Biblioteca digitale (intervista) RAI Educational

Adriaan Peperzak

Napoli, 08/05/93

"Stereotipi della comunicazione"

SOMMARIO:

  • Adriaan Peperzak concorda con Popper che i professionisti della televisione debbano darsi un codice di autoregolamentazione: la televisione ha ormai una grande responsabilità in quanto portatrice di una sorta di mitologia collettiva che consolida l'ideologia della nostra società; nell'aspetto più propriamente culturale di mediazione di tradizioni la responsabilità è comunque estesa ad altri soggetti e non può essere limitata ai soli operatori televisivi (1).
  • Dal punto di vista dell'osservazione personale, Peperzak trova il messaggio televisivo spesso inautentico, come risulta soprattutto nella pubblicità che è in genere acritica, bugiarda ed esteticamente scadente. E però non crede affatto che i cattivi programmi siano davvero inevitabili (2).
  • Attraverso la televisione è possibile provocare alla riflessione senza costringere alla passività, come conferma la sua stessa esperienza di insegnamento (3).

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INTERVISTA:

Domanda 1
Prof. Peperzak che cosa pensa della proposta di Popper di istituire un codice professionale sottoscritto da tutti coloro che lavorano in televisione?

Risposta
Ho letto il testo dell'intervista a Popper sulla televisione in cui egli avanza questa proposta che, per dirla in breve, definirei perfettamente in linea con analoghe proposte e considerazioni oggi all'ordine del giorno. Nella nostra società, tutti coloro che, sul piano educativo, politico e ideologico, svolgono professioni di una certa responsabilità per il loro rilievo nazionale hanno già sviluppato codici del genere: i medici, ad esempio, se li sono dati da secoli, come del resto i sociologi, gli antropologi e gli assistenti sociali. Concordo anch'io con Popper nel ritenere che i professionisti della televisione abbiano un'enorme responsabilità - e lo dico molto seriamente. La televisione ha infatti assunto le vesti di quella che oserei chiamare una sorta di mitologia collettiva. Nella nostra cultura le antiche mitologie, greca e cristiana, hanno ormai praticamente perso qualsiasi capacità di proporsi come rete di raccordo sociale per le proiezioni fantastiche e le narrazioni di origine collettiva; al loro posto è subentrata la televisione che ogni giorno ci presenta a modo suo immagini, storie, relazioni e opinioni chiave, più o meno generalmente accettate. Essa, nel restituirci quest'immagine della nostra società, contribuendo così a consolidarne l'ideologia, si assume, ovviamente, una grossa responsabilità, da molti punti di vista, compreso quello politico. La televisione può dare, infatti, man forte alla politica, ad esempio, scegliendo di presentare in un certo modo i principi che ispirano pratiche razzistiche o discriminatorie, giustificandoli o meno, e così via. Concordo dunque nel ritenere una buona idea il progetto di un codice etico per tutte le professioni, ma non sono più d'accordo con Popper quand'egli sembra sostenere che un compito del genere andrebbe affidato ai soli competenti. Se è vero quel che ho detto, se cioè i programmi televisivi svolgono una propaganda intesa, in una certa misura, a confermare la nostra ideologia, allora la cosa riguarda anche gli altri soggetti - politici, artisti, scienziati, filosofi, educatori - che sono implicati nella produzione di ideologia.

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Domanda 2
Come giudica il livello dell'informazione televisiva in generale e in particolare della comunicazione commerciale, che per antifrasi viene chiamata pubblicità?

Risposta
Non sono un teledipendente, non mi capita di vederla spesso. Una prima ragione è la mancanza di tempo: ho altre cose da fare, più importanti e per me assolutamente indispensabili. Un'altra ragione è l'eccessiva lentezza della comunicazione televisiva: leggendo, riesco a sapere le cose molto più in fretta di quanto non possa fare vedendo la televisione. Un'ultima ragione, piuttosto contingente, è che, quando guardo la televisione, finisco molto spesso per tediarmi: un gran numero di programmi, che trovo particolarmente stupidi e insignificanti, m'ispirano - devo ammetterlo - un senso d'irritazione e di condanna, perché li trovo kitsch e inautentici. Sul piano dell'autenticità, ovviamente, la pubblicità tocca il livello più basso. Personalmente la ritengo bugiarda e acritica al 99%, perché i messaggi pubblicitari vogliono farci credere di avere a cuore il nostro benessere, mentre tutti ben sappiamo quanto diverse siano le loro vere motivazioni: la pubblicità non s'interessa a noi, vuole solo vendere - il che difficilmente va nel nostro interesse. Nella pubblicità c'è talvolta un pizzico d'umorismo, talvolta un forte richiamo sessuale, che mi spinge a pensar male di chi sembra credere che la gente possa apprezzare quei messaggi dal lato puramente estetico. In generale, la pubblicità è cattiva. Può darsi che qui in Italia sia diverso, ma in America la pubblicità mi sembra decisamente scadente. Forse sarò troppo caustico ed elitario; fatto sta che spesso mi sento offeso dalla televisione: trattato come un bambino, come un poveraccio che non ha frequentato le scuole elementari o che, quanto meno, non è andato molto avanti negli studi - il che mi sembra un atteggiamento offensivo verso la gente. Ripeto: può darsi che io sia troppo severo, perché in effetti molta gente non ha terminato le scuole elementari; tuttavia mi riesce difficile credere che ciò valga per la media della popolazione istruita dell'Europa occidentale, dell'America e di altri paesi scolarizzati. La mia posizione è dunque piuttosto negativa verso i contenuti del messaggio televisivo, ma non credo affatto che i cattivi programmi siano davvero inevitabili.

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Domanda 3
Si parla sempre più di televisione interattiva. Ma come è possibile, secondo Lei, una presa di posizione critica e attiva da parte dello spettatore?

Risposta
Io ne so troppo poco, ma forse potrebbe essere un dogma che la TV si debba orientare sulla passività. Forse è vero che si può trovare un metodo per criticare le convenzioni generalmente accettate, le tradizioni e ciò che viene dato per scontato. Io credo infatti che sia un problema analogo a quello che si pone nell'insegnamento. Quando noi teniamo un discorso, e semplicemente esponiamo una dottrina senza chiedere agli studenti che cosa ne pensino, essi restano passivi, noi li rendiamo passivi. Ma io ho fatto un'esperienza diversa. Bisogna chiedere agli studenti: "Che cosa significa questo per voi?" - io ho fatto questa esperienza non solo con Platone ma anche con Hegel e con pensatori mistici come Anselmo o Agostino - e porre loro delle domande anche se non credono alla religione, non la praticano, non sanno che cosa pensare del Cristianesimo. Allora se io dò loro questi testi, essi dicono: "Ma sono molto interessanti. Forse anch'io ho una fede, non so esattamente in che cosa, ma ho una specie di fede." Loro prendono i testi, si lasciano provocare dai testi e dicono: "Sto cercando le mie soluzioni ai problemi che sono trattati in questi testi". Dunque, mi sembra che sia possibile trovare anche nella TV un modo per provocare. Io credo - e ne ho avuto degli esempi - che sia possibile e augurabile che i giovani si sentano chiamati in causa. Io ho l'esempio di uno studente che è venuto da me e al quale ho chiesto di prepararmi una relazione su un testo. Egli mi ha detto: "La ringrazio di avermi obbligato a scrivere questo testo. Gli altri non me lo chiedono e mi condannano alla passività". Io credo che noi tutti, uomini e donne in generale, vogliamo essere sollecitati alla creatività. E' difficile, ma è tuttavia il nostro desiderio. Non so se questo sarà possibile anche con la TV, sono quelli che lavorano nella televisione che dovrebbero dirlo, ma ho l'impressione che il tentativo, il programma riuscirà.

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