla nascita del Rinascimento, perché i pittori rinascimentali come Piero Della Francesca continuavano a lavorare nei vecchi ambienti, nelle vecchie chiese, ma avevano ancora i loro spazi. L'architettura rinascimentale è venuta dopo la pittura rinascimentale. Quindi, in un certo senso, il digitale possiede alcune sue possibilità, però si trova ancora in un mondo che non è ancora pronto ad accoglierle. Alcune cose dovrebbero, in qualche modo, modificarsi, semplificarsi. Poi, non bisogna neanche rendere troppo metafisica questa idea del digitale, perché anche nella progettazione noi sappiamo che ci serve il computer, disegniamo i nostri modelli; poi, abbiamo bisogno dei plastici. Che cosa usiamo durante la progettazione? Usiamo due elementi per comunicare tradizionalmente: si parte da un'idea e si racconta una storia. Normalmente, quando ho in mente un progetto, faccio uno schizzo che non capisce nessuno; però vado lì, e questo schizzo mi serve per cominciare a raccontare la storia di questo progetto e per definirlo; in seguito faccio dei plastici. Mi danno ancora delle idee, è un teatrino su cui trovarsi per discutere del progetto, ritorno al disegno e lo porto avanti. Questa è la sintesi progettuale che avviene, grosso modo, in architettura. Esistono strumenti per fare disegni, strumenti per fare i plastici virtuali; nel campo del disegno industriale si parla anche di prototipazione rapida: se, per esempio, disegno una nuova telecamera, posso effettivamente farlo sul monitor. Ma per verificare che i pulsanti funzionino, per valutare la maneggevolezza di questo oggetto devo necessariamente uscire e fare un modello, un prototipo. L'industria di qualsiasi oggetto deve passare la fase del prototipo; la novità è che prima si facevano venti prototipi, adesso se ne fa uno solo. Si cerca di ridurre molto il tempo di progettazione (questo è un altro pericolo), di mettere in parallelo progettazione e produzione per arrivare subito sul mercato. E che cosa succede? Succede che, a volte, questi prodotti vengono ritirati immediatamente perché non sono collaudati. Il diminuire l'investimento sulla progettazione è una fortissima contraddizione: quando siamo in presenza di nuove componenti, dovremmo investire di più nel pensare, nel progettare, nella fase creativa e nella fase di verifica dell'utenza, per renderci conto, per esempio, che l'abitabilità di un'automobile è una delle cose principali oggi per vendere un'automobile, non è solo il motore. La stessa cosa vale per l'abitabilità, la domesticità di un artefatto interattivo, sia esso un CD ROM, un sito in rete, una pittura murale che si può realizzare con un plotterone gigantesco, una statuetta, un mobile, una linea di immagine aziendale che si progetta. Anche sulla rete noi assistiamo allo svolgersi di tre fasi, tre tecnologie. La prima fase è, per così dire, esibizionista: ciascuno voleva la sua immaginetta con la sua foto sulla rete. La seconda, è la fase delle tecnologie che entrano nell'azienda: Intranet. Infine, la fase in cui, invece, le tecnologie dirette entreranno nei prodotti direttamente senza passare sul browser; nel pacchetto di progettazione ci sarà l'aggancio immediato ad un componente di progetto che si trova su "quel" computer della rete da un'altra parte. Anche questo è uno scenario che bisogna tenere presente. Insomma, noi siamo affascinati da queste tecnologie; sappiamo che possiedono una dinamica fortissima, ne parliamo sempre con un senso di certezza e di assolutezza non capendo che poi, in realtà, è ancora fragile, perché i grandissimi gruppi di interesse che si muovono su queste realtà ed il fortissimo investimento di ricerca che è necessario per sostenere queste innovazioni sono elementi che determinano degli scenari possibili di cui solo uno o due diventeranno quelli che si affermano.

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