INTERVISTA:
Domanda 1
Parlando di nuove tecnologie e multimedialità è inevitabile chiedersi se davvero tutti
sapranno e potranno usufruire dei vantaggi che questo progresso porta con sé. Forse
bisogna compiere un salto di qualità dal consumo all'uso. C'è, infatti, chi ritiene che
solo con il costituirsi di un valore d'uso della nuova tecnologia e della comunicazione
sarà possibile apprezzarne ogni applicazione. Cosa fare, dunque, per diffondere l'idea di
valore d'uso del computer e delle potenzialità legate a questo concetto?
Risposta
La prima cosa da fare è quella di introdurre dei metodi di disegno industriale nella
progettazione di oggetti d'uso, che al loro interno possiedono diversi tipi di
microprocessori. Noi sappiamo che, per esempio, il "multiprocessor" più diffuso
è l'automobile. Un'automobile normale contiene più computer. Certamente in futuro, e
già adesso, abbiamo una trasformazione degli oggetti. Gli oggetti che prima erano basati
sull'analogico oggi sono strutturati sul digitale. Quindi, anche il rapporto tra la forma
e l'oggetto e la sua funzione cambia radicalmente. La forma non è più legata
strettamente alla tecnologia analogica, per la quale un alambicco è un alambicco e
nient'altro; l'alambicco può essere qualsiasi cosa in digitale. Però, questo salto dalla
scala dell'uomo, dalla misura dell'uomo alla misura del bit, comporta un problema di
raccordo tra questi due livelli. Non siamo più sul tavolo da disegno con la matita da
prendere in mano. Bisogna, in qualche modo, costruire queste interfacce, che non sono solo
decorative, ma sono la necessità che gli oggetti e le tecnologie basate su una
manipolazione indiretta devono necessariamente avere per essere fruibili. Naturalmente, in
tutti gli oggetti, e quindi anche negli oggetti di tipo multimediale, che hanno
un'espressione multimediale, sono presenti varie componenti: la componente comunicativa,
la componente d'uso, la componente affettiva, la componente di sentirsi bene nell'abito, e
così via. In fin dei conti, a mio avviso, si tratta di utilizzare le tecniche del buon
design. Ed è, quindi, molto importante che quest'aria si sviluppi non solo partendo
dall'immagine, dal mondo dell'immagine, ma anche dal mondo della progettazione, in
particolare della progettazione industriale.
Domanda 2
Umberto Eco ha dichiarato che l'idea guida nel tentare di diffondere l'uso delle nuove
tecnologie, non deve essere quella della vendita della merce quanto piuttosto della
vendita del servizio. Allora, creare una serie di realtà multimediali, come lui ha fatto
a Bologna, può essere la strada giusta per realizzare percorsi di formazione tecnologica
davvero efficaci?
Risposta
Non lo so. Questo è legato un poco all'idea di rete e, forse, anche all'uso delle
metafore che in questo mondo dell'informatica si elaborano. Essendo un mondo un po'
impalpabile, si usano delle metafore, in particolare si usano molto metafore di
architettura. Per esempio: sono le piazze telematiche, però non sono le piazze; si dice:
noi navighiamo in rete. Io posso raccontare che ho compiuto un viaggio in rete, ma non è
affatto vero. Io sono seduto su una sedia, di fronte a uno schermo e mi vengono trasmesse
delle informazioni. Quindi, sicuramente, il problema della diffusione dell'informazione,
di modalità di comunicazione, di distribuzione del sapere, ma anche l'essere presenti
nella rete, pubblicare, editare, comunicare nella rete, è un fatto nuovo e di una
possibilità estremamente interessante. Come sarà lo sviluppo? Dipende da moltissimi
scenari tecnologici, non solo dalla nostra volontà di uso della rete. Un po' come il
discorso delle autostrade: se tutti partono in un certo giorno, l'autostrada si ferma. Non
c'è ancora una risposta. Probabilmente è successo anche quando è nata la stampa,
insomma, con Gutenberg. Subito dopo sono state formate le accademie, sono nati i primi
programmi editoriali europei: l'Accademia della Fama, a Venezia, che voleva distribuire in
Europa i grandi testi; ma è nato anche l'indice, sono nati anche i libri all'indice.
Quindi, noi non abbiamo una visibilità sul futuro. Sappiamo che viviamo un'epoca
instabile, in cui da tecnologie, e quindi da modi d'uso basati sull'analogico
-sull'analogico vuol dire, comunque, su fenomeni fisici, su fatti materiali- passiamo ad
un'epoca in cui moltissime cose diventano digitali. Diciamo che questo, in senso largo, è
multimediale. Ma il fatto rilevante è che siamo entrati nel digitale nell'uso di una
delimitazione locale rispetto ad una rete. Tutto ciò va ripensato. E' utile mettere in
piedi dei meccanismi per ripensare il rapporto tra gli oggetti e il loro mercato, ma,
soprattutto, anche per creare luoghi di aggregazione diversa. Stanno nascendo questi spazi
in cui le persone si incontrano, c'è questa solidarietà contro la tecnologia, ci si
trova per aiutarsi ad usare queste macchine. Questo è un fatto in sé positivo.
Domanda 3
Riguardo alla formazione di nuove professionalità connesse ai nuovi media, chi crede che
investirà in questo settore? Sarà il pubblico o maggiormente il privato?
Risposta
Io penso che saranno gli individui, non sarà né il pubblico né il privato. Le scuole
sono conservatrici, lo sono sempre state. L'Accademia, ma in genere gli insegnanti, sono
conservatori: si abituano ad insegnare. Il privato è conservatore, nel senso che se
investe in un certo settore, difficilmente disinveste in quel settore per investire in un
settore ignoto. Prendiamo in considerazione la storia dei CD ROM, per la quale, gli
editori a Francoforte ad un certo punto dicono: "ma sì, investiamo nei CD ROM; però
costano molto". La questione della rete di Internet è esplosa nel giro di un anno e
mezzo - due come fenomeno europeo, e se noi avessimo investito tutto sui CD ROM, a questo
punto avremmo avuto dei costi molto alti di investimento e di elaborazione, che sono
necessari se si vuole ottenere la qualità. Io penso che però gli individui -e per
individui intendo quelli che frequento normalmente, cioè i giovani studenti- sanno che se
non imparano a usare il computer, ad usare una comunicazione visiva moderna, ad essere in
rete, saranno considerati degli analfabeti, o quasi, e che le loro biblioteche,
probabilmente, saranno sempre più le biblioteche di Internet e sempre meno gli archivi, i
musei. Tutte queste istituzioni monomediali che sono nate verso la fine del Settecento,
oggi, già così separate, non che non abbiano più ragione di esistere (quelle storiche
hanno una loro tradizione). Tuttavia non abbiamo ancora elaborato un sistema per garantire
anche la memoria del digitale, e quindi per garantire un'accessibilità, un uso, una
diffusione di queste cose. Sicuramente gli individui stanno investendo moltissimo: alcuni
al livello di gioco, di divertimento, di volontariato per moltissime organizzazioni, altri
per l'esigenza di essere nel mondo attuale e sia pur collegati a delle tradizioni che sono
importantissime.
Domanda 4
A proposito di architettura ed in particolare di creazione attraverso le tecnologie
digitali, quali sono le caratteristiche che distinguono la progettazione di spazi virtuali
dalla progettazione classica? Cosa significa progettare realtà virtuali?
Risposta
L'architettura è entrata nell'immagine di sintesi in due modi: l'uno come soggetto, come
uno dei personaggi dell'immagine. Una bella architettura è come nel documentario: si gira
uno spot in una piazza, la piazza fa la sua figura. Sono immagini di architettura, ma non
sono immagini per comunicare il progetto di architettura, è l'architettura che viene
usata per costruire delle immagini. Sono architetture spettacolari. Se mano a mano ci
avviciniamo, invece, all'architettura del cyber spazio, in quegli spazi tridimensionali
che abbiamo cominciato a costruire l'anno scorso in rete attraverso queste tecnologie
nuove, (che non sono più l'HTML, ma VRML, cioè gli standard per definire i modelli
tridimensionali in rete), questo spazio, in realtà, noi non lo abitiamo, non ha esigenze
per essere abitato: lo navighiamo. Quindi, gli oggetti non hanno peso, gli spazi tra gli
oggetti possono essere più piccoli. Io non devo entrare, ma devo disporre di un corridoio
di sessanta centimetri: basta che entri il mouse, ho il mio testimone. Insomma, è come
quando io progetto una vetrina: in una vetrina un sistema di oggetti è pronto per essere
esibito per un allestimento, per essere visto. Se io prendo questi stessi soggetti, li
metto in una casa, ho bisogno di un altro spazio. Gli spazi del cyber spazio sono spazi
per mostrare, sono spazi per collegare, sono spazi per sollecitare l'attenzione, per dare
delle informazioni, non sono spazi in cui noi abitiamo.
Domanda 5
Quale ritiene sia il futuro dei linguaggi artistici in relazione alla nuova tecnologia, in
particolare alla realtà virtuale? Sarà, forse, la cultura artistica a regolare lo
sviluppo nel futuro del rapporto fra uomo e computer?
Risposta
Questa storia del rapporto tra arte e scienza non è una storia nuova. Già alla fine
degli anni Sessanta si facevano le prime sculture interattive, che rispondevano alla
presenza delle persone in sala: c'era un piccolo sensore e qualcuno si avvicinava;
quest'ultimo aveva un modello di comportamento, ci andava vicino; poi, se io parlavo, si
ritraeva. Alcuni dicono che quando arte e scienza si incontrano ciascuno dà il peggio di
sé. E, probabilmente, in moltissimi casi non hanno torto. Noi vediamo, per esempio, che
l'uso di effetti facilissimi da ottenere, dà veramente il primato alle macchine: sono
poco costosi, che sono, più o meno, tutti una ripetizione del linguaggio televisivo; il
computer si traveste da insegnante, si traveste da progettista, si traveste da... Un po'
come il personaggio di Zelig di Woody Allen, che se parla con uno obeso diventa obeso.
L'informatica ha bisogno di farsi accettare! Quindi, riempie tutti gli spazi che sono
disponibili. In questo rapporto tra arte e tecnologia bisogna, a mio avviso, inserirsi in
modo abbastanza onesto. Ci saranno sempre fenomeni artistici che fanno uso della
tecnologia in senso premonitorio. A Milano, le cose che oggi sono più interessanti, sono
quelle prodotte negli anni Sessanta. Oggi le chiameremmo "opere di realtà
virtuale", anche se sono state create con lampadine, con la tecnologia di allora. Non
si disponeva ancora del computer. Esiste un'area intermedia che io chiamo
"dell'artigianato tecnologico", o, comunque, di competenze che sicuramente sono
quelle del settore della comunicazione visiva. Noi abbiamo varato, per la prima volta dopo
dieci anni di fatiche inenarrabili, il nuovo corso di laurea in Disegno Industriale, in
cui un settore di specializzazione di formazione è Comunicazione Visiva e Multimediale.
Nel multimediale però esiste un aspetto, a differenza degli altri prodotti: il prodotto
non è né chiaro, né stabile. Soppianterà il libro? Ma scherziamo? Io, la sera vado a
dormire con un libro, non posso mica portarmi un oggetto supermultimediale! Per girare una
pagina devo usare quattro interfacce. Poi, io posso disegnare la migliore interfaccia per
girar la pagina, resta il fatto che la tecnologia del libro, con il suo "codex,"
con la sua rilegatura possiede una sua scioltezza che non sarà facilmente superata, se
non sviluppiamo prodotti più leggeri, meno inquinanti. Basta uscire, insomma, e vedere
come si lavora nella multimedialità o come siamo costretti noi a lavorare con
l'informatica. Non abbiamo più questo bel tavolo pulito, bianco, dove possiamo
concentrare le nostre idee, ma un monitor grande, dieci scatolette, venticinque cavi da
interfacciare e le condizioni di lavoro sono sicuramente peggiorate da questo punto di
vista. Il lavoro intellettuale o creativo si sviluppa in un ambiente molto più vicino a
quello di un'officina i cui costi di manutenzione e di aggiornamento sono formidabili.
Quindi, un grossissimo problema è proprio questo: il privato, l'industria, vuole lavorare
solo in condizioni di monopolio, e tirar fuori il prodotto vincente e nuovo, cercando di
non fissare subito degli standard in modo da sfruttare le innovazioni; d'altro canto, i
processi di formazione, comunque, poggiano su dei meccanismi molto rigidi; quindi, bisogna
cercare di rompere questa separazione. Ma si tratta di una rottura che deve essere
compiuta dai due settori: da una parte dall'industria e dall'altra dal settore pubblico;
altrimenti, la logica del mercato, degli oggetti, della produzione, del consumer, o
giapponese o americano, prevarrà assolutamente. Noi lavoreremo sull'arte decorativa,
progettando i CD ROM un po' colorati, non creativi. Quindi, io penso che bisogna
confrontarsi anche creativamente con la complessità di questa tecnologia, come è stato
per il cinema, dove è presente una serie di ruoli, funzioni, di assimilazione culturale.
Purtroppo non abbiamo raggiunto ancora questo livello, per una serie di motivi, oggettivi,
che riguardano la nostra resistenza culturale al provvisorio, al cambiamento continuo.
Dopo tutto, si tratta di una tecnologia molto giovane. Io penso che questo scenario
instabile dei cambiamenti andrà avanti per altri vent'anni, o cinquant'anni. Saranno le
generazioni che verranno, probabilmente, ad avere delle situazioni più stabili. Oppure,
si saranno abituate ad adattarsi molto rapidamente.
Domanda 6
Il ricorso al computer nell'utilizzo di costruzioni virtuali degli enti simulati può
comportare la perdita di ruolo del corpo?
Risposta
Questo aspetto che i teorici dell'architettura liquida o anche dell'architettura generata
dal computer, dell'arte genetica sottolineano, per il quale non si disegna più la forma,
ma si descrivono degli algoritmi, mi sembra troppo semplice. Si cerca di imitare le leggi
della natura per creare delle forme che sono assolutamente antropiche, pensate dall'uomo,
progettate dall'uomo, attraverso processi non razionali, ma comunque umani. Molte di
queste architetture liquide, di scenari frattali, mi fanno venire in mente i virus, le
metastasi spaziali. Io metto in piedi un meccanismo in cui vedere le forme che crescono
continuamente e riempiono lo spazio. Sostenere che questo sarà, e che è un modo serio di
progettare, mi sembra sia una delle tendenze un po' estreme, nichiliste presenti nel
settore della progettazione, che io, personalmente, rifiuto completamente. L'avanguardia
non esiste solo nell'espressione artistica, o, comunque se è vera avanguardia, deve
basarsi su delle posizioni teoriche riconoscibili, non continuamente mimetizzate. Quindi,
da questo punto di vista, il computer, sicuramente, aiuta. Noi abbiamo degli strumenti di
rappresentazione efficaci e probabilmente non li usiamo ancora a sufficienza, perché il
tempo di apprendimento è limitato. Alcuni sostengono che le nuove automobili, le nuove
forme così attillate, così gonfiate dipendono dal computer, da questi mezzi di
simulazione. In parte è vero, perché nella storia della progettazione degli oggetti, in
particolare delle automobili, per esempio, la luce che fila sulle superfici veniva prima
disegnata sul modello; Era bella perché la luce correva, o perché c'era il riflesso
giusto sulla fiancata. Adesso queste forme si possono generare al computer. A partire dal
'65, con questa grande invenzione alla Renault, la parte posteriore della Fuego o anche la
prima macchina attillata, che era la R5, derivano senz'altro dall'aver messo in mano a dei
designer uno strumento. I giapponesi che cercano di imporsi sul mercato automobilistico,
tirano fuori delle curve un po' troppo gonfiate. Per un po' di tempo conservano una certa
originalità, ma poi stancano molto rapidamente. Se noi introduciamo il meccanismo della
moda e dell'obsolescenza acceleratissima, su prodotti che hanno comunque bisogno di un
sistema di produzioni, investimenti colossali, è chiaro che, se ci sbagliamo, non
troviamo più uno stile riconoscibile. Quindi, il rapporto tra computer e progettazione è
complesso. Noi non possiamo dire che l'architettura moderna deriva dal fatto che gli
architetti moderni usavano il tecnigrafo e avevano perso l'idea di saper usare bene il
compasso, come facevano gli architetti barocchi. Sarebbe troppo semplice, significherebbe
ridurre le persone a delle piccole forme, a dei piccoli robot. Certo, io, in passato, con
quattro strumenti -tecnigrafo, compasso, curvilinea, gomma, matita- facevo tutto. Adesso
mi arriva il programma nuovo con milleduecento modi di fare il cerchio; poi c'è anche
questa obesità dell'interfaccia. Infatti, molti di questi programmi, a cominciare dal
Word, erano semplici programmi per scrivere. Adesso è necessario essere un impaginatore,
un redattore, un grafico, per scrivere la news ed inserirla in rete. E si ha a
disposizione un programma che compie tutte queste operazioni insieme. D'altra parte,
però, si deve usare il programma, e si avrà a disposizione almeno duecentocinquanta
pulsanti che bisogna imparare ad utilizzare per compiere, in fondo, un'operazione molto
semplice. Finché questo imparare non è diventato automatismo, ci si muove come uno che
sta imparando ad usare l'automobile.
Domanda 7
Che tipo di modello c'è dietro a queste nuove tecnologie? E' un modello che assomiglia
più ad un'idea rinascimentale della misura o ad un'idea barocca dell'affastellamento
degli elementi?
Risposta
Nel settore del disegno, della rappresentazione, esiste un aspetto fondamentale: affinché
io lavoro con le tecniche tradizionali, io disegno e compongo, disegno il modello, scrivo
il mio racconto e mentre lo scrivo si vede: non posso separare il concetto dalla
scrittura. Se, viceversa, io compongo un disegno, in quel momento disegno e costruisco il
mio modello che è architettura di oggetto. Io posso costruire il modello geometrico della
forma, anzi è quello che devo fare; poi lo vedo con la telecamera; dunque, devo lavorare
subito a livello tridimensionale. Quindi separo il momento concettuale del plasmare la
forma con la forma stessa. Il modello digitale esiste anche se nessuno lo vede, possiede
un suo uso, può essere distribuito in rete: si hanno modelli di rinoceronti, di
automobili, di case; la cattedrale di St. Paul, per esempio, si può trovare in rete,
quindi esiste. Io penso che noi ci troviamo in una situazione simile a quella che ha
registrato il passaggio dal Gotico alla nascita del Rinascimento, perché i pittori
rinascimentali come Piero Della Francesca continuavano a lavorare nei vecchi ambienti,
nelle vecchie chiese, ma avevano ancora i loro spazi. L'architettura rinascimentale è
venuta dopo la pittura rinascimentale. Quindi, in un certo senso, il digitale possiede
alcune sue possibilità, però si trova ancora in un mondo che non è ancora pronto ad
accoglierle. Alcune cose dovrebbero, in qualche modo, modificarsi, semplificarsi. Poi, non
bisogna neanche rendere troppo metafisica questa idea del digitale, perché anche nella
progettazione noi sappiamo che ci serve il computer, disegniamo i nostri modelli; poi,
abbiamo bisogno dei plastici. Che cosa usiamo durante la progettazione? Usiamo due
elementi per comunicare tradizionalmente: si parte da un'idea e si racconta una storia.
Normalmente, quando ho in mente un progetto, faccio uno schizzo che non capisce nessuno;
però vado lì, e questo schizzo mi serve per cominciare a raccontare la storia di questo
progetto e per definirlo; in seguito faccio dei plastici. Mi danno ancora delle idee, è
un teatrino su cui trovarsi per discutere del progetto, ritorno al disegno e lo porto
avanti. Questa è la sintesi progettuale che avviene, grosso modo, in architettura.
Esistono strumenti per fare disegni, strumenti per fare i plastici virtuali; nel campo del
disegno industriale si parla anche di prototipazione rapida: se, per esempio, disegno una
nuova telecamera, posso effettivamente farlo sul monitor. Ma per verificare che i pulsanti
funzionino, per valutare la maneggevolezza di questo oggetto devo necessariamente uscire e
fare un modello, un prototipo. L'industria di qualsiasi oggetto deve passare la fase del
prototipo; la novità è che prima si facevano venti prototipi, adesso se ne fa uno solo.
Si cerca di ridurre molto il tempo di progettazione (questo è un altro pericolo), di
mettere in parallelo progettazione e produzione per arrivare subito sul mercato. E che
cosa succede? Succede che, a volte, questi prodotti vengono ritirati immediatamente
perché non sono collaudati. Il diminuire l'investimento sulla progettazione è una
fortissima contraddizione: quando siamo in presenza di nuove componenti, dovremmo
investire di più nel pensare, nel progettare, nella fase creativa e nella fase di
verifica dell'utenza, per renderci conto, per esempio, che l'abitabilità di un'automobile
è una delle cose principali oggi per vendere un'automobile, non è solo il motore. La
stessa cosa vale per l'abitabilità, la domesticità di un artefatto interattivo, sia esso
un CD ROM, un sito in rete, una pittura murale che si può realizzare con un plotterone
gigantesco, una statuetta, un mobile, una linea di immagine aziendale che si progetta.
Anche sulla rete noi assistiamo allo svolgersi di tre fasi, tre tecnologie. La prima fase
è, per così dire, esibizionista: ciascuno voleva la sua immaginetta con la sua foto
sulla rete. La seconda, è la fase delle tecnologie che entrano nell'azienda: Intranet.
Infine, la fase in cui, invece, le tecnologie dirette entreranno nei prodotti direttamente
senza passare sul browser; nel pacchetto di progettazione ci sarà l'aggancio immediato ad
un componente di progetto che si trova su "quel" computer della rete da un'altra
parte. Anche questo è uno scenario che bisogna tenere presente. Insomma, noi siamo
affascinati da queste tecnologie; sappiamo che possiedono una dinamica fortissima, ne
parliamo sempre con un senso di certezza e di assolutezza non capendo che poi, in realtà,
è ancora fragile, perché i grandissimi gruppi di interesse che si muovono su queste
realtà ed il fortissimo investimento di ricerca che è necessario per sostenere queste
innovazioni sono elementi che determinano degli scenari possibili di cui solo uno o due
diventeranno quelli che si affermano.
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