Biblioteca digitale (intervista) RAI Educational

Furio Colombo

Roma, 15/12/95

"Confucio nel computer"

SOMMARIO:

  • Il titolo del libro "Confucio nel computer" si spiega attraverso l'analisi delle due parole. Il computer è uno strumento semplice, ma è anche la prima macchina che entra in diretto contatto con la mente umana; con il computer si può navigare nella rete dove regna incontrastata la solitudine già predicata da Confucio (1).
  • L'informazione come ricchezza del futuro è, in realtà, uno slogan: la vera ricchezza sarà comunicare, non informare. Tuttavia, Negroponte non definisce il contenuto. In altri termini, questa è la teoria del trasportatore di informazione, il cui postulato è l'intelligenza con cui si occuperà lo spazio del trasportatore (2).
  • E' un grave errore considerare in astratto il computer come rimedio assoluto al problema della disoccupazione; è invece corretto vedere nel computer lo strumento grazie al quale sia possibile formare unità di lavoro disseminate nel territorio: ma bisogna ancora progettare e realizzare un modello di sviluppo in cui poter inserire queste forme di lavoro (3).
  • Negli USA il cyberspazio sta diventando un modo per impegnare il tempo libero piuttosto che essere uno strumento di lavoro: si lavora con il computer, mentre Internet rappresenta una forma di evasione, specialmente per le persone comprese tra i 15 e i 25 anni. Nel mettersi davanti a un computer, bisogna essere determinati nell'utilizzarne le capacità senza rimanerne sedotti: se così non fosse, il computer diventerebbe signore dei modi e dei tempi di impiego, mentre il cyberspazio può rappresentare una nuova forma di tossicodipendenza (4) (5) (6).
  • I navigatori di Internet non sono, come potrebbe invece apparire dal linguaggio usato, gli esponenti di una controcultura: al contrario, sono i sudditi di una cultura dell'ordine. D'altro canto i luddisti del computer forniscono false risposte nel rigettare in toto una macchina che facilita l'uomo (7).
  • Una civiltà organizzata attraverso i computer presenta due indubbi vantaggi: informazione e possibilità di comunicazione globali e diffuse istantaneamente. Tuttavia questo tipo di società offre due rischi: la persuasione istantanea e la democrazia plebiscitaria (8).
  • La storia insegna che ogni forma di colonizzazione fisica, territoriale, lascia delle tracce superficiali rispetto ai segni di una colonizzazione culturale o in qualche modo riguardante la vita interiore dell'uomo. Internet rientra potenzialmente in quest'ultimo campo Il cyberspazio al momento è "americano", ma nulla vieta di pensare a delle alternative culturali nazionali in contrapposizione all'internazionalità del cyberspazio (9) (10).
  • E' assurdo pensare, con Negroponte, ad una condizione di egualitarismo ed anarchia nella rete. La rete è come una frontiera, dove solo i più forti sopravvivono e l'uguaglianza vale solo per essi (11).
  • Considerare il computer ed Internet come il "Grande Fratello " di Orwell è corretto nella misura in cui questa definizione può riferirsi anche agli altri media. Va comunque fatta una distinzione rispetto al passato: l'interazione tra computer e mente implica una maggiore attenzione nel filtrare i messaggi messi in rete (12).
  • Il computer rappresenta una novità nella storia dei rapporti tra generazioni: è la prima volta, infatti, che i giovani possano trasmettere una propria esperienza ed insegnarla ai più anziani; tuttavia, contrariamente a quanto pensa Negroponte, si tratta di un vuoto colmabile. Più difficile, invece, appare attualmente la diffusione effettiva su scala mondiale del computer. Il computer, infatti, viaggia via cavo: le aree geografiche in cui è presente questa tecnologia di comunicazione, corrispondono alle aree economicamente e tecnologicamente avanzate; i Paesi in via di sviluppo e il Terzo Mondo, quindi, sono attualmente tagliati fuori dall'universo informatico e da Internet. Questa situazione però riporta alla più generalizzata e profonda spaccatura tra chi possiede o no un computer, che vale anche per le società più ricche (13).
  • Ogni discorso di rivoluzione culturale ed educativa legata alla diffusione e all'uso del computer presuppone, contrariamente a quanto affermano Negroponte e Gates, delle regole e delle condizioni di accesso stabilite nella società civile e politica (14).
  • Una situazione interessante è rappresentata dalla velocità ed internazionalità delle transazioni finanziarie grazie ai computer, rispetto alla lentezza e al particolarismo dei sistemi politici (15).
  • Non si possono prevedere le conseguenze che deriveranno dalla navigazione in rete: fisicamente, infatti, si rimane davanti al terminale, ma con la mente si può andare ovunque e con chiunque: tutto ciò è virtuale, ma non simulato (16).

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INTERVISTA:

Domanda 1
Furio Colombo è autore di un libro che è una riflessione sul nostro presente e sul nostro futuro telematico. Si chiama: "Confucio nel computer". Professore, perché questo titolo, che cosa vuol dire?

Risposta
Il computer è uno strumento semplice, ed è uno strumento complicato. E' semplice perché lo usiamo per mettere in ordine, per scrivere, per archiviare, per memorizzare. E' complicato perché è la prima macchina nella storia dell'umanità che interferisce con la nostra mente, e non col nostro corpo. Ogni altra macchina fa delle fatiche fisiche per noi, questa fa delle fatiche mentali per noi, e entra direttamente in contatto con la nostra mente. In più, quando "navighiamo" nella rete troviamo - e questa è un po' la spiegazione della parola "Confucio" che c'è nel titolo - una traccia di misticismo laico, di religiosità secca, nel senso che la nuova passione per l'elettronica - così come viene predicata da "guru" tipo Negroponte, Bill Gates, Alvin Toffler - fa pensare a qualcosa di religioso, che però non ha niente di solidale, niente che porti a legami con altri. Al contrario: un mare di solitudine. Ma la solitudine era la predicazione di Confucio: responsabilità, isolamento e ognuno per se stesso. Io dubito che questa debba essere la predicazione del futuro, ma la vedo penetrare dentro la rete, almeno dove la rete è più estesa. Ecco perché ho pensato di parlarne.

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Domanda 2
Parte del pensiero dei "guru" come Negroponte si riassume in tre punti: nella rete ci sarà lavoro per tutti, l'informazione è la ricchezza del futuro, espandere la rete vuol dire espandere la conoscenza. C'è verità in queste tre affermazioni o no?

Risposta
Vediamo innanzitutto se è vero che l'informazione sarà la ricchezza del futuro. Intanto bisogna definire di che informazione stiamo parlando. Si tratta di una definizione che manca. Devo dire che ho cercato appassionatamente ma invano, prima nel libro di Negroponte, poi in quello di Alvin Toffler, poi in quello peggiore di tutti, quello di Bill Gates - peggiore perché viene preso per un libro di sociologia e invece è il libro di un venditore, e Bill Gates come venditore è rispettabile, come sociologo è pessimo - una definizione della parola "contenuto". Potete cercare quanto volete, in tutte le pagine di "Essere digitali" di Negroponte, ad esempio, e non troverete una definizione di "contenuto". Vi accorgete che si sta teorizzando il "trasportatore", il bit, lo strumento con cui si espandono le informazioni, ma non si dice quali informazioni saranno, quali informazioni dovrebbero essere. Non ci resta dunque che dire che questo è uno strumento e che tutto dipenderà dall'intelligenza con cui occuperemo lo spazio di questo strumento, senza permettere allo strumento di occupare noi stessi.

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Domanda 3
Ci sarà lavoro per tutti? Cambierà il lavoro?

Risposta
In "Confucio nel computer" diversi capitoli sono dedicati al problema del lavoro. Il mondo del lavoro confina da una parte con i giovani, che non vi entrano, e dall'altra con uomini troppo giovani, che ne escono troppo presto. In questa situazione ci dicono: "Beh, però adesso arriva il computer e il computer mette le cose a posto". Ora, io vedo il computer come un prezioso strumento, parte di una società nella quale noi tutti viviamo, la quale si deve dare degli scopi, si deve dare dei modelli di comportamento, che devono essere modelli economici e modelli politici. All'interno di questi modelli, dovranno esserci delle opzioni migliori delle attuali per le generazioni che vengono e per quelle che verranno. Ma non capisco perché dovrebbero essere dentro il computer, se noi, la società degli adulti, civili e politici, non ce le mettiamo. Quindi immaginare il computer come taumaturgo, che si metterà a spargere posti di lavoro, così come il passaggio del "guru" indiano sparge petali di rose, ecco, è una versione che non mi convince. Invece, la versione del computer come strumento prezioso di flessibilità e anche di dislocazione facile del posto di lavoro, che rende, almeno in teoria, possibile la disseminazione di punti terminali da cui si può collaborare e cooperare per formare unità di lavoro anche distaccate territorialmente, è certo possibile. Però questo bisogna progettarlo, volerlo, inventarlo e collocarlo all'interno di un modello di sviluppo, che, per ora, non c'è.

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Domanda 4
Nel suo libro, lei dice che il cyberspazio, non è più un luogo utile per comunicare, ma è diventato il luogo di "un altro destino", di "un'altra vita". Cosa vuol dire?

Risposta
Il cyberspazio sta perdendo la sua qualità di luogo utile di incontri, fatti a mente fredda, con uno scopo preciso, per diventare invece luogo di un grande vagabondaggio. In altre parole, vedo, almeno nella fascia 15-25 anni, in un'America ormai fittissima di popolazione elettronica, l'annessione dell'area del computer al tempo libero piuttosto che all'area del lavoro. Ovviamente, si lavora al computer in un'immensità di luoghi di lavoro. Ma questa non è la navigazione, questo non è Internet. Questo è l'uso del computer come grande ordinatore, come grande facilitatore della giornata di lavoro. Invece in tutta la parte più mistica - quella che viene continuamente esaltata dai Negroponte, dai Gates e dai Toffler - vedo una grande annessione del computer al tempo libero. C'è dunque il pericolo che il cyberspazio venga vissuto come una grande evasione, che ci ricorda in qualche modo la droga, invece di essere vissuto, a occhi aperti e a mente fredda, come quel grande strumento di comunicazione che deve essere e che sperabilmente sarà.

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Domanda 5
Lei dice che, a differenza della luce e del telegrafo, Internet, il cyberspazio, senza cultura non può sopravvivere. Perché?

Risposta
Prendiamo il telefono. L'apparecchio funziona, è intatto, ha il suo filo, ha il suo ricevitore da un lato e ce l'ha dall'altro, lo alzo e poi posso dire delle cose incredibilmente stupide oppure può mettersi al telefono Einstein che parla con Kant e ne viene fuori una telefonata meravigliosa. Il computer è un fenomeno alquanto più complesso. Un po' perché interferisce con la nostra mente, un po' perché consente una flessibilità di percorsi, di azioni, di interconnessioni molto più vaste e molto più ricche. Quando affermo che occorre una cultura, intendo dire che è necessario un punto di vista, un modo di porsi di fronte a questa macchina affinché essa non diventi più potente di noi. Per ora la macchina è molto seducente. Il computer-navigazione è immensamente seducente, e, come tale, può fare in modo che le persone più giovani vi si abbandonino come ad una specie di signore e padrone, invece che ad un prodigioso strumento di studio, di lavoro, di esplorazione e, perché no, anche di divertimento.

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Domanda 6
Lei scrive che gli Americani si riferiscono alla possibilità di viaggiare su Internet come ad una cosa allucinogena, psichedelica. Perché?

Risposta
Se la navigazione dentro la rete resta legata più al tempo libero che a un modello di vita, e quindi anche a un modello di lavoro, fatalmente essa viene ad occupare uno spazio di evasione analogo a quello che molti, erroneamente e con gravissimo rischio, hanno in passato cercato nella droga. Quindi esiste la possibilità di un'affinità psicologico-culturale, da questo punto di vista, tra droga e computer.

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Domanda 7
Esiste una controcultura, una cultura antagonista rispetto a quella dominante nel cyberspazio?

Risposta
Al momento vedo due tipi di posizioni che si vorrebbero antagoniste, una tutta esterna e una tutta interna al cyberspazio. La prima, quella dei luddisti, di coloro che rifiutano il computer, in realtà, fornisce una falsa risposta: perché non ha senso rifiutare il computer, non ha senso essere luddisti, non ha senso essere apocalittici: il computer è una macchina che ci facilita, che ci aiuta, quindi non si vede perché la dovremmo rifiutare. La seconda posizione, quella dei frequentatori del cyberspazio, nasce invece da una sensazione ingannevole che il computer può ingenerare in chi lo usa. In "Confucio nel computer" faccio notare quante affinità verbali e di parole e di definizioni ci sono fra la cultura rock e la cultura di Internet, quanta profonda affinità di richiami si sia creata, per esempio, fra i nomi delle aziende che producono software e i nomi di gruppi del "rock and roll" degli anni Sessanta. Ecco, questo è un fenomeno che ci rivela che una pretesa di controcultura si sta formando all'interno del cyberspazio. Ma questo è un inganno, perché si tratta di una cultura di sudditi, di gente che entra per adattarsi a tutto ciò che il mercato suggerisce, non è la cultura dei pionieri che entrano in uno spazio per impossessarsene.

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Domanda 8
Con Internet si entra davvero in un mondo senza governo, nel quale si è autosufficienti, indipendenti, senza padroni, o c'è qualcuno che, in realtà, controlla questa rete?

Risposta
Una società organizzata attraverso una grande quantità di terminali ci rende tutti istantaneamente informati e ci mette tutti in condizione di comunicare istantaneamente. E questi sono certamente due grandi vantaggi. Ma ci sono anche due problemi gravissimi. Il primo è che, così come siamo istantaneamente informati, corriamo anche il rischio di essere istantaneamente persuasi, perché ognuno di noi naviga in Internet da solo. "Entrare" in rete è qualcosa che facciamo da soli, lo facciamo con la nostra mente, abbandonando il corpo, creando uno sdoppiamento che non ha precedenti nella tecnologia. Siamo in una condizione di suggestionabilità estrema. E questo è un primo pericolo non da poco. Il secondo pericolo è che, anche impossessandosi dell'uso del cyberspazio come strumento di espressione della nostra volontà solitaria e individuale, corriamo il rischio di precipitare in una democrazia plebiscitaria. Le democrazie plebiscitarie, lo sappiamo, non portano alla vera democrazia, ma a forme camuffate di dittatura. E quindi, accanto a delle vere promesse, vedo veri pericoli. Certo, destreggiarsi fra promesse e pericoli, è sempre stato il destino dell'umanità di fronte alle grandi svolte tecnologiche. Non c'è da spaventarsi, non c'è da essere apocalittici. Nella famosa dicotomia alternativa, proposta da Umberto Eco, fra apocalittici e integrati, ho sempre pensato che gli apocalittici sono coloro che si chiamano fuori e si deresponsabilizzano, mentre gli integrati corrispondono ai riformisti del linguaggio politico, sono coloro che entrano per controllare, verificare e riformare. Sono dalla parte degli integrati, ma degli integrati svegli e a occhi aperti.

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Domanda 9
Ma Internet è davvero "americana"? Negroponte lo nega. Invece nel suo libro mi sembra che traspaia appunto questo.

Risposta
Che Negroponte lo ammetta o meno, la civiltà elettronica è nata americana, sta avanzando americana e da americana domina il nostro mondo. Ora, è anche vero, però, che un mondo americano ha dominato il nostro cinema negli ultimi 10-15 anni e che non per questo siamo diventati americani, che la musica che sentono i nostri ragazzi è prevalentemente musica americana ma che questo non ha tolto il gusto di sentire i nostri cantautori. Certo, qualcosa di più sottile si nasconde nel cyberspazio o potrebbe nascondersi. Ma questo, semmai, provoca un richiamo: chi ha detto che, essendo nato americano, il cyberspazio debba rimanere americano? Chi dice che non ci può essere una cultura elettronica nazionale o europea o di altri continenti che entri da protagonista nel cyberspazio, che faccia sentire la propria voce, visto che è tipico del software di essere facile e di costare poco? In Italia, poi, abbiamo anche una nostra cultura elettronica e una nostra produzione elettronica. Possiamo quindi sperare di essere fra i presenti, invece che essere solo dei colonizzati.

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Domanda 10
A proposito di colonizzazione: molte delle grandi potenze, hanno tentato di colonizzare il mondo e in periodi diversi ci sono stati dei liberatori, dei guerriglieri, dei rivoluzionari, che si sono ribellati alle forze dominanti, alle forze dell'invasione. E' possibile pensare che ci possa essere qualcosa di analogo anche per quanto riguarda il cyberspazio?

Risposta
Intanto, se vogliamo fare un'analogia fra il dentro e il fuori, possiamo ricordare che, mentre le colonizzazioni basate sulla potenza sono sempre fallite, le colonizzazioni basate sulla cultura non sono fallite. L'India, paese libero e democratico da oltre cinquant'anni, è tuttora un paese con delle tracce di cultura inglese, profondissime; le Filippine, dopo un secolo di sganciamento dagli Stati Uniti, portano ancora tracce così forti del passaggio americano che esiste tuttora un movimento che vuole trasformare le Filippine nel 51° Stato americano. Questo ci ricorda che ciò che entra nella nostra vita interiore è molto più forte di ciò che occupa il territorio attraverso il potere. E il cyberspazio è un'avventura interiore. Quanto alla ribellione, esistono due risposte. La prima è nella forma di partecipazione e di presenza, che deliberatamente impone delle alternative culturali e nazionali all'interno dell'internazionalità di cyberspazio. La seconda è la finta ribellione di coloro che già adesso vivono se stessi come ribelli, in quanto protagonisti della rete, protagonisti del cyberspazio, ma ribelli non sono affatto, come detto, perché sono invece già dei sudditi. In William Gibson - il grande scrittore americano del cyberspazio, l'uomo che ha spostato completamente i temi della fantascienza dentro il computer, dentro la rete, dentro la navigazione - questo si dice esplicitamente: la rete diventa persuasione interiore anche quando è vissuta con ribellione. Ho citato un autore di fantascienza. E noi sappiamo che nella fantascienza c'è sempre un po' di esagerazione, ma anche qualche spunto di verità.

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Domanda 11
E' pensabile, come suggerisce in un esempio Negroponte - che sostiene che la rete è "egualitaria" e"anarchica" per sua stessa definizione - mettere sullo stesso piano la massaia che può dare le ricette del couscous e le grandi multinazionali dell'intrattenimento?

Risposta
Prendiamo le due parole: "egualitaria" e "anarchica". Anzitutto alla parola "egualitaria" sarebbe meglio sostituire la parola "libertaria". La cultura "libertaria" è una ideologia tipicamente americana. E' una strana striscia di ideologia, questa, che infatti si trova sia a destra che a sinistra nello spettro politico americano. Noi europei abbiamo delle difficoltà a tradurre questa parola, a capirla bene. Qualche volta la parola "libertaria" viene tradotta come "liberista", pensando al mercato, pensando alla forza di chi può dare e vendere sulla base della domanda e dell'offerta, qualche volta viene interpretata o tradotta- come "liberale", con una connotazione di preoccupazione sociale, di protezione per i più deboli. In realtà la cultura "libertaria" è qualche altra cosa. La persona "libertaria" è quella del David Crockett della frontiera, che vive da solo, che provvede a se stesso da solo, che si difende da solo, che non chiede nulla e che non dà nulla, a meno che non desideri darlo. Se lo dà, lo dà per propria volontà, ma non si può costringerlo a darlo, non ha la responsabilità verso altri che non sia se stesso e le cose che lo interessano. Questa è la cultura libertaria, che è ben altra cosa dall'"egualitarismo". E se si legge bene tra le righe di "Essere digitali" di Negroponte ciò che si ritrova è appunto un'adesione alla cultura "libertaria", non al "liberalismo", non al "liberismo". La cultura "libertaria" richiede un'"eguaglianza" soltanto di forti. Infatti, nella vita di frontiera soltanto i forti sopravvivono: la donna col couscous sarebbe stata travolta o dagli indiani o dai cow-boys o dalla cavalleria. Di conseguenza, l'idea che la grande multinazionale si incontri fraternamente con la signora che prepara il couscous nel cyberspazio è veramente improbabile. Veniamo ora alla definizione di "anarchica" riferita alla rete. L'anarchia è stata davvero una caratteristica di Internet in tutta la fase pionieristica del cyberspazio, quando Internet è stata abbandonata, come uno spazio vuoto, dal Pentagono americano ed è stata occupata dai giovani più bravi, quelli capaci di navigare da soli: i famosi "hakers". Erano così bravi nell'uso del computer, nella penetrazione della rete, che potevano e sapevano fare da soli, ma sarebbe rimasto un numero ristretto Sono così subentrati i "facilitatori". I "facilitatori" sono dei software che rendono più facile la navigazione. La navigazione, nel diventare più facile, diventa più ordinata, nel diventare più ordinata diventa più razionale, nel diventare più razionale ci porta forzosamente verso stazioni e punti di appoggio, che sono stati stabiliti dietro la rete dalle "corporations". Ad esempio, quando ci si ferma ad una stazione di sosta di Microsoft, dentro il cyberspazio, si va in un luogo in cui non solo Microsoft ci fa pagare il pedaggio, dopo averci dato un buon prodotto., ma ci induce, se proprio non siamo bravissimi a scartare la sua suggestione, a sostare nella prossima stazione che appartiene a Microsoft. E' come fermarsi a un autogrill sull'autostrada, solo che l'autogrill sull'autostrada non ha mai preteso di essere un covo di anarchici, ha sempre detto quello che era: un posto dove si compra e dove si vende. Bene, anche il cyberspazio, per quanto riguarda le grandi multinazionali, è un posto dove si compra e dove si vende. Non c'è niente di male, basta dirlo. Non bisogna camuffare, come fa anche Bill Gates nel suo ultimo libro, la normale e legittima funzione di comprare e di vendere, a patto di non travestirlo da sogno, da religione, da missione, da utopia del futuro.

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Domanda 12
Si è spesso paragonata la televisione al "Grande Fratello" orwelliano. Poi, qualcuno ha detto che forse poteva esserlo il computer, anche se altri dicevano che invece il computer, proprio per la sua interattività, invece offriva tutt'altre possibilità e non era, sicuramente, uno strumento totalitario. Internet può essere definita il "Grande Fratello", può essere quanto meno una creazione orwelliana? E se non lo è, dove si nasconde nel nostro futuro il "Grande Fratello"? Ci sarà? Non ci sarà?

Risposta
Abbiamo più o meno sempre vissuto in compagnia di un "Grande Fratello". Il problema è sempre sapere quanto siamo liberi e quanto siamo grandi noi. Se noi siamo molto piccoli e molto sudditi e molto suggestionabili, allora il "Grande Fratello" è davvero molto grande. Ma questo è già accaduto nella pubblicità, è già accaduto nel rapporto dei bambini con certi cartoni animati, e certo è accaduto con la televisione. Ma, come dimostra la storia d'Europa di questo secolo, con Hitler, Stalin e Mussolini, di "Grandi Fratelli" ce ne sono stati senza bisogno di avere nessuno di questi strumenti. Quindi il problema esiste ed esisterà sempre. In che senso il computer è più promettente? Nel senso che con i suoi milioni di terminali permette una presenza e una testimonianza diretta, personale e personalizzata, che prima non esisteva. In che modo è più insidioso? Per il fatto che la circolazione nel cyberspazio è intensamente suggestionata e anche silenziosamente e fascinosamente diretta dai "facilitatori" che vengono distribuiti dentro il cyberspazio da una serie di interessi. Ora, finché questi interessi sono esclusivamente tecnico-commerciali, essi sono assolutamente legittimi. Basta essere sempre ad occhi aperti e saperli distinguere; potrebbero non esserlo più, e potrebbe essere un pericolo. Il pericolo non è più grande del passato. Con una eccezione. Abbiamo già detto: il computer è l'unica macchina che interferisca direttamente con la nostra mente. E quindi richiederà di essere due volte più svegli, due volte più attenti, due volte più preparati e più bravi e capaci di sorvegliare coloro che vogliono interferire con la nostra vita, di più che con ogni altra realtà o ogni altra macchina.

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Domanda 13
Ci sono due grandi "gap" in questo nuovo mondo digitale: c'è il "gap" fra le nuove generazioni, i cittadini di questa società digitale e i le persone più anziane, ingabbiate nel loro mondo fatto di atomi; e poi c'è il "gap" Nord-Sud, che invece è un "gap" di carattere più commerciale. Questi due "gap" sono preoccupanti: tenderanno ad ampliarsi, o sono in qualche modo riducibili?

Risposta
Esaminiamo ciascun "gap" e ne scopriremo un terzo, che è il più grave, cioè quello tra l'avere e il non avere. Il primo "gap", quello generazionale, certo è curioso. E' la prima volta, nella storia della civiltà, che un'esperienza, invece di essere passata dagli anziani ai giovani, viene passata dai giovani agli anziani. Cioè sono i più giovani che hanno in mano questa macchina e questa tecnologia e sono i più anziani che non ce l'hanno e, semmai, la possono ricevere. Questo avviene continuamente. E' anche il caso di chi vi parla. Io ho appreso la tecnologia del computer e ho appreso la navigazione col computer da mia figlia. Ma si può sempre imparare. Dice Negroponte, in una delle parti più odiose del suo libretto, che conviene insegnare soltanto a chi ha sotto i quindici anni, perché dopo non si impara più. Il poverino, ignorando la storia, ha dimenticato che, durante i corsi e ricorsi della storia, civiltà intere sono cambiate, con vecchi e bambini al completo, cambiando radicalmente di tutto, dalle abitudini alle religioni, dai continenti ai modi pratici di vita, nel corso di una generazione. Quindi, se avesse un po' più di contatto con la storia - Negroponte definisce la storia "una valigia pesante, senza alcuna utilità" - saprebbe che sta dicendo una cosa che non sta né in cielo né in terra né in cyberspazio. Insomma, questo primo "gap" esiste certamente, ma non è affatto incolmabile. Il secondo, Nord-Sud, è molto più grave, perché è quello fra il mondo povero, a cui mancano anche le infrastrutture tecniche che devono creare le condizioni di base per la civiltà del computer. Ricordiamo che il computer viaggia per cavo, non viaggia per satellite, e che il Terzo Mondo, il mondo sottosviluppato, il Sud del mondo, si stava sviluppando attraverso la tecnologia dei satelliti, perché costano poco, si lanciano nello spazio e si vedono in Nigeria, in Ruanda o nello Zimbabwe. Qui invece stiamo parlando di cavi, stiamo parlando di fibre ottiche. Il "New York Times" ha pubblicato una cartina, dando il colore bianco, grigio e nero, a secondo delle aree dove c'è più intensità elettronica, dunque più cavi, meno e niente. E si nota che, appunto, tutta l'area del Nord-America, del Giappone e Singapore è nera, l'Europa è in parte nera e in parte grigia, mentre quasi tutto il resto del mondo è bianco, cioè privo completamente degli elementi di base di questa tecnologia. Questo è di per sé un problema gravissimo. Un problema che ci introduce al terzo gap a cui facevo riferimento prima: quello tra chi ha e chi non ha. Ovvero esiste un concreto rischio, che riguarda tutti, compresa la civiltà nord-americana, che si creino due sole classi: rappresentate da coloro che hanno accesso al computer e da coloro che non lo hanno. E' una questione di alfabetizzazione. E' un problema di Nord e Sud, ma è possibile ritrovarlo anche all'interno delle società più ricche. Pensiamo al gran numero di bambini italiani che sa tutto del computer soltanto dai film americani, ma niente dal punto di vista dell'accesso effettivo.

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Domanda 14
In che maniera le nuove reti telematiche possono cambiare l'educazione e, in particolare, l'educazione italiana?

Risposta
La domanda su un possibile mutamento dell'educazione italiana è troppo vasta per fornire una risposta esauriente in quest'ambito. L'educazione italiana può cambiare grazie ad una riforma della scuola, ma questo costituisce un tema diverso. Trasformare la scuola attuale in una scuola col computer non è così semplice ed elementare come sembra; è necessario, infatti, un cambiamento dei bambini e degli insegnanti, ma anche dei programmi e dei metodi. Il problema esiste, ma non è insolubile: "entrare" nel computer non può avvenire impunemente e senza un' adeguata ambientazione culturale. Quindi tutto questo non si risolve con una semplice dotazione di nuovi strumenti alle scuole, ma soltanto grazie ad un cambiamento molto più radicale e profondo. La questione si può riassumere così: niente avviene se non comincia. Il problema è cominciare. L'accesso alla cultura verrà modificato dalla quantità di strumenti e d'informazioni in futuro sempre più disponibili; attualmente non lo sono, o perché non sono in ordine o perché non accessibili o perché le fonti sono lontane. Tutto ciò, in un mondo completamente computerizzato, scomparirà: le fonti diventeranno vicine, facili e accessibili, determinando un inevitabile cambiamento del livello medio della cultura di tutti. Tuttavia bisogna affrontare un altro ostacolo, di natura prettamente metodologica: come fare? Ma questo discorso è politico e avviene non nel dentro ma nel fuori, ossia in quella che chiamiamo "società civile". Gates, Toffler e Negroponte invitano a pensare che il computer si risolve "dentro" il computer. Personalmente ritengo che il computer, con i suoi problemi, le sue caratteristiche, le sue avventure, il suo fascino, si imposta, si insegna, si impara, si vive, si usa e si gode fuori dal computer, ovvero le condizioni fondamentali di accesso e di uso si stabiliscono nella società civile e politica.

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Domanda 15
Moneta elettronica e transazioni in rete: le banche virtuali cambiano anche le strutture economiche?

Risposta
Questo è un cambiamento già avvenuto e sta già portando degli squilibri clamorosi tra il sistema politico e il sistema finanziario del mondo. Il sistema politico è ancora fortemente basato su radici nazionali e sulla viscosità delle strutture, delle istituzioni, dei processi decisionali, che sono tipici delle società complesse. Il mondo finanziario è già in grado di trasferire e di far circolare immense masse di quote finanziarie, da una parte all'altra del mondo, senza frontiere, senza controlli e soprattutto senza alcun rapporto con le definizioni di peso e di valore che, invece, ciascun paese dà di se stesso. Questa doppia velocità, quella delle transazioni monetarie finanziarie, da un lato, e quella della vita politica, dall'altro, già sta dando alcuni segnali come le "tempeste monetarie". Ma siamo appena all'inizio, al primo manifestarsi di un fenomeno che sarà certamente grandioso.

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Domanda 16
La navigazione permette da un lato un contatto meno personale, smaterializzato, per certi versi virtuale, almeno nella sua fisicità; dall'altro consente di comunicare con tutto il mondo. Siamo di fronte ad una nuova forma di alienazione da combattere o ad una nuova frontiera da benedire?

Risposta
Tutto ciò che avviene nel computer non è simulazione. Non è fisico, ma è vero. Quindi è una nuova frontiera, perché ci porta a delle avventure che si vivono soltanto con la mente, ma che non sono simulate. Il prendere contatto con qualcuno che in questo momento sta a Singapore e scambiare informazioni, lettere, dati, e poi andare insieme a Hong Kong o visitare la Biblioteca di Bologna non è un fatto simulato, è un fatto vero, soltanto che non avviene con il corpo, avviene con la mente e questo, ripeto, è senza precedenti, e non potrà che portare conseguenze senza precedenti, alcune delle quali ancora non conosciamo. Noi non sappiamo ancora come si modificherà il nostro comportamento, il nostro modo di pensare, vivendo fuori da quel particolare tipo di gravità che è la presenza, la nostra interezza fisica. Viaggia solo la nostra mente. E' la mente che è portatrice della nostra identità, oppure essa dipende anche dal come appariamo, dal come ci presentiamo, dal come siamo davvero fisicamente, in natura? Sono tutte cose a cui risponderemo gradatamente.

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