INTERVISTA:
Domanda 1
Può illustrarci il progetto Parco Navi che dovrebbe realizzarsi tra qualche tempo alla
città di Cattolica?
Risposta
Il Parco Navi è un progetto che nasce da un caso abbastanza fortuito: si tratta di un
gruppo di edifici di architettura futurista unico in Italia, costruito negli anni Venti a
Cattolica, nella Riviera romagnola. Questa di cui stiamo parlando è una struttura
straordinaria: una flotta di navi assolutamente straordinarie, in pietra, che sta
effettuando una navigazione virtuale, perché le navi sono a terra; queste costruzioni
rappresentano la grande visionarietà e la grande intelligenza architettonica del
movimento futurista. Queste strutture, costruite negli anni Venti, erano assolutamente in
stato di degrado poiché la loro manutenzione è molto costosa. Fino ad oggi le
costruzioni sono state utilizzate come colonia per ospitare i figli degli italiani
all'estero. Adesso la struttura è talmente obsolescente che è stato promosso un appalto
per la ristrutturazione dell'opera e sono stati presentati vari progetti. Il Comune di
Cattolica aveva chiesto me come visionista e ad alcune aziende private la loro
collaborazione per mettere in piedi un progetto: abbiamo, quindi, proposto una sorta di
parco museale - però la parola "museale" la sottolineerei meno - sul mare,
sulla vita di mare. In realtà, la vera scommessa su questo tipo di progetto è la
creazione di un ambiente intelligente costituito da stanze naturalistiche: una parte del
museo sarà totalmente dedicato alla flora e alla fauna del mare, quindi tutti i tipi di
specie viventi di pesci nel Mediterraneo e nell'Adriatico, e l'altra metà del parco sarà
una visualizzazione, una rappresentazione, una simulazione e un monitoraggio della vita
marina attraverso le alte tecnologie della rappresentazione, che va dall'evoluzione della
realtà virtuale, che dal casco passa alle "v-room", alle "camere
virtuali", capaci di ospitare anche una decina di persone. Esse non eliminano il
corpo nella rappresentazione, ma, attraverso il casco, la percezione del proprio corpo in
parte sparisce. La "camera virtuale", l'evoluzione invece, immette in un
ambiente artificiale, ma il corpo rimane. L'esperienza, dunque, rimane del proprio corpo
in un ambiente sintetico. In questa direzione il progetto diventa una sorta di Biosfera
due. Biosfera era la città sperimentale costruita nel deserto americano, che doveva
servire alla simulazione della vita terrestre sulla luna. Noi prendiamo il mare come una
sorta di elemento alieno del pianeta, perché pochissimi umani conoscono bene la vita del
mare, l'acqua come risorsa, quello che l'acqua potrebbe rappresentare e che veramente
rappresenta: il fatto stesso che sia fondamentale per la costituzione del nostro corpo. E
pochissimi ancora conoscono bene la vita del mare e quanto sia importante per costituire
una biosfera, un pianeta veramente pulito, anche fuori dal mare, poiché esso è un
elemento di equilibrio straordinario. Noi vogliamo creare, in questo senso, un ambiente
intelligente, una forma di progetto guardiano, che tenga monitorato in tempo reale lo
stato dell'arte, dell'acqua, del mare, della flora e della fauna. Allo stesso tempo
abbiamo innescato un meccanismo di divulgazione, che produrrà, si pensa, un rientro
economico talmente forte da poter produrre una ricerca altrettanto importante. Oggi, come
tutti sappiamo, la ricerca universitaria, accademica, ha subito ulteriori tagli, e anche
quella delle aziende italiane è ai minimi termini. Noi ci proponiamo, attraverso un
connubio forte tra divulgazione e ricerca, di permettere al mondo scientifico, accademico
e al mondo del divertimento di fondersi, creando un turismo molto più culturale. Io sono
convinto che il turismo del XXI secolo sarà un turismo culturale, il quale produrrà una
destagionalizzazione del turismo italiano; in questo caso, la provetta più in
ebollizione, per così dire, del turismo italiano, è la Riviera romagnola. Il
"divertimentificio" potrebbe diventare un "culturificio" del
divertimento o un "divertimentificio" della cultura. Io mi auguro ciò perché
credo che sia la più grande risorsa italiana in assoluto in questa era della
comunicazione, dell'informazione, nell'era dell'ideologia e della facilitazione, che fa
passare anche delle cose abnormi e disprezzabili. Credo, inoltre, che l'Italia debba
puntare moltissimo sulla cultura come veicolo di un rilancio anche economico, in grado di
produrre una quantità di posti di lavoro non indifferente. Noi, per esempio, in questo
progetto, produrremo 250 posti di lavoro fissi e 150 posti di lavoro stagionali per il
primo anno, per un investimento che si muove attorno ai sessanta miliardi. Lavoriamo con
partner tecnologici di altissimo livello: la Silicon graphics che, a mio avviso,
rappresenta il "top" mondiale della produzione hardware e software,
l'avanguardia nella ricerca e nella produzione computerizzata. Grazie alla Silicon
graphics riusciremo a costruire , all'interno del parco, un centro di produzione
multimedia di valore mondiale, perché avremo vari onyx, avremo le macchine migliori,
potremo produrre e fare scuola ed insieme alle università fare pedagogia, propedeutica e
insegnamento. Si potrà realizzare ciò grazie al rientro economico dovuto, appunto, anche
alla divulgazione spettacolare dei dati. Per esempio, noi abbiamo un padiglione di
monitoraggio satellitare dei dati di erosione delle coste, di stato salinico dei mari, che
visualizzeremo in tre-D. Questo padiglione diventerà altamente spettacolare per la sua
forza di impatto visiva e abituerà, soprattutto i bambini - perché noi dobbiamo parlare
alle menti vergini -, a divertirsi e ad imparare allo stesso tempo. Io credo che il grande
segreto delle tecnologie stia nel fatto che nel momento in cui ci si diverte, si sta anche
imparando a muoversi in un ambiente dove il corpo, soprattutto il corpo umano, deve
adattarsi a situazioni nuove; per questo motivo ritengo che sia estremamente stimolante,
anche se non bisogna mai esagerare: i bambini non possono essere lasciati davanti al
computer, perché non hanno ancora una capacità critica di capire, quanto, come, dove e
perché e quante forze bisogna dedicare a questo tipo di apprendimento.
Domanda 2
Paradossalmente le tecnologie -quanto di più lontano dalla natura- riavvicinano l'essere
umano ad essa. Credi che sia un esperimento esportabile anche in altre esperienze?
Risposta
Io credo che stia tragicamente finendo - anzi, forse questa fine è una tragicommedia -
l'era dell'industria, poiché essa ha portato una sorta di regole evolutive legate
essenzialmente al mercato selvaggio, di cui il capitale ha bisogno: mercati sempre più
ampi, una sorta di corsa alla saturazione del prodotto, quindi ad un antagonismo selvaggio
e molto più lento. Io credo che l'avvento delle nuove tecnologie dell'era dell'industria
sia paragonabile ad un prodotto di emergenza in grado di creare nuove condizioni sul
pianeta. La tecnologia computeristica è una teoria che chiede una maggiore organizzazione
sia industriale che socio-culturale, perché si tratta di una struttura che non produce
come un magazzino: non produce mille per vendere mille. Essa è un tipo di tecnologia che
produce una ricerca e se nell'ambiente servono cento prodotti specifici, vende cento di
questi prodotti; si tratta di un tipo di tecnologia a cui serve, per così dire, un
ambiente intelligente, la quale, finalmente, cala l'utente nel contesto che, a sua volta,
diventa importante tanto quanto il testo. Il lettore diventa importantissimo, ma anche il
testo che egli legge diventa molto importante. La nuova tecnologia, quando ben utilizzata,
diventa molto importante nei confronti dell'organizzazione. Altrimenti essa è in grado di
produrre dei guasti irreversibili, non interpretabili dall'uomo; e, in questo caso,
secondo le nuove teorie dell'evoluzione, il tipo di specie o il tipo di organismo che non
fosse in grado di leggere e interpretare l'ambiente, il contesto in cui è calato, si
estinguerebbe. In questo senso credo che l'umano stia creando un ambiente sintetico molto
forte, ed è molto importante mantenere un controllo e una capacità adattiva di lettura
nei confronti di questo contesto: se l'umano creerà un contesto altamente tecnologico,
talmente complesso da non poter essere letto, esso potrebbe estinguere l'umano in tempi
molto brevi. E credo che questo tipo di estinzione non avvenga per sottrazione ma per
sovrappopolazione: l'umano, cioè, potrebbe estinguersi per eccessiva presenza di
tecnologia sul pianeta, come accade con gli oggetti di Duchamp. Duchamp rendeva una ruota
di bicicletta e la poneva all'interno di una galleria d'arte; il messaggio che egli voleva
trasmettere era: questo oggetto meraviglioso all'interno dell'evoluzione umana noi non lo
vediamo più, non ne scorgiamo più la bellezza, perché lo vediamo troppo. Il troppo
vedere fa sparire la qualità della visione. In questo senso credo che anche l'uomo possa
sparire, proprio a causa di un eccesso di presenza degli oggetti tecnologici. In questo
senso, lo studio dell'ambiente marino potrebbe essere, a mio avviso, esemplare, perché
tra le cause della probabilistica estinzione umana, ci sono i virus e l'acqua. Se noi non
rispettiamo l'ambiente dell'acqua per convivere con essa in maniera adattiva, si
potrebbero incontrare delle sorprese bruttissime. Il nostro progetto si sta già
interfacciando con altri progetti in tutto il mondo, come con l'Acquario di Monte Rei, con
l'Acquario di Montecarlo e con quello di Bordeaux. Inoltre siamo già stati invitati
all'Expo che si terrà in Portogallo tra due anni, un Expo mondiale di immenso valore per
quanto riguarda i progetti legati al mare e all'acqua. Io credo che l'incontro in
Portogallo segnerà una fase importantissima, un po' lamarckiana, nel senso che nel
momento in cui ci si porrà la domanda sulla condizione dei mari, probabilmente il loro
stato ecologico avrà già superato le risposte che noi daremo. Sarà comunque un momento
importantissimo per capire a quale punto è arrivato il rapporto tra l'umano e questo
bio-sistema, l'acqua, che è assolutamente e imprescindibilmente fondamentale per la
nostra vita su questo pianeta.
Domanda 3
E' determinante l'intervento del settore pubblico per quanto riguarda le nuove tecnologie?
Credi che sia necessario pensare ad una forma, ad sorta di new deal tecnologico, in cui lo
stato possa garantire le tecnologie?
Risposta
Questa è un'ottima domanda. La scelta strutturale, finanziaria che è stata fatta
all'interno di un progetto come questo, in ambito europeo è molto ambiziosa. Negli Stati
Uniti risulterebbe un progetto di media valenza. Abbiamo scelto una forte connessione tra
pubblico e privato, dove però il privato costituisce la parte maggiormente coinvolta da
un punto di vista finanziario. Io credo che il pubblico debba permettere al privato, dopo
aver preso le informazioni necessarie per conoscere tutte le misure cautelative del caso,
di valorizzare i beni di cui è a disposizione, che sono assolutamente immensi. Io credo
che l'ambiente intelligente che si auto-organizza nel miglior modo possibile rende
obsolete tutte le intolleranze, perché non pagano la crescita evolutiva dell'ambiente. In
questo senso noi abbiamo ragionato con il settore pubblico e con l'amministrazione di
Cattolica, che credo sia in Italia, in assoluto e fuor di metafora, tra quelle più
motivate e più aperte. Questo è il momento in cui si può ragionare in questi termini:
di progettare, alla base, ambienti intelligenti, ambienti che siano in mutua connessione,
che non facciano crescere a dismisura un aspetto invece di un altro, che non privilegino
un aspetto invece di un altro. Sono convinto che noi rappresentiamo uno dei primi progetti
che rivoluziona il concetto di profitto. Nel vecchio mondo del capitalismo industriale il
profitto era assimililabile al guadagno personale: c'è chi guadagna, chi guadagna meno e
c'è chi perde. Nel nuovo mondo delle tecnologie questo concetto va cambiato, nel senso
che qualunque struttura sia in grado di guadagnare, deve far guadagnare l'environment, il
contesto che ospita e che fa crescere evolutivamente il progetto che viene ospitato.
Domanda 4
Può raccontarci l'esperienza del net day, alla quale ha dato vita a Modena nel 1994 e poi
che ha ripetutto nel 1995?
Risposta
Modena due anni fa.... è interessante questa cosa. Siamo nel 1996 e parliamo del 1994. In
realtà, come percezione dell'evento, io potrei anche parlare, in questo momento, del
1973, perché è impressionante come due anni sono passati tecnologicamente con
un'accelerazione spaventosa. In fondo il vero crash è in questa accelerazione fuori
controllo. Due anni fa, infatti, si parlava di Internet come di qualcosa di veramente
alieno. Due anni fa si svolse la Festa Nazionale dell'Unità a Modena e mi fu chiesto di
organizzare qualcosa che riguardasse le tecnologie. Questo, almeno per quanto mi riguarda,
non esprime nessun tipo di appartenenza o valenza politica. Benché io allora avessi
scritto un ipertesto, rivolsi l'interesse a qualcosa di fortemente pubblico: realizzai il
primo convegno nazionale su le BBS e i provider di Internet. Vi parteciparono 45-50
persone. Oggi ne verrebbero probabilmente 5.000 o 45.000; probabilmente ne verrebbero meno
di BBS, nel senso che le BBS cioè le Banche Dati praticamente pubbliche stanno in parte
scomparendo. Credo che rinasceranno molto presto per una serie di motivi, ma di Internet
provider ce n' erano tre: il comune di Bologna, Italia On Line, che doveva ancora nascere
tra l'altro, e che prima di nascere sollevò un polverone impressionante di polemiche, e
il Comune che stava per mettere in piedi quella che sarebbe diventata Mo net, Modena
Network. Il net day nasceva all'interno della logica della costruzione e della
realizzazione della città come ipertesto: costruire una grande mappa ipertestuale della
città, completamente interattiva, il "famoso" ambiente intelligente monitorato
come Biosfera Due, la città simulativa nel deserto americano della vita sulla luna. Il
net day fu un incontro veramente pionieristico. L'ufficio stampa mandò indietro
addirittura alcuni giornalisti, perché alla domanda: "dov'è il Convegno su
Internet?", gli addetti rimanevano sconvolti, dicendo che non sapevano neanche di
cosa si stava parlando. E fu veramente un fatto straordinario: allora si parlava di
Internet senza sapere di che cosa veramente si stesse parlando. Nell'arco di tempo di due
anni Internet è diventata, probabilmente, la cosa di cui si parla di più in assoluto.
Devo dire che il net day è stato forse il momento più divertente all'interno di questa
festa, perché tutti i creativi si unirono lì. In fondo, questa esperienza rimane uno dei
ricordi più interessanti di questo tipo di organizzazione culturale degli eventi, perché
rappresentò una sorta di esplosione di una provetta batteriologica. E come tutte le cose
casuali, che nella scienza hanno avuto un'importanza fondamentale, il net day ha creato
una serie di progetti veramente interessanti, proprio perché si incontrarono fisicamente
tante persone.
Domanda 5
Lei fu l'autore di un lavoro teatrale che si chiama "Mini mali", che risale al
1985 e che è stato definito il primo esperimento di teatro cibernetico. Può parlarci di
questa esperienza, forse anche questa, ormai, preistorica?
Risposta
Io ho studiato Antropologia Culturale alla Columbia University di New York per un anno.
Poi, cause imprevedibili e familiari, mi riportarono in Italia. Studiavo all'Università
di Urbino, dove mi sono anche laureato. Al Festival di Polverigi, che rimane uno dei
festival più importanti del teatro d'avanguardia al mondo, c'erano due personaggi, uno
dei quali era Roberto Cimetta, una persona veramente straordinaria, e l'altro Veglia Papa,
i quali organizzavano questo festival. Vi partecipavano tantissimi gruppi straordinari di
teatro-danza e teatro d'avanguardia italiani, come La Gaia scienza e Falso movimento, che
poi fecero anche epoca; non nacquero fisicamente a Polverigi, ma sicuramente Polverigi fu
il luogo dove vennero battezzati. Poi, a Urbino c'era una scuola di grafica molto rinomata
che si chiama "Lisia". A quell'epoca lavoravo come art director e disk jokey
nella discoteca più famosa per quanto riguarda la produzione d'avanguardia d'Europa, che
era l'Aleph Club di Gabicce. Tutte queste cose insieme produssero l'idea di fare un'opera
di sincretismo, di sintesi di queste esperienze effettivamente multimediali, perché si
passava da un campo all'altro con estrema facilità. In seguito, collaborai a scrivere le
sceneggiature testuali quotidiane per un lavoro teatrale, durato due mesi, di performance
giornaliere. In questa occasione conobbi molto bene Bruce Geduldig, il quale lavorava alle
opere audiovisive dei tuxedo moon. Discutendo con lui nacque quest'idea di creare un'opera
multimediale. "Minimali", o "Piccoli dolori", come veniva chiamata,
coinvolse alla fine diversi artisti e produttori, di cui faccio un breve elenco: un gruppo
musicale chiamato "Surprise", di Bologna, che era entrato due volte nelle Hit
inglesi, poi, in seguito, si sciolse. Come tutte le esperienze creative italiane
dell'epoca, prendevano corpo per poi dissolversi a causa di problemi di diversa natura.
Forse non si credeva abbastanza in ciò che si faceva. "Igort", invece, che
ritengo sia uno degli artisti più importanti d'Italia oggi, disegna fumetti, ma dipinge
anche e produce dischi. In questo momento in Giappone viene considerato come uno dei
pochissimi artisti italiani degni di lavorare là. Noi sappiamo che i giapponesi sono
estremamente difficili nell' affidare la produzione del loro immaginario a qualcuno che
non sia giapponese o che, comunque, non si avvicini al loro modello di poetica. Poi,
Chiara Boeri, che allora lavorava all'IRCAM e aveva prodotto delle cose anche insieme a
Pierre Boulé nel campo dell'elettronica: produsse una serie di operazioni di tipo
cibernetico e rappresentativo, fortemente visive. Poi, ancora, una serie di architetti,
tra cui Mendini, che aveva prodotto una serie di immagini da realizzare. Il risultato
dell'operazione teatrale era un gigantesco angolo di città, assolutamente utopica, dove
apparivano opere musicali, opere visive, filmati che si amalgamavano in una forma
assolutamente inspiegabile. Noi stabilimmo cinque date, con una media di circa 1500
persone al giorno: risultato veramente straordinario per la risposta di pubblico, al punto
che Maurizio Grande, il critico che collabora e che lavora con Carmelo Bene, sostenne che
si trattò, probabilmente, del primo vero e proprio esperimento di teatro cibernetico.
Eravamo nel 1984, lo chiamavamo "cyberteatro" e non eravamo ancora a conoscenza
del progetto del "cyber punk", onda di scrittura nata nell''82 negli Stati
Uniti, ma di cui io venni a conoscenza solo nell' '86, quando vi ritornai. Io ritengo che
i primi anni Ottanta furono anni storicamente straordinari. Ma fu tutto diluito poiché
non ci furono esperienze che seguirono veramente. E neanche noi, come gruppo teatrale,
avemmo voglia di continuare. Durante quegli anni, ripeto, appena si produceva qualcosa si
era già stanchi di quello che si era prodotto, ci si accontentava, ci sentivamo
gratificati da quello che si pensava prima ancora di produrlo. Era un'epoca forse anche
più veloce di questa, però fu straordinaria. I figli dei figli, secondo me, non hanno
tenuto fede a questo prodromo veramente interessante e affascinante che i primi anni
Ottanta rappresentavano in Italia, in Europa e anche nel mondo.
Domanda 6
C'è un'ascendenza, diretta o indiretta, con le avanguardie storiche degli anni Settanta?
Risposta
Credo di si, perché le cose non accadono mai per caso, mai, in assoluto. Non credo al
caso. Noi chiamiamo caso quello che non capiamo o ciò che facciamo fatica a leggere e a
interpretare. Io credo che una tecnologia come la realtà virtuale non sia un'emergenza di
tipo tecnologico, ma che la crescita antropologica abbia reso possibile costruire delle
tecnologie che fossero interpretabili e leggibili dall'umano. Io credo che l'attitudine
virtuale, nei primi anni Ottanta, fosse fortissima in tutti i creativi italiani, perché,
in realtà, in quel periodo sono stati creati progetti straordinari di connessione, di
contaminazione, come si diceva allora, tra le varie arti. Quello che è accaduto ai
maggiori produttori e teorici o interpreti di quella generazione, da De Kerckhove ai pochi
italiani come Bifo, Franco Berardi, sia stata la tendenza a produrre qualcosa che non
rimanesse storicamente, che non rimanesse nella memoria. Sono convinto, peraltro, che ci
sia stata una grande anticipazione dei temi della virtualità e della rete, la ricerca di
qualcosa che fluisse costantemente: progetti su progetti, performance su performance, in
un'attività frenetica di ricerca. Vi ricordo che tutte le sere c'erano quindici, venti
cose in tutta la città da andare a vedere. Anche perché, devo dire, che in quel momento,
forse l'unica cosa positiva dello spendere soldi è stata proprio quello di aver creato la
possibilità a tantissimi gruppi di agire e interagire all'interno delle città. Il limite
di queste esperienze credo si trovasse nell'accontentarsi più dell'aver reso possibile
concettualmente quel tipo di connubio, connessione o progettualità, piuttosto che nella
sua realizzazione. L'attitudine che avevano i gruppi di sciogliersi senza aver realizzato
i progetti pensati, oggi potrebbe essere considerata come un'attitudine perdente. Devo
dire che, durante quegli anni, invece, era un'attitudine epica, un'attitudine tesa a
creare un flusso ininterrotto di divertimento e di non autocatalogazione, che poi
proveniva anche dall'esperienza punk, quando si diceva: "No more heroes",
"Basta con gli eroi". Io, personalmente, feci varie cose in cui non ho mai messo
la firma. Poi sono cambiati i tempi, c'è stata una proliferazione impressionante di dati,
segni, segnali e produzioni, per cui rendersi tematici, tematizzare l'opera attraverso la
propria firma, è diventato quasi imprescindibile. Però, devo dire che i primi anni
Ottanta sono stati un viaggio nel tempo e nello spazio alieni, una condizione che solo la
cultura è in grado di creare, e quindi solo l'umano è in grado di creare. Probabilmente
questa esperienza sarà irripetibile. Lo dico senza nostalgia, senza malinconia. Io non
vorrei tornare indietro, però penso che siano stati anni assolutamente irripetibili.
Domanda 7
A partire dal Suo primo romanzo, La morte di re Media, fino ai suoi esperimenti
successivi, c'è sempre un'attenzione ai media. Crede che la letteratura non possa fare a
meno di considerare questa nuova forma di espressione, che, paradossalmente, la sta
espropriando della funzione sociale che aveva?
Risposta
Io ho cominciato a scrivere relativamente tardi: ho trentasei anni e ho cominciato a
scrivere tre anni fa, perché ho toccato trasversalmente vari campi, vari codici, vari
generi. Ho prodotto cinema insieme a Claudio Bonivento, sono stato giornalista sia
televisivo che su carta, collaborando a "Panorama", a "L'Europeo" e a
vari giornali; ho lavorato alla radio e, alla fine, devo dire, che la forma attitudinale
più vicina a me, in fondo è la scrittura, anche perché io ho bisogno di pensare e
realizzare in fretta quello che faccio. Con gli altri media, chiamiamoli così, i tempi di
realizzazione sono estremamente lunghi. Per esempio il cinema: sono necessari almeno due
anni per realizzare un film. Io ho bisogno di pensare e realizzare le cose e mi sono
rivolto alla scrittura. Ho abbandonato Roma, il campo della produzione con un certo
rammarico di tipo economico, perché lavorare nel cinema pagava molto bene, e ho
cominciato a scrivere. Le mie teorie sulla scrittura sono molto personali: guardo la
scrittura non da un punto di vista prettamente letterario, ma da un punto di vista
evolutivo. La scrittura, in quanto sistema che ha creato una forma di percezione, che ha
creato una forma di produzione dell'immaginario, che ha creato, in fondo, la storia della
narrazione di noi stessi a noi stessi, credo che stia subendo una mutazione irreversibile,
e molto forte. La letteratura ha cambiato le cose in maniera abbastanza prepotente. Nel
momento in cui la stampa è stata inventata, quando i libri hanno cominciato a viaggiare
nel mondo, nel momento in cui l'autore veniva simulato da quest'opera concreta e complessa
che è il libro, si sono ridotti i tempi di interazione tra le persone. Prima un viaggio
poteva durare mesi ed incontrare un autore era praticamente impossibile oppure era
possibile, ma l'autore poteva incontrare nella vita pochissime persone. La narrazione
contiene una certa organizzazione dei dati estremamente legata al tipo di costituzione, di
supporto, che viene chiamato libro. Fino ad oggi il libro ha mantenuto una certa
linearità, laddove il lettore non è mai stato lineare. Nessun lettore, mentre legge, è
lineare, perché egli pensa e fa dei salti di conoscenza assolutamente ipertestuale.
Quindi, il lettore, è sempre stato ipertestuale. Se dovessi pensare ad una metafora della
letteratura libraria, potrei pensare a un treno. Un treno può andare da un punto 'A' a un
punto 'B', in maniera lineare, da Milano a Bologna; al suo interno possono accadere
centinaia di migliaia di eventi, ma se qualcuno li vuole vedere, non può fare altro che
percorrerlo in senso longitudinale e può farlo solo all'interno di un percorso che
comunque è lineare, tra Modena e Roma. Io credo, viceversa, che la letteratura, oggi,
stia cominciando ad assomigliare, attraverso la veicolazione delle reti, al satellite,
cioè alla visione complessiva delle cose, alla costituzione di mappe locali e contestuali
e legate ad una funzionalità, quindi ad una domanda. Se si vuole vedere la mappa di un
luogo specifico, il satellite crea la mappa di quel testo - ma, attenzione, sempre
all'interno di un tipo di conoscenza globale -, e salta da una parte all'altra, in maniera
abbastanza agile, e racconta storie che comunque sono, a questo punto, definitivamente non
lineari. Il lettore che prima era calato all'interno della città, e non poteva che
conoscerla camminando tra le vie, senza però avere la conoscenza globale dell'opera
"città", oggi, pur navigando all'interno dell'opera, mantiene una visione
sempre complessiva e monitorata di se stesso, con la possibilità di parteciparvi con un
approccio ipertestuale. Vorrei aggiungere che in questo momento sia molto sopravvalutata
l'arte interattiva in genere, anche se credo che una delle caratteristiche fondamentali
della specie umana sia l'interattività. Queste macchine stanno reificando
l'interattività, che però è ancora povera rispetto alla capacità interattiva che
possiede la specie umana. Ritengo fondamentale quello che si sta facendo. Io stesso sto
lavorando nel campo dell'iperattività e dell'interattività e dell'intrattività, però
ritengo che sia fondamentale capire che noi stiamo realizzando delle forme di
avvicinamento parziali a quello che diventerà il grande media dei media, che è la rete.
Quando si parlava di realtà virtuali sembrava che fosse la forma definitiva di questa
esperienza. Come moda, invece, la realtà virtuale è durata, così come l'ipertesto. Io
credo che tutte queste esperienze siano componenti di un grande media dei media che
assomiglierà moltissimo all'essere umano. In fondo noi stiamo tentando di replicare noi
stessi in forma reificata. In fondo abbiamo bisogno di qualcuno che ci guardi come specie,
abbiamo la sindrome di Dio, abbiamo bisogno di creare qualcuno che ci guardi da fuori e
che sia capace di leggerci e che sia complesso al punto da poter capire che cosa legge.
Essendo noi molto complessi, quello che stiamo andando a creare è estremamente complesso,
forse più complesso di quanto stiamo pensando che possa diventare. Io credo che la
letteratura, in questo senso, abbia perso dei treni molto importanti. La letteratura
italiana in genere riveste un forte valore di nostalgia, di malinconia, nei confronti di
ciò che l'uomo avrebbe potuto essere, ma non è, di ciò che potrebbe diventare ma non
diventerà e soprattutto riveste un forte valore autoptico. Noi oggi leggiamo il libro: il
libro è un corpo morto, la carta sta putrefacendo sotto i nostri occhi, e noi non siamo
in grado di leggere questo processo chimico della putrefazione, perché non siamo
abbastanza specifici e sofisticati da poter leggere questo tipo di degrado e stiamo
leggendo qualcosa che non cambierà mai, se non dentro di noi, se non ri-leggendo. Ma
siamo noi che cambiamo, non è il libro che cambia. La scrittura che si inscrive
all'interno della rete telematica credo che possa mutare alla stessa velocità dell'acqua
che scorre all'interno di un fiume, senza lasciare memoria residua, senza lasciare memoria
museale. Ciò può costituire un cambiamento fortissimo. Come dice De Kerckhove, la
scrittura ha creato noi che la leggevamo. E credo che noi che leggiamo la rete cambieremo
alla stessa velocità con cui la rete cambierà attraverso noi. Personalmente distinguo,
come Lacan distingueva reale e la realtà, il motore dalla carrozzeria, come si distingue
il respiro dai polmoni. Io credo che la letteratura oggi rivesta un valore di mercato,
rivesta un valore di ricerca della verità di mercato. Oggi non si vende la ricerca, si
vende ciò che vende. E' come la gobba del cammello: sta cominciando a rivoltarsi, a
ripiegarsi; è una grande piega che si rivolta. Devo dire invece che il letterario, che
non può vivere all'interno di questa gabbia, si sta liberando della letteratura, come
supporto privilegiato, e sta debordando verso tutti i codici che sono impegnati ad
accoglierla, il cinema in primis, la radio, la televisione e la rete, e sta abbandonando
questa nave, che, in fondo, sta affondando. Uno dei grandi letterati visionari, Mallarmé,
sosteneva che "il mondo è il libro"; con questa frase, a mio avviso, Mallarmé
trascendeva se stesso, perché negli anni in cui affermava ciò non poteva sapere quanto
avesse ragione. Oggi, veramente il mondo è il libro e il libro è diventato il mondo,
perché la scrittura è diventata il mondo come produzione di immaginario. Però qui
ritorniamo al discorso della estinzione per sovrappopolazione. Il letterario potrebbe
estinguere la letterartura, come specificità, per sovrappopolazione. La scrittura, in
questo momento, è ovunque, la rete la sta portando ovunque. Tutti pensano che la rete sia
il Web. Il Web in questo momento è nient' altro che una grande "brochure"
elettronica del mondo. La vera rete, dove si incontrano i veri abitatori di rete, sono i
"newsgroup", i "gruppi di discussione".
Domanda 8
Può parlarci delle diverse forme di comunicazione in rete?
Risposta
Io credo che la vera rete sia costituita dagli abitatori di rete. Gli abitatori di rete
non vivono nel Web, vivono nelle chat, nell'Irc (Internet relay chat), vivono nei
"newsgroup", i "gruppi di discussione", i gruppi di mailing, cioè di
posta. Io credo che la vera rete sia là dove l'interattività è reale. Per citare i Mud,
cioè i giochi di rete, essi sono luoghi che diventano non luoghi, dove ci si incontra in
rete e non si ha una comunicazione che va verso la realtà. Ci sono dei nomi fittizi, si
vive in ambienti fittizi, tutti costruiti con il linguaggio. Si creano prove, si creano
forme di stimolazione: se io non scrivo cose abbastanza interessanti la mia comunicazione
cade, il mio ambiente, costruito attraverso la comunicazione, fatta di scrittura, decade
perché l'interesse nei suoi confronti non c'è più. Quindi è un gioco dove la
letteratura diventa sensoriale, fortemente sensoriale. Oggi, i bambini, se entro due
secondi non vengono stimolati dal canale televisivo che vedono, con un'ipertestualità
ancora povera, con un'interattività ancora povera, cambiano il canale, non lo premiano. E
questo tipo di processo si sta verificando anche in rete: si entra in questi grandi
ambienti narrativi, che assomigliano anche molto ai giochi di ruolo, dove il soggetto
assume una realtà narrativa, vive in un ambiente narrativo, dove c'è, tra l'altro, anche
una forma di narrativa; a volte, questa realtà narrativa è povera, ma si ha la
possibilità di cambiare. Aggiungo, inoltre, che la povertà degli ambienti narrativi è
dovuta proprio alla grande produzione in termini di quantità: sto parlando di milioni di
persone che vivono in rete, molte di più di quelle che in questo momento comprano libri.
E questo è un aspetto importante, da tenere presente. Quando in ottobre arriveranno i net
PC, cioè i PC che attingeranno l'energia non dall'hardware, ma dalla rete, che costeranno
duecento dollari, probabilmente l'utenza deborderà verso cifre esponenziali. Io credo che
la letteratura di rete, che forse è in sé un paradosso, stia cominciando a diventare un
organismo autonomo, autorganizzato, che abita nei vari media, o vari codici; sta
cominciando a vivere da solo, come una sorta di grande "blob", di
"cosa", che sta cominciando ad avvolgere il mondo di forme, caratteristiche di
percezione su cui noi non abbiamo ragionato ancora a sufficienza.
Domanda 9
Non crede invece che l'apertura dell'ipertesto, la possibilità per l'autore di vedere
spiattellato di fronte a sé la molteplicità dei mondi, blocchi l'esperienza narrativa?
Risposta
Intanto io credo che i confini della narrazione siano estendibili con i confini di tutti i
sensi che noi stiamo inglobando all'interno della lettura stessa. Oggi, i commentatori
dell'ipertestualità, per quanto mi riguarda, sono molto deludenti, tranne pochissimi.
L'unica persona che finora ha allargato i miei confini sull'ipertestualità è Pierre
Lévy e, in parte, anche De Kerckhove. Ma credo che Pierre Lévy sia l'unico personaggio
che, in questo momento, stia affrontando l'ipertestualità come problema antropologico ed
evolutivo in generale. La letteratura ha vissuto sempre come mondo a sé stante, come,
mondo autoreferenziale. Credo, viceversa, che la letteratura debba porsi la domanda
dell'evoluzione ed entrare pesantemente e fortemente con la sua capacità di creare
narrazione e quindi di creare immersione in mondi narrativi, di creazione dei mondi
narrativi ed entrare pesantemente sia come commentatrice che come anticipatrice. D'altra
parte, la letteratura della fantascienza non fa altro che rendere pensabile, concepibile,
qualcosa che ancora deve accadere, allargando la possibilità dell'umano in maniera
incredibile. Infatti io leggo come un grandissimo problema il fatto che in Italia la
letteratura fantascientifica sia stata sottovalutata in maniera così forte. Ritornando
alla definizione accademica di ipertesto, tutti continuano a citare, nel tentativo teorico
di definizione dell'ipertesto, Baudrillard, Derrida, Foucault; tutti quei teorici che
negli anni Sessanta hanno teorizzato ciò che si auspicavano, cioè l'ipertestualità, la
multitestualità. Noi stiamo realizzando, stiamo reificando i sogni degli anni Sessanta,
senza però andare avanti, lateralizzando ciò che in quegli anni è stato pensato, che è
stato "visto". Io credo che, negli anni Sessanta, noi abbiamo avuto dei
visionari straordinari; uno fra i più grandi che abbiamo avuto è Timothy Leary. Dobbiamo
tantissimo ai visionari degli anni Sessanta. Credo che la letteratura non si sia adeguata
e non sia cresciuta alla stessa velocità degli altri codici nei confronti della
produzione di mondi e nella produzione di interattività. Il cinema lo ha fatto grazie a
Spielberg, grazie a Lucas, grazie anche a personaggi come Stanley Kubrick, che osanno
ovunque egli sia. Ma credo che la letteratura durante i primi anni Ottanta, quando il
movimento "cyberpunk" è nato, abbia ricevuto un forte impulso, che però poi è
rimasto frenato, laddove in realtà si pensa molto di più al mercato e molto meno
all'ambiente. In fondo il lettore è un animale che va cibato in maniera molto
qualitativa, va viziato, va curato e va mantenuto, e la letteratura, anche portandosi
dietro il proprio valore di mercato, potrebbe pensare all'ambiente culturale. Il mercato
della letteratura, ora, si sta ripiegando e sta gridando, ma è un grido che avviene già
sott'acqua. Noi stiamo affermando qualcosa di impossibile quando diciamo: "Il libro
si estinguerà", perché noi siamo nati con il libro, noi siamo stati formati dal
libro; allo stesso tempo, però, dobbiamo cominciare a pensare al fatto che i nostri
bambini non leggono più la realtà in maniera umana, ma attraverso la televisione,
attraverso i computer, che producono forme di montaggio della realtà. E, in un certo
senso, io, producendo letteratura, mi sono sempre chiesto quanto la letteratura si sia
avvicinata al tecnologico, tentando di destrutturare il linguaggio, di rendere il
parascientifico in letteratura. Mi sono, sempre, anche dissacrato attraverso operazioni
che io ho sempre chiamato pop hard opera, giocando su Warhol, Duchamp. Sono convinto, tra
l'altro, che ci sia molto più di letterario in Duchamp e Warhol che in Moravia. Noi siamo
nati proiettando luce, la luce domestica, sull'oggetto opaco che era il libro, gettavamo
la luce dei nostri occhi, della nostra interpretazione sulla pagina di carta, evocando
mondi. In questa era i bambini non gettano più luce sugli oggetti, ma ricevono luce dagli
oggetti. Siamo in dovere di ripartire da questo e capire l'enorme differenza evolutiva
presente in questo processo di cambiamento; a noi umani, ancora una volta, può sembrare
velleitario, forse anche superficiale; io ritengo, al contrario, che sia assolutamente
fondamentale e molto più importante di quanto noi siamo in grado di leggere, capire e
interpretare.
Domanda 10
Ci può raccontare dell'esperimento Ra-dio, come è nato e cosa ne pensa oggi?
Risposta
Il termine Ra-dio è stato coniato dai media nazionali, ed è un'operazione nata in
maniera abbastanza casuale. Stavo scrivendo un romanzo per un piccolo editore, che
intitolava: "Hitler Warhol Experience", ed era la storia di un personaggio che
scriveva lettere a se stesso attraverso un computer. Era, in qualche modo, la metafora
dell'estinzione, il gioco del ripiegamento totale. Tutta la mia letteratura in fondo è la
messa in scena della sparizione, dell'estinzione. Io credo che la specie umana si stia
estinguendo così com'è, e che la narrazione oggi debba mettere in campo, appunto, questo
processo di estinzione come grande azione epica. Mi trovavo negli Stati Uniti e andai ad
una vernice di alcuni pittori, dove trovai casualmente William Gibson. Devo dire che tre
anni fa William Gibson era abbastanza famoso, ma non quanto lo è adesso. Ci fermammo a
parlare, e mi disse che stava lavorando su un progetto che si chiamava Agrippa, dove lui
raccontava la storia di suo padre attraverso i propri ricordi. Cosa succedeva però?
Questo racconto, arrivato all'ultimo tab, faceva partire un virus sul computer che
divorava tutta l'opera, mettendo il lettore nella stessa condizione dello scrittore, cioè
di ricordare il padre di Gibson, in questo caso il padre dei padri, inteso come legge,
come grande metafora, solo e solamente attraverso i ricordi di quello che era stato letto
o scritto. In quel momento ebbi un colpo di fulmine perché pensai che in questo caso la
tecnologia aveva messo in grado lo scrittore di realizzare una metafora, alla lettera,
proprio come nell'arte. La scultura, la pittura o l'audiovisivo mette in condizione il
pittore di lavorare con una materia. Finalmente la scrittura aveva una materia. Io ero
sconvolto da questo. Allora tornai in Italia e proposi un'opera a un paio di editori, tra
cui Walter Vannini e Alearda Pandolfi, del gruppo Human System. Questo gruppo deteneva i
diritti di molte opere ipertestuali americane, come Afternoon, di Michel Joyce, che in
assoluto è il pioniere della letteratura ipertestuale. La mia opera venne intitolata:
"Ra trattino dio", "Ra-dio". Ovviamente fa riferimento anche alla
radio che porta le onde corte, la comunicazione, ma fa anche riferimento al Dio Ra. Il Dio
Ra era il dio degli antichi Egizi, era il Dio delle sette segrete occulte, e, si dice,
anche del nazismo. In un certo senso era il Dio segreto e oscuro dell'Occidente. Dio -
Dio, come diceva Sant'Agostino, è "il segno che rimanda a se stesso", quindi
che termina e che non può che rimandare a se stesso. Quindi è la chiusura del processo
segnico di produzione dell'immaginario, è il lettore dei lettori. Però è anche un
anagramma di Ready-made. Io pensavo che, in fondo, fosse il momento di fare un'azione
fortemente artistica, più che letteraria, rivolta però alla letteratura. Allora presi
tre piccoli raccontini di cinema, che erano sotto copyright all'epoca in cui si produceva
cinema a Roma, e li misi dentro l'applicazione ipertestuale che si chiamava
"Story-space", e chiusi, senza sapere che cosa la macchina - quindi in questo
caso l'applicazione, il software - avesse fatto della mia scrittura, la quale, tra
l'altro, era stata inserita senza correzioni. Gli errori fanno parte del letterario, che
è all'interno del libro, sono voluti. Io ho chiesto agli editori di non correggere
Ra-Dio. Esso era l'equivalente della famosa ruota di bicicletta di Duchamp, che io
paragonavo alla letteratura. La ruota di bicicletta è un'opera meravigliosa dal punto di
vista del design, ma nessuno di noi la vede più come un'opera meravigliosa, perché siamo
abituati a vederla tutti i giorni. Noi tutti i giorni vediamo ruote di biciclette e siamo
anestetizzati dal percepire la bellezza di questo oggetto. Io credo che anche la
letteratura ormai ci abbia anestetizzati nella capacità di vedere, di indagare il bello.
Si producono migliaia di libri, assolutamente irrilevanti. La media della vendita di un
libro in Italia è di 420 copie, perché si producono migliaia e migliaia di libri. E in
questo senso la letteratura, la scrittura è ormai sovradebordante. In questo senso siamo
anestesizzati nei confronti della lettura, della bellezza attraverso la scrittura. Io
presi questi racconti, li misi dentro la macchina, cioè dentro una galleria d'arte come
fece Duchamp, e ho al mondo, firmandola, che da quel momento per me la letteratura
diventava un oggetto d'arte attraverso la visione tecnologica. Uscì un libro con
dischetto allegato. Devo dire che questo gioco duchampiano ebbe un effetto assolutamente
esplosivo sui media italiani. Ci furono più di settanta, ottanta articoli nazionali,
paginoni, diciotto passaggi televisivi, tre telegiornali che presentarono il progetto e
tutti, con un grido di o entusiasmo totale - qualcuno addirittura arrivò a scrivere che
questo romanzo sarebbe entrato nella storia della letteratura di tutti i tempi - oppure di
terrore sacro. Tutti chiedevano, anche nelle presentazioni, se il libro sarebbe scomparso,
se si sarebbe estinto questo grande piacere della lettura. C'era una grande paura.
Rileggendo il libro, due anni dopo la sua uscita editoriale, rimango allibito di come i
tempi si siano accelerati in maniera preponderante. Ancora una volta Ra-dio sembra
un'opera prodotta dieci anni fa, quindici anni fa, forse anche venti anni fa, perché oggi
non si fa che parlare di multimedialità, ipertestualità, del bisogno che c'è di far
crescere anche i bambini attraverso una conoscenza più cosciente delle cose. Quindi,
ripeto, questa ideologia della facilitazione, a mio avviso è un'ideologia assolutamente
fuorviante e molto pericolosa, perché si risolve sempre in amputazioni. Se una cosa è
più facile, io la ottengo con minor sforzo, ma questa cosa amputa una mia capacità di
ottenere qualcosa con maggior forza. La storia della tecnologia è una storia di
amputazioni. Le piccole calcolatrici oggi fanno sì che nessuno conosca bene la
matematica, perché esse conoscono la matematica per noi. Credo che Ra-dio fu
un'operazione "sulla" letteratura, non "di" letteratura; fu
un'operazione in cui io, tra l'altro, chiedevo di non aprire il libro, di non aprire il
cellophan, perché quella era l'opera. Era un'opera da esporre: il libro insieme al
dischetto era l'opera d'arte. Alla fine della chiusura dell'operazione Ra-dio io scrissi
un articolo intitolato "The great ipertext swindle": "La grande truffa
dell'ipertesto", giocando con il titolo di un brano dei Sex Pistols: "The great
rocker swindle". Di qui la chiusura a omaggio dei Sex Pistols. Presi, inoltre, un
articolo su Duchamp, sostituendo il suo nome con il mio, e alla sua opera, la mia. Lo
pubblicai così, dicendo che quella era stata la grande operazione di Ra-dio: di debordare
sul mercato italiano e fare capire ai lettori - con un minimo di orgoglio e di
autocompiacimento - che, in fondo, l'editoria italiana da quel giorno era cambiata,
perché aveva preso coscienza del fatto che l'elettronica, la computeristica, la
telematica era già nel nostro mondo come un virus dentro il nostro corpo. Quindi, da quel
momento, tutte le case editrici hanno preso in considerazione il fatto che il mondo stava
cambiando in quel senso. Questo è stato il mio apporto, attraverso Ra-dio, al mondo della
letteratura italiana. Poi ci sono anche i romanzi su carta, che, tra l'altro, son sempre
andati molto bene, però fanno parte di una catena di linguaggio che ha poco a che vedere
con la letteratura italiana, intesa come mondo autoreferente. Questa scelta creativa ha
fatto sì che io venissi amato molto dai non letterati e amato molto poco dai letterati,
perché la mia scrittura rappresenta una forma di negazione della letteratura in quanto
tale, e, piuttosto, un allargamento dei confini della letteratura stessa alla parascienza,
al gioco sul termine scientifico creato in maniera narrativa, ma assolutamente non
plausibile. Ciò che opero è assimilabile ad una sorta di guerriglia ontologica: racconto
ciò che è falso come se fosse vero e ciò che è vero come se fosse falso. Chiaramente
io credo che il pubblico italiano ancora non sia stato abituato ad coscienza tecnologica.
Dico una cosa autodissacrante e autoincensante: io credo che quello che ho scritto, quello
che ho "fatto", verrà capito e forse interpretato dalle generazioni che stanno
arrivando. Ho creato un sito di rete che si intitola: "The litterary
undermachine", "La macchina sottoletteraria", dove ho inserito
"Berlusconi é un Retro virus" come seconda edizione gratuita. La prima
edizione, di cinquemila copie, andò esaurita; la seconda, assieme all'editore
Castelvecchi, è stato deciso di metterla in rete. In tre mesi è stata scaricata da
quindicimila lettori. Sono quasi tutti giovani quelli che mi scrivono mail chiedendomi
ragguagli anche sulla letteratura, in gran parte hanno meno di vent'anni. Questo per me
rappresenta un fatto di enorme importanza, perché in fondo io sto scrivendo per un
pubblico totalmente virtuale. Non so se io sarò un punto di riferimento. Sicuramente,
però, credo che ci sia un grande bisogno di affrontare ciò che non è ancora stato
pensato, ciò che non è ancora stato immaginato e quindi reso potenzialmente possibile.
Internet è un territorio che va "occupato" dai creativi, perché la rete
telematica é un ottimizzatore spaventosamente performativo di qualunque cosa vi entri.
Se, come Warhol sosteneva, l'autorità è banale, e l'umanità metterà banalità
all'interno della rete, noi non faremo altro che ottimizzare in maniera spaventosamente
performativa la banalità. Il compito che hanno tutti coloro che avranno accesso alla rete
e si ritengono creativi e produttori di creatività, è quello di rendere la rete meno
banale, più forte e ricca di contenuti, poiché questo eccesso di facilitazione della
comunicazione, credo stia enfatizzando il segno e il significante a sfavore del contenuto
e del significato. Sta a noi, produttori di significato, rendere ciò un gap sempre meno
visibile.
Domanda 11
Paradossalmente, quando tutti sembrano di poter diventare autori, poi non si riesce più a
capire quale è l'autore vero e qual è la qualità di ciò che l'autore produce. Tu
rivendichi la funzione dell'autore?
Risposta
Definire l'autore oggi è estremamente difficoltoso. Io credo che noi, oggi, ci troviamo
in un'epoca pagana di autori: gli autori sono degli dei che fanno parte di un olimpo
pagano, dove ognuno gestisce determinate caratteristiche del mondo che sta creando. Non
credo più, però, che l'autore somigli al Dio di Sant'Agostino, non credo più che
l'autore sia il creatore di mondi, a cui si possa fare riferimento. L'autore-dio è morto.
In fondo, con questa frase, citiamo il padre che l'ha coniata: Nietzsche. Ritiro tutto
quello che ho detto e cito Nietzsche e dico che in questo senso Dio è morto, l'autore-dio
è morto. Credo che oggi ci troviamo ad essere dei micro-dei pagani: metà umani, metà
non umani. In fondo il cyborg , l'autore che si avvicina alle macchine e usa le macchine
per creare immaginario, assomiglia molto a questi dei semi-pagani che producono però
realtà e che influenza, alla fine, la costruzione di mondi umani. Io credo che l'autore
oggi sia definibile così.
Domanda 12
Ma allora c'è spazio per una estetica in questo nuovo mondo?
Risposta
Io credo che i concetti come etica, estetica, morale siano ormai verità locali,
applicabili al contesto, alle relazioni che il testo crea all'interno della sua
autoproduzione e produzione locale. Si tratta di un'esperienza meravigliosa e allo stesso
tempo terrificante: il mondo delle verità locali può creare oasi meravigliose, ma può
anche creare prigioni, straordinariamente performative, tanto quanto lo è la rete. Io
credo un'estetica di tipo kantiano oggi sia abbastanza inapplicabile alla mole di
continuum che ci sta sommergendo. Oggi, per esempio, il valore del critico è un valore
abbastanza difficile e contraddittorio. Se oggi dovessi definire un autore,
sinceramente....Sono rimasto profondamente colpito dalla morte di Alighiero Noschese,
poiché egli rappresenta, in una maniera incredibilmente non metaforica, molto letteraria,
la figura dell'autore. Egli, per tutta la vita, ha impersonato altri, pur rimanendo se
stesso, che, alla fine, non è riuscito a contenere; proprio come "La crisi
epilettica" di Dostojevskji, che per un attimo gli disvelava tutto ciò che poteva
vedere solo Dio; poi, il corpo non reggeva a questa visione e stava per giorni e giorni
dentro una sofferenza incredibile. Questo è il grande prezzo che l'umano paga nel momento
in cui si avvicina alla luce, questa immensa cecità che deriva da una visione troppo
forte della luce. Credo che Alighiero Noschese rappresenti quello che potrebbe accadere al
mondo oggi: il contenere questa sovrappopolazione di personaggi, di tanti "io",
questa multifrenia, attraverso la proliferazione di io totale; condizione, questa, in cui
poi, quando ci si chiede chi siamo, accade un crollo emotivo ed esistenziale. Purtroppo,
questo crollo ha portato Alighiero Noschese al suicidio e forse per la specie umana
potrebbe rappresentare qualcosa di similare, anche se in termini diversi.
Domanda 13
Pensi di ripetere l'esperienza di Ra-dio oppure ritornerai nel "mainstream" del
libro?
Risposta
Attualmente sto lavorando a diversi progetti. Il più grande dei progetti non letterari è
il Parco Navi, anche se lo vivo come produzione letteraria. In fondo io sto producendo il
grande Parco Navi come se fosse un grande romanzo multimediale. Per quanto riguarda i
progetti letterari, sto lavorando ad un romanzo per la Bompiani, che si intitola I
cannibali del lapsus; di cui ho l'introduzione di Timothy Leary, a cui non faccio che
rivolgere ancora un altro grande omaggio. Nell'agosto del 1995 io ero a casa di Timothy
Leary, ed ho filmato ore di discussione con lui. Timothy Leary era molto colpito da dal
titolo del romanzo. Io credo che, in fondo, I cannibali del lapsus possa definire anche il
mio approccio alla letteratura. Se il sistema fosse perfetto, se fosse privo di
instabilità, non potrebbe rilasciare materia, quindi conoscenza. Il grande movimento
della produzione letteraria è basato sulla potenzialità del sistema di avere dei buchi,
di poter avere dei luoghi di divoramento. Colui che cerca di produrre conoscenza non può
che introdursi in questa instabilità di sistema, in questi buchi. Credo che tutti
dobbiamo gettarci in questi vuoti che cannibalizziamo e che riempiamo ancora una volta con
il nostro metabolismo di scarto, che è la produzione letteraria, in questo senso. Ecco:
questa è quella che chiamo l'esperienza del cannibale del lapsus. In fondo il lapsus è
l'unica esperienza che permette conoscenza ad un sistema, che quindi, non è mai perfetto.
La perfezione ucciderebbe qualunque cosa; l'orgasmo del nazismo era quello di cercare la
perfezione delle cose, quindi l'estinzione di tutto ciò che era altro da sé. Ma questo
è un altro discorso. I cannibali del lapsus è un romanzo che parla di questi divoramenti
quotidiani, dei vuoti che si creano. Poi sto lavorando ad un altro romanzo, che pure
dovrei consegnare a Bompiani, ma ci sono anche altre case editrici interessate. Il romanzo
si intitola Finalmente il diavolo, ed è la storia della Terza Guerra Mondiale dei self.
La Terza Guerra Mondiale, secondo me, esiste già, è nella mente di tutti noi, noi la
stiamo vivendo e creando ogni giorno, senza saperlo. E' un gigantesco AIDS, centomila
volte più potente, che sta vagando, che noi abbiamo già contratto e che non sappiamo di
avere. Da un punto di vista tecnologico ho pensato a vari progetti multimediali. Ma, devo
dire che, sinceramente, in questo momento preferisco lavorare al mio ambiente di rete e
alla carta. La carta e la rete sono le due frontiere su cui ci si deve applicare. Io non
amo il CD, non amo i floppy. Tra l'altro sono estremamente poco sexy, come dicono gli
americani, e credo che siano estremamente meno interattivi di questi due grandi ambienti
in cui sto lavorando, che sono appunto la libreria di carta supporto e la rete telematica.
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