Roma, 08/02/1998
"La tv non ha paura di Internet"
SOMMARIO:
- Per quanto un monitor di computer e un televisore si somiglino, Internet
- che non a caso, per le sue caratteristiche, è stata definita una sorta di
"intelligenza collettiva" - non ha quasi nulla da spartire con la televisione
generalista, il più potente strumento di livellamento di massa che sia mai esistito. La
televisione è un mezzo effimero per definizione; le sue immagini sono volatili, i suoi
discorsi fluttuanti. E' un fiume in piena che scorre ad una velocità sempre crescente. Il
discorso della televisione, a differenza del libro, del giornale, della videocassetta, del
CD ROM, è irripetibile; se qualcosa è sfuggito alla nostra comprensione, non ci è dato
il tempo di tornarci su, di rifletterci. Al contrario Internet è un medium intensivo,
possiede cioè una straordinaria capacità di approfondimento. Qualsiasi argomento può
essere analizzato e studiato nei dettagli con infiniti rinvii ad argomenti analoghi
poiché l'ipertesto ipermediale di Internet è un'immensa nota a piè di pagina che a sua
volta rinvia ad altri contenuti. La televisione viaggia in superficie, Internet va in
profondità. Vi sono quindi dei buoni motivi per non lasciarsi irretire nella falsa
disputa se Internet soppianterà la televisione o viceversa; anzi è certo che questi due
mezzi, proprio grazie alla loro incompatibilità, conviveranno a lungo, piuttosto
alleandosi che combattendosi, a dispetto di quanti continueranno a organizzare convegni e
tavole rotonde sull'argomento (1) (2).
- Ciò che distingue un medium dall'altro non sono solo il linguaggio, il
pubblico a cui si rivolge, il "messaggio", le tecnologie o la forma d'apparato,
bensì il tempo. Ogni medium ha un suo tempo, un suo ritmo del tempo. Per esempio: leggete
il testo scritto di un telegiornale e paragonatelo con quello che appare sul vostro
quotidiano il giorno dopo. Rimarrete stupiti per la sua approssimazione e la sua
apoditticità poiché il valore di quella notizia del Tg consisteva nella
"tempestività", una qualità del tempo "ontologicamente" diversa da
quella del giornale il cui tempo, quello della lettura, è soggettivo e non imposto dal
mezzo. Per non parlare dei tempi del cinema in cui, ad esempio, il romanzo di una vita
descritto in un libro di seicento pagine, viene "compresso" nell'arco di cento
minuti (3) (4).
- La pluralità dei media non corrisponde soltanto alla pluralità degli
utenti (target) ma anche al fatto che ciascun utente è "plurale" in sé.
Infatti a seconda delle ore del giorno e del luogo in cui ci si trova, ciascuno di noi
sente il bisogno di qualcosa di effimero o di più profondo, di qualcosa che ci distragga
o ci aiuti a capire, di qualcosa che si possa agevolmente consultare sulla spiaggia o
sull'autobus (libro, radio, giornale) o a casa propria (Internet, TV, CD ROM etc.) (5).
- La storia dei media appare lineare e progressiva solo da un punto di
vista tecnologico e soltanto se si è vittime di una visione "mediacentrica",
che assolutizza questa storia e la dispone all'interno di un microuniverso mediatico
chiuso in se stesso e autoreferenziale. Visti da una corretta prospettiva - la storia nel
suo insieme - i media risultano privi di una "natura" propria e si rivelano
invece storicamente determinati da una storia che non sempre è lineare bensì
conflittuale e dialettica. Ad esempio, come abbiamo visto, - e come meglio vedremo in
seguito - il rapporto fra la televisione e Internet non è di continuità - come lo è
stato quello tra radio e televisione -, ma di contrapposizione; anzi si potrebbe dire che
la Rete sia nata per bilanciare la Tv, per temperarne gli effetti e soprattutto per
ridimensionare la forza che essa ha creato: il "popolo della televisione" (6).
- La sfera dell'opinione pubblica borghese, nata nella seconda metà del
XVII secolo, è decisamente ristretta: capitani d'industria, ricchi commercianti, liberi
professionisti, intellettuali. Non a molti è concesso il privilegio di pubblicare
articoli, e solo alcuni fra i sudditi, gli alfabetizzati, sono in grado di leggerli. E
pure, intorno a questo piccolo focolaio di irrequietezza culturale, si radunerà l'intero
Terzo Stato che conquisterà il potere nel 1789. Una caratteristica dominante nella sfera
della opinione pubblica è l'argomentazione razionale. Le critiche più acerrime e le
invettive più sanguinose sono, sempre e comunque, il frutto di un ragionamento. Ma
facciamo ora un salto di oltre due secoli. L'invenzione della radio provoca una
rivoluzione nella sfera della pubblica opinione. Tutti i cittadini possono virtualmente
esprimere e rendere pubbliche le loro idee qualunque sia la loro classe di appartenenza,
che sappiano o meno leggere e scrivere. Per converso i proclami dei governanti possono
ormai scavalcare la sfera circoscritta, e sovente critica, dell'opinione pubblica
tradizionale che legge i giornali e si raccoglie a discutere nei salotti, per giungere
direttamente ad un coacervo indistinto, definito, a seconda delle circostanze e delle
convenienze, popolo, pubblico, utenti. L'avvento della televisione consacrerà e
consoliderà questa metamorfosi della figura del cittadino nella categoria di
"gente". Nasce così, nei primi decenni del XX secolo, grazie alla radio e alla
televisione, l'opinione di massa. Ma il fenomeno, sebbene rilevato in vari modi da
autorevoli uomini di scienza e di cultura (Ortega, Reich, Canetti etc.), non viene
assimilato, nella sua complessità, dal mondo politico se non nella forma suggestiva del
"Grande Fratello" (7).
- E' errata la diffusa convinzione secondo la quale la radio e la
televisione abbiano semplicemente prodotto, per effetto di propagazione, un allargamento
della cerchia dell'opinione pubblica, una semplice progressione di ordine geometrico nella
sfera dei numeri che non intaccherebbe la natura di questa categoria sociologica.
L'opinione pubblica poggia infatti sull'argomentazione razionale, sul convincimento, sulla
forza del ragionamento, mentre l'opinione di massa si alimenta della suggestione, della
demagogia, della esteriorità, della visceralità; in una parola, della irrazionalità.
Chi opera nel campo della pubblicità conosce bene la distinzione fra questi due mondi e
certamente non si affida al ragionamento per propagandare in Tv un detersivo o una nuova
auto. Questa contrapposizione tra suggestione e ragione, populismo e democrazia,
conformismo e ricchezza spirituale, cultura e incultura è, al giorno d'oggi, più
antagonista di quella fra destra e sinistra, categorie comunque interne alla sfera
razionale della politica e delle "scelte libere e consapevoli" (8).
- E' facile comprendere su quale versante si collochi Internet, un medium
che richiede una buona scolarizzazione (bisogna saper scrivere oltre che leggere), una
certa dimestichezza con le altre lingue, la conoscenza del computer e della Rete, e, prima
ancora, che si possegga un computer. Questo spazio "colto" di comunicazione
sociale è stato precluso dalla Tv commerciale, "censurato", umiliato dalle
forche caudine della divulgazione a buon mercato; né le televisioni di servizio pubblico,
che pure avrebbero potuto - e potrebbero (dovrebbero!) - contrastare questa passività
omologante, sono riuscite a contenere le degenerazioni insite in quel modello. Per questo
motivo, di fronte a una Tv "che non ammette repliche", e a una stampa che ha in
parte dimenticato la sua nobile origine, Internet rappresenta quanto meno una speranza,
un'occasione per ripristinare, su scala planetaria, uno spazio pubblico di comunicazione
per la cultura, le scienze, l'arte e la politica (9).
- La Galassia Gutenberg è costellata di riviste pornografiche, manuali per
il suicidio e insulse pubblicazioni di ogni genere, eppure grazie alla invenzione della
stampa il sapere umanistico, scientifico e tecnico che, per secoli, è stato relegato
nelle biblioteche, nei laboratori e nelle botteghe artigiane, ha potuto diffondersi, in
modo capillare, in ogni angolo del mondo. Una analoga rivoluzione, ancora più eclatante,
può verificarsi con le reti telematiche. Certo, affermare che Internet sia potenzialmente
la Encyclopédie del XXI secolo può sembrare azzardato, ma poiché, in linea di
principio, non lo si può escludere, ci fa piacere sperare che ciò possa accadere. Che
stia per nascere, sulle ceneri della vecchia opinione pubblica, uno "spirito
pubblico", una nuova coscienza pubblica? (10).
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INTERVISTA:
Domanda 1
Internet e la televisione sia per i loro contenuti che per la loro tecnologia sembrano
appartenere a mondi tra loro così diversi da apparire incommensurabili. Eppure la
questione se Internet assimilerà la televisione o viceversa è all'ordine del giorno. Ha
senso porsi questa domanda?
Risposta
Credo che, posta in questi termini, la domanda sia inconsistente. In effetti Internet sta
alla televisione come un aereo sta a un'automobile. Questi ultimi sono, tutti e due, mezzi
di trasporto e hanno la stessa struttura (meccanica), ma ciò che li rende
incommensurabili è l'uso che se ne può fare e il tipo di persone che abitualmente se ne
servono. Così, per quanto un monitor di computer e un televisore si somiglino, Internet -
che non a caso, per le sue caratteristiche, è stata definita una sorta di
"intelligenza collettiva" - non ha quasi nulla da spartire con la televisione
generalista, il più potente strumento di livellamento di massa che sia mai esistito. La
televisione è un mezzo effimero per definizione; le sue immagini sono volatili, i suoi
discorsi fluttuanti. E' un fiume in piena che scorre ad una velocità sempre crescente. Il
discorso della televisione, a differenza del libro, del giornale, della videocassetta, del
Cd-Rom, è irripetibile; se qualcosa è sfuggito alla nostra comprensione, non ci è dato
il tempo di tornarci su, di rifletterci. La televisione è un mezzo estensivo che consente
a miliardi di persone di assistere, in tempo reale, ad un evento che accade a migliaia di
chilometri di distanza; il suo raggio di diffusione è sconfinato e la sua tempestività
nel diffondere le notizie, non ha uguali. Anche se la Tv ha elevato il livello culturale
di intere popolazioni, ha "creato" lingue nazionali e ha svolto un ruolo
determinante nella formazione delle classi medie delle società avanzate, non si può dire
che abbia svolto un ruolo analogo tra le classi colte in quanto la televisione ignora che
cosa siano il rigore, lo stile e l'approfondimento. Al contrario Internet è un medium
intensivo, possiede cioè una straordinaria capacità di approfondimento. Qualsiasi
argomento può essere analizzato e studiato nei dettagli con infiniti rinvii ad argomenti
analoghi poiché l'ipertesto ipermediale di Internet è un'immensa nota a piè di pagina
che a sua volta rinvia ad altri contenuti. La televisione viaggia in superficie, Internet
va in profondità. La televisione è un mezzo che mostra allo spettatore una realtà,
peraltro virtuale, sbirciata dal buco della serratura, dove le persone si ammazzano, fanno
l'amore, giocano, applaudono, piangono e ridono mentre lui sta lì a guardare
passivamente. Internet, invece, è interattiva: una sterminata biblioteca universale, che
noi stessi consultiamo e in cui è possibile dialogare con gli altri. Internet, insomma,
pur con tutti i suoi difetti, ha il pregio di restituire una identità a chi era stato
spersonalizzato dalla Tv e ridotto al rango di "utente", di consumatore, di
"target". (Quando si parla di televisione ci si riferisce al modello dominante
in quasi tutto il mondo, quello commerciale che, anzi, sarebbe meglio chiamare: "a
scopo di lucro"). Vi sono quindi dei buoni motivi per non lasciarsi irretire nella
falsa disputa se Internet soppianterà la televisione o viceversa; anzi è certo che
questi due mezzi, proprio grazie alla loro incompatibilità, conviveranno a lungo,
alleandosi piuttosto che combattendosi, a dispetto di quanti continueranno a organizzare
convegni e tavole rotonde sull'argomento. A costoro bisognerebbe ricordare che "Video
killed the radio star" è soltanto una canzonetta di successo di tanti, tanti anni
fa. Infatti un caso di "cannibalismo telematico", quello di Internet che divora
la televisione, potrebbe verificarsi solo se sussistesse tra i due mezzi in lotta un certo
grado di commensurabilità ; e poiché questo non è il caso, non è possibile che vi
sia un'assimilazione da parte di chicchessia, proprio come l'aereo non ha soppiantato
l'automobile.
Domanda 2
E tuttavia la storia dei media è contrassegnata da forme di "cannibalismo".
Risposta
E' vero. I mass media hanno un'inclinazione totalitaria: la radio ha emulato la stampa e
il teatro con i giornali-radio, i radiodrammi e i concerti; la televisione ha tentato di
fagocitare il cinema e la radio - compreso tutto ciò che la radio aveva già inglobato;
Internet non ha ancora raggiunto la maggiore età e già aspira ad inglobare la
televisione e tutti gli altri media. Ma per fortuna, come spesso accade a coloro che
ambiscono a concentrare tutto il potere nelle loro mani, questa tendenza totalitaria è
destinata alla disfatta in quanto i mezzi di comunicazione, per il modo in cui si sono
storicamente conformati, hanno creato linguaggi, abitudini e modalità d'uso così
peculiari da rendersi insostituibili. Non è quindi un caso se ogni nuovo mezzo di
comunicazione non solo non soppianta i precedenti ma, dopo un certo tempo, addirittura li
rafforza.
Domanda 3
Che cosa distingue, nella sostanza, un mezzo di comunicazione dagli altri: la tecnologia,
i contenuti che veicola, la forma della comunicazione (unidirezionale, interattiva etc.),
il linguaggio o, ancora, il pubblico a cui si rivolge?
Risposta
Certamente tutte queste cose, ma non trascurerei un aspetto altrettanto determinante: il
tempo. Ogni medium ha un suo tempo, un suo ritmo del tempo. Provate a misurare una pausa
teatrale con il tempo della televisione - vi sembrerà un'eternità ! - e capirete perché
è così difficile ottenere un buon risultato da una ripresa televisiva di una pièce
teatrale; provate a esporre, su una rete televisiva generalista, la teoria della
relatività in cinque minuti e capirete perché la Tv si guarda bene dal parlarvi di
relatività, e capirete anche perché un filosofo "difficile" come Derrida abbia
una comprensibile idiosincrasia verso le interviste televisive. Leggete, al contrario, il
testo scritto di un telegiornale e paragonatelo con quello che appare sul vostro
quotidiano il giorno dopo. Rimarrete stupiti per la sua approssimazione e la sua
apoditticità poiché il valore di quella notizia del Tg consisteva nella
"tempestività", una qualità del tempo "ontologicamente" diversa da
quella del giornale il cui tempo, quello della lettura, è soggettivo e non imposto dal
mezzo. Per non parlare dei tempi del cinema in cui, ad esempio, il romanzo di una vita
descritto in un libro di seicento pagine, viene "compresso" nell'arco di cento
minuti. Una vittima illustre dell'accelerazione dei ritmi del tempo è stata la posta, un
mezzo straordinario di composizione, formazione e amalgama delle classi colte dell'età
moderna. Intere generazioni si sono formate grazie agli scambi epistolari; uomini di
lettere, filosofi e scienziati si sono scambiati con la posta riflessioni, conoscenze e
critiche ; una parte non marginale della buona letteratura e della saggistica è stata
scritta in forma epistolare. L'attesa della posta non era tempo perso ma occasione di
meditazione e il postino che sarebbe venuto, scandiva il tempo interiore e riempiva di
senso i vuoti dell'esistenza. Questo mezzo di comunicazione sociale è caduto in disuso,
intasato e inflazionato dai dépliant pubblicitari e scavalcato dal telefono, medium più
agile e alla portata di tutti, anche degli analfabeti, che tuttavia, al pari della
televisione, indulge più alla chiacchiera che alla riflessione. E tuttavia, il raffinato
ordine del discorso epistolare, che sembrava completamente tramontato, è di fatto risorto
con Internet che, restringendo il tempo dell'attesa, ha ripristinato il dialogo nella sua
forma migliore, quella riflessiva, arricchendolo di immagini e suoni; un dialogo che, a
discrezione può essere pubblico o restare privato, essere instaurato con un amico o un
personaggio pubblico, un'istituzione o un gruppo di discussione, un forum.
Domanda 4
Avendo introdotto il "ritmo del tempo" fra i tratti distintivi dei media,
dobbiamo mettere in discussione la loro classificazione tradizionale basata in genere su
affinità tecnologiche?
Risposta
Senza dubbio. Anche perché le variazioni del tempo non distinguono soltanto un medium
dall'altro, ma anche ciascun medium nelle sue diverse conformazioni tecniche. Ad esempio
il ritmo del tempo della Tv generalista, scandito dalla pubblicità e dai telegiornali,
non è lo stesso (non dovrebbe esserlo!) di quello della Tv tematica la quale rivolgendosi
a un pubblico non occasionale, che ha una sua dimestichezza con gli argomenti e il genere
trattati, può (deve!) concedersi un tempo adeguato all'approfondimento dei contenuti e
alla riflessione. Il tempo della Tv off-line (videocassetta) ha ancora un altro ritmo. La
videocassetta, a differenza delle televisione, non è pervasiva, bisogna acquistarla per
vederla e ciò implica una decisione, una intenzione. La videocassetta inoltre non è
esposta alla concorrenza degli altri canali né deve conquistare un pubblico occasionale;
pertanto può concedersi il tempo del rigore, del linguaggio raffinato e soprattutto può
mostrare e spiegare questioni complesse poiché, a differenza di tutte le forme di
televisione on-line, le cui immagini passano irrimediabilmente, la videocassetta la si
può consultare alla stregua di un libro, rivedendo più volte ciò di cui,
immediatamente, ci sfugge il significato, rallentando la sequenza o soffermandoci su un
fotogramma, così come facciamo con la pagina di un libro un po' ostico. Lo stesso
ragionamento vale per Internet, un medium che andrebbe disaggregato nelle sue differenti
funzioni comunicative. Infatti, che cosa ha in comune la posta elettronica (comunicazione
uno-a-uno) con una home-page (comunicazione uno-a-molti), e una chat (comunicazione
molti-a-molti), al di là del fatto che questi strumenti usano la stessa tecnologia di
trasmissione?
Domanda 5
Se ciascun mezzo di comunicazione ha una sua propria "natura" e una fisionomia
chiara e distinta, si può pensare che si stabilisca tra di loro un rapporto di
cooperazione, una complementarietà piuttosto che una supplementarietà?
Risposta
La pluralità dei media non corrisponde soltanto alla pluralità degli utenti (target) ma
anche al fatto che ciascun utente è "plurale" in sé. Infatti a seconda delle
ore del giorno e del luogo in cui ci si trova, ciascuno di noi sente il bisogno di
qualcosa di effimero o di più profondo, di qualcosa che ci distragga o ci aiuti a capire,
di qualcosa che si possa agevolmente consultare sulla spiaggia o sull'autobus (libro,
radio, giornale) o a casa propria (Internet, TV, CD ROM etc.). Come per raggiungere, dalla
mia città, un villaggio di pescatori su un'isoletta del Madagascar, mi servo di un certo
numero di mezzi di trasporto (autobus, metropolitana, aereo, taxi, nave e infine, forse,
anche un mulo) - né mi sognerei di poter un giorno arrivare fin laggiù con uno solo di
questi mezzi, perché ciò renderebbe il mio viaggio molto meno avvincente -, per le
stesse ragioni non vorrei essere "educato", "informato" o
"intrattenuto" da un solo medium. Infatti la formazione culturale è il prodotto
congiunto di un vasto numero di istituzioni (scuola, università, chiese, partiti etc.) e
di mezzi di comunicazione (libri, cinema, televisione, teatro etc.); e questa formazione
tanto più è feconda quanto più ricco è l'intreccio di questi mezzi. Si potrebbe
paragonare questo processo alle mutazioni darwiniane: quanto maggiore è la somma delle
variazioni individuali, tanto più una specie si rafforza. Pertanto le diatribe su quale
medium sia migliore dell'altro e quando l'uno ingloberà l'altro, sono non solo
inconcludenti, ma anche perniciose perché se ciò si avverasse, cadremmo vittima di una
"monomedialità" che ci impedirebbe di vedere il mondo da diverse prospettive.
Ad esempio Internet può essere un complemento ideale della televisione. Prendiamo le
notizie del telegiornale. Sono tempestive e accreditate ma motivi di tempo e di spazio le
rendono necessariamente approssimative, superficiali, sintetiche. Internet, al contrario,
può fornire una informazione analitica e dettagliata di quegli stessi fatti, ricostruirne
il contesto, i retroscena la loro esatta cronologia e corredarli di commenti affidati a
editorialisti specializzati e di diverso orientamento. Lo stesso discorso vale per un film
o una trasmissione culturale. Di un film di qualità appena trasmesso in Tv si possono
pubblicare, sulla Home-page corrispondente a quel programma, le recensioni più famose, le
biografie degli attori e del regista, le foto di scena etc. Un'intervista televisiva a un
filosofo o a uno scienziato di chiara fama - di cui non si è potuto trasmettere che tre o
quattro minuti - può essere pubblicata integralmente e anche nella lingua originale in
maniera tale che il telespettatore, passando su Internet, possa leggersela, stamparla e
conservarla. Inoltre tra gli spettatori di quel programma si può aprire una discussione
in Rete.
Domanda 6
La sociologia dei mezzi di comunicazione concepisce la storia dei media soprattutto come
storia delle tecnologie e del loro progresso. Questo determinismo tecnologico è
probabilmente una causa non secondaria della "inclinazione totalitaria" a cui
faceva cenno. Che cosa dire di questa visione "mediacentrica" che assolutizza
questa storia e la dispone all'interno di un microuniverso mediatico chiuso in se stesso e
autoreferenziale?
Risposta
Visti da una corretta prospettiva - la Storia nel suo insieme - i media risultano privi di
una "natura" propria e si rivelano invece storicamente determinati da una storia
che non sempre è lineare bensì conflittuale e dialettica. Ad esempio, come abbiamo
visto, - e come meglio vedremo in seguito - il rapporto fra la televisione e Internet non
è di continuità - come lo è stato quello tra radio e televisione -, ma di
contrapposizione; anzi si potrebbe dire che la Rete sia nata per bilanciare la Tv, per
temperarne gli effetti e soprattutto per ridimensionare la forza che essa ha creato: il
"popolo della televisione". Il mondo che partorisce la radio e la televisione è
caratterizzato dalla presenza di stati nazionali forti, dalla "mobilitazione
totale" - sperimentata nel corso della prima guerra mondiale -, dal suffragio
universale e dalla esplosione della pubblicità come forma di persuasione di massa. E' per
questi motivi storici - e non per una "natura" intrinseca al medium - che gli
apparati televisivi assumono la forma soggiogante, unidirezionale e pervasiva del
broadcast (comunicazione uno-a-molti, indiscriminata), che esclude per principio qualsiasi
forma di interlocuzione. Internet, a sua volta, è l'equivalente, sul piano della
comunicazione, del processo di globalizzazione in atto in economia, è l'espressione di un
mondo unificato dalla supremazia della economia sulla politica e sugli Stati-nazione.
(Questo non vuol dire, ovviamente, che Internet sia una "sovrastruttura" della
globalizzazione, ma soltanto che esiste una corrispondenza tra i fenomeni di una stessa
epoca storica che prescinde dalle dinamiche interne alle singole storie parziali - e in
particolare a quella delle tecnologie). Dopo la caduta del muro di Berlino sono venute
meno le motivazioni storiche e politiche che imponevano la unidirezionalità dei mass
media e un'interattività, quella del telefono, circoscritta soltanto alla sfera del
privato. Oggi esistono le condizioni per la creazione di uno spazio pubblico di
comunicazione "colta", cosmopolita e intradisciplinare, che risponda alle
esigenze di quei ceti intellettuali fortemente penalizzati dai media tradizionali. In
questo senso Internet, quand'anche non esistesse già, sarebbe certamente inventata, anche
perché la televisione, seppure tematica e non più generalista, seppure internazionale e
"interattiva", resta comunque uno strumento del tutto inadeguato per garantire
una reciprocità effettiva che consenta a tutti di dialogare con tutti. Oltre tutto, se
miracolosamente ciò dovesse verificarsi, la televisione, semplicemente, non sarebbe più
la televisione. Abbandoniamo, dunque, una prospettiva "mediacentrica" e
disponiamoci in un campo gravitazionale più vasto: scopriremo allora che dietro le quinte
dell'Information Technology (Web Tv, Video-on-demand, Real-audio etc.), cioè
televisione-che-diventa-Internet o Internet-che-diventa-televisione, sta accadendo
qualcosa di cruciale importanza che riguarda le modalità di formazione delle classi
dirigenti. Per spiegare questo processo è tuttavia necessario un salto all'indietro di
qualche secolo, scavalcare la televisione e la radio, il telefono e il cinema, e ritornare
al tempo in cui la stampa da semplice tecnologia diventa apparato editoriale. Lì, nella
galassia Gutenberg, troveremo anche il vero ascendente della ragnatela che avvolge tutto
il mondo.
Domanda 7
Quali sono i presupposti storici, politici e sociologici che hanno influenzato fortemente
la storia dei mezzi di comunicazione di massa? E, viceversa, quanto questi ultimi hanno
contribuito al loro svolgersi?
Risposta
Nella seconda metà del XVII secolo si va costituendo in Europa, la sfera dell'opinione
pubblica. Una borghesia ancora sostanzialmente priva di potere politico, ma in forte
ascesa nella società civile, rivendica il controllo sulle decisioni dei re e dei
governanti. La circolazione dei giornali, l'abolizione dell'istituto della censura
preventiva e la diffusione dei club, sono gli avvenimenti che consentono la formazione
dell'opinione pubblica borghese. La sfera dell'opinione pubblica è decisamente ristretta:
capitani d'industria, ricchi commercianti, liberi professionisti, intellettuali. Non a
molti è concesso il privilegio di pubblicare articoli, e solo alcuni fra i sudditi, gli
alfabetizzati, sono in grado di leggerli. E pure, intorno a questo piccolo focolaio di
irrequietezza culturale, si radunerà l'intero Terzo Stato che conquisterà il potere nel
1789. Una caratteristica dominante nella sfera della opinione pubblica è l'argomentazione
razionale. Le critiche più acerrime e le invettive più sanguinose sono, sempre e
comunque, il frutto di un ragionamento. Facciamo ora un salto di oltre due secoli.
L'invenzione della radio provoca una rivoluzione nella sfera della pubblica opinione.
Tutti i cittadini possono virtualmente esprimere e rendere pubbliche le loro idee
qualunque sia la loro classe di appartenenza, che sappiano o meno leggere e scrivere. Per
converso i proclami dei governanti possono ormai scavalcare la sfera circoscritta, e
sovente critica, dell'opinione pubblica tradizionale che legge i giornali e si raccoglie a
discutere nei salotti, per giungere direttamente ad un coacervo indistinto, definito, a
seconda delle circostanze e delle convenienze, popolo, pubblico, utenti. L'avvento della
televisione consacrerà e consoliderà questa metamorfosi della figura del cittadino nella
categoria di "gente". Nasce così, nei primi decenni del XX secolo, grazie alla
radio e alla televisione, l'opinione di massa. Ma il fenomeno, sebbene rilevato in vari
modi da autorevoli uomini di scienza e di cultura (Ortega, Reich, Canetti etc.), non viene
assimilato, nella sua complessità, dal mondo politico se non nella forma suggestiva del
"Grande Fratello".
Domanda 8
Lei sta praticamente mettendo in discussione la diffusa convinzione secondo cui la radio e
la televisione abbiano semplicemente prodotto, per effetto di propagazione, un
allargamento della cerchia dell'opinione pubblica. Che cosa distingue, dunque, l'opinione
di massa dall'opinione pubblica borghese?
Risposta
Il problema è questo: se la sfera dell'opinione pubblica è quella che abbiamo descritta
dianzi - una borghesia illuminata, colta e raziocinante, raccolta intorno ai giornali, ai
libri e alle riviste - è lecito parlare ancora di opinione pubblica quando per essa si
intende indiscriminatamente tutte le persone che guardano abitualmente la televisione, e
cioè: il "popolo della televisione"? Non vi è piuttosto uno scarto, una cesura
sostanziale fra l'opinione pubblica e l'opinione di massa non fosse altro che per l'ordine
di grandezza, due ordini talmente diseguali da produrre un salto qualitativo? L'opinione
pubblica è una sfera circoscritta, un'élite di cittadini consapevoli del loro status
sociale, dei loro diritti e dei loro doveri, dotati di coscienza civile e partecipi, anche
se soltanto come spettatori, del dibattito politico in corso. Al contrario l'opinione di
massa rappresenta una sfera pressoché illimitata, dai contorni indefiniti, la cui
consistenza è riconducibile solo alla quantità; un rassemblement di persone privo di
identità in quanto ciascuno dei suoi appartenenti ritiene che la gente siano gli altri.
Ma un'altra, e più radicale differenza oppone i due universi. L'opinione pubblica poggia
infatti sull'argomentazione razionale, sul convincimento, sulla forza del ragionamento,
mentre l'opinione di massa si alimenta della suggestione, della demagogia, della
esteriorità, della visceralità; in una parola, della irrazionalità. Inoltre l'opinione
di massa è disgregata, priva com'è di una coscienza civile, non è in grado di far
valere le sue ragioni mobilitandosi. Essa esprime la sua forza solo nei sondaggi e nei
rilevamenti dell'audience, strumenti peraltro manipolati da altri. Al contrario la sfera
dell'opinione pubblica è coesa, organizzata: al posto di comando di questo dominio
risiedono "poteri forti" che controllano i gangli dell'economia e della finanza,
della stampa e della editoria, della cultura e della scienza. Ma la sua influenza sulle
masse è limitata dal ristretto spazio di incidenza e di circolazione dei suoi mezzi di
comunicazione, da un ordine del discorso troppo articolato e da un linguaggio troppo
complesso. L'opinione di massa creata dalla televisione, al contrario, non ha di questi
vincoli: per formarla e indirizzarla basta avere una forte personalità, conoscere l'arte
della seduzione e dell'intrattenimento, rappresentare un simbolo del successo,
suggestionare, distrarre dalle angustie della vita quotidiana. Chi opera nel campo della
pubblicità conosce bene la distinzione fra questi due mondi e certamente non si affida al
ragionamento per propagandare in Tv un detersivo o una nuova auto. Lo scontro fra queste
due sfere è tremendo: la ragione è opposta alla irrazionalità, la forza dei valori si
piega di fronte ai sondaggi d'opinione che impongono la tirannia di una maggioranza
anonima e volubile. Tutti i programmi politici, soprattutto i più ragionevoli e
realistici devono fare i conti con la sostanziale irragionevolezza dell'opinione di massa.
Nella misura in cui i partiti socialisti e democratici hanno fallito nel compito storico
di affrancare le masse "dalla miseria e dall'ignoranza", sovvertendo la loro
connaturata tendenza ad essere "massa di manovra", queste hanno svolto un ruolo
cruciale in tutte le tragedie politiche che il nostro secolo ha attraversato. Questa
contrapposizione tra suggestione e ragione, populismo e democrazia, conformismo e
ricchezza spirituale, cultura e incultura è, al giorno d'oggi, più antagonista di quella
fra destra e sinistra, categorie comunque interne alla sfera razionale della politica e
delle "scelte libere e consapevoli".
Domanda 9
Si è parlato all'inizio di questa conversazione del rapporto che lega, o che oppone
Internet alla televisione. Una volta superato l'approccio deterministico e tecnologico al
problema dei media, quale significato si può attribuire all'avvento della Rete? E quale
sarà il destino della televisione?
Risposta
Da quel che lei ha detto è facile comprendere su quale versante si collochi
Internet : un medium che richiede una buona scolarizzazione (bisogna saper scrivere
oltre che leggere), una certa dimestichezza con le altre lingue, la conoscenza del
computer e della Rete, e, prima ancora, che si possegga un computer. Insomma tutti
requisiti tipici dell'opinione pubblica contemporanea che ha trovato in Internet, uno
strumento analogo, per selettività e ordine razionale del discorso, a quello della carta
stampata con l'aggiunta della "interattività", cioè di una effettiva e diretta
partecipazione individuale alle discussioni scientifiche, politiche, di costume etc. -
opportunità che la stampa aveva concesso solo in minima parte ai membri della società
civile (pubblicisti). Internet è un'autostrada percorsa dai veicoli più svariati, già
si intravedono alcuni dei vizi che caratterizzano gli altri media di massa e già si
configura come un'immensa fiera di paese; e tuttavia, dopo settant'anni di tirannia
imposta dall'opinione di massa, si è aperto uno spazio reale in cui hanno diritto di
cittadinanza istituzioni pubbliche e private, università e centri di ricerca, biblioteche
e agenzie di stampa, uno spazio in cui l'opinione pubblica può finalmente prendersi la
sua rivincita, soprattutto riprendersi la parola (quella che argomenta e non quella che
seduce), affrancarsi dalla mediazione giornalistica, (che nel frattempo è alquanto
degenerata) e riconoscersi di nuovo come classe "per sé", distinta da
un'opinione di massa che si sorbisce almeno cinque ore al giorno di televisione, e sempre
più sideralmente distante da quei due terzi dell'umanità che non hanno mai fatto una
telefonata in vita loro. Questo spazio "colto" di comunicazione sociale è stato
precluso dalla Tv commerciale, "censurato", umiliato dalle forche caudine della
divulgazione a buon mercato; né le televisioni di servizio pubblico, che pure avrebbero
potuto - e potrebbero (dovrebbero!) - contrastare questa passività omologante, sono
riuscite a contenere le degenerazioni insite in quel modello. La stampa, a sua volta,
anche perché costretta a rincorrere la radio e la televisione ha, progressivamente
abdicato alla sua funzione storica di formazione dell'opinione pubblica come intuisce,
già negli anni trenta, Josè Ortega Y Gasset che lancia un grido d'allarme per denunciare
le conseguenze nefaste della divaricazione fra mondo delle comunicazioni di massa e alta
cultura : "Se l'Europa cammina da tempo con la testa in giù e con i piedi che
sgambettano in alto, ciò è dovuto al fatto che la stampa detiene un potere totale ed è
l'unico potere spirituale. A tal fine l'università deve intervenire nell'attualità come
università in quanto tale trattando temi del momento dal suo proprio punto di vista -
culturale, professionale o scientifico." Purtroppo, per le ragioni che abbiamo
esposto in precedenza, non esistevano, ai tempi di Ortega, le condizioni storiche
(storiche, non tecnologiche) perché il suo appello potesse essere ascoltato. E così
istituzioni solide e secolari come le università, le chiese, le accademie, i club e i
partiti, essenziali per la formazione delle classi dirigenti dell'Occidente, hanno a poco
a poco capitolato di fronte ai mass media: piuttosto che contagiarli ne hanno assimilato
la logica e i valori. Per questo motivo, di fronte a una Tv "che non ammette
repliche", e a una stampa che ha in parte dimenticato la sua nobile origine, Internet
rappresenta quanto meno una speranza, un'occasione per ripristinare, su scala planetaria,
uno spazio pubblico di comunicazione per la cultura, le scienze, l'arte e la politica.
Domanda 10
Dalla sua argomentazione si può trarre la ottimistica conclusione che, per la prima volta
nella storia, è nato un mezzo di comunicazione di massa che non necessariamente subirà
la "tirannia della maggioranza" e che, al contrario, consentirà una diffusione
dei saperi e delle conoscenze di gran lunga superiore alla carta stampata?
Risposta
Ovviamente bisogna stare in guardia dai facili entusiasmi e rifuggire dalle apologie
acritiche; e tuttavia non bisogna neanche lasciarsi disorientare da una visione
pregiudizialmente pessimista che vede in Internet una nuova Babele, un mondo alieno dalla
realtà (cyberspazio) popolato da maniaci o da ex radioamatori, un grande bazar
orchestrato dalle grandi aziende multinazionali delle telecomunicazioni e dell'informatica
- dimenticando che queste ultime, Internet, piuttosto che pianificarla, hanno dovuto
rincorrerla. Né, d'altra parte, bisogna abbandonare, demonizzandola, la televisione al
suo destino - soprattutto quella di servizio pubblico. Spetta anzi agli uomini di cultura,
e prima di tutto agli stessi dirigenti televisivi, il compito di restituire una funzione
civile a questo straordinario mezzo di comunicazione. Il problema sta in questi termini:
fino ad ora, con una parziale eccezione per il cinema che ha prodotto capolavori
straordinari e che senza dubbio ha costituito la forma d'arte più importante del XX
secolo, il confronto fra mass media e mondo della cultura si è risolto in una vittoria
della doxa sull'episteme, del cattivo gusto sul buon gusto, dell'approssimazione sul
rigore, dell'imbonimento sull'argomentazione razionale. Si pone dunque, una questione di
"risarcimento": i nuovi mezzi di comunicazione di massa devono poter appartenere
anche a coloro che svolgono un lavoro intellettuale e alle istituzioni che operano nel
campo della cultura, delle scienze e della politica. Internet, a differenza della TV, non
preclude questa possibilità e soprattutto dimostra una "naturale" affinità con
le istituzioni che curano la formazione culturale e spirituale dei cittadini. D'altronde
non è un caso se le università e i centri di ricerca internazionali siano stati i primi-
e per molti anni i soli - "utenti" della Rete e la chiesa cattolica ne abbia
intuito, già da tempo, le potenzialità. Queste non sono cose di poco conto se è vero,
come è vero, che la formazione della classe dirigente - questione ovviamente complessa e
non riducibile ai mass media - è un problema grave e all'ordine del giorno in tutti i
paesi del mondo. La Galassia Gutenberg è costellata di riviste pornografiche, manuali per
il suicidio e insulse pubblicazioni di ogni genere, eppure grazie alla invenzione della
stampa il sapere umanistico, scientifico e tecnico che, per secoli, è stato relegato
nelle biblioteche, nei laboratori e nelle botteghe artigiane, ha potuto diffondersi, in
modo capillare, in ogni angolo del mondo. Una analoga rivoluzione, ancora più eclatante,
può verificarsi con le reti telematiche. Certo, affermare che Internet sia potenzialmente
la Encyclopédie del XXI secolo può sembrare azzardato, ma poiché, in linea di
principio, non lo si può escludere, mi fa piacere sperare che ciò possa accadere. La mia
impressione è che stia per nascere, sulle ceneri della vecchia opinione pubblica, uno
"spirito pubblico", una nuova coscienza pubblica.
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