Biblioteca digitale (intervista) RAI Educational

Stefano Cerri

Roma, 21/12/95

"La formazione a distanza"

SOMMARIO:

  • L'università a distanza consiste di istituzioni che hanno esattamente lo stesso mandato dell'università tradizionale, con l'opportunità di erogare formazione terziaria con modalità a distanza, e cioè integrando strumenti di formazione non residenziale con momenti di vita universitaria collegiale, questi ultimi ristretti nel tempo (1).
  • Nelle università a distanza i docenti preparano, con periodicità di due-tre anni, dei pacchetti-corso che includono oltre ai testi di studio, programmi di elaboratore, manuali su come utilizzare i computer per accedere ai testi, guide per gli studenti e anche per i tutori che sono dislocati sul territorio per facilitare l'apprendimento. Il contatto con lo studente avviene, di solito, solo per le valutazioni e per il chiarimento di alcuni temi specifici (2).
  • Quando l'università a distanza è stata intesa semplicemente come un centro di elaborazione dati oppure come un centro audiovisivi, di solito ci sono stati dei grossi fallimenti. L'università a distanza può avere successo solo lì dove essa viene riconosciuta e fatta funzionare come una vera e propria realtà accademica (3).
  • In Italia è stato avviato qualche progetto, in tal senso. Molto però c'è da fare (4).
  • In effetti, se non ci si attrezzerà rapidamente per rendere effettuale la didattica a distanza, nel prossimo futuro grandi fasce di popolazione rimarranno escluse dalla formazione di base e soprattutto dal "re-training", della "formazione continua" (5).
  • Un altro argomento è quello relativo ai linguaggi di programmazione, di cui si interessa il professor Cerri: egli fa notare che la grande esplosione dell'hardware ha determinato il fatto che i linguaggi di programmazione fossero sviluppati per risolvere il problema della velocità senza affrontare quello della semplicità di uso. Ma la programmazione ad oggetti rivoluziona proprio questa interpretazione del software (6).
  • Riferendosi alla programmazione ad oggetti, questa prevede di lavorare su concetti-oggetti di livello molto più alto rispetto a quelli abitualmente inseriti in un linguaggio tradizionale; il vantaggio di questa programmazione risiede nel fatto che le operazione non sono demandate ad un unico elaboratore od operatore (7).
  • Per il futuro è prevedibile che anche la programmazione diventerà di competenza diffusa, così come adesso si sta diffondendo, grazie ad una costante semplificazione delle procedure, l'uso del computer (8).
  • La tecnologia, o tecnica, di per sé è vuota; acquista significato solo se l'evoluzione si accompagna alla cultura, nel senso di capire l'impatto dei nuovi processi sulla società, sull'economia, sulla politica (9).

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INTERVISTA:

Domanda 1
Professor Cerri, ci può spiegare che cos'è l'università a distanza?

Risposta
L'università a distanza è una realtà in molti paesi del mondo, in particolare in diversi paesi europei, che consiste in una variante dell'università tradizionale. L'università tradizionale è una istituzione che ha come obiettivi la formazione della cultura, quindi la ricerca - scientifica, umanistica - e la didattica a livello terziario. Ora, l'università a distanza consiste di istituzioni, che hanno esattamente lo stesso mandato, ma l'opportunità di erogare la formazione terziaria con modalità a distanza, e cioè integrando strumenti di formazione non residenziale con momenti di vita universitaria collegiale, questi ultimi ristretti nel tempo. L'università a distanza nasce sostanzialmente all'inizio degli anni Settanta, in Inghilterra, come "Open University", e più o meno nello stesso periodo anche in Spagna. In ognuno di questi due paesi conta in questo momento su novantamila studenti.

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Domanda 2
Quali sono le tecnologie attuali che vengono utilizzate nell'insegnamento a distanza, e quali prospettive si aprono per il futuro?

Risposta
Le tecnologie per la formazione a distanza, per l'università a distanza sono tecnologie "generiche", come si dice tecnicamente, il che significa "utili per qualsiasi tipo di applicazione". Quello che è interessante della università a distanza, e in particolare di quella che funziona meglio di tutte, cioè la "Open University" inglese, è che la formazione non viene intesa come una applicazione tecnologica, ma viene intesa esattamente come era intesa prima, come è intesa adesso nelle università tradizionali. E cioè i docenti costruiscono comunque dei corsi. La differenza sta nella ipotesi che ogni docente fa sui metodi di fruizione dei corsi, per ottenere un dialogo serrato, una comunicazione bidirezionale. Questi docenti di fatto hanno l'autonomia didattica o formativa esattamente di tutti gli altri docenti delle università tradizionali, solo che hanno un compito didattico che consiste nel produrre con una periodicità di due o tre anni dei pacchetti-corso. Cioè, invece di fare delle lezioni per due o tre anni, loro si costituiscono in gruppo, preparano un pacchetto-corso che poi viene erogato nei due o tre anni successivi, e collaborano solo in momenti concentrati dell'anno - di solito nel periodo estivo, per la valutazione degli studenti o per dei contatti diretti su argomenti specialistici che richiedono la presenza del docente. I pacchetti-corso includono oltre ai testi di studio, programmi di elaboratore, manuali su come utilizzare i computer per accedere ai testi, guide per gli studenti e anche per i tutori che sono dislocati sul territorio. Perché l'università a distanza comunque prevede un centro dove sono residenti i professori di vario ordine e grado e dove, di solito, sono residenti anche gli studenti di dottorato, i quali non sono più a distanza proprio perché devono concentrarsi sulla ricerca. Però a questa sede centrale vengono associate molte sedi di riunione, dislocate sul territorio, all'interno delle quali vengono scelti dei tutori, i quali sono dei facilitatori all'apprendimento. Quindi gli studenti dei vari corsi periodicamente si possono recare in questi luoghi decentrati per avere contatto con i docenti piuttosto che con gli altri studenti, o per essere aiutati da questi tutori. Questo ottimizza fortemente il prodotto del processo formativo, quindi la qualità della formazione in generale, soprattutto se confrontata con una impossibilità di entrare nel ciclo formativo terziario, perché gli studenti in gran parte sono studenti lavoratori, piuttosto che studenti che per loro dislocazione non potrebbero accedere a una università residenziale classica.

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Domanda 3
L'università a distanza non è soltanto un problema tecnologico, naturalmente, ma anche organizzativo e politico in senso lato. Qual è il modello che lei ritiene migliore per realizzare questo tipo di istituti formativi?

Risposta
Ho sempre riflettuto a fondo sul perché in alcuni casi la formazione dell'università a distanza funziona e ha funzionato e perché in altri non funziona e non ha funzionato. Io credo che il successo della formazione a distanza dipenda molto dal concetto iniziale di università a distanza. Quando l'università a distanza è stata intesa come un centro di elaborazione dati oppure come un centro audiovisivi, di solito ci sono stati dei grossi fallimenti. Un servizio del genere può essere utile per del "training", della formazione professionale concentrata, limitata, in cui la motivazione ed anche le tecnologie non subiscono, non debbono subire continuamente una revisione, un aggiornamento, un feedback, cioè un rinforzo dai casi positivi, e un rinforzo negativo dai casi negativi. Difatti, lì dove - dagli Stati Uniti alla Francia, all'Italia, ahimè - questo è stato il modello adottato, lì si sono registrati solo dei fallimenti. Invece, in Paesi come Gran Bretagna, Spagna, Portogallo, Germania, Olanda, e molto probabilmente in Australia, e Nuova Zelanda - perché sono anglofoni e quindi hanno un modello inglese - l'università a distanza non è stata semplicemente un centro-servizi, ha avuto dignità accademica, proprio per la sinergia fra l'erogazione della formazione e l'attività parallela di ricerca nelle varie discipline, e quindi i risultati sono stati sempre positivi. Tanto è vero che in Canada, le varie istituzioni che fanno parte della formazione a distanza, ovvero di "Teleuniversité", nel caso del Quebec, e di "Distance University" nel caso della parte anglofona, oggi spingono per avere laboratori di ricerca compatibili con la ricerca universitaria e quindi per passare da una situazione di "centro servizi" a una situazione di "università" vera e propria. Quindi il problema politico, secondo me, sta nel punto di partenza.

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Domanda 4
Qual è la situazione dell'insegnamento a distanza in Italia?

Risposta
In Italia i progetti di formazione a distanza sono fondamentalmente due: uno del "Consorzio Nettuno" e l'altro, precedente a questo, è quello del "C.U.D. - Consorzio Università a distanza", localizzato a Cosenza. E proprio in questi giorni mi risulta sia stato firmato un protocollo fra la Rai. e il Ministero della Pubblica Istruzione, non per identificare un progetto di formazione a distanza, ma per mettere a disposizione delle scuole italiane un canale con un certo numero di ore al giorno di trasmissioni dedicate alla formazione. Penso che queste iniziative siano tutte molto utili per aprire la strada ad una transizione seria verso una situazione in cui la formazione a distanza sia istituzionalmente allo stesso livello della formazione tradizionale.

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Domanda 5
Con l'insegnamento a distanza non c'è il rischio di perdere la capacità di interagire con gli altri? Come si può sopperire a queste eventuali carenze?

Risposta
Io sono favorevole all'accoppiamento dei metodi e delle tecniche a distanza con quelli tradizionali. E questo per un'osservazione storica molto elementare. Duecento anni fa, quando non c'erano le scuole pubbliche, c'era il tutore che andava a casa di chi poteva permettersi di pagarlo. Quando furono introdotte le scuole pubbliche, e la formazione divenne obbligatoria, poteva esserci chi riteneva che la formazione del proprio figlio in una scuola, quindi in un rapporto meno diretto che col tutore, potesse essere meno efficace. In realtà ciò che si perdeva da un parte, si guadagnava dall'altra. Analogamente, tecnologia a distanza, informatica, telecomunicazioni sono strumenti che possono arricchire, non necessariamente arricchiscono, ma possono arricchire la formazione. Naturalmente, non esiste una ricetta per dire esattamente quando arricchiscono e quando no. E però, si può dire con sicurezza che se queste scelte non saranno fatte, e anche con una certa rapidità, molte persone non avranno opportunità formative, anche nei paesi "avanzati" come il nostro. Insomma, la scelta contraria significa lasciar fuori dalla formazione di base e soprattutto dal "re-training", della "formazione continua", grandi fasce di popolazione, perché non ci sono altre possibilità per coprire questi bisogni di continuo aggiornamento, di continua formazione. Sul problema dei contatti umani, io credo che la persona, cioè il docente, sostanzialmente, sia insostituibile solo in due momenti formativi. Il primo è quello motivazionale: il docente è come uno psicologo, ma non lo dico io, lo diceva anche Platone quando parlava di Socrate e della "maieutica", cioè della capacità di far nascere i concetti e quindi di far imparare qualcun altro. L'altro aspetto in cui il docente è insostituibile, secondo me, è la valutazione del risultato. Sicuramente l'insegnante o comunque una persona esperta è meglio di qualsiasi macchina per valutare una persona. Mentre tutte le altre componenti del percorso formativo - cioè la comunicazione di informazione, la verifica dell'apprendimento sotto forma di test, la possibilità di costruire oggetti o concetti complicati da concetti più semplici, cioè la sperimentazione - sono e saranno sempre più sostituibili, almeno in gran parte, da sistemi automatici, le altre no, la motivazione e la valutazione no. Ma guardiamoci in faccia: è vero che con le tecniche a distanza si rischia di isolare i nostri studenti. Ma quanto lo sono già oggi! Quanto sono già autodidatti questi studenti! Quindi guardiamo la realtà. Nelle aule dove ci sono quattrocento persone e c'è un signore in fondo, che fra l'altro non si vede neanche bene e si sente peggio, che dice qualcosa, e poi indica una lista di testi da imparare, e poi ti valuta o ti fa valutare da un assistente dopo un anno e mezzo, non si verifica già un processo di autoformazione? Questo è il punto.

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Domanda 6
Professor Cerri, Lei si occupa in particolare di linguaggi di programmazione da molto tempo. Quali sono gli sviluppi della ricerca informatica in questo settore?

Risposta
Gli sviluppi sono rilevanti, perché praticamente grande parte dell'attività di ricerca di sviluppo informatica è dedicata allo sviluppo di strumenti informatici e quindi ai linguaggi di programmazione. I linguaggi di programmazione stanno al risultato dell'informatica, cioè alle applicazioni, come le molecole chimiche stanno ai materiali: sono essenziali per qualsiasi sviluppo. E quindi è naturale che per classi di problemi diversi si sia cercato sempre di costruire degli strumenti che avessero fondamentalmente due caratteristiche: la prima è che avessero delle primitive, cioè un lessico, un vocabolario - i linguaggi di programmazione sono dei linguaggi - e una sintassi vicina, che permettesse al programmatore tradizionale, al programmatore progettista, di catturare il problema o una classe di problemi in un modo semplice. Quindi, questo aspetto riguarda l'adeguatezza del linguaggio rispetto al problema. L'altro aspetto invece riguarda l'efficienza del linguaggio cioè la verifica, una volta costruito il programma, costruito il sistema, che ciò che questo linguaggio ha prodotto sia veloce e risolva efficientemente i problemi. Questi due aspetti sono stati spesso mescolati mentre in talune situazioni, fortunatamente, sono stati separati. Quello che si verifica adesso è che con la grande esplosione dell'hardware, con l'abbassamento dei costi, i linguaggi di programmazione tendono sempre di più ad avere risolto il problema della velocità, nella stragrande maggioranza dei casi, e, invece, a non avere affatto risolto il problema della semplicità di uso. Allora, facciamo un esempio: la tecnologia recente più interessante, ovvero la tecnologia con linguaggi di "programmazione ad oggetti", propone un cambiamento, proprio un cambiamento di metafora, della concezione del software. Propone, infatti, di passare da una visione molto vicina alla macchina, quella tradizionale, una visione di tipo algoritmico procedurale della soluzione del problema ad una visione di tipo descrittivo delle componenti del problema, considerate, metaforicamente, come dei vocaboli con delle proprietà, dei vocaboli che danno un nome a concetti, che hanno delle proprietà, come i concetti della realtà. Allora, questo cambiamento di base concettuale nella programmazione, grazie ai linguaggi di programmazione, è un cambiamento straordinario che sta rivoluzionando il mondo del software e che sta creando una grande serie di opportunità e anche qualche problema.

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Domanda 7
Ci può spiegare in poche parole cosa vuol dire "programmazione ad oggetti"?

Risposta
"Programmazione a oggetti" sta a "programmazione algoritmica" o "programmazione tradizionale" come l'architettura sta all'ingegneria. La "programmazione ad oggetti" prevede di lavorare su concetti che sono questi "oggetti" – in realtà sono dei pezzi di programma - di livello molto più alto rispetto ai concetti con cui siamo abitualmente e tradizionalmente soliti lavorare con un linguaggio tradizionale qualsiasi. Il linguaggio tradizionale in questo momento vincente è, per esempio, il "C++", ma anche il 'C' ha una versione, diciamo, "ad oggetti". Concetti, derivati e tradizionali, sono i concetti di variabile, del contenuto della variabile, di insieme di variabili. Un concetto tradizionale è, per esempio, il concetto di "ciclo". Naturalmente questi concetti ci sono anche nella "programmazione ad oggetti", non è che vengono eliminati, ma il progetto dell'architetto, che prende oggetti e li salda tra loro, è un progetto che viene descritto con degli strumenti, dei mattoncini, delle primitive di livello più alto, come, ad esempio, un concetto, la proprietà di un concetto, la funzionalità di un concetto, l'invio di un messaggio ad un concetto - che poi è un oggetto - per avere come risultato l'applicazione della funzionalità corrispondente a certi altri parametri, che possono essere inviati. La metafora vincente della "programmazione a oggetti" è quella che la soluzione dei problemi non è monolitica, cioè un unico, gigantesco calcolatore. Per esprimermi con una metafora: per fare una grande e sofisticata cena non si prende più un cuoco solo, che fa tutto, ma si prendono cinquanta persone, ognuna delle quali dedicate, specializzate, a una piccola componente della ricetta della cena e si fanno collaborare fra loro. Questa è, diciamo, la transizione legata alla "programmazione a oggetti".

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Domanda 8
I computer stanno diventando sempre più semplici da usare. Parallelamente anche la programmazione sta diventando sempre più semplice. Pensa che in un futuro, più o meno prossimo, la stessa programmazione diventerà una competenza diffusa? Ovvero i nostri figli, in futuro, impareranno a usare dei linguaggi, magari di alto livello, per creare le loro procedure?

Risposta
Io credo di sì. Io ho sempre cercato di descrivere una differenza importante fra programmazione e progettazione, proprio come c'è la differenza fra architetto e ingegnere; poi naturalmente ci sono le varie componenti dell'ingegneria. Chi progetta ha idee e strumenti di alto livello e non si occupa del dettaglio. L'Informatica insomma è la scienza dell'astrazione, cioè della concezione dei flussi informativi, indipendentemente dal dominio, al livello di astrazione giusto, per risolvere i problemi. Se noi ci mettiamo a livello di astrazione della macchina, cioè del bit, della parola, del cavetto, noi possiamo risolvere i problemi del bit, della parola e del cavetto. Se noi ci mettiamo a livello di astrazione alto e abbiamo, dai linguaggi di programmazione, chi traduce i nostri concetti nei livelli inferiori, fino naturalmente al bit, noi possiamo ragionare in maniera molto più sintetica. E' lo stesso processo che avviene in matematica insomma. E' chiaro che bisogna conoscere anche le quattro operazioni e come si calcola o a cosa serve il logaritmo. Io ricordo che, quando facevo la seconda media, sono stato mesi a studiare l'algoritmo del logaritmo, cioè il modo per calcolare il logaritmo di un numero. Ma quale studente studia più il logaritmo di un numero? Hanno le loro piccole calcolatrici tascabili. Questo però non significa che non debbano conoscere il concetto ad alto livello "logaritmo", anche se non conoscono più l'algoritmo per calcolarlo, perché quel concetto è importante per molte altre attività di tipo quantitativo e non solo matematico. Quindi, sì, credo che la programmazione - la programmazione intesa a basso livello -, perda di importanza. E poi nel nostro paese, ahimé, non c'è molta speranza di competere sul fronte, dei nuovi sistemi operativi, dei nuovi linguaggi di programmazione. Dico "ahimé" perché abbiamo perso purtroppo molte battaglie che potevano non essere completamente perse. Ma sull'altro fronte, quello della progettazione per la costruzione di applicazioni finali, sicuramente sarà possibile, si verificherà che le persone sappiano integrare strumenti, integrare semilavorati, utilizzando concetti di programmazione alti, ad alto livello. Bisogna dire che c'è un fenomeno in controtendenza perché, mentre il singolo calcolatore, con le sue finestre, i suoi linguaggi ad alto livello, i suoi fogli elettronici, ormai funziona anche soltanto conoscendo concetti ad alto livello, - quindi, essendo questi ad alto livello, anche un bambino li impara, anche un bambino riesce a far funzionare un computer - nel caso della rete, cioè nel caso del calcolatore mondiale, del cyberspazio, di Internet, il livello di dettaglio con cui si può costruire software in rete è tornato ad essere molto basso. Cioè siamo nel software di rete come eravamo nel software di un singolo calcolatore a metà degli anni Sessanta. Quindi lì c'è ancora molto da fare e forse c'è qualcosa da fare anche per i nostri giovani, sicuramente. Io sono molto contento che all'interno dei nostri corsi a Milano ci siano svariati giovani molto esperti di queste cose, cioè di come costruire e aumentare il software di rete, con applicazioni e integrazioni.

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Domanda 9
La rivoluzione digitale o, per dirla con Negroponte, il passaggio dall'atomo al bit, sta ormai investendo la nostra società, la nostra economia, la nostra politica. Ma pensa davvero che questa sia una rivoluzione? Insomma basta una evoluzione della tecnologia per produrre un cambiamento, oppure bisognerà integrare queste nuove tecnologie con delle scelte di alto livello, di tipo politico-economico strategico, per fare in modo che questa sia una trasformazione ed una trasformazione positiva?

Risposta
Io credo che mai, come adesso, la trasformazione tecnologica, l'evoluzione tecnologica sia strettamente collegata con la cultura, quindi praticamente con tutto. La cultura comprende il modo di concepire le questioni importanti, quindi ha impatto sull'economia, sulla società, sulla politica. Perché? Perché il bit senza significato non serve. La tecnologia di per sé o la tecnica - io preferisco usare la parola "tecnica" , le "tecniche" - è vuota e non ha significato; quello che conta è il significato che viene associato a insiemi di bit, attraverso varie codifiche. Questo significato, interpretato, esprime, forma e comunica cultura. Allora, mai come adesso una evoluzione tecnologica è stata strettamente legata alla cultura, perché il prodotto, il 'cosa', l'oggetto di cui si parla non è materia, come nel caso della materia, studiata dalla chimica dell'Ottocento, non è energia, come nel caso delle scoperte del primo Novecento: non è né materia, né energia. E' informazione. E l'informazione è un'altra delle grandi componenti della natura, che ha la proprietà di essere riflessiva, cioè si può consumare e si può produrre consumandola. Quindi lo sviluppo tecnologico dell'informatica delle telecomunicazioni è straordinariamente legato al valore dell'informazione, che non è nella sua struttura, nel suo supporto fisico o nel numero di immagini al secondo, ma è nel significato delle immagini al secondo. E quindi quella alla quale assistiamo non è una rivoluzione tecnologica classica. Quando si parlava - forse alcuni anni fa e forse ne parla anche Negroponte - di prima e di seconda rivoluzione industriale si diceva qualcosa che, secondo me, è profondamente incorretto. La prima e unica Rivoluzione Industriale è stata quella della fine dell'Ottocento e inizio Novecento; questa, invece, non è una rivoluzione industriale, perché non esiste l'industria dell'informazione. E', piuttosto, una rivoluzione informativa ma la proprietà dell'oggetto "informazione" non è confrontabile con le proprietà della materia, con le proprietà dell'energia, oggetti relativi alla prima Rivoluzione Industriale. Io credo che, di questo, tutti siano più o meno coscienti, e che siano sempre di più le persone che apprezzano il fatto che grazie a queste tecnologie ci si può anche divertire, si può avere più possibilità di comunicare e di 'esserci'. E quindi credo che, passato il momento della diffidenza, si arrivi anche - e questo lo vedo, per esempio, nei bambini -, al momento dell'accettazione critica, ma felice, di un nuovo contesto di comunicazione e di apprendimento.

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