INTERVISTA:
Domanda 1
Lei ha scritto che il computer è una psico-tecnologia e ha definito quello che stiamo
vivendo come l'era delle psico-tecnologie. Che cosa intendeva dire?
Risposta
Si tratta delle tecnologie normalmente associate alla lingua e che sono proprio una forma
di estensione del pensiero. E' importante capire che il pensiero di cui parlo è scaturito
dalla possibilità di leggere. Adesso, invece, il mondo esterno passa dalle pagine allo
schermo e sullo schermo prendono vita forme di coscienza, di espressione della coscienza,
basate sul linguaggio, che sono una estensione della nostra mente. La televisione è una
psico-tecnologia di tipo generale, globale, collettiva; il computer è una
psico-tecnologia in cui noi abbiamo la possibilità di esercitare un potere sullo schermo
del computer.
Le psico-tecnologie sono le tecnologie che estendono la mente così come altre
tecnologie 'fisiche', come la macchina o la bicicletta, estendono il corpo. La TV è una
psico-tecnologia, il computer è una psico-tecnologia. Io penso che le psico-tecnologie
siano le tecnologie che estendono la mente, come l'automobile è la tecnologia che estende
il piede e la pelle è la tecnologia che estende la mano. Lo schermo, adesso, ci dà due
forme di 'mentalità': una, quella della TV, che è pubblica e l'altra, quella del
computer, che è privata. I contenuti per l'immagine sullo schermo sono trattati da me
attraverso il computer, mentre nel caso dell'immagine televisiva tutto è creato dalla
produzione esterna. In entrambi i casi, comunque, si tratta di estensioni della mente,
estensioni della psicologia ovvero di psico-tecnologie. Non valeva la pena di coniare
questo nuovo termine se non ci fosse stata l'enorme diffusione di 'psicotecnologia'
rappresentata da Internet. Internet è proprio una forma di estensione dell'intelligenza e
della memoria privata ma fatta collettiva. Cosa dire, poi, della realtà virtuale? Si
tratta di un'altra forma di estensione psico-tecnologica che ci permette di penetrare
nello schermo e di accedere ad un mondo che è come un immaginario oggettivo. Oggi stiamo
vivendo la rivoluzione della tecnica, stiamo passando dal mondo della TV a quello di
Internet; dal mondo del pensiero pubblico, della coscienza, della mente pubblica della TV,
alla mente privata del computer. Il nome del vostro programma, MediaMente, vuol dire
psico-tecnologia: mediamente è insieme 'media e mente': la connessione tra il linguaggio
e l'organizzazione mentale.
Domanda 2
E' possibile, dal punto di vista anche della scuola e di tutti quegli enti che si
propongono di educare, facilitare la diffusione di questa nuova mentalità?
Risposta
E' assolutamente necessario. Importantissima è la democratizzazione dell'accesso dei
bambini italiani a quel futuro potere di gestire la loro vita, di essere connessi con il
resto del mondo, di fare un lavoro all'interno di un'economia totalmente nuova.
Domanda 3
Lei ha scritto che la scienza e la tecnologia cambiano il mondo, ma solo l'arte lo rende
umano. Quale ruolo può avere l'arte nei processi cognitivi in questa nuova era delle
comunicazioni?
Risposta
La risposta del mondo dell'arte è ancora 'lenta' rispetto a quella del business e penso
che lo sviluppo del software sia la nuova arte. E' grazie all'arte che dovrebbe
individuarsi l'intelligenza del software, non solo per far funzionare una macchina
ma anche per la connessione tra la gente. C'è un'arte dell'intelligenza che si sta
sviluppando in questi anni che mi interessa molto. E penso che proprio questo riuscirà a
farci comprendere la sostanza di quello che sta accadendo e della direzione in cui ci
stiamo muovendo. Infatti non è facile capire cosa può accadere con un computer e con
Internet, con la comunicazione internazionale, con la commercializzazione della rete, con
la privatizzazione. Ci sono tante cose che restano ancora misteriose.
Domanda 4
Lei sta sperimentando delle nuove strategie cognitive basate sul concetto
dell'intelligenza connettiva. Ci vuole parlare di queste sperimentazioni?
Risposta
Sì, ho sperimentato molte volte in Italia l'intelligenza connettiva, ad esempio a
Mediartech, a Firenze, dove spero di farlo ancora. Lo spunto principale del mio lavoro è
sempre stato questo: dal libro è nata l'intelligenza privata, dalla TV e dalla radio una
forma di intelligenza collettiva, da Internet è, invece, nata una forma d'intelligenza
compresa tra le due: collettiva perché vuol dire che la gente lavora insieme - ed è un
modo classico, tipico, normale, in cui è abituato a lavorare un gruppo di lavoro; a
questo si aggiunge il fatto che quando c'è un lavoro cosciente di questo tipo di
connessione si determina un'accelerazione individuale della creazione, della produzione di
idee e anche di oggetti. E lo stimolo per me è di creare non solo un'idea che si possa
semplicemente illustrare scrivendola da qualche parte ma, piuttosto, di creare una
presentazione dell'idea che possa anche descrivere la situazione in cui è stata
concepita, o il desiderio da cui è scaturita, o la soluzione a cui si è arrivati, a
coloro che non c'erano al momento della creazione.
Domanda 5
Quali sono i campi concreti di applicazione di questo tipo di lavoro, diciamo così, di
gruppo particolare basato appunto sull'intelligenza cognitiva?
Risposta
Se le imprese hanno bisogno di scambiarsi informazioni è molto più semplice usare
l'intelligenza collettiva per fare in modo che due distinti gruppi di lavoro capiscano
cosa stanno facendo gli altri. Si tratta di riorganizzare il modo di lavorare. Ed è molto
efficace nel mondo degli affari, molto utile per organizzare secondo distinte
configurazioni tutti gli individui che lavorano in quei contesti. Inoltre è utile nella
scuola: invece di ricorrere al solito professore che parla di volta in volta con i singoli
studenti, si può moltiplicare l'intelligenza degli studenti nel lavoro di gruppo
facendoli lavorare secondo schemi fisici e mentali completamente nuovi. Si può accelerare
molto il processo di apprendimento degli studenti. Anche per i governi l'uso
dell'intelligenza collettiva può essere molto utile date le difficoltà di collaborazione
che esistono tra i diversi dipartimenti. Per esempio, spesso il Ministro degli Esteri non
comunica con quello dell'Educazione. Se si riesce a far lavorare insieme i diversi
dipartimenti attraverso l'intelligenza collettiva per ottenere soluzioni comuni a problemi
comuni si possono ottenere risultati ottimi.
Domanda 6
Per tornare proprio al discorso della scuola, lei ha paragonato l'attuale era delle
comunicazioni al sistema nervoso, diversamente dall'era industriale che invece era
associata al sistema muscolare e ha affermato che il sistema nervoso ha bisogno di stimoli
e non di spiegazioni. Si può dire anche per l'insegnamento, che un insegnamento nuovo non
deve più essere fatto di spiegazioni ma di stimoli?
Risposta
Sì, e aggiungerei anche di 'co-creazioni'. Ho sviluppato un concetto di
"classe" nuovo che è basato su un'idea che si sta sperimentando in Canada: si
chiama virtual classroom. Anche se il nome è abbastanza banale, l'idea della
virtual classroom è di creare una rete di dieci o quindici scuole, una rete di produzione
dei contenuti del lavoro della classe, e ogni giorno una, due o tre scuole devono creare
il contenuto digitale che si mostra a tutte le altre via cavo, o via satellite. Tutto
questo funziona molto bene con il satellite, e non costa molto. Ogni scuola potrebbe avere
un sistema di ricezione satellitare, una linea telefonica per il telefono e una linea
telefonica per Internet. Su Internet convergono tutte le informazioni su tutte le scuole e
tutti gli studenti, su tutte le classi: è facile da realizzare. Ogni scuola si serve di
una linea telefonica per mandare i materiali al professore. Poi il professore
distribuisce, con i suoi studenti, il corso a tutti gli altri. L'illustrazione del corso
è fatta per gli studenti, è fatta su CD-ROM, su Web, quindi su supporti digitali, per
permettere a tutti: primo, di imparare come realizzare prodotti multimediali - siti
Internet, CD-ROM -; secondo, come imparare il contenuto del lavoro della classe e, terzo,
come lavorare in équipe e moltiplicare le intelligenze individuali di ogni studente. L'ho
fatto con bambini dai dieci ai tredici anni e sperimentare con loro queste cose è molto
meglio che farlo con gli adulti.
Domanda 7
Lei ha accennato a bambini di dieci, undici, dodici anni, allora volevo chiederle cosa
pensa dei videogiochi. I videogiochi possono avere una funzione positiva nella loro
educazione?
Risposta
La mia esperienza dei videogiochi - personale e, anche, dei miei bambini - è che in certi
momenti il sistema nervoso vuole una stimolazione esterna come può essere uno sport - che
io chiamo neuro-sport. Passato il momento dell'attività fisica, però, tutto termina lì.
I miei bambini hanno provato i videogiochi per sei mesi, otto mesi: poi è finito il loro
interesse. Io penso che un momento di stimolazione del sistema nervoso sia sempre
importante: anche io ho scoperto un gioco che si chiama 'Blade Runner' e ci ho giocato
molte volte perché era un modo di accelerare le mie reazioni, ed era qualcosa che mi
serviva in quel momento proprio per riorganizzare la mia vita che stava subendo
un'accelerazione. Il videogioco è solo questo, non è più importante di questo. Adesso
non posso più vedere i videogiochi. Quindi non sono un pericolo. E' vero, assolutamente,
che implicano una forma di accelerazione del sistema nervoso. Veramente, ritengo che
l'unico problema dei videogiochi è che, esteticamente, sono assolutamente orribili, con
dei brutti colori e delle forme disgustose.
Domanda 8
Un mezzo tradizionale di istruzione come il libro che futuro avrà data l'espansione del
computer?
Risposta
Ma ha un presente, non parliamo del futuro. Ci sono più libri adesso che mai, si scrivono
più libri che mai, e, anzi, è diventato un problema reale l'obbligo di limitare il
numero di cartelle che si scrivono prima di pubblicarle. Sono convinto del fatto che ogni
medium non sia una forma di rimpiazzo: io non dico che la televisione sarà rimpiazzata
dal computer o da Internet, e non si riverserà su Internet ma Internet andrà ad
affiancarsi alla tivù con la Web-tv. E' questo che succederà. Ma stiamo pur tranquilli:
il libro sopravviverà.
Domanda 9
Però, da un certo punto di vista, cambierà il suo ruolo, quel ruolo, che come lei ha
scritto, era circondato da un'aura quasi di sacralità? Adesso con Internet e comunque con
il computer e con il fatto che chiunque può diventare editore, magari di se stesso, il
libro è posto sicuramente su un piano diverso. Lei cosa ne pensa?
Risposta
Ho scoperto una parte della risposta ma non conosco tutto di questo argomento.
specificatamente, però l'ipertesto dà una forma di libertà al testo, all'investigazione
e al lettore che non nel libro non esiste. Questo è indubbiamente vero; tuttavia il libro
a noi dà una forma di resistenza che non si trova altrettanto nell'ipertesto. La
creazione del soggetto-individuo dipende da un oggetto fisso, e la libertà di quel
soggetto - se l'oggetto mentale non è fisso come quello della tivù, o quello del
videogioco o come quello dell'ipertesto - la relazione tra la formazione dell'identità e
il potere, tra il sé e la macchina a quel punto non è più sicura. Quello è il problema
del libro: è la garanzia dell'identità privata e della formazione dell'identità di una
crescita personale. Io non sono sicuro che l'ipertesto abbia lo stesso effetto. Comunque
io non penso che il libro sarà abbandonato per l'ipertesto, non solo perché non tutti
avranno immediatamente l'accesso a Internet, prima cosa, ma anche perché io penso che la
gente si orienterà, prenderà i due media come oggetti differenti, come la tivù e il
cinema, che sono in competizione però ciascuna di esse ha il suo mercato e il suo tipo di
organizzazione mentale.
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