INTERVISTA:
Domanda 1
L'orientamento è di fare della Rai, nel prossimo futuro, una grande azienda multimediale.
Cosa vuol dire, e quali sono gli orientamenti del Consiglio di Amministrazione?
Risposta
Vuol dire innanzitutto potenziare quei semi che sono già stati piantati. La Rai è
un'azienda che, oltre alla televisione generalista, si è già lanciata, giustamente, con
trasmissioni via satellite e con l'apertura di una certa quantità di Siti: in questo
momento ne abbiamo più di diciotto. Potrebbe inoltre tranquillamente potenziare tutta una
serie di attività editoriali, facendole diventare anche oggetto di business. Si possono
vendere videotape, fare dei CD-Rom. Moltiplicare tutto ciò che la Rai già fa con delle
sinergie e strategie sulle quali nel Servizio Pubblico non si è abituati a riflettere.
Domanda 2
Allora, però, sarebbe opportuno intendere la Rai, che in linea di massima è una
struttura che sa fare televisione, come una struttura che invece sappia fare anche
marketing e differenziazione del prodotto
Risposta
È quello che a parer mio dovrebbe essere fatto. E ci stiamo pensando, insieme alla
riorganizzazione generale, che è il compito piu' importante che ci siamo dati. In molti
casi si tratterà più che altro di trovare sinergie tra strutture esistenti: Rai Trade
per esempio, si deve occupare del coordinamento delle offerte sul mercato; mentre
strutture che sono specializzate nel fare altro -per esempio la multimedialità- possono
trasferirlo sulle varie reti, e muoversi poi nello stesso modo anche nell'offerta, che
può essere fatta attraverso diversi canali di vendita.
Domanda 3
C'è un'evoluzione parallela fra il linguaggio televisivo e altri linguaggi contemporanei,
come quello pubblicitario?
Risposta
Oggi stiamo notando una certa convergenza non soltanto delle tecnologie, ma proprio del
linguaggio, e tutto ciò, a parer mio, è davvero molto interessante. Parlavo in questi
giorni con dei giornalisti -alcuni dei quali faranno tra l'altro dei programmi anche per
la Rai- i quali sono particolarmente interessati, direi intrigati, nello sfruttare al
meglio il linguaggio pubblicitario. Lo specifico registico della pubblicità, specifico
che attiene alla sintesi, alla rapidità del montaggio, alla capacità di sposare insieme
suoni e immagini in modo molto veloce, molto rapido, ma anche molto accattivante,
interessa, in tal senso, anche la comunicazione di carattere puramente informativo. Direi
quindi che ci troviamo di fronte ad una contaminazione, di carattere positivo, o perlomeno
non di carattere negativo, dello specifico registico pubblicitario con il contenuto
televisivo tout court.
Domanda 4
È possibile in Italia che si affermi la pubblicità su Internet? E se sì, c'è il timore
che una parte della pubblicità sparisca dalla televisione e dalla carta stampata per
migrare sul web?
Risposta
Io credo che sarà comunque un fatto inevitabile: l'acqua, quando è in discesa, scorre in
un certo senso, la si può fermare finché si vuole ma continuerà a scorrere.
L'evoluzione della comunicazione interattiva è molto forte, le classi giovanili
-intendendo per queste chi oggi ha tredici, quattordici...diciott'anni- si stanno
allontanando sempre più dalla televisione in quanto tale, per trascorrere molto più
tempo su questi nuovi mezzi. Via via che queste classi diventeranno protagoniste dei
consumi sottrarranno inevitabilmente spazio ad una televisione generalista come oggi la
vediamo. Naturalmente sono percorsi che richiedono molto tempo; purtroppo noi siamo un po'
schiavi del mito alimentato dai titoli giornalistici del tipo "domani sarà
così", intendendo per domani davvero domanimattina. Il domani da intendere in questo
senso è invece un domani che vuol dire quattro, sei, sette, o magari dieci anni, per
alcune tecnologie. Oggi noi siamo in una fase di transizione, abbiamo un pubblico adulto e
anche anziano che segue molto la televisione, e abbiamo molti giovani che invece la stanno
abbandonando. Probabilmente questi torneranno quando si verificherà quella famosa fusione
tra la televisione e il computer. A questo punto si apre l'ormai annoso dibattito se ad
avere la meglio sarà il "teleputer" (la televisione che diventa computer) o il
"compuvision" (il computer che diventa televisione). Ci sono a riguardo due
ampie correnti di pensiero. Mentre io ne ho una personale: sostengo che a fare la
differenza, o meglio a determinare l'opzione vincente sarà la destinazione d'uso, ovvero
l'ambiente (in senso lato e non lato) dove viene consumato il momento ludico o di lavoro.
Sostengo cioè che nella stanza dove oggi c'è la televisione, che diventerà magari
computer, l'utilizzo sarà orientato ad una interattività legata comunque all'aspetto
ludico, di passatempo; mentre nel luogo dove oggi c'è il computer, che può essere uno
studio, ma anche un angolo della medesima sala, lì si potrà ricevere comunque la
televisione, si potrà ricevere la CNN o Bloomberg TV per vederle in un angolo del
monitor... si potrà ricevere tutto quello che si vuole, sfruttando i famosi servizi
interattivi di cui tanto si parla. Non riesco infatti ad immaginare (almeno per molti
anni) qualcuno che dialoghi con la propria banca dal televisore di casa, posizionato
nell'angolo legato all'intrattenimento, presenti magari altre persone. Non dimentichiamo,
inoltre, che al di la'dell'entusiasmo di tanti ingegneri per le sempre nuove e migliori
possibilita' offerte dallo sviluppo tecnologico, il televisore di casa non potra' rendere
tanto facilmente spettacolare la forma essenzialmente testuale di Internet. Per avere
clamorosi sviluppi in questo senso ci vorranno molti anni. Mentre penso alla grande
opportunita' che ci sono da cogliere ancora nel campo dell'home theatre e di una sua
diffusione a livello di massa. E che andra'di pari passo con la diffusione dell'offerta
digitale sia free che pay.
Domanda 5
Da professionista con grandi esperienze nel campo pubblicitario, da persona che ha, come
dire, due anime, ritiene che la televisione -soprattutto quella intesa come servizio
pubblico- possa svincolarsi da quella logica secondo la quale il condizionamento che
esercita la pubblicità sul prodotto televisivo è tale da far pensare che la televisione
non si faccia più per l'utente ma per gli utenti pubblicitari?
Risposta
L'uscita da questa situazione c'è, ma quando si fanno certi ragionamenti bisogna anche
uscire dagli schemi. La televisione commerciale di per sé funziona secondo questo
meccanismo: vende l'audience ai propri inserzionisti, dice loro: "io faccio un
programma che cerca di catturare sei milioni di ascoltatori e quindi te lo vendo a
tot". Un'impresa che ha come obiettivo principale il servizio pubblico deve fare un
percorso leggermente ma significativamente diverso, deve dire: "io faccio dei
programmi di grande interesse e di grande utilita" per sei milioni di ascoltatori e
di conseguenza, visto che ho sei milioni di ascoltatori perché ho fatto un programma di
grande interesse e di grande utilita', lo vendo anche agli inserzionisti". Quindi
bisogna stare molto attenti a quale sia il primum movens. La cosa difficile è sposare
l'audience, l'interesse, con la qualità dei contenuti: questa è forse la sfida
principale di fronte alla quale ci troviamo oggi.
Domanda 6
Chi da il via a un meccanismo del genere, il Consiglio di Amministrazione, i produttori di
programmi, il pubblico stesso...chi fa il primo passo?
Risposta
Deve essere innescato un circolo virtuoso. Io, con la mia esperienza professionale, da
quando sono arrivato alla Rai suggerisco di usare sempre piu' sovente la tecnica del
brainstorming: so per esperienza che mettere intorno ad un tavolo le persone più
disparate e farle parlare a ruota libera per far scaturire delle idee, con un tema di
fondo stabilito, è un sistema che puo' dare grandi risultati. Naturalmente sapendolo
gestire con mano di ferro in guanto di velluto, come si usa dire. Penso sia fondamentale
creare questa sorta di laboratorio dove poter coinvolgere vecchi professionisti con molta
esperienza e giovani con nuove idee. Fare ciò vuol dire cominciare a riflettere
finalmente sui contenuti. Nei primi tre mesi ho sofferto un po' a dovermi occupare solo di
riorganizzazione in senso stretto e non parlare mai di contenuto, quando invece ritengo
che il contenuto sia ciò che fondamentalmente debba venir fuori dalla televisione.
Probabilmente anche a causa della storia politica che la televisione ha alle spalle,
sembra quasi che ciò che passa dallo schermo sia in larga parte l'effetto collaterale di
qualcos'altro che si decide e che si pensa altrove. Bisogna invece tornare a pensare
veramente al contenuto. In questo senso credo che sia estremamente importante avviare
questa rivoluzione solo apparentemente copernicana: di ripensare il modo di fare
televisione, di come parlarne, di come trattarla, considerando molto piu' a fondo anche
l'audience che abbiamo di fronte. L'audience, tra l'altro e puo' sembrare
paradossale o curioso - è proprio uno di quegli aspetti spesso affrontati in forma
paradossalmente superficiale: il mio sarà forse un modo di pensare da tecnico della
comunicazione, però ritengo che il correlare sempre il tuo messaggio o il tuo programma
il piu' esattamente possibile ai cluster di popolazione che hai davanti sia molto
importante. Non si può fare un programma di largo ascolto pensando ad un pubblico di
nicchia e viceversa, come invece abbastanza spesso si fa: bisogna avere sempre ben
presente chi si ha di fronte. Purtroppo molto spesso la televisione generalista ha di
fronte un pubblico che ha in larga parte al massimo la licenza media inferiore, e questo
crea il problema difficilissimo di come dialogarvi facendo servizio pubblico in forma
necessariamente avvincente, intrigante, spettacolare.
Domanda 7
A chi si rivolge la televisione?
Risposta
Forse oggi, quando si parla di televisione, quello su cui si riflette poco -ed è
paradossale, vista la quantità dei professionisti che ci lavorano- è proprio il
significato di questa televisione: oltre all'audience, all'aspetto numerico, diventa
sempre di piu' ineliminabile la riflessione sull'aspetto psicografico dei teleutenti e
sulla qualita'dei contenuti e delle forme dei programmi. Quando si parla di televisione
generalista non dobbiamo dimenticare che ci rivolgiamo ad un pubblico proveniente da una
popolazione che per il 74% (in Italia) non va oltre, in quanto a scolarita', alla licenza
media inferiore. Ritengo sia un errore proporre a questo pubblico una programmazione dai
contenuti eccessivamente complessi: ma allo stesso modo penso sia scorretto offrirgli solo
contenuti leggeri - o peggio cretini con la scusa della bassa scolarita'. Per
parlare a un pubblico non alfabetizzato, non acculturato come questo, ritengo occorra
concentrarsi sul problema della "divulgazione". Anche se mi rendo naturalmente
conto che in questo campo possiamo andare incontro ai rischi che sono sempre legati ai
tentativi di semplificazione della cultura, ciò nondimeno ritengo che spetti proprio al
servizio pubblico assumersi la responsabilità di questo difficile compito, che richiede
senz'altro da un lato una grande sapienza e dall'altro una grandissima umiltà.
Domanda 8
Sembra che ci sia un gap fra il momento attuale -in cui la media degli spettatori non è
di alto livello culturale- e il momento in cui i satelliti digitali, se mai lo faranno
veramente, cominceranno davvero ad essere accessibili e funzionali per tutti. Questo
momento di transizione come può essere riempito? Qual è il ponte tra la situazione
attuale e quella futura?
Risposta
Io la vedo abbastanza semplicemente. È vero, purtroppo c'è un gap, un salto che non si
può colmare automaticamente. Bisogna secondo me trovare lo spazio, negli orari di
programmazione di cui il servizio pubblico dispone, sia per una televisione più semplice,
più digeribile, più commestibile anche se non per questo meno colta, e uno spazio per
una televisione che possa invece offrire, ad esempio, le opere d'arte nel loro complesso,
nella loro integrità, in un orario magari tardo, certo non la notte, ma magari le 23,00 o
le 23,30. Si dovrebbe arrivare ad organizzare una programmazione per un largo pubblico, ed
una programmazione per un pubblico che voglia assaporare, come dicevo, l'opera d'arte
senza bisogno di mediazioni. In questo contesto il Macbeth alle 20,00 non è altro che una
provocazione, mentre messo alle 23,00, magari con un po' di spiegazioni intelligenti
prima, potrebbe essere comunque interessante, perché potrebbe conquistare due pubblici
diversi. Che comunque potrebbero agilmente mettere in funzione il videoregistratore.
Certamente gli spazi sono quelli che sono e quindi bisognerà, via via che il satellite
decolla, far migrare sul satellite tutto ciò che ha a che fare con gli interessi di
nicchie sempre più piccole di popolazione: questo è comunque un processo che si sta
definendo un po' dappertutto, direi si tratti di un processo inevitabile, ma che
richiedera' comunque ancora del tempo.
Domanda 9
Sempre parlando da pubblicitario prestato alla televisione: quanto può rischiare la Rai
di perdere punti di audience, visto che poi la perdita crea una sorta preoccupazione, di
considerazione negativa, anche nei confronti dei direttori le cui Reti hanno perduto
punti? Qual è la soglia di rischio?
Risposta
Il rischio c'è, ovviamente, ma potrebbe anche essere un rischio evitabile. Alla nuova
RAITRE abbiamo affidato obiettivi di share (10 %) non certo irraggiungibili. Vedo invece
una soglia di carattere soprattutto culturale. Ciò che intendo dire è che oggettivamente
oggi la qualità della televisione dipende dal duopolio esistente in Italia: i
telespettatori o guardano Mediaset o guardano la Rai. In buona sostanza, per chi fa
programmi è come se dovesse andare a dare un esame all'Università studiando per il voto
minimo, sicuro comunque di prendere quasi sempre i voti piu' alti. Io mi rendo conto che
facendo dei programmi per i quali si viene premiati senza troppo sforzo da un largo
ascolto, l'impegno per realizzarli si riduce; ma questo è anche un problema di
responsabilità professionale e culturale. La cartina di tornasole di questo ragionamento
è che bastano due gradi di temperatura in più e improvvisamente assistiamo alla fuga
dalla televisione, e ciò vuol dire che la qualità del contenuto non è molto elevata.
Come Presidente dell'Associazione delle Agenzie di Pubblicità italiane ho commissionato
poco tempo fa una ricerca assai interessante, dalla quale è emerso che gli italiani
oscillano tra la paura del futuro e la mancanza del senso della storia. In fondo (mi si
perdoni l'analogia un po' forte) è come se ci trovassimo di fronte a dei bambini che non
sanno chi sono, da dove vengono, e hanno una grande paura del buio. A questi bambini, per
interessarli e farli crescere bisogna saper raccontare delle cose. Grande responsabilità
di un servizio pubblico è quindi quella di raccontare la musica, la storia e la
letteratura ma anche l'economia e la politica, spiegare da dove veniamo, quale sia stata
la nascita del nostro Paese, magari attraverso una fiction ben fatta. O con il ritorno a
quelle inchieste giornalistiche che non si fanno più perché forse manca la voglia, o
forse ci si è addormentati in una concorrenza che ha dato per scontato che il grande
pubblico lo si conquisti primariamente con dei giochini beoti.
Domanda 10
La fascia giovanile, diciamo fino ai 25 anni, da un punto di vista pubblicitario -quindi
dei consumi- una volta contava un po' meno di adesso. Se una volta era quindi
giustificato, da un punto di vista pubblicitario, che la televisione si rivolgesse alle
classi più adulte ormai questo ragionamento è meno valido: e allora perché si continua
a fare una televisione che i ragazzi non trovano quasi mai interessante e stimolante, se
non per eventi come il grande concerto, o il grande spettacolo sportivo, ma quasi mai sul
quotidiano?
Risposta
Per la verita' la fascia piu' interessante per i consumi è quella che va dai 25 ai 54
anni (e comunque anche l'offerta per questa fascia va ritarata). Va comunque osservato che
i cluster di popolazione più giovane effettivamente si concentrano oggi su un tipo di
offerta diversa. La barriera della lingua, soprattutto per i più giovani, è ormai
caduta, e preferiscono guardare le televisioni straniere che fanno soprattutto musica;
queste televisioni stanno tra l'altro sperimentando un tipo di programmazione assai
complessa, detta "di flusso", nella quale non ci sono più delle forme di
programma con una struttura apparente. Questo è un grosso problema di fronte al quale ci
troviamo anche per quanto riguarda la radio: la programmazione di flusso è difficile da
realizzare e rischia, molto spesso, di diventare un chiacchiericcio indistinto, dove il
rumore di fondo rischia di prendere invece il sopravvento. Credo che, in tal senso, si
debbano cercare anche delle forme nuove, che non abbiamo francamente ancora trovato. La
situazione ci sta obbligando, come dire, un po' italianamente, a correre ai ripari prima
che la crisi non ci scoppi di colpo davanti agli occhi. Io preferirei, anche con questi
brain-storming interni, cercare di fecondare un po' i cervelli, cercare soprattutto di
trovare il modo di riflettere più approfonditamente sul modo di affrontare il nuovo. Ad
esempio il modo in cui i giovani reagiscono alle nuove offerte può essere uno stimolo
molto importante; certo va preso sul serio, invece temo che per inerzia o per paura di
sperimentare, si aspetti un po' troppo, mentre è già arrivato il momento di farlo.
Domanda 11
Non sarà che i giovani sono poco attratti dalla televisione perché in TV c'è un'idea di
cultura che non è quella "giovanile"? In altre parole: la cultura da venti anni
a questa parte è molto cambiata, cultura oggi è tutto: è anche musica, sport, moda,
videogiochi. L'idea della cultura che c'è attualmente in Rai non è ancora quella delle
generazioni precedenti? Non c'è un gap quasi incolmabile tra questi due significati di
cultura? Non è forse vero che molti ragazzi non sono interessati -soprattutto al
"passato"- perché tutto viene loro raccontato, comunicativamente, in una
maniera troppo diversa rispetto al loro modo di raccontare? E, allo stesso modo, non è
forse vero che molte delle persone di mezza età o anziane non sono interessate al mondo
giovanile per lo stesso motivo?
Risposta
Penso che sia effettivamente così e su questo, ritengo, si debba approfondire la
riflessione . Ho organizzato spesso seminari con dei ragazzi che avevano come oggetto
l'analisi di alcuni spot. Dai ragazzi gli spot migliori vengono considerati oggetti di
culto, vengono analizzati in ogni loro aspetto, e i più belli sono in fondo quelli che
coinvolgono la musica di tendenza, il montaggio di tendenza, la regia di tendenza, sono la
parte più avanzata della comunicazione. È perlomeno curioso vedere che questi ragazzi
rendono vera quella vecchia battuta circolante tra gli addetti ai lavori che diceva:
"i programmi sono quella cosa noiosa che sta in mezzo alla pubblicità". Credo
che sia davvero necessario avviare un grande ripensamento, e credo anche che il grosso
errore fatto anche di recente sia stato quello di considerare cultura
"giovanile" (e gia' l'aggettivo è orrido) quella interpretata da adulti che
hanno un' idea tutta propria di cultura giovanile: per cui, ad esempio, delle volte ci
troviamo di fronte a qualche disk-jockey, magari un po' scoppiato, che pensa di
interpretare i pensieri dei giovani, i quali invece stanno serenamente pensando già a
tutt'altro. L'essere sintonizzati con ciò che pensano veramente i ragazzi di oggi
dovrebbe essere una cosa a cui prestare grande attenzione, e proprio per questo motivo io
ho auspicato, e richiesto a gran voce, di potenziare un ufficio marketing che sia un
sensore molto particolare e molto attento nei confronti della popolazione nel suo insieme,
e non solo dei ragazzi. Questo per evitare una programmazione che rischia altrimenti di
essere totalmente dissociata e distaccata da quello che sente veramente la popolazione.
Domanda 12
Gli italiani fondamentalmente non hanno solo paura del futuro, hanno in realtà anche un
grande interesse solo per se stessi, non guardano molto fuori dai confini: cosa può
cambiare col fatto che non ci siano più dieci canali, ma cento e in tante lingue diverse,
che ci portano una realtà diversa? Culturalmente e, nel caso, sociologicamente, come può
cambiare la percezione italiana del resto del mondo con l'avvento del digitale?
Risposta
Questo è un discorso molto ampio e molto complesso. Io non so neanche se gli italiani
riescano a percepire veramente il fatto di far parte di una Nazione. Forse, come scriveva
già Carducci, il popolo italiano ha difficoltà a sentirsi popolo...tranne che durante i
mondiali di calcio. Certamente oggi ci troviamo di fronte ad un'evoluzione di cui facciamo
fatica a renderci conto. Non ci accorgiamo, per esempio, della lenta invasione da parte
dei popoli del sud del mondo, che cominciano col fare i mestieri più umili e gradualmente
diventano parte della nostra famiglia. Ognuno di noi ha ormai, intorno a sé, persone di
tutti i colori e di tutte le razze. Siamo, ad onor del vero, almeno sotto un certo
aspetto, forse una delle nazioni più accoglienti. Il risultato è che nel nostro Paese,
senza che ce ne accorgiamo, qualcosa sta veramente cambiando. Sicuramente l'impatto di una
comunicazione che ci porta immagini e suoni dal resto del mondo può avere degli influssi.
Francamente non so dire che cosa succederà, certamente se uno non ha una coscienza molto
forte della propria identità è molto facile che questa possa venir spazzata via assai
rapidamente; e questa ritengo sia una cosa assai pericolosa. È per questo che sostengo
l'importanza, da parte del servizio pubblico, di assumersi la responsabilità di
raccontare e far scoprire le ragioni delle proprie origini, per far nascere poi la
curiosità delle origini di altri popoli. Se non si dà chiarezza e coscienza di questa
identità si rischia, a mio parere, di prendere non le virtù, ma i difetti di tutti. E
questo per me vuol dire, lo ribadisco, che la responsabilità del servizio pubblico in
questo senso è ancora enorme.
Domanda 13
La televisione globale, planetaria, premia alcuni settori e i suoi protagonisti, che sono
poi essenzialmente lo sport, il cinema e la fiction, e in parte la musica. Ci sono altri
settori potenzialmente emergenti? Altri protagonisti planetari?
Risposta
Concordo con questa analisi e tra l'altro aggiungo che la nostra televisione non è tra le
più brutte del mondo, anzi probabilmente tecnicamente è anche tra le migliori. Essendo
poi lo specchio della società, nel bene e nel male, il più delle volte ne rispecchia i
gusti, i vizi e le virtu'. Da noi si fa ancora molta attenzione al talk show e al
dibattito politico, ma non credo che questo sia uno spazio che possa ancora crescere,
anzi. Proprio perché se ne è abusato troppo. Credo invece molto alla possibilità di
aumentare la "capacità" di raccontare. Se la televisione recupererà lo spazio
del racconto -qualsiasi esso sia, sia nel senso culturale stretto che in quello della
grande inchiesta- lì ci saranno spazi di nuovo enormi. La gente è curiosa di sapere, lo
dimostrano il successo di programmi anche, ad esempio, sulla natura- che comunque
raccontano mondi lontani da noi. Credo che questo debba essere preso in considerazione per
traghettare la televisione italiana del presente, che è un pochettino addormentata su se
stessa, a qualcosa di più brillante per il futuro.
Domanda 14
L'unità europea può cambiare qualcosa in questo senso? L'idea che diventiamo gli Stati
Uniti d'Europa anche se magari il processo richiederà trent'anni- può cambiare
qualcosa nel meccanismo della comunicazione?
Risposta
Questa è una bella scommessa. Quando si parla di unità europea, io cerco di spostare il
discorso sulle differenze gastronomiche, perché ritengo che la cultura alimentare sia una
forma d'identità strepitosa che non credo cambierà, se viene colta come una ricchezza.
Credo tra l'altro che per la Comunità Europea sarà davvero interessante poter offrire
anche soltanto ai turisti una varietà di cibi così interessanti e diversi, mentre non
sarà così se il piatto diventerà unico e tutto uguale. La metafora vale ancora di piu'
per l'offerta culturale. Francamente è molto difficile da stabilire: credo che la
barriera della lingua e delle lingue, soprattutto per noi, sarà ancora un elemento di
difesa, per un certo tempo, e anche una barriera invalicabile all'inverso. Io consiglio ai
giovani di imparare rapidamente una o due lingue per non essere confinati in un ghetto
ineluttabile quale quello della lingua italiana.
Domanda 15
Si parla molto dell'idea che le televisioni tematiche siano il futuro e che la televisione
generalista sia invece il passato. È davvero così o in realtà si creerà solo un
ampliamento del mercato, e la televisione generalista rimarrà?
Risposta
Io credo che sarà un mix di tutto, non sono per le soluzioni drastiche. Credo che la
televisione generalista invecchierà per molti anni con i propri teleutenti, e ci saranno
nuovi utenti che vorranno nuove cose. Ricordo che quattro anni fa vennero in Italia ad un
convegno del Centro San Salvador di Telecom due sociologi. Uno era Gilbert, che ha scritto
un libro famoso sulla televisione, e l'altro era Kubey. Il primo diceva: la televisione
sarà tutta digitale, sarà tutto interattivo, diventeremo un grande pollice su un divano
che schiaccerà i telecomandi per vedere i film, ordinare la pizza e controllare il conto
in banca. L'altro diceva: la televisione continuerà ad essere puro intrattenimento, e
quando uno tornerà a casa dopo aver lavorato ore ed ore, magari con un computer davanti,
non vorrà più vedere un mouse ma semplicemente godersi, in senso assolutamente passivo,
l'intrattenimento che gli verrà offerto. Forse si erano dimenticati di pensare
all'aspetto generazionale: i nostri figli, che oggi hanno diciassette o diciotto anni,
sono nati con un mouse in mano e non fanno più quella fatica che facciamo noi di
quaranta, cinquanta o sessant'anni, a tradurre il pensiero anche solo per usare il
word processing - in un movimento della mano. Per le nuove generazioni, che sono nate con
un videogioco in mano, il mouse è il sesto dito. Loro non hanno più questo problema. È
necessario quindi fare un semplice conto: quando questi giovani diventeranno protagonisti
dei consumi, anche televisivi, diciamo più o meno tra dieci anni, non avrà più nemmeno
senso il problema di porsi questa domanda. La generazione che oggi ha quindici o sedici
anni è nata con un mouse in mano, sa tutto di informatica anche senza aver fatto alcun
corso, ed è la generazione che si troverà ad interagire con tutte le nuove diavolerie
televisive (e non) senza alcun problema. Per un certo periodo conviveranno sicuramente
insieme entrambi i tipi di televisione. Ma bisogna anche considerare -questa è la
scommessa più difficile- che la televisione tematica, la televisione a pagamento, avranno
sempre più successo nella misura in cui ci sarà minor offerta gratuita. È chiaro che se
si dovesse trovare ciò che interessa, anche se con un po' di pubblicità, su un canale
gratuito, lo si preferirebbe a quello a pagamento.
Domanda 16
È più ragionevole acculturare lo spettacolo o spettacolarizzare la cultura?
Risposta
Forse potrebbero essere due lati della stessa questione. Spettacolarizzare la cultura vuol
dire semplicemente renderla più appetibile, più semplice, più gradita a persone che non
ci si avvicinerebbero diversamente. Faccio un esempio: a molte persone forse Mozart non
interessa affatto, però io sono convinto che se si iniziasse a legger loro le lettere di
Mozart, licenziose e curiose come sono quelle lettere, che ci portano in un mondo
sconosciuto, credo che molte di quelle persone comincerebbero ad interessarsi a Mozart e
forse si avvicinerebbe anche al suo mondo musicale. Un film come "Amadeus" è un
classico esempio. Questo naturalmente richiede una fatica immensa: penso che raccontare,
far percepire il senso di un'epoca storica, può voler dire ad esempio prendere un libro
che c'è oggi in circolazione su Caterina de' Medici e usarlo come una sceneggiatura
fantastica per raccontare attraverso gli intrighi dell'epoca la musica, l'arte e il
pensiero del tempo. Solo affrontando questo tipo di fatica ritengo sia possibile
spettacolarizzare la cultura. Per altro verso, rendere più cultura lo spettacolo, anche
questo è un grosso obiettivo. Purtroppo oggi la televisione cotta e mangiata ci porta a
considerare la battutaccia da caserma stile Covatta inventata in pochi istanti, come
qualcosa che vada comunque pagata. Io credo sia invece qualcosa che andrebbe condannato,
quindi sostengo l'importanza della riscoperta del lavoro degli autori. La prima cosa che
ho chiesto, quando sono arrivato in Rai, è stata se c'era una scuola per autori o per
talenti, e mi è stato risposto che non c'era. Ho pensato che fosse stranissimo, dal
momento che, visti i fondi che si possono probabilmente reperire -anche lavorando insieme
all'Ente Cinema o attraverso altre istituzioni- si potrebbe tranquillamente creare una
scuola per tirare sù dei talenti. Mi sembra folle che l'unica sperimentazione sia fatta
dal concorrente privato; so che anche la Rai sta cercando di fare qualcosa e ritengo che
questo tipo di iniziative vada assolutamente potenziato. Occorre creare un laboratorio per
nuovi linguaggi e per nuovi talenti dove poter tra l'altro sperimentare e mettere insieme
giovanissimi e anziani di grande esperienza. Organizzare un laboratorio tipo bottega
medievale: dove si re-impari a raccontare, dove si inventino nuovi linguaggi facendo
tesoro di una cultura professionale accumulata nel tempo. Il tutto in forma trasversale e
interdisciplinare, cosa peraltro richiesta dall'evoluzione dei nuovi media. Tutto molto
piu' interessante che stare dietro alle beghe politiche, no? E senza dimenticare che
l'innovazione del linguaggio passa inevitabilmente, per un'impresa come la RAI, anche
attraverso ad una profonda innovazione dell'organizzazione dell'amministrazione e della
produzione. Perché è sempre piu' vero che "tutto si tiene", è collegato, e
non è pensabile innovare i contenuti senza innovare profondamente le forme ed il contesto
della cultura aziendale.
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