INTERVISTA:
Domanda 1
Può darci una definizione del concetto si di 'avanguardia'?
Risposta
Credo che la nozione di avanguardia vada inserita nel complesso dei problemi a cui essa
risponde. È un fenomeno artistico e letterario che si è sviluppato soprattutto
nell'ultimo secolo, nel '900 in Europa, e naturalmente non è stata l'unica risposta alla
situazione nuova dell'intellettuale e dello scrittore. Credo sia utile confrontare la
posizione dell'avanguardia rispetto a quelle che sono state le linee principali della
scrittura e dell'arte nel '900, che possiamo probabilmente riassumere nell'idea del
"modernismo", con un termine molto usato dalla cultura americana. Per quanto
riguarda l'Italia questa categoria può sintetizzare l'opera di scrittori come Pirandello,
Svevo, lo stesso Montale; di fronte a un mondo che non dà più certezze, lo scrittore si
pone nella posizione della scrittura dell'angoscia, della crisi, della perdita
dell'identità. E questo lo fa lo scrittore modernista riprendendo, in fondo, il
linguaggio che trova nella tradizione. L'avanguardia fa un passo avanti, ponendosi il
problema del linguaggio stesso; l'autore d'avanguardia non rappresenta l'alienazione ma
sostiene che anche il linguaggio che può raccontare l'alienazione, che può parlare
dell'alienazione, è a sua volta alienato. Questo determina diversi meccanismi di messa in
questione del linguaggio; le prime avanguardie, le avanguardie storiche dal futurismo al
surrealismo, cercano nuovi linguaggi. I futuristi russi cercano addirittura un linguaggio
transmentale che si ponga al di fuori dell'alienazione del parlare comune. Questi sono
tentativi eroici, che oggi appaiono ingenui, come quello dei surrealisti di avere una
scrittura automatica che metta immediatamente a contatto con l'inconscio, come zona più
autentica della propria individualità. Le avanguardie hanno, in seguito, avuto uno
sviluppo nella seconda metà del '900, in cui agli aspetti provocatori di quella che è
stata, se vogliamo dir così, la "prima ondata", si sono sostituiti degli
aspetti più riflessivi delle nuove avanguardie; tuttavia, queste ultime, non sono un
fenomeno soltanto italiano, ma si possono collegare ad altri gruppi francesi, si possono
collegare alle esperienze tedesche, come quelle di Gunter Grass e a uno scrittore come
Beckett. C'è un grande fermento di nuove avanguardie in cui l'aspetto principale che
emerge è un tentativo di maggiore riflessione analitica sul problema del linguaggio, e
anche di rilettura delle avanguardie precedenti. C'è stato, inoltre, il tentativo, in
queste avanguardie, di fare maggiormente i conti con l'alienazione del linguaggio nella
società di massa. Anche le avanguardie di cui stiamo parlando hanno avuto, ovviamente,
dei limiti, e sicuramente oggi ci troviamo di fronte alla necessità di una "terza
ondata" di avanguardia che affronti un problema che, forse, è più stringente di
questo recente periodo. Detto molto in sintesi, il problema è quello dell'importanza
della comunicazione all'interno della società, l'importanza della comunicazione sia come
mezzo di produzione, sia anche come pratica molto vicina alla creazione delle merci: è
attraverso la comunicazione che spesso un prodotto diventa merce.
In funzione di ciò la parola assume un valore molto importante anche dal punto di
vista pratico-economico, e rende molto più difficile l'intervento di una avanguardia che
si trova sicuramente emarginata, perché tanto più è importante il potere sulla
comunicazione, tanto più diventa importante che non si creino dei disturbi a questa
trasmissione di informazioni e, spesso, anche di ordini di linguaggio alienante.
Domanda 2
Può approfondire questa relazione tra avanguardia e comunicazione?
Risposta
Il rapporto tra avanguardia e comunicazione può sembrare quasi paradossale, perché nel
senso comune gli autori d'avanguardia, con le loro eccentricità e con i loro testi non
immediatamente comprensibili, passano per essere degli autori che quasi per principio non
vogliono comunicare. Il lettore comune sostiene: "ma qui non si capisce nulla".
In realtà questa difficoltà dello scrittore d'avanguardia di farsi comprendere non nasce
da una volontà di ritirarsi in una sorta di Olimpo della incomprensione. Se si vuole,
ciò è stato vero per alcune esperienze, ma più proprie del modernismo, in cui questa
sorta di autore aristocratico si chiude nella indecifrabilità del proprio linguaggio. Le
avanguardie -lo dimostrano anche le occasioni pubbliche che esse hanno sempre cercato,
dalle serate futuriste ai cabaret dadaisti, fino ai convegni delle nuove avanguardie del
gruppo 63-, hanno cercato il momento collettivo, quindi il momento della comunicazione.
Tale comunicazione, però, è una comunicazione che parte dalla percezione che il pubblico
non costituisca un dato assoluto, ma che, viceversa, esso sia qualcosa di diviso, di
socialmente diviso, rispetto al quale lo stesso messaggio -chiamiamolo così- deve
produrre divisione. Ci deve essere una sorta di scontro con il pubblico in cui devono
nascere diverse posizioni, in un affrontamento di posizioni nel pubblico. Questo aspetto
provocatorio nelle prime avanguardie è abbastanza evidente; nelle seconde avanguardie,
quelle che hanno cercato la riflessione -tant'è vero che la loro forma organizzativa è
stata soprattutto quella del convegno, non più quella della serata, quindi non più
quella dell'affrontamento, d'urto con il pubblico- si tende a creare una comunicazione
che, però, non definirei difficile, quanto del "disturbo", di disturbo del
senso comune. Il senso comune non si accorge che la comunicazione di cui si ciba è una
comunicazione disturbata perché produce soltanto il ripetersi, la conferma di nozioni
povere e di nozioni già possedute. L'avanguardia, viceversa, tende a suscitare problemi;
questo disagio, dunque, è un disagio essenzialmente di tipo produttivo e vitale proprio
nel senso della comunicazione. Non dimentichiamo che il termine comunicazione significa
mettere qualcosa in comune, e questo "qualcosa" in comune deve avvenire da
entrambe le parti; non è semplicemente la trasmissione in cui qualcosa avviene come in
una catena, cioè trasmesso, dato al destinatario e, in qualche modo, imposto al
destinatario. Ho l'impressione che, molto spesso, quando si parla di comunicazione si
parli esattamente di questa trasmissione che impoverisce, appunto, il rapporto
comunicativo.
Domanda 3
Attraverso la sua lettura delle avanguardie come fenomeno artistico-letterario che
vogliono produrre una "poetica del disturbo", ritiene che possa determinarsi un
parallelo con le nuove tecnologie che attraverso uno smontaggio del sistema tradizionale
di comunicazione, interrompono una normale fruizione delle informazioni?
Risposta
L'avanguardia ha sempre avuto di mira l'innovazione rispetto alle forme consacrate della
scrittura e dell'arte, ed in questo senso ha sempre cercato di pluralizzare la sua
espressione. Spesso l'arte si è feticizzata, si è legata, cioè, ad una sola forma
espressiva che diventava canonica. L'avanguardia vuole rompere questa unicità della
forma, e per questo sceglie il plurilinguismo, la pluralità dei linguaggi. In questo
senso le avanguardie hanno sempre avuto come scopo quello di creare un rapporto con delle
nuove forme di espressione, anche tratte dalle innovazioni tecniche. Esse dovevano infatti
rapportarsi con la nuova situazione culturale del presente determinata dalle nuove
situazioni sociali ed economiche, ma anche con una innovazione tecnologica che in queste
sfere diventava sempre più importante. In questa prospettiva è abbastanza interessante
quello che può essere avvenuto nella sfera teatrale: la mescolanza di momenti espressivi,
il rapporto, per esempio, che, in un certo teatro d'avanguardia, è stato fatto dei
filmati ha contribuito a destrutturare l'unicità espressiva. Probabilmente anche le nuove
forme di comunicazione tecnologica che attualmente vediamo potranno essere utilizzate da
una avanguardia del futuro, ed io credo che sarebbe molto interessante vedere le ipotesi
di avanguardia che utilizzino in maniera straniata queste nuove possibilità tecniche,
utilizzarle anche al di là della loro unicità di cui sono portatrici. Noi vediamo anche
che alcune forme, le stesse reti informatiche, tendono ad essere dei luoghi in cui c'è
tutto e in cui, in fondo, l'utente tende ad essere rinchiuso. Probabilmente questi mezzi
tecnici hanno delle potenzialità nella misura in cui potranno essere usati anche al di
fuori di questa tendenza alla chiusura; con una inversa tendenza, anzi, alla apertura e
alla mescolanza con altre forme.
Domanda 4
Benjamin definì l'opera d'arte come riproducibile, almeno intuì nella riproducibilità
tecnica dell'opera, una forma dell'opera nel contemporaneo. Cosa era per lui la
riproducibilità tecnica dell'opera d'arte, e quanto rimane adesso di questa sua
intuizione, proprio in questo periodo in cui le tecnologie digitali portano al loro
estremo la possibilità di riproduzione degli oggetti artistici fino a creare dei veri e
propri cloni?
Risposta
Il saggio di Benjamin "L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità
tecnica" può essere visto sicuramente quasi come una prefigurazione di queste
nuove tecniche di riproduzione che possono ormai rendere disponibile, se non a tutti,
comunque in larga misura, alcune opere d'arte che invece prima, come dice lo stesso
Benjamin, potevano essere soltanto ammirate nel loro originale e là dove esse erano. E il
discorso che Benjamin fa nel saggio è mosso soprattutto dalla contestazione della
sacralità dell'arte, ciò che lui chiama il valore "cultuale" al quale Benjamin
contrappone il valore espositivo; il momento in cui l'arte è messa a disposizione di
tutti non ha più questa lontananza inattingibile rispetto al suo fruitore e, in qualche
modo, può essere passibile di una fruizione democratica. Questa elaborazione beniaminiana
sicuramente ci può far riflettere sulla situazione odierna; si può, in qualche modo,
proiettare sulla situazione odierna, la quale, però, è diventata abbastanza diversa da
quella in cui Benjamin si muoveva. Vale a dire che, da un lato, noi abbiamo un valore
artistico sacrale, che in qualche modo sopravvive e in un certo senso accentua addirittura
la propria distanza dal presente e si offre quasi come un rifugio rispetto alla barbarie
del presente. Dall'altra parte noi abbiamo una riproduzione che soltanto apparentemente
sembra rivolta a tutti, addirittura potrebbe arrivare molto presto alla manipolabilità
dell'opera in cui la differenza tra l'originale e la copia verrebbe addirittura annullata:
chiunque potrebbe farsi la sua opera a partire da una determinata copia, e in fondo, i
baffi della Gioconda che fecero i Dadaisti chiunque li potrà realizzare su
qualsiasi opera. Io credo che non si dovrebbe neanche cadere in una eccessiva importanza
di questa disponibilità e di questa libertà, poiché credo che questa libertà di
intervento e di manipolazione contenga ancora dei forti limiti, e sia una libertà
soltanto apparente perché non si danno nello stesso tempo i mezzi per operare una vera
critica del passato; anzi, in fondo, si annulla la stessa storicità dei materiali che
vengono utilizzati. Si tratta di una operazione che rischia di essere un invito non alla
consapevolezza ma, al contrario, all'incoscienza dei valori con cui ci si trova ad avere a
che fare. Su questo punto si ricrea una sorta di nuova aura tecnologica per cui il valore
di queste manipolazioni è dato dall'avere potuto utilizzare dei mezzi tecnici quasi
miracolosi riproponendo un'aura diversa da quella a cui pensava Benjamin, ma forse un
valore cultuale che non è più riferito all'oggetto quanto esattamente al mezzo che si
adopera. In questa prospettiva è necessario, credo, operare una nuova trasposizione della
prospettiva benjaminiana proprio per vedere dove e in quale punto noi riusciamo a rendere
esattamente produttivo il nostro rapporto con l'arte, con il patrimonio artistico e anche
con il passato, senza cadere né in una sorta di venerazione tutta quanta nostalgica del
passato e neppure in questa illusione che non esista più differenza e alterità storica e
che nel presente siamo in grado, illusoriamente, di manipolare tutto con una libertà che
in realtà non abbiamo.
Domanda 5
Sempre a proposito di Benjamin, negli Stati Uniti si sta rivalutando l'opera e la figura
di Walter Benjamin, probabilmente in chiave diversa da quella a cui Lei fa riferimento,
soprattutto nella possibilità di associare il frammento benjaminiano con questa
frammentazione dell'informazione che è intrinseca, probabilmente, a questo mezzo di
comunicazione che è Internet, che è la rete. È corretta questa associazione, e se ci
sono delle differenze quali sono?
Risposta
Riguardo alla ripresa di Benjamin da parte degli americani, c'è da dire che questo
pensatore, scrittore, critico, è talmente eccentrico e, se posso dire, talmente grande
che è possibile ritagliarlo in diversi modi. E ciò è avvenuto molto spesso, non solo in
questi ultimi tempi, non solo da parte del decostruzionismo americano. Per quanto mi
riguarda, l'aspetto di Benjamin che più mi interessa è proprio questa sua spinta a
cercare nella discontinuità della storia e anche nella discontinuità delle cose nel
presente, dei momenti che siano produttivi, cioè vitali, che producano degli effetti di
scontro e di innovazione.
Per quanto riguarda il parallelo del frammento Benjamiano con la navigazione in
Internet, sicuramente ci possono essere delle analogie e sono le analogie che nascono da
una certa percezione del moderno, della città moderna, e che si riverberano nelle nuove
tecniche che non sono nate dal nulla, ma che, esattamente da questa modernizzazione,
provengono, si prolungano e intensificano i dati di essa. Nel frammento benjaminiano, per
quanto riguarda la percezione della città che Benjamin ha inserito nella sua lettura di
Baudelaire e quindi della Parigi capitale del XIX° secolo, vista attraverso le poesie di
Baudelaire, esattamente c'era questo accorgersi che Benjamin leggeva in Baudelaire che la
città moderna si trasforma e forse è la prima volta in cui l'uomo si trova a vivere
tutta la vita in uno spazio che cambia, quindi non ha più questa sorta di solidità del
proprio luogo. La lettura della città, a quel punto, è esattamente una lettura degli
strati diversi, storicamente diversi della città, in cui dei residui, delle parti possono
venire come incontro all'osservatore, che quindi li scopre esattamente come segni della
discontinuità dello spazio che corrisponde a quel punto anche a una discontinuità del
tempo. E lo sforzo benjaminiano è quello di raccogliere il significato di questi
frammenti e in qualche modo di riattualizzarli, cioè di renderli di nuovo efficaci
attraverso appunto l'immaginario, attraverso lo scontro poi che questi frammenti hanno
nell'immaginario dell'osservatore. Infatti poi Benjamin parla di un'esperienza dello
shock, quindi di urti continui che ha questo personaggio che passeggia, che cammina nella
città. E parla anche poi in questa grande ricerca su Parigi, esattamente di una sorta di
strategia del risveglio. Ecco, i frammenti sono questi oggetti ridotti in pezzi, ma questi
pezzi che attendono di essere risvegliati. In un altro foglio che Benjamin scrisse
riprendeva la favola de La Bella addormentata, è come se appunto l'oggetto stesso fosse
in questo sonno e attendesse il risveglio. Nel caso della navigazione su Internet nostro
compito è quello di domandarci fino a che punto ci sia questa strategia degli urti e
questa strategia del risveglio. Il frammento del messaggio informatizzato si collega
sicuramente ad una esperienza che ormai si può fare soltanto attraverso parti
miniaturizzate senza avere subito questa illusione della totalità. Temo che questa
navigazione possa ricostituire in qualche modo una sorta di totalità minore,
semplicemente scartando tutto ciò che le può creare delle difficoltà. Occorre che anche
in questa navigazione ci siano dei segnali direzionali che aiutino ad andare incontro a
una sorta di strategia del risveglio, aiutino a cercare i frammenti rimossi, quello che
nel sapere ufficiale è stato nascosto, è stato fatto ammutolire. Ecco, senza una
strategia di questo tipo, c'è il rischio che ciò che appunto ha poca voce in questa
sorta di immensa galassia, rimanga in qualche modo nascosto, non venga toccato da questi
percorsi se questi percorsi sono guidati semplicemente da una sorta di fruizione
edonistica, che quindi si rifiuta al negativo, si rifiuta a quello che può disturbare la
sua delibazione, in qualche modo, del già noto.
Domanda 6
Quale può essere il rapporto fra le diverse tecniche in rapporto alla modernità. Anche
in questo campo la riflessione di Benjamin fu oltremodo puntuale e acuta.
Risposta
Benjamin ha della tecnica l'idea che essa offra una chance rivoluzionaria. Ma questo non
vuole dire che la tecnica sia, in quanto tale e nella sua stretta logica, rivoluzionaria.
Significa che può essere utilizzata in modo rivoluzionario e quindi produttivo, può
essere sviluppata nel senso del valore espositivo, cioè di una comunità di intenti, può
incarnare un uso democratico. Benjamin però vedeva anche un uso distruttivo della
tecnica, che per lui in quel momento, appunto negli anni '30 era costituito soprattutto
dalla minaccia della guerra. Egli vedeva il rischio che le forze messe in campo dalla
tecnica siano deviate nei fiumi delle trincee, creando quindi morte e distruzione. La
realtà gli darà una tristissima conferma. Quindi c'è questa sorta di doppia strada che
dalle scoperte tecniche si diparte e la scelta di uno dei due percorsi è data dalla
decisione della società di privilegiare alcune funzioni piuttosto che altre. Un altro
punto che Benjamin mette in luce è la possibilità che questi ritrovati tecnologici
portino ad una estetizzazione della politica alla quale contrappone proprio nelle righe
conclusive del suo saggio, la politicizzazione dell'arte. Questo sarebbe esattamente il
riformarsi attorno alle meraviglie della tecnologia di un'aura sacrale, sia pure diffusa e
quindi anche una estetizzazione, cioè un prendere semplicemente come momenti percettivi
queste innovazioni della tecnica. Sicuramente anche la navigazione nella rete informatica
può essere presa come la ricerca di nuove percezioni, la curiosità magari per incontri
nuovi. Benjamin mette in guardia verso questa estetizzazione e, probabilmente, c'è da
cercare una dialettica tra questa percezione del nuovo e la riflessione sul nuovo. Un
semplice abbandono percettivo può poi portare una sorta di indifferenza, qualsiasi
tassello di questa immensa rete è uguale e noi ci perdiamo, naufraghiamo all'interno di
questa molteplicità. Invece sarebbe necessaria una dialettica tra il momento riflessivo,
quindi l'apporto della coscienza, e il momento del risveglio e il momento della
percezione.
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