INTERVISTA:
Domanda 1
Che significato può assumere il viaggio che si esperisce in Internet attraverso le
informazioni che contiene? Ed esiste una correlazione tra la figura del flaneur su
cui riflette Walter Benjamin nei suoi scritti e il navigatore in Internet?
Risposta
Credo che come in tutte le navigazioni, il viaggio sia una avventura straordinaria. Un
evento di straordinario rilievo e che consente straordinarie potenzialità. Ma come in
ogni navigazione e in ogni viaggio, è necessario considerare che, nonostante tutto,
alcune rotte tracciate esistono e che muoversi in assoluta libertà è una pura chimera.
Muoversi in assoluta libertà corrisponde a quella deriva che è essenzialmente una
condizione che si richiama al post-moderno, sulla quale non a caso insisto molto. Ogni
navigazione ha una rotta e ogni navigazione ha bisogno di questa rotta, ogni Flaneur ha un
suo percorso. Credere da questo punto di vista che il percorso sia assolutamente senza
condizioni, significa seguire le rotte che altri hanno tracciato e che, magari nascoste
subdolamente latenti, esistono in questa mappa che la navigazione consente. Ritengo che da
questo punto di vista il problema dell'uso di queste nuove strumentazioni tecnologiche e
il problema della navigazione in Internet, sia un problema legato alla consapevolezza, ad
una consapevolezza estrema, della rotta che si intende seguire esattamente in rapporto
alle rotte che sono state tracciate e che in Internet, nonostante le apparenze,
evidentemente ci sono e sono tanto più forti e tanto più costrittive quanto più sono
lasciate occultate. Se vogliamo richiamarci proprio alla problematica del Flaneur, per
esempio in Benjamin, il viaggiatore, quello straordinario Flaneur che era Baudelaire,
finiva sostanzialmente per tracciare una sua rotta. La sua rotta era esattamente la
necessità di incontrare sistematicamente l'elemento d'urto, lo choc. Il Flaneur andava
incontro allo choc. Per esempio acquisendo non soltanto una presa di vista sopra la
dimensione dell'emarginazione, dello sfruttamento, ma assumendo al tempo medesimo la
coscienza delle mutazioni avvenute nel contesto della città di cui era viaggiatore,
acquisendo la consapevolezza che quella città, emblema della società in cui Benjamin si
muoveva, era una città che cominciava a presentarsi sotto forma di mercato, il che
comportava anche dal suo punto di vista la necessità di ripensarsi come soggetto in
rapporto a questa mutata dimensione. Da questo punto di vista, allora, la navigazione in
Internet a me pare che debba necessariamente rispondere ad un progetto. Ad un progetto che
ovviamente dovrebbe essere commisurato, confrontato dialetticamente con i tanti progetti
che dentro questo 'mare magnum' di Internet sono contenuti. Credo altresì che questa
progettualità sia per ogni soggetto operante una autentica scommessa. Se posso fare un
altro riferimento metaforico, Internet potrebbe assomigliare ad una sorta di straordinaria
biblioteca, ad esempio quella di Babele, e che però evidentemente ha al suo interno dei
sistemi di catalogazione, ha dei sistemi di classificazione dei suoi libri. Ha
evidentemente anche una serie di percorsi che sono peraltro orientati anche dalla
visibilità che un libro in questa biblioteca ha rispetto agli altri e più degli altri.
Colui che entra in questa biblioteca, ha la necessità, o meglio deve avere la necessità
di attrezzarsi e di entrare sapendo che non è semplicemente un gioco quello che così
comincia, il gioco della navigazione. E' invece un processo, ed è un processo di
acquisizione, è un processo di consapevolezza, che come tale deve essere usato fino in
fondo con estrema consapevolezza. E da questo punto di vista naturalmente, tutto il
sistema tecnologico con il quale noi facciamo i conti oggi rappresenta la posta di una
scommessa formidabile che tutti ci riguarda. Ad esso si associano inevitabilmente le
possibilità di crescita civile e democratica che naturalmente un uso particolare, un uso
di consapevolezza, un uso teso all'acquisizione di coscienza critica di Internet
eventualmente può consentire.
Domanda 2
A proposito del frammento è possibile un accostamento fra la frammentarietà della
costruzione del sapere attraverso Internet e l'idea che Benjamin elabora della
riutilizzazione del frammento? Se possibile, in quali termini?
Risposta
Se si parte da Benjamin la sua straordinaria intenzione è esattamente quella di prendere
contatto con una realtà che comincia ad essere frammentata, che comincia a qualificarsi
nel segno della complessità e di una straordinaria complessità, per affrontarla sul suo
proprio terreno e per ridurla ad un senso possibile nel quale evidentemente è annidata la
possibilità di un cambiamento, di una trasformazione radicale. La scelta dei frammenti da
parte di Benjamin e il montaggio dei frammenti nella sua opera è una scelta consapevole,
fortemente deliberata, ed è al tempo medesimo un montaggio fortemente tendenzioso. E' un
montaggio che dovrebbe rispondere a questo obiettivo di redenzione, e sia pure obiettivo
visto nella sua portata utopica, visto nella sua lontananza. Nel caso di Benjamin il
viaggio attraverso i frammenti è il viaggio di chi detiene un progetto e di chi questo
progetto tenta di portarlo evidentemente a compimento. Non è un caso che a proposito
della citazione, che è una forma di riuso dei frammenti, Benjamin parlasse di un doppio
livello di operazione che riguardava la lingua, la lingua intesa come elemento nel quale
si deposita il patrimonio storico ideologico di una comunità. La dimensione della
salvezza e della punizione al tempo medesimo. Punizione come smascheramento dei buchi
neri, dei salti, delle discontinuità, dell'orrore della storia. E, al tempo medesimo,
salvezza come possibilità di riqualificare, di risignificare questi elementi, questi
frammenti in funzione di un orizzonte mutato, di un orizzonte di trasformazione. È
evidente che, da questo punto di vista, ritengo che la lezione benjaminiana sia una
lezione la cui validità deve essere conservata. Così come il lavoro strenuo che Benjamin
compie sui frammenti, è un lavoro che potrebbe naturalmente essere preso come modello per
un confronto dialettico anche per chi lavori su quei frammenti di cui è costituita la
complessità di Internet. Ciò che va evitato, in sintesi, è l'atteggiamento di chi
ritiene che il viaggio in Internet sia un viaggio, per così dire, gratuito. Uso il
termine gratuito in una accezione lata, nel senso che è un viaggio che si compie per il
puro piacere di compierlo e senza che ciò comporti nessun tipo di investimento di sé in
quel viaggio. Credo che invece, poiché questo investimento di sé nel viaggio esiste e
poiché il viaggio non può ritenersi gratuito, il modo di utilizzare i vari frammenti che
il sistema Internet ci mette a disposizione deve essere un modo la cui consapevolezza, il
cui orientamento, quantomeno debbono essere noti. Occorre, inizialmente, un progetto al
quale riferirsi che si tramuti in una strategia più o meno definita, ma che sia una
strategia di movimento. La possibilità di poter navigare tranquillamente senza nessun
tipo di compromissione di sé dentro questa navigazione di Internet, a me pare che debba
essere fondamentalmente liquidata come una dimensione e una occasione fortemente
rischiosa, perché nel momento stesso in cui il navigare e cioè l'esperienza dei
frammenti del sapere, si facesse secondo un criterio che non risponde a nessun principio,
a nessuna legge precostituita, si correrebbe il rischio di essere trasportati, di essere
agiti, di essere mossi, proprio nello stesso tempo in cui si crede di muoversi in modo
totalmente libero. E si finirebbe poi per perdere la quota di complessità e la quota di
contraddizione presente oltre che nei vari frammenti del sapere, nel momento stesso in cui
entrano in rapporto tra loro. Si opererebbe in questo caso, occultando proprio tutte
quelle dimensioni differenti, diverse, portatrici di contraddizione che sono, invece a mio
avviso, degli elementi assolutamente necessari perché il viaggio della conoscenza abbia
un senso e risulti produttivo. E risulti produttivo esattamente nel senso del cambiamento,
nel senso della non acquiescenza alla realtà data, che mi pare poi il vero oggetto che
qualunque buon viaggiatore dovrebbe cercare.
Domanda 3
A proposito di una nuova idea di città. Chi ha pensato al nuovo ha pensato anche a una
nuova idea di città; pensiamo, ad esempio, ai progetti dei futuristi. Ciò vale anche per
la città virtuale?
Se viene riproposta la metafora della città come luogo in un caso probabilmente
consolatorio e nell'altro invece come groviglio di esperienze scioccanti, qual è
l'elemento comune, se c'è un elemento comune?
Risposta
La dimensione dello spazio da abitare, è questione cruciale, peraltro legata naturalmente
alla definizione della identità individuale e collettiva. Credo allora che la metafora
della città sia giocoforza una metafora molto forte e molto viva, perché è in qualche
modo un confronto con la casa della propria identità, con lo spazio della propria
identità. La presenza di questa metafora nelle opere letterarie e anche in queste
pseudo-utopie legate ai nuovi sistemi tecnologici, mi pare che dia conferma esattamente di
questa crucialità del tema. Ho anche l'impressione che questo tema vada anche riferito ad
una crescente difficoltà che si incontra e che si scontra in questo contesto storico
politico, di definizione, di razionalizzazione dello spazio abitato. Non è un caso che,
analizzando le teorie dell'architettura e dell'urbanistica, è andato gradualmente
diminuendo l'interesse intorno al tema della ricerca urbanistica, della definizione di
criteri urbanistici. È evidente un sistema di deregulation, non a caso legato alla stessa
cultura del post moderno, che elabora una teoria della città senza regole dove il
criterio dell'allineamento e della confusione, confusione di stili, di spazi, di
esperienze, finisce per essere poi essenzialmente funzionale a questa presunta
liberalizzazione dello spazio collettivo. A questo spazio collettivo che ha ovviamente una
presenza e un significato molto importante fanno da contraltare alcune utopie riversate in
rete come ad esempio il tentativo di sostituire a questo spazio reale sempre meno
controllato e organizzato e sempre meno rispondente a criteri forti che corrispondano
anche a una visione forte del senso della vita e dei rapporti sociali, di un progetto che
vale in qualche modo davvero come compensazione e come sostituzione. Uno spazio virtuale
in assenza di uno spazio reale, uno spazio virtuale in cui ci sia spazio evidentemente per
alcuni criteri di organizzazione, per il principio del piacere, per la possibilità di
intervento e anche dunque di presa di possesso di questo spazio, contro invece uno spazio
nel quale proprio l'alienazione a me pare essere la regola, non soltanto sempre più
affermata ma anche sempre più teorizzata almeno dalle teorie che si riferiscono alla
definizione dei nostri spazi abitativi oggi dominanti. Leggo dunque in queste utopie una
volontà effettivamente di compensazione, e al tempo medesimo anche una volontà di
rimozione dell'esistente. Leggo in queste utopie la voglia di sostituire praticamente,
quasi in una dimensione onirica, una dimensione di sogno ad una dimensione reale, una
dimensione di gioco ad una dimensione reale, il principio del piacere al principio della
realtà; tutto questo in un ottica che annulla un progetto di analisi, di confronto, di
contrasto, di contraddizioni politico culturali forti. Mi pare allora che la città,
proprio per tutte queste ragioni e in primo luogo per questo tentativo di sublimazione che
c'è alla sua base, e sublimazione proprio in termine psicoanalitico, finisca per
caratterizzarsi come una sorta di spazio simbolico nel quale tutte le contraddizioni che
invece sono patenti e forti nello spazio reale che abitiamo finiscono compensate e
rimosse. A questa idea di città virtuale si possono contrapporre altre immagini di città
nelle quali essa diventa una sorta di libro di lettura delle contraddizioni storiche, dei
diversi strati che compongono la sua struttura, delle diverse dialettiche sociali e delle
potenzialità di cambiamento che la città contiene. Rispetto alla lettura simbolica che
si fa nella città virtuale, l'idea di città reale, quella ad esempio restituita
dall'attraversamento, dalla flanèrie di Benjamin, rimandi effettivamente ad una città
che consente di leggere, di interpretare, di prendere coscienza, di prefigurare un modello
anche potenzialmente alternativo. In quest'ottica torna il discorso relativo all'utopia e
alle utopie costruite dentro lo spazio letterario di alcuni autori. Si accennava poc'anzi
al lavoro letterario di Volponi che dà la misura delle differenziazioni teoriche che
esistono nel campo semantico dell'utopia. Esistono delle elaborazioni utopiche che
possiedono una quota totalizzante, persino totalitaria, maggiore di altre; ci sono delle
utopie che si pongono dalla parte del sogno, della mitizzazione e ci sono delle utopie che
si pongono dalla parte della coscienza, della critica. Ci sono delle utopie che si danno
tali e quali come sogni, più o meno collettivi che da questo punto di vista finiscono per
collocarsi in uno spazio assolutamente separato e ci sono invece delle utopie che
diventano, nel momento stesso in cui sono poste, oggetto di verifica, oggetto di critica
dell'utopia. La vera dimensione utopica è quella che profila l'utopia ma che non si
nasconde: la condizione storica in cui l'utopia viene pronunciata. E dunque non sottrae
l'utopia alla critica. Utopia e critica dell'utopia sono dimensioni assolutamente
convergenti. Questa idea di utopia era l'elemento di raccordo esistente tra l'universo
letterario di Volponi e l'orizzonte della tecnica, dei sistemi produttivi, dei sistemi
tecnologici di produzione: una presenza di una critica dell'utopia che accompagna
sistematicamente le utopie volponiane e che da questo punto di vista finisce per essere
naturalmente quella dimensione assolutamente fertile per cui l'utopia diventa
intrinsecamente produttiva.
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