Biblioteca digitale (intervista) RAI Educational

Antonio Caronia

(Firenze, 01-06-1996)

"Il corpo virtuale"

SOMMARIO:

  • La digitalizzazione non porterà ad un isolamento del corpo: piuttosto con le tecnologie digitali il corpo viene messo al centro dell'attività umana (1) (2).
  • Le tecnologie digitali obbligano a rivedere categorie quali il rito, la rappresentazione, il sesso, in funzione del rapporto reale/virtuale (3).
  • Esse offrono, inoltre, nuove opportunità di potenziamento del rapporto uomo/macchina, soprattutto in prospettiva di una intelligenza collettiva (4).

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INTERVISTA:

Domanda 1
Il Suo libro appena uscito presso i tipi Muzzio prende il titolo de Il corpo virtuale. C'è un bel paradosso in questo titolo: corpo-virtuale. Quanto è radicale il paradosso tra l'entità di un corpo e quella immateriale del virtuale?

Risposta
Il paradosso del corpo è, in realtà, il paradosso della dimensione digitale, che, apparentemente - sostengono alcuni - elimina completamente la dimensione del corpo, per ridurre l'attività umana ad una pura trasposizione e organizzazione di dati nella rete. D'altra parte noi sperimentiamo quotidianamente che con le tecnologie digitali il corpo viene rimesso, viceversa, al centro della scena dell'attività umana, perché le sue facoltà si ampliano talmente e giungono talmente lontano, che il prossimo matrimonio fra le realtà virtuali e le reti di telecomunicazione realizzerà, in qualche modo e paradossalmente, il superamento della dimensione puramente simulativa. Il corpo, nelle reti digitali, non sarà più solamente simulato, ma sarà talmente tanto replicato in maniera così organica e così completa, da realizzare, appunto, una estensione, una inseminazione di quello che non è più un simulacro corporeo, ma una vera e propria attività corporea nell'insieme delle reti digitali. Tutto ciò che a noi sembra così strano e così futuristico e futuribile, in realtà, è stato già preparato, nel corso di questo secolo, dal primo ciberspazio effettivamente realizzato: il ciberspazio della rete telefonica. Il telefono in sé realizza una prima fase di disseminazione del corpo, dal punto di vista puramente della voce. Nelle reti telefoniche la voce è già una parte, una funzione, un pezzo del corpo dell'uomo che viene disseminato. Tutto ciò, naturalmente, ha valore se noi consideriamo il corpo - come, credo, dobbiamo fare da un punto di vista antropologico - non come un semplice concetto biologico, ma come un concetto culturale. Il corpo non è meramente il supporto fisico sul quale si giocano e si inseriscono le attività dell'uomo, ma è un interfaccia tra l'uomo e il mondo, è un insieme di pratiche simboliche o di costruzioni culturali, che servono per demarcare l'identità culturale tanto individuale quanto collettiva. E' da questo punto di vista che la disseminazione del corpo nelle reti rappresenta la grande novità del prossimo millennio, con tutte le potenzialità da un lato e con tutti i problemi dall'altro, che esso può comportare.

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Domanda 2
L'idea del corpo che perde il riferimento con lo spazio-tempo cartesiano, con lo spazio-tempo di riferimento biofisico può entrare in relazione con la telecomunicazione digitale?

Risposta
Certo. La cosa importante che spesso si dimentica quando si parla di telecomunicazioni, è che l'interazione importante non è quella tra l'uomo e la macchina, ma quella tra l'uomo e l'uomo mediata dalla macchina. Questa nuova dimensione della comunicazione realizza, in qualche modo, una simbiosi tra l'uomo e la macchina, che crea un sistema nuovo. Il corpo in quanto tale non perde centralità, al contrario l'acquista, ma proprio perché le tecnologie digitali ci mettono in grado di superare la dimensione spazialmente localizzata, determinata temporalmente dell'essere corporeo mediato dalla forma fisica, per arrivare non ad una astrazione mentale, non ad un potenziamento delle sole attività intellettuali, ma, al contrario, per rimettere l'insieme delle facoltà e delle opportunità conoscitive del corpo al centro della scena comunicativa. Il processo di disseminazione del corpo nelle reti implica una ridistribuzione, una ridefinizione del concetto di corpo. Il corpo, come dicevo prima, non deve essere inteso come un puro dato biologico, ma come un insieme di pratiche simboliche, come un insieme di processi culturali che definiscono la sua superficie. Tali processi non solo demarcano l'individuo dall'ambiente identificando il corpo come una funzione di interfaccia, ma, contemporaneamente, anche permettendo di definire l'identità sia individuale che collettiva dell'essere umano. Tutti questi processi che tradizionalmente erano confinati e determinati in larga misura dalle limitazioni fisiche, spaziali e temporali del supporto fisico-biologico del corpo, con le reti vengono largamente ad esser superate. E questo permette, quindi, da un lato di rimettere al centro della questione della comunicazione il fatto che la vera comunicazione non è mai quella tra uomo e macchina ma quella tra uomo e uomo, mediata dalla macchina, e dall'altro permette di ritrovare una sorta di nuova unità nel rapporto tra l'uomo e la macchina. Molti hanno definito questo processo come il superamento della forma umana nella dimensione "post-umana". Qui mi sembra di scorgere la posta in gioco del prossimo secolo, e, in prospettiva, del prossimo millennio. Più che un tentativo di spettacolarizzare in continuazione tutti i nuovi media, ed in particolare l'ambiente di comunicazione digitale - come stanno tentando di fare, dal loro punto di vista, comprensibilmente, ma dal nostro forse meno, le grandi multinazionali dell'intrattenimento - bisogna valorizzare, invece, la dimensione comunicativa nel senso che ho detto prima. In questo senso il corpo disseminato può essere uno strumento potentissimo di comunicazione, perché consente da un lato una valorizzazione e un innalzamento delle capacità del singolo, mai visto precedentemente, dall'altro una vera e propria dimensione collettiva, in tempo reale, non solo delle intelligenze astratte, ma dell'insieme delle funzioni e delle attività corporee dell'uomo.

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Domanda 3
Il quotidiano, il rito, la rappresentazione, il sesso: in ognuna di queste condizioni, quale può essere un modo per descrivere il rapporto tra corpo e virtualità?

Risposta
Direi che in tutti questi campi, come sempre, cambia fondamentalmente il rapporto e la dimensione tradizionale. La nostra vita quotidiana è largamente influenzata e cambiata dalla presenza delle tecnologie e da quel plus di intelligenza digitale che, già oggi, è contenuta frammentariamente nelle nostre case e sempre di più verrà contenuta.

Il rito. Si tratta di ritrovare delle nuove dimensioni rituali, delle nuove capacità di rivivere, in una dimensione diversa. I riti sono stati dei vecchi collanti sociali nelle società paleolitiche e poi nelle società neolitiche, e nella società industriale si sono largamente perdute. Quanto alla rappresentazione, direi che è un tema fortemente collegato con quello del sesso. La virtualizzazione del corpo, il matrimonio fra realtà virtuali e reti di telecomunicazione realizza, in qualche modo, il superamento del classico distacco tra oggetto rappresentato e modalità di rappresentazione, tra significante e significato. E' possibile ormai vivere in presa diretta, in tempo reale, gli avvenimenti digitalizzati e la sfera della rappresentazione si è talmente ampliata da confondersi con la sfera della quotidianità, con il mondo reale. In altre parole, reale e virtuale collassano l'un sull'altro e creano una nuova dimensione, che è la dimensione di una effettualità quotidiana nella quale anche, addirittura, un'attività primigenia come quella del sesso, può acquisire fondamentalmente possibilità nuove, inedite. Quindi, come sempre, siamo di fronte ad una estensione delle possibilità di interazione. Ma tale processo non deve significare che la dimensione virtuale abolisce le altre; le possibilità incredibili offerte dalla stimolazione sensoriale, per esempio, delle tute cibernetiche nel sesso si ripercuoterà in qualche modo, come già è successo con altre tecnologie in passato, anche sulla dimensione tradizionale del rapporto sessuale, che mette in gioco direttamente i supporti fisico-biologici. Tutto ciò a riprova, come sempre, che la nostra attività è ormai sempre meno determinata dai canali biologici ed è sempre più indirizzata verso una innalzamento e verso un ampliamento, verso una ipertrofia della dimensione culturale.

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Domanda 4
Si sostiene che il nostro corpo sia rimasto quasi immutato in migliaia di anni di evoluzione. Il nostro cervello si è molto modificato. Cos'ha da dire in proposito?

Risposta
Tutti gli scienziati sono concordi nell'affermare che la forma biologica del nostro corpo è ormai evolutivamente stabile. Piuttosto va, credo, segnalato quello che è uno dei problemi principali del nostro rapporto con il mondo digitale: il fatto che la velocità di processo dell'informazione all'interno del nostro cervello è ancora incredibilmente - da un punto di vista individuale - più lenta della velocità delle macchine. Nell'interfaccia tra uomo e macchina questa è una delle questioni centrali e fondamentali. Noi abbiamo, fondamentalmente, ancora un cervello paleolitico. Abbiamo faticato non poco a superare il trauma della rivoluzione neolitica e ancora di più di quella industriale e già ci arriva addosso questa terza grande rivoluzione, questo terzo grande cambiamento. Io credo che la possibilità, non dico di superare, ma di affrontare e di gestire questo problema, stia nello staccare la dimensione del nostro rapporto con la macchina. Dal livello individuale, trasferirla su quello collettivo. Nella prospettiva che ha correttamente indicato Pierre Lévy, di presa in considerazione del carattere collettivo dell'intelligenza - beninteso se a questo termine di intelligenza noi diamo il suo, corretto significato, il suo corretto senso, e quindi parliamo anche di intelligenza corporea, di attività cognitive dell'insieme del nostro corpo, e non soltanto del nostro, diciamo, cervello - in questa prospettiva, dicevo, è probabilmente possibile affrontare non quelle mutazioni biologiche, che ci sono, credo, ormai definitivamente, precluse, ma quelle mutazioni culturali, cioè quella cyborghizzazione, quel nostro diventare sempre più inseriti in un sistema uomo-macchina, in cui la parte dell'uomo sia sempre più integrata con quella della macchina, che è la prospettiva nella quale, credo, siamo costretti, volenti o, insomma, nolenti, ad entrare, nel prossimo millennio, con la coscienza che, se non vogliamo farci schiacciare dalla impossibilità di gestire, di comprendere prima e di lavorare poi e di agire, diciamo, su questi fenomeni, è soltanto con una nuova dimensione dell'intelligenza collettiva, ripeto, se é possibile fare i conti, che è insomma possibile sviluppare al massimo le possibilità, ripeto, comunicative all'interno della specie tra i singoli individui, che queste tecnologie potrebbero garantirci.

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