INTERVISTA:
Domanda 1
Il Suo libro appena uscito presso i tipi Muzzio prende il titolo de Il corpo virtuale.
C'è un bel paradosso in questo titolo: corpo-virtuale. Quanto è radicale il paradosso
tra l'entità di un corpo e quella immateriale del virtuale?
Risposta
Il paradosso del corpo è, in realtà, il paradosso della dimensione digitale, che,
apparentemente - sostengono alcuni - elimina completamente la dimensione del corpo, per
ridurre l'attività umana ad una pura trasposizione e organizzazione di dati nella rete.
D'altra parte noi sperimentiamo quotidianamente che con le tecnologie digitali il corpo
viene rimesso, viceversa, al centro della scena dell'attività umana, perché le sue
facoltà si ampliano talmente e giungono talmente lontano, che il prossimo matrimonio fra
le realtà virtuali e le reti di telecomunicazione realizzerà, in qualche modo e
paradossalmente, il superamento della dimensione puramente simulativa. Il corpo, nelle
reti digitali, non sarà più solamente simulato, ma sarà talmente tanto replicato in
maniera così organica e così completa, da realizzare, appunto, una estensione, una
inseminazione di quello che non è più un simulacro corporeo, ma una vera e propria
attività corporea nell'insieme delle reti digitali. Tutto ciò che a noi sembra così
strano e così futuristico e futuribile, in realtà, è stato già preparato, nel corso di
questo secolo, dal primo ciberspazio effettivamente realizzato: il ciberspazio della rete
telefonica. Il telefono in sé realizza una prima fase di disseminazione del corpo, dal
punto di vista puramente della voce. Nelle reti telefoniche la voce è già una parte, una
funzione, un pezzo del corpo dell'uomo che viene disseminato. Tutto ciò, naturalmente, ha
valore se noi consideriamo il corpo - come, credo, dobbiamo fare da un punto di vista
antropologico - non come un semplice concetto biologico, ma come un concetto culturale. Il
corpo non è meramente il supporto fisico sul quale si giocano e si inseriscono le
attività dell'uomo, ma è un interfaccia tra l'uomo e il mondo, è un insieme di pratiche
simboliche o di costruzioni culturali, che servono per demarcare l'identità culturale
tanto individuale quanto collettiva. E' da questo punto di vista che la disseminazione del
corpo nelle reti rappresenta la grande novità del prossimo millennio, con tutte le
potenzialità da un lato e con tutti i problemi dall'altro, che esso può comportare.
Domanda 2
L'idea del corpo che perde il riferimento con lo spazio-tempo cartesiano, con lo
spazio-tempo di riferimento biofisico può entrare in relazione con la telecomunicazione
digitale?
Risposta
Certo. La cosa importante che spesso si dimentica quando si parla di telecomunicazioni, è
che l'interazione importante non è quella tra l'uomo e la macchina, ma quella tra l'uomo
e l'uomo mediata dalla macchina. Questa nuova dimensione della comunicazione realizza, in
qualche modo, una simbiosi tra l'uomo e la macchina, che crea un sistema nuovo. Il corpo
in quanto tale non perde centralità, al contrario l'acquista, ma proprio perché le
tecnologie digitali ci mettono in grado di superare la dimensione spazialmente
localizzata, determinata temporalmente dell'essere corporeo mediato dalla forma fisica,
per arrivare non ad una astrazione mentale, non ad un potenziamento delle sole attività
intellettuali, ma, al contrario, per rimettere l'insieme delle facoltà e delle
opportunità conoscitive del corpo al centro della scena comunicativa. Il processo di
disseminazione del corpo nelle reti implica una ridistribuzione, una ridefinizione del
concetto di corpo. Il corpo, come dicevo prima, non deve essere inteso come un puro dato
biologico, ma come un insieme di pratiche simboliche, come un insieme di processi
culturali che definiscono la sua superficie. Tali processi non solo demarcano l'individuo
dall'ambiente identificando il corpo come una funzione di interfaccia, ma,
contemporaneamente, anche permettendo di definire l'identità sia individuale che
collettiva dell'essere umano. Tutti questi processi che tradizionalmente erano confinati e
determinati in larga misura dalle limitazioni fisiche, spaziali e temporali del supporto
fisico-biologico del corpo, con le reti vengono largamente ad esser superate. E questo
permette, quindi, da un lato di rimettere al centro della questione della comunicazione il
fatto che la vera comunicazione non è mai quella tra uomo e macchina ma quella tra uomo e
uomo, mediata dalla macchina, e dall'altro permette di ritrovare una sorta di nuova unità
nel rapporto tra l'uomo e la macchina. Molti hanno definito questo processo come il
superamento della forma umana nella dimensione "post-umana". Qui mi sembra di
scorgere la posta in gioco del prossimo secolo, e, in prospettiva, del prossimo millennio.
Più che un tentativo di spettacolarizzare in continuazione tutti i nuovi media, ed in
particolare l'ambiente di comunicazione digitale - come stanno tentando di fare, dal loro
punto di vista, comprensibilmente, ma dal nostro forse meno, le grandi multinazionali
dell'intrattenimento - bisogna valorizzare, invece, la dimensione comunicativa nel senso
che ho detto prima. In questo senso il corpo disseminato può essere uno strumento
potentissimo di comunicazione, perché consente da un lato una valorizzazione e un
innalzamento delle capacità del singolo, mai visto precedentemente, dall'altro una vera e
propria dimensione collettiva, in tempo reale, non solo delle intelligenze astratte, ma
dell'insieme delle funzioni e delle attività corporee dell'uomo.
Domanda 3
Il quotidiano, il rito, la rappresentazione, il sesso: in ognuna di queste condizioni,
quale può essere un modo per descrivere il rapporto tra corpo e virtualità?
Risposta
Direi che in tutti questi campi, come sempre, cambia fondamentalmente il rapporto
e la dimensione tradizionale. La nostra vita quotidiana è largamente influenzata e
cambiata dalla presenza delle tecnologie e da quel plus di intelligenza digitale
che, già oggi, è contenuta frammentariamente nelle nostre case e sempre di più verrà
contenuta.
Il rito. Si tratta di ritrovare delle nuove dimensioni rituali, delle nuove capacità
di rivivere, in una dimensione diversa. I riti sono stati dei vecchi collanti sociali
nelle società paleolitiche e poi nelle società neolitiche, e nella società industriale
si sono largamente perdute. Quanto alla rappresentazione, direi che è un tema fortemente
collegato con quello del sesso. La virtualizzazione del corpo, il matrimonio fra realtà
virtuali e reti di telecomunicazione realizza, in qualche modo, il superamento del
classico distacco tra oggetto rappresentato e modalità di rappresentazione, tra
significante e significato. E' possibile ormai vivere in presa diretta, in tempo reale,
gli avvenimenti digitalizzati e la sfera della rappresentazione si è talmente ampliata da
confondersi con la sfera della quotidianità, con il mondo reale. In altre parole, reale e
virtuale collassano l'un sull'altro e creano una nuova dimensione, che è la dimensione di
una effettualità quotidiana nella quale anche, addirittura, un'attività primigenia come
quella del sesso, può acquisire fondamentalmente possibilità nuove, inedite. Quindi,
come sempre, siamo di fronte ad una estensione delle possibilità di interazione. Ma tale
processo non deve significare che la dimensione virtuale abolisce le altre; le
possibilità incredibili offerte dalla stimolazione sensoriale, per esempio, delle tute
cibernetiche nel sesso si ripercuoterà in qualche modo, come già è successo con altre
tecnologie in passato, anche sulla dimensione tradizionale del rapporto sessuale, che
mette in gioco direttamente i supporti fisico-biologici. Tutto ciò a riprova, come
sempre, che la nostra attività è ormai sempre meno determinata dai canali biologici ed
è sempre più indirizzata verso una innalzamento e verso un ampliamento, verso una
ipertrofia della dimensione culturale.
Domanda 4
Si sostiene che il nostro corpo sia rimasto quasi immutato in migliaia di anni di
evoluzione. Il nostro cervello si è molto modificato. Cos'ha da dire in proposito?
Risposta
Tutti gli scienziati sono concordi nell'affermare che la forma biologica del nostro corpo
è ormai evolutivamente stabile. Piuttosto va, credo, segnalato quello che è uno dei
problemi principali del nostro rapporto con il mondo digitale: il fatto che la velocità
di processo dell'informazione all'interno del nostro cervello è ancora incredibilmente -
da un punto di vista individuale - più lenta della velocità delle macchine.
Nell'interfaccia tra uomo e macchina questa è una delle questioni centrali e
fondamentali. Noi abbiamo, fondamentalmente, ancora un cervello paleolitico. Abbiamo
faticato non poco a superare il trauma della rivoluzione neolitica e ancora di più di
quella industriale e già ci arriva addosso questa terza grande rivoluzione, questo terzo
grande cambiamento. Io credo che la possibilità, non dico di superare, ma di affrontare e
di gestire questo problema, stia nello staccare la dimensione del nostro rapporto con la
macchina. Dal livello individuale, trasferirla su quello collettivo. Nella prospettiva che
ha correttamente indicato Pierre Lévy, di presa in considerazione del carattere
collettivo dell'intelligenza - beninteso se a questo termine di intelligenza noi diamo il
suo, corretto significato, il suo corretto senso, e quindi parliamo anche di intelligenza
corporea, di attività cognitive dell'insieme del nostro corpo, e non soltanto del nostro,
diciamo, cervello - in questa prospettiva, dicevo, è probabilmente possibile affrontare
non quelle mutazioni biologiche, che ci sono, credo, ormai definitivamente, precluse, ma
quelle mutazioni culturali, cioè quella cyborghizzazione, quel nostro diventare sempre
più inseriti in un sistema uomo-macchina, in cui la parte dell'uomo sia sempre più
integrata con quella della macchina, che è la prospettiva nella quale, credo, siamo
costretti, volenti o, insomma, nolenti, ad entrare, nel prossimo millennio, con la
coscienza che, se non vogliamo farci schiacciare dalla impossibilità di gestire, di
comprendere prima e di lavorare poi e di agire, diciamo, su questi fenomeni, è soltanto
con una nuova dimensione dell'intelligenza collettiva, ripeto, se é possibile fare i
conti, che è insomma possibile sviluppare al massimo le possibilità, ripeto,
comunicative all'interno della specie tra i singoli individui, che queste tecnologie
potrebbero garantirci.
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