INTERVISTA:
Domanda 1
Qual è, specificamente, il rapporto di Peter Greenaway con le nuove tecnologie, se è
vero, come egli stesso afferma, che la tecnologia crea l'estetica?
Risposta
Il rapporto di Greenaway con le nuove tecnologie è di grande entusiasmo: a lui piace
giocarci, a lui piace sognare con le nuove tecnologie. Sogna di un film su CD ROM che,
però, sia visibile su Omnimax, quindi a 360°, con un pubblico che possa avere il film
tutto attorno a sé così come l'esperienza nel mondo è tutta attorno a noi; non è
soltanto davanti, in un rettangolo. Sogna le nuove tecnologie per sfondare le cornici del
cinema; il cinema e la televisione possiedono questo formato rettangolare che nessuno è
mai riuscito a deformare; lui, invece, vuole poterne uscire fuori, così come dice
"se io voglio fare, da pittore, il quadro di una giraffa con il collo lunghissimo,
posso avere una cornice verticale; se voglio fare un serpente che striscia sull'erba,
avrò un formato larghissimo e pochissimo alto". Lui, addirittura, vorrebbe avere un
cinema che si muovesse come un'ameba, che potesse sfondare da tutte le parti, soprattutto
in due direzioni: in alto e lateralmente. Questo, le nuove tecnologie glielo consentono,
glielo hanno consentito con i giochi di immagine dentro l'immagine che lui ha utilizzato
anche nell'ultimo film "I racconti del cuscino". In questo film, addirittura,
tre immagini si sovrappongono, tre storie giocano l'una con l'altra; come anche in un film
di Abel Gance che si chiamava "Napoleon", del 1929: tre schermi che portavano
avanti tre storie differenti. Greenaway ha questo sogno: poter girare un film che sia
molti film insieme, che sia amabile ed apprezzabile molteplicemente, che sia rivedibile
all'infinito; anche perché, se ci si sofferma su un angolo, su un aspetto, poi, puoi
ritornare e scoprirne molti altri.
Domanda 2
In questo senso avrebbe un valore meramente strumentale l'uso della tecnologia, oppure
interviene direttamente nel processo creativo?
Risposta
Io credo che Greenaway, nonostante proclami questo grande amore per la tecnologia, pensi
anche che, tutto sommato, sia necessario confrontarsi con l'uomo, la mente, l'artista, che
si trova dietro, sopra, prima, e in maniera più forte della tecnologia. Quindi, lui che
si sente, in qualche modo, artista, pittore nel senso rinascimentale del termine, pensa
sempre di tenere in pugno la tecnologia e di potersene servire; quindi, si è servito di
tutte le elaborazioni della Paintbox; così come si è servito della musica di Michael
Nyman, così come si è servito di tutti gli accorgimenti tecnici: sempre, però,
funzionali al suo discorso di fondo che, a mio avviso, è esattamente lo stesso dal 1960
ad oggi; da quando, addirittura, girava i suoi primissimi film con un superotto. Adesso
può disporre di budget anche abbastanza importanti e può lavorare in vari continenti,
come nel prossimo progetto che ha in mente di fare, che sarà una specie di "Giro del
mondo" di "Fino alla fine del mondo" greenawaiano, in sedici paesi, con
sedici tappe, passando per i deserti dell'Asia, negli Stati Uniti, e anche in Italia,
toccando Venezia e Roma.
Domanda 3
Per Greenaway questi passaggi tecnologici hanno rappresentato soltanto una facilitazione
di quello che cercava?
Risposta
Paradossalmente, io penso di sì. Credo che fin dal 1968, quando lui girava un film come
"Intervals" (che è stato girato a Venezia e dove di Venezia non si vedeva
l'acqua, dove c'era un battito di metronomo che scandiva la narrazione e scandiva il
succedersi delle immagini l'una con l'altra), ad oggi, in realtà, le sue ossessioni, le
sue grandi tematiche siano rimaste sempre le stesse. Egli ha poi saputo sviluppare tali
contenuti in film quasi realistico-mimetici come "Il bambino di Macon" se si
vuole, o "Il cuoco, il ladro, la moglie e l'amante", che sono film più
teatrali; e li ha saputi sviluppare in film più tecnologici come "L'ultima
tempesta" o come l'ultimo, "I racconti del cuscino", dove si muove con
grande disinvoltura attraverso queste nuove tecnologie, attraverso, soprattutto, l'uso
pittorico dell'immagine. Già quello che lui ha filmato ne "I racconti del
cuscino" sono corpi disegnati e scritti con gli ideogrammi della tradizione orientale
e, quindi, in qualche modo, indicano un intervento anche di pittura, di azione e di
performance sul corpo di ciò che viene filmato. Le conseguenze stilistiche di questa
scelta sono lo schermo nello schermo, gli inserti, la decolorazione, la colorazione di
parti dell'immagine, l'uso fantastico e straordinario della scrittura come corpo da
godere. E' la prima volta che si riesce ad ottenere una commistione così stretta di
pittura, di scrittura e di piacere della carne vero e proprio, quindi di erotismo e
grafia. Egli utilizza le tecnologie, però, nello stesso modo ne è padrone, e allo stesso
modo può realizzare tutto con una matita ed un foglio di carta; non ha nessuna
difficoltà ad illustrare i suoi film con una matita ed un foglio di block notes; voglio
dire che in lui non c'è il feticismo della tecnologia, ma c'è un particolare: quando
stava editando "The pillow book" sono andati in casa sua dei ladri, nella sua
casa che è anche lo studio, gli hanno portato via tutte le attrezzature che lui
utilizzava per montare il film, che erano, fra l'altro, tarate sui valori cromatici e sui
colori che lui doveva usare per il film; quindi occorreva tantissimo tempo per ritarare
nuovi strumenti. Greenaway non si è assolutamente perduto d'animo ed ha detto: "va
bene, vuol dire che adesso penserò meglio a quello che devo fare; nel frattempo, le mie
tecnologie ed i miei strumenti hanno fatto felice qualcuno a Il Cairo o forse a
Mosca". Quindi, non si è preoccupato se la mafia egiziana o quella russa gli aveva
trafugato cose che valevano anche migliaia di sterline.
Domanda 4
In che modo viene utilizzata la tecnologia ne "L'ultima tempesta" e ne "I
racconti del cuscino"?
Risposta
L' uso delle tecnologie è sempre più consapevole. Prima ancora di realizzare
"L'ultima tempesta" Greenaway aveva girato un mediometraggio che si chiamava
"Death in the Seine", "I morti della Senna", in cui, per la prima
volta, aveva scoperto la possibilità di usare la grafia come elemento portante di un
film. Quindi, ci sono tutti questi referti di due impiegati dell'obitorio che scrivono i
nomi di 400 morti per annegamento nella Senna. Prima ancora, aveva pensato di realizzare
"La divina commedia" in video; ha girato i primi otto canti dell'Inferno, poi si
è fermato; ma vuole proseguire in questo senso, utilizzando queste tecniche video. Prima,
però, queste opere ancora possedevano un sapore da ricerca fotografica, se si vuole, di
avanguardia della metà degli anni '80. Adesso sembra che il regista abbia saputo fondere
bene insieme la consapevolezza di poter utilizzare tutte le tecnologie possibili e l'uso
di una semplicità di racconto, di narrazione. Il film "I racconti del
cuscino" incuriosisce lo spettatore, che vuole conoscere la fine della storia; ciò,
nei film di Greenaway, è cosa abbastanza rara. Invece, ora si assiste ad una sorta di
scioglimento di questa durezza che Greenaway aveva proposto al suo pubblico anche nelle
ultime prove di regia.
Domanda 5
Indipendentemente dalla tematica e dall'approccio, quali sono state le innovazioni
tecniche, in questi film?
Risposta
I passaggi innovativi si scorgono, a mio avviso, da una parte nella triplice fusione di
schermi e di passaggi che vediamo scorrere sullo schermo; dall'altra, nell'uso di tecniche
che comunque supera qualsiasi film hollywoodiano come perfezione tecnica, come quando
vediamo gli aerei che corrono abbracciando l'orizzonte, quasi scappando fuori dalle case
nel cielo di Hong Kong (perché, naturalmente, sono dei giochi di post-produzione). La
tecnologia lui la usa quando è in possesso di un materiale filmato che è già di per sé
interessante pittoricamente, la usa per mescolare le carte in post-produzione; quindi, ne
"I racconti del cuscino" ha impegnato un anno del suo lavoro per organizzarlo in
questo modo. Oltretutto, a questi grandi sogni futuribili del cinema come nuovo mezzo,
secondo Greenaway, il cinema di oggi è esattamente uguale a quello degli anni '10: non
c'è stata nessuna innovazione, né narrativa, né tecnologica, e lui continua a pensare
che il cinema, ben lontano dall'essere morto, non sia ancora nato. Tuttavia, l'uso delle
nuove tecnologie, in realtà, anche in lui è molto più potenziale e teorico che non
attuale, reale; egli usa le tecnologie che sono presenti nel suo tempo, così come ha
utilizzato quelle della NHK giapponese quando ha dovuto montare "L'ultima
tempesta"; però, non è, in realtà, uno sperimentatore tecnologico del digitale,
non è un navigatore di Internet. Usa semplicemente quello che già è stato messo a punto
da altri senza pensare ad una ricerca personale di impulso per le nuove tecnologie.
Domanda 6
Però Lei sostiene che Greenaway, d'altro canto, utilizza la tecnologia in un fare
strumentale dove prevale sempre la sua capacità creativa. Tuttavia, nel contempo, lo
stesso Greenaway afferma che la tecnologia crea l'estetica.
Risposta
La tecnologia ha sempre creato l'estetica fino dal pre-cinema, quando le lanterne magiche
permettevano queste riproduzioni di immagini sulla parete di casa; nascevano le famiglie
attorno alle lanterne magiche. La tecnologia permetteva la riproduzione fotografica e
chimica del mondo, nascevano i primi documenti dell'esistenza del mondo. Quindi, è
attraverso la tecnologia che è stato possibile far nascere il cinema, ed è stato
possibile conservare e depositare una memoria di ciò che siamo nell'attimo e mummificare
il presente. E' stato possibile sempre con le nuove tecnologie portare avanti dei nuovi
discorsi cinematografici: dai primi tentativi di colorazione delle copie all'avvento del
sonoro, all'avvento del cinema scope, formati sempre più larghi; poi, l'entusiasmo per il
colore, per il technicolor: è sempre l'impulso tecnologico a dare vita ad un discorso
stilistico. Tuttavia Greenaway non pensa che la tecnologia crei l'artista; l'artista
esiste comunque, esiste come esisteva il pittore, con una eredità di 2000 anni. In
seguito, questo pittore del terzo millennio diventa, quasi per evoluzione naturale,
cineasta. Adesso che la pittura, in qualche modo, rischia di esaurire il suo compito,
Greenaway si è confrontato con i percorsi di frontiera della pittura degli anni '60,
come, per esempio, la Land Art o altri movimenti, o come l'uso del collage di un certo Pop
degli anni '60. Egli ha quasi toccato i confini della pittura, e dopo questo momento si è
rivolto al cinema come nuova forma di pittura contemporanea; l'artista, però, preesiste
alle tecnologie che adopera; esse gli permettono di affrontare un percorso artistico
diverso; ma una cosa è chiara in Greenaway: qualsiasi mezzo è utile al fine di portare
avanti le sue idee. Quindi egli nasce come pittore, cresce come scrittore non pubblicato
da nessuno, e poi, nella maturità, diventa regista, un regista di film in cui
confluiscono tutte le opere precedenti, tutti gli sforzi del Greenaway pittore e del
Greenaway romanziere e narratore.
Domanda 7
In che senso allora, a Suo avviso, si potrebbe stabilire una differenza tra l'uso che
Greenaway fa delle nuove tecnologie e l'uso che viene fatto nel cinema tradizionale?
Risposta
A mio parere in Greenaway c'è una consapevolezza di tutto quello che si trova dietro e
prima del cinema: della storia dell'arte, dell'uso, sia simbolico, sia allegorico, di ciò
che sta dentro l'inquadratura, di ciò che sta dentro l'immagine, che è infinitamente
superiore a tutti coloro che usano, anche in maniera acritica, le nuove tecnologie.
Esistono migliaia di lavori di videoasti, anche molto interessanti; però, nonostante un
montaggio molto più raffinato di quello che Greenaway può operare, quasi mai riescono ad
ottenere gli stessi risultati e la stessa complessità delle immagini di Greenaway. In
Greenaway queste tecnologie sono nutrite di consapevolezza mitologica, simbolica,
allegorica; c'è, in lui, una consapevolezza storica degli strumenti che usa. In un
mediometraggio che si chiama "Making a splash", "Fare un tuffo", che
è del 1984, Greenaway monta, straordinariamente, su una musica di Michael Nyman, delle
immagini di vita acquatica. La bellezza di questo breve film è nella perfetta
compenetrazione di musica e immagine che creano una sorta di video-clip ante-litteram
straordinario; inoltre, queste immagini creano una storia fatta di niente: la goccia
d'acqua che diventa un rivolo, poi un corso d'acqua, un fiume, un lago, un mare, poi i
primi pesci, poi i primi esseri viventi più strutturati fino a comporre una lunga catena
che si conclude con l'essere umano. Ecco: tutto questo, forse, un videasta in possesso
anche di tecnologie più sofisticate, non l'avrebbe saputo fare.
Domanda 8
Greenaway sostiene che il cinema non è mai veramente nato, che bisogna reinventare il
linguaggio cinematografico, e, soprattutto, che il cinema è rimasto prigioniero dello
scritto, in senso tradizionale, nel senso di romanzo ottocentesco. Cosa significa?
Risposta
Questa è la grande battaglia di Greenaway: una battaglia contro la narrazione
tradizionale, nella quale, come in ogni sceneggiatura, in ogni storia, c'è un inizio, un
conflitto che il personaggio si trova a dover fronteggiare, uno sviluppo, un colpo di
scena ed una fine. Lui è assolutamente nemico di tutto ciò; i suoi film vogliono
svilupparsi a partire da altre premesse. Quali sono queste altre premesse? Greenaway, nel
corso dei suoi film, ne ha trovate varie: l'alfabeto, i numeri, i colori come sistemi di
segni a partire dai quali sviluppare una narrazione. "Giochi nell'acqua" è
l'esempio più famoso: un film scandito sui numeri dall'uno al cento. In "Twenty six
bathrooms" le lettere dell'alfabeto ne custodiscono il segreto: si tratta di un film
su ventisei stanze da bagno, divertentissimo, fra l'altro. In "Lo zoo di Venere"
l'alfabeto è un filo conduttore che lega la narrazione. Greenaway ha sempre bisogno,
cercando di togliere la narrazione tradizionale, di un'altra griglia, di uno schema su cui
innestare tutto il suo racconto. Perciò, i suoi film, non sono come una specie di filo
che si snoda dal punto A al punto B tirandolo ed arrivando a questo finale, ma sono
piuttosto come la mappa di un quartiere di Londra vista dall'alto di un aereo, composta di
tante stradine uguali, di tante casettine tutte uguali; noi riusciamo a vedere dall'alto
tutto il film come un unico istante sincronico nel quale abbiamo la mappa di tutto ciò
che ci interessa. E' per questo che Greenaway vorrebbe che potessimo vedere i suoi film
partendo da un punto qualsiasi della mappa; quindi, partendo da un punto qualsiasi del
film stesso; vorrebbe che i suoi film fossero visibili e godibili partendo anche dal
finale. E' un aspetto rivoluzionario, questo! Non sappiamo se riuscirà del tutto ad
attuare questa grande rivoluzione, però è vero che il prossimo film che lui sta'
pensando, che prende il titolo di "The Talls Looper suitcase", "La valigia
di Talls Looper", vorrebbe che fosse voltato sul CD ROM e che lo
spettatore-viaggiatore sul CD ROM potesse partire da qualsiasi punto: non importa più
partire dall'inizio di una storia perché la storia in sé è qualcos'altro rispetto a
ciò a cui ci hanno abituati ormai da un secolo.
Domanda 9
Si è parlato di proliferazione dei punti di vista, di schermi che si aprono di continuo,
gli inserti calligrafici, della ricchezza pittorica del quadro, dell'assenza di una
linearità narrativa; in questa prospettiva si può parlare di cinema multimediale?
Risposta
Io credo che il suo godimento di autore sia nel disseminare indizi per lo spettatore, per
uno spettatore ideale che non esiste perché, magari, dovrebbe conoscere il giapponese,
come il cinese mandarino, come l'inglese perfettamente, come la storia della mitologia e
la storia della pittura. Noi possiamo godere i film di Greenaway anche senza conoscere
tutte queste cose, cercando di penetrare le mille domande che Greenaway pone a noi
spettatori; si entra in un gioco che è guidato da lui, da quello che Domenico De Gaetano
chiama la "profondità dell'immagine", che non è la profondità di campo così
come la intendiamo usualmente, dove possiamo vedere anche in fondo che cosa c'è. Nei film
di Greenaway molto spesso la profondità di campo è variabile; quello che è profondo è
la quantità di informazioni che ogni immagine contiene, accoglie ed abbraccia. L'esempio
più facile è un breve film che lui ha girato: "Una passeggiata nella biblioteca di
Prospero"; Greenaway ha preso l'inizio del suo film "L'ultima tempesta",
nel quale vediamo tanti personaggi intorno a Prospero interpretato da John Gielgud, e poi
ripercorre varie volte questa prima sequenza spiegandoci chi sono tutti questi personaggi;
sono cento: Leda con il cigno, Archimede, Pitagora, Vulcano, tutti personaggi della
mitologia che hanno in un modo o nell'altro a che fare con l'acqua; e il regista percorre
un interessantissimo itinerario per raccontarci che cosa c'è dietro questa sua sequenza,
che dura pochissimi minuti nell'originale, nel film "L'ultima tempesta". Questo
cosa vuol dire? Che noi, di tutti i film di Greenaway potremmo ripercorrere, magari
all'infinito, le sequenze, trovando sempre nuovi particolari, nuove aperture, nuove
finestre, quello che Greenaway stesso chiama "apertura verso l'orizzontalità
dell'immagine". Per questa ragione lui vorrebbe realizzare un film su CD ROM:
affinché ognuno potesse allargarsi in orizzontale e chiedersi: "ma chi è questo
personaggio? Da dove viene? Qual è la storia che l'ha portato fin lì? Qual è
l'allusione, per esempio, nei nomi delle stelle che compaiono in "Giochi
nell'acqua"? E così via. Non è un caso un libro appena uscito su Greenaway, sia
costruito a finestre, come una sorta di continue finestre che compaiono nel testo ad
illustrare questa o quella parola chiave del testo su Greenaway.
Domanda 10
Tenendo presente questa impostazione, come cambia il ruolo dello spettatore? Personalmente
ho sempre pensato che si trattasse di un'esperienza bellica vedere un film di Greenaway,
perché uno combatte con lo schermo per non farsi seppellire!
Risposta
Il ruolo dello spettatore cambia moltissimo; cambia perché Greenaway vuole farlo
cambiare: questo è fuori di dubbio. Egli vuole uno spettatore che assomigli sempre di
più al visitatore di una mostra; non è un caso che Greenaway abbia allestito vere e
proprie mostre, come quella sul volo o come "Cento oggetti per rappresentare il
mondo", che abbia pensato all'allestimento di opere liriche come "Rosa" e
che realizzi progetti che sono a metà fra il cinema e qualche cosa d'altro. Ne elenco
alcuni: ha in mente di illuminare la Mole Antonelliana, dove si stabilirà il nuovo museo
nazionale del cinema, ed ha in mente di vestirla di luce, come il personaggio interpretato
da Brigitte Helm in "Metropolis": con cerchi di luce che salgono; questi cerchi
di luce dovrebbero, poi, raccontare, in qualche modo, il passato, il presente ed il futuro
del cinema, sulla scia della cosmologia che aveva preparato proprio per Roma, e che dopo
due anni, finalmente, è riuscito a mettere in scena, quasi come se si trattasse di un suo
nuovo film. A questo proposito ha detto: "sono molto contento, mi sentivo per un
momento al centro di Roma che è al centro del mondo: io, a distribuire la luce del mondo
un po' come Dio". Ci sono ancora altri progetti: uno che coinvolge Salisburgo, nella
quale allestirà una grande rappresentazione-evento che si chiama "Cento oggetti per
rappresentare il mondo"; uno dei cento oggetti è Dio. Come si rappresenta Dio? Con
tre domande fondamentali, secondo Greenaway: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Lui
ha chiesto al suo calligrafo - colui che ha svolto tutte le operazioni di calligrafia per
"L'ultima tempesta" e gran parte per "I racconti del cuscino" - di
prendere un enorme pennello, un enorme secchio di vernice, di andare sulla scogliera sotto
il castello di Salisburgo, e scrivere su un enorme telo bianco queste tre domande; quindi,
di stare sospeso nel vuoto come un imbianchino, se si vuole, e scrivere con la calligrafia
che gli è propria le tre domande visibili da tutta la città. Questo è un suo modo di
cambiare il ruolo dello spettatore: lo spettatore può camminare, vede quello che non è
più cinema, ma è evento, attraverso l'eredità dei grandi artisti Land Art. Ecco:
Greenaway ha un'idea dell'arte come performance, come operazione sulle città.
"Stairs", "Scale" o "Scalini": un'altra operazione nel corso
della quale, a Ginevra, aveva posto degli scalini nei punti strategici della città; con
una specie di piccolo oblò si saliva su questi scalini e si andava a vedere quello che
lui diceva di vedere; si guardava dal piccolo oblò e si vedeva una specie di piccolo
schermo che, però, era la realtà della città di Ginevra. Cento punti per una
rappresentazione scelta, ma anche nella quale lo spettatore fosse libero di vagare a
piacimento. Quindi, l'idea di scelta dell'autore, ma di libertà dello spettatore, è
fondamentale in Greenaway. Il cinema si deve accordare con questa idea, deve essere un
tipo di cinema dove si può scappare con gli sviluppi laterali dell'immagine, un tipo di
cinema che sia un'opera totale: Greenaway accarezza anche il sogno wagneriano dell'opera
totale. A 360° lui parla spesso di Omnimax, che concepisce come uno schermo enorme che
sta' tutto intorno allo spettatore, per cui lo spettatore si trova affondato nel film,
nella vicenda raccontata dal film e nelle sue immagini. Al contempo, un'Omnimax lo
immagina in Odorama, nel quale si possano sentire addirittura odori e i sapori, oltre ai
suoni. Quindi, il film diviene un'esperienza globale, totale. In tutto questo dove si
scorge la libertà, la libertà di camminare come dentro un edificio? Greenaway sostiene:
"nei miei film si deve poter passeggiare come dentro un edificio progettato da Renzo
Piano; io passeggio, io scelgo i punti di vista, però sono sempre all'interno di una
visione di un autore, ed in questo caso di un grande autore."
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