INTERVISTA:
Domanda 1
C'è una relazione tra l'elemento della città delle riflessioni benjaminiane e Internet
come entrambi luoghi in cui l'individuo fa esperienza?
Risposta
Il tema della città è molto presente nella riflessione di Benjamin. Il Flaneur è un
protagonista della sua opera monumentale sui 'passaggi parigini', quindi gli avvicinamenti
recenti all'opera di Benjamin, soprattutto negli Stati Uniti, come antesignana delle forme
di comunicazione più avanzate attraverso Internet, potrebbero avere un fondo di
giustificazione anche se è necessario riconoscere che la navigazione di Benjamin avviene
essenzialmente nella Biblioteca Nazionale di Parigi. Benjamin è innanzi tutto un
navigatore attraverso un universo che oggi viene definito universo del supporto cartaceo.
Questo è testimoniato dalla quantità veramente notevole di materiali che possiamo
trovare in quello che resta nei frammenti dell'opera sui 'passaggi parigini'. Spesso sono
dei sorprendenti reperti di un lavoro di lettura di esplorazione che partendo da
Baudelaire e dalla Parigi del secolo XIX, sono stati poi montati ed erano destinati a far
parte di un'opera complessiva molto ambiziosa che avrebbe avuto al centro, appunto, Parigi
e Baudelaire e poi successivamente verso il Liberty. Le trasformazioni della città di
Parigi, la stratificazione della città, la sua stratificazione storica, è una
sedimentazione di eventi, contraddittori anche conflittuali, che trovano poi un riscontro,
una presenza nell'opera letteraria. Il lavoro di Benjamin si viene a comporre in qualche
modo intorno al tema della città, tenendo presente anche le trasformazioni che la città
ha subito nell'epoca nella quale lui appunto lavorava e scriveva. Benjamin quindi non fa
una navigazione virtuale nella città di Parigi, ma lavora e si muove, è lui stesso un
Flaneur nell'universo parigino degli anni '30, in questa megalopoli abitata anche da
movimenti letterari, da presenze forti dell'avanguardia europea appunto del '900. Quindi
è un lavoro estremamente interessante questo di osservazione e di sperimentazione anche
delle nuove forme di comunicazione.
Domanda 2
Qual è il contributo di Walter Benjamin rispetto al rapporto dell'arte con le nuove
strumentazioni tecnologiche?
Risposta
Benjamin può scrivere una opera fondamentale come L'opera d'arte nell'epoca della sua
riproducibilità tecnica, perché riesce in qualche modo a immergersi nell'innovazione
rappresentata dalle forme di comunicazione all'epoca più avanzate che sono appunto il
cinema ma anche la radio. Sappiamo che Benjamin è autore di radio-drammi, quindi di forme
di comunicazione innovative sul piano anche della testualità letteraria. E il lavoro sul
cinema, di riflessione sul cinema, è un lavoro che è alla base de L'opera d'arte
nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, di questo breve saggio ma densissimo di
conseguenze, e appunto, è l'opera, forse ancora oggi, più citata soprattutto sul
versante americano della conoscenza, dell'esplorazione di questo pensatore tedesco. Il
lavoro teorico ha alla base anche un elemento che potrebbe essere di grande attualità
oggi che si parla di navigazione in Internet, di comunicazione multimediale, che è quello
di un cambiamento di percezione attraverso le macchine. La macchina è al centro della
riflessione di questo testo teorico di Benjamin; sia la macchina cinematografica che
frappone un diaframma, e più ancora la macchina fotografica che consente anche di
esplorare in maniera impensata in precedenza l'universo reale, il mondo. Egli si pone,
quindi, il problema di un adeguamento di questo nuovo modo di percepire la realtà che
deve trovare un equivalente anche nei linguaggi artistici contemporanei. E questo
equivalente Benjamin lo individua nettamente nell'opera d'arte d'avanguardia. Una sua
frase sembra estremamente indicativa, allorché sostiene che l'opera d'arte dadaista
sembra essere un proiettile sparato verso il pubblico, spostando lo stesso pubblico in
funzione delle sue coordinate mentali rispetto all'opera d'arte. Questa capacità di
provocazione dell'arte d'avanguardia trova la sua attuazione a livello d'arte di massa nel
cinema. Ritengo questo un punto molto importante, perché rappresenta un altro assunto che
ricaviamo dall'opera di Benjamin: quello che l'arte pone delle esigenze, esprime delle
esigenze che la tecnica solo in un secondo momento riesce a soddisfare. Allora ci si
potrebbe porre il problema di quali siano le esigenze e quale tipo di arte abbia espresso
le esigenze che oggi la tecnica in parte riesce a soddisfare attraverso, per esempio,
l'universo del telematico o delle reti di Internet. Probabilmente la questione potrebbe
essere anche quella di un ritorno di importanza, di attenzione alla produzione
d'avanguardia perché, di fatto, l'avanguardia già al suo nascere ha puntato su una
complessità di interferenza e anche di complementarietà di linguaggi provenienti da
ambiti artistici tradizionalmente separati, quindi la musica, l'arte, la letteratura e in
un secondo momento anche il cinema; oppure, pensiamo al teatro espressionista degli anni
'30 nel quale era anche prevista la proiezione di determinate sequenze cinematografiche.
Tutto questo sembra, poi, convergere in una forma di arte che potrebbe essere realizzata
oggi, ma qui ci muoviamo in un ambito che ci pone numerosi punti interrogativi anche sul
senso di questo tipo di operazione, attraverso mezzi tecnologici ipermoderni come
l'informatica e le reti, il Cd Rom o il DVD. Il problema è quello di vedere anche l'uso
che può essere fatto di questo tipo di configurazione dell'opera d'arte che va molto al
di là, ovviamente, del valore tradizionale di culto, 'cultuale', come sostiene Benjamin,
che avvolgeva in questa guaina il testo o anche l'opera d'arte visiva tradizionale. Da
questo punto di vista mi sembra molto importante una considerazione che può essere
ritrovata anche in altri autori. Oggi pensiamo alle esperienze di Edoardo Sanguineti, per
esempio: c'è un manifesto del teatro elettronico che è in rete e consultabile in
Internet realizzato da Edoardo Sanguineti e Andrea Liberovici. Ci sono interviste in rete
di esponenti, per esempio, della neo-avanguardia italiana, limitandoci ad un ambito
strettamente nazionale. Il problema è quello di vedere se l'uso che può essere fatto di
queste nuove potenzialità vada in una direzione di omologazione o di accettazione
incondizionata dell'esistente, oppure di discussione critica di intervento anche
progettuale, alternativo e non puramente virtuale dell'esistente. L'elemento di
interazione fine a se stesso può essere anche un elemento che non ha sbocco, che non ha
futuro, mentre, oggi, le riflessioni più avvertite -penso per esempio alla Critica
della ragione informatica di Thomàs Maldonado, un volume uscito di recente e molto
importante-, pongono la questione se sia possibile utilizzare le reti, l'informatica e la
telematica anche per un risveglio di coscienza critica. Maldonado pone anche il problema
di chi sia il soggetto di questo nuovo mezzo tecnologico, quale sia il problema
dell'identità di chi prende la parola scrivendo o, in qualche modo, interagendo con la
rete e se la comunicazione interpersonale o individuale che si attua nella rete, sia una
discussione, o sia semplicemente un confronto mediato e quindi schermato, nel quale le
personalità sono nascoste anche da identità secondarie, da identità fittizie. Questo è
un problema di democraticità: c'è spazio per una discussione democratica all'interno
delle reti oppure no? Ed è un problema centrale che si riconnette anche a un uso
creativo, alternativo di queste reti.
Domanda 3
La narrazione: Benjamin sosteneva che la narrazione tradizionale, nell'epoca in cui
scriveva, non poteva più comunicare "esperienza". Può spiegarci le ragioni? E,
oggi, in che modo è possibile comunicare esperienza attraverso un'opera d'arte?
Risposta
Un altro dei punti della riflessione di Benjamin che mi sembra molto interessante e che si
leghi a questo saggio centrale su L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità
tecnica, riguarda la questione della narrazione. C'è un famoso saggio su Nicolai
Liescov, un autore russo dell'Ottocento, che è intitolato appunto 'Il narratore', nel
quale Benjamin si interroga sulla possibilità, per la narrazione, -nell'epoca in cui
scriveva ma questo è ancora più vero al giorno d'oggi- di comunicare esperienza. E la
risposta è, ovviamente, negativa, se questo avviene nelle forme tradizionali, per il
semplice motivo che la comunicazione -non diciamo la trasmissione- ma la comunicazione
dell'esperienza, è resa inutile, è sterilizzata, per quanto riguarda la letteratura
nella contemporaneità, dal flusso incessante di informazioni che "piombano" sul
soggetto attraverso i mezzi di comunicazione. Oggi questo discorso è ancora più vero:
questo flusso continuo di informazione tende a saturare, in qualche modo, l'esperienza
individuale e, quindi, a sterilizzare l'esperienza personale che dovrebbe essere
comunicata attraverso anche le forme letterarie. Mi sembra che questo punto possa essere
collegato in maniera molto diretta con l'opera di Paolo Volponi, ed in particolare con
testi più stratificati e complessi da un punto di vista narrativo, quali possono essere Corporale,
o Le mosche del capitale. In particolare, la questione della possibilità della
narrazione, del racconto ed esplicitamente in un brano metanarrativo come Le mosche del
capitale, è tirata in ballo da Volponi quando si domanda -ed è una domanda
retorica-, se ha ancora senso e se c'è ancora la possibilità di raccontare la propria
esperienza in un universo nel quale c'è una omologazione di massa delle esperienze
individuali. La narrativa alla Flaubert, la Madame Bovary, sarebbe oggi
impossibile, in quanto quell'esperienza narrata da Flaubert è ormai vissuta a livello di
massa nella contemporaneità da un numero impressionante di individui. Il cambiamento di
passo che è molto interessante e che si può registrare nella narrativa di Volponi,
prevede l'utilizzazione di forme nuove, sperimentali di narrazione, nelle quali
l'esperienza viene fatta raccontare, per esempio in Le mosche del capitale,
addirittura dagli oggetti. Gli oggetti prendono la parola e raccontano, essendo oggetti
che hanno accumulato un valore d'uso, quelli della fabbrica, degli uffici, la poltrona del
direttore o il calcolatore elettronico o anche le piante, che sono decorative degli
interni e degli uffici della fabbrica; questi oggetti possono raccontare e scambiarsi le
loro esperienze, i loro punti di vista. Questa è una soluzione estremamente originale che
tende ad aprire notevolmente anche in senso allegorico il tessuto narrativo del romanzo di
Volponi proiettandolo su una dimensione impensata e sorprendente. La possibilità di
comunicare l'esperienza è importante; Le mosche del capitale sono un riepilogo di
una esperienza vissuta in prima persona da chi scrive la narrazione, e questa esperienza
riesce ad arrivare anche al lettore in maniera molto più sorprendente e spiazzante
rispetto ai canoni della narrazione tradizionale. La sperimentazione di Volponi, che si
lega alle forme di innovazione anche nella scrittura poetica di libri come Con testo a
fronte o Il silenzio campale, segna proprio questo punto di ampliamento e, in
un certo senso, di proiezione del percorso letterario di Volponi in una direzione che oggi
andrebbe ripresa e forse anche sviluppata, essendo molto strettamente vicina a delle linee
anche di ricerca d'avanguardia alle quali oggi si dovrebbe tornare a guardare con una
certa attenzione.
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