Biblioteca digitale (intervista) RAI Educational

Alberto Abruzzese

Napoli, 07-05-1996

"La mediazione fantascientifica nell'era dell'innovazione tecnologica"

SOMMARIO:

  • Abruzzese ricorda come la fantascienza sia, ormai, uno strumento utilizzato dall'analisi sociologica e filosofica: da tempo si fa uso di una fantasia proiettiva che possa anticipare alcuni sviluppi della società. E' quello che avviene anche oggi rispetto alla rivoluzione tecnologica (1).
  • In questo ambito numerose e giustificabili sono le paure che ancora una volta gli strumenti della modernità siano utilizzati soltanto a vantaggio di una minoranza della popolazione terrestre. L'elemento che permette, però, di essere ottimisti è il superamento, al quale stiamo assistendo, dei linguaggi forti della tradizione moderna a favore di nuove forme di dialogo (2).
  • Esiste un rischio effettivo di discriminazione tecnologica eludibile grazie alla trasversalità delle nuove tecnologie (3).
  • Un altro rischio legato all'enorme sviluppo tecnologico di questi decenni è l'aumento della disoccupazione dovuto all'uso di macchine che sostituiscono l'uomo. Si ripropone, contemporaneamente, il sogno utopico di una liberazione del tempo dal lavoro (4).
  • In questo panorama è evidente il ritardo europeo e, in particolare, italiano rispetto al potere tecnologico e di mercato degli Stati Uniti; un ritardo dovuto a inadeguate politiche di investimento sulla ricerca e sulla formazione (5).
  • La società mediatica, alla cui definizione stiamo assistendo, vive anche una modificazione del sistema politico e delle forme e modalità dei rapporti sociali. Da questo punto di vista l'Italia rappresenta un interessante territorio d'indagine (6).
  • Di fronte alla quantità di informazione che le nuove tecnologie offrono, in modo silenzioso, molto meno rumoroso rispetto all'offerta della TV generalista e della cultura delle immagini, il soggetto rischia di perdere il senso di ciò che conosce. Nonostante questo le stesse tecnologie sapranno, forse, guidare nel migliore dei modi possibili ciascuno di noi a costruire le proprie dimensioni di sapere (7).
  • Nel rapporto con la macchina-computer il soggetto è attore del discorso e non spettatore passivo. Inoltre, essendo il computer paragonabile ad un mezzo di eccitazione del corpo, esso non può che rendere più sensibile e ricettivo il soggetto conoscente (8).
  • Incombente è anche il rischio di autoritarismo e omologazione ad un pensiero unico all'interno del mondo delle reti anche se il nuovo schema comunicativo che vi si impone, schema di uno a uno o molti a molti ma non più di uno a molti, potrebbe garantire un esito opposto al temuto grande fratello (9).
  • Si profila l'esigenza di un'etica planetaria che sia "trasversale" e ispirata a concetti quali l'interesse comune, i legami sociali, la solidarietà (10).

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INTERVISTA:

Domanda 1
Dobbiamo imparare a ragionare nei termini di fantapolitica, fantasociologia e fantaeconomia. Siamo chiamati, in altre parole, a realizzare uno straordinario sforzo creativo, a sentirci responsabili di una mutazione radicale, a inventare il futuro e non il passato. Ci può descrivere qualcosa in merito?

Risposta
Fare riferimento alla fantascienza è un espediente, a volte dichiarato, a volte non dichiarato, con cui la sociologia e la filosofia soprattutto, lavorano ormai da un paio di decenni. Molte grandi idee, che hanno percorso il pensiero filosofico in questi ultimi anni di passaggio dalla modernità alla post-modernità, si devono agli scrittori di fantascienza. Gli scrittori di fantascienza, che hanno le radici, del resto, nell'Ottocento e anche prima, che cosa hanno sperimentato? Hanno sperimentato lo sforzo di immaginarsi un contesto diverso da quello presente e provare a pensare, rispetto a quel contesto diverso, ad una determinata innovazione tecnologica, lo sforzo di immaginarsi come la società poteva funzionare. La radice della fantascienza, che è ottocentesca, e quindi rintracciabile nel grande sviluppo della civiltà industriale, ha spinto sempre più avanti la fantasia proiettiva dell'uomo moderno e della cultura metropolitana e, quindi, in qualche modo, ha anticipato la dimensione in cui stiamo entrando davvero oggi. Essa è costituita da questo transito dalle comunicazioni di massa, che hanno costruito il territorio della vita sociale in questi ultimi cinquant'anni, all'ingresso nelle reti: una forma di comunicazione che sfonda lo schermo del grande e del piccolo televisore e costituisce un territorio del tutto nuovo. Allora siamo nella fantascienza; e se siamo nella fantascienza, tutti i soggetti della società entrano in questa dimensione di non-identità, ma di fantaidentità; di non-creatività, ma di fantacreatività, e così via.

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Domanda 2
Lei sostiene che le nuove tecnologie danno delle opportunità per migliorare la qualità della nostra vita. In che modo?

Risposta
Ciò costituisce gran parte del dibattito attuale sulle nuove tecnologie, e, a mio avviso, un po' negativamente: le nuove tecnologie spaventano. Spaventano in gran parte a ragione, ma, in qualche modo, anche a torto. In che senso? A ragione possono spaventare perché ogni volta si apre una nuova "chance", si inventa un nuovo strumento ed è giusto porsi la domanda di come useremo quella "chance", quella opportunità. Sappiamo che l'esperienza della storia, in questo senso, ci ha completamente deluso. Sappiamo che le grandi attese sulla modernità sono state ampiamente deluse. E' vero che abbiamo aumentato la qualità della vita, ma è anche vero che l' abbiamo fatto a prezzo di un sacrificio umano fuori dei perimetri della modernità, fuori dell'Occidente. Allora è giusto essere inquieti sull'ingresso della nuova tecnologia, dei nuovi mezzi tecnologici. D'altra parte, però, è anche giusto domandarsi che cosa rappresenta. Allora: se queste nuove tecnologie, come io credo, rappresentano qualcosa che sfugge, in modo molto determinato, alle caratteristiche forti della civiltà di massa e dell'industria culturale, quindi anche alle forme del potere, ai soggetti storici che hanno guidato la cultura occidentale nel moderno, allora, forse, c'è da interrogarsi su quali possibilità queste tecnologie potrebbero dare ai nuovi soggetti. E' semplice parlare di quanto queste nuove tecnologie, duttili, morbide, interattive, eccezionalmente creative, possono servire al miglioramento della vita quotidiana. Però noi sappiamo che già nell'epoca precedente la civiltà dei consumi ha migliorato la vita quotidiana, però non ha ridotto né i conflitti, né le ingiustizie, né la disuguaglianza. Che cos'è, dunque, che si introduce in questo contesto? L'elemento a cui sono più interessato è proprio questo: le tecnologie hanno la vocazione di sfuggire i linguaggi forti della tradizione moderna. Tutto il pensiero filosofico è ragionato sul soggetto moderno. Ma questo soggetto moderno chi era? Era il soggetto moderno legato alla tradizione della scrittura. Queste nuove tecnologie e i linguaggi digitali, nel rapido sviluppo che avranno queste macchine, che avrà il computer, che avrà il dialogo faccia a faccia, si avvicinano, invece, sempre di più ad un dialogo liberato dai vincoli della scrittura, ai testi instabili, alle conversazioni, alle piccole reti comunitarie. Io credo che questo abbia - o possa avere almeno - un grande valore trasgressivo nei confronti del passato e dei rapporti di potere del passato.

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Domanda 3
Stefano Rodotà, in un articolo uscito su "La Repubblica", ha scritto: "La società delle informazioni rischia di rovesciarsi nella società dell'esclusione". Condivide questo giudizio o è un giudizio troppo estremo? E poi come fare per evitare l'"apartheid infomatica"?

Risposta
I problemi relativi alle disuguaglianze vecchie che le nuove tecnologie possono confermare, o a disuguaglianze nuove che possono introdurre, sono probemi indubbiamente importanti. Quello che conta, a mio avviso, è far tesoro dell'esperienza passata, e provare a non commettere gli errori del passato. Noi sappiamo che l'industria culturale ha funzionato come grande comunicatore collettivo, e sappiamo anche che ciò, comunque, non ha impedito squilibri, disuguaglianze, "èlites", "lobbies", pubblico di massa, esclusi; quegli esclusi, tra l’altro, che sono apparsi nella fase terminale della cultura di massa, nella fase terminale della televisione generalista. Queste nuove tecnologie hanno la caratteristica di essere trasversali. E' vero: in questo momento possono richiedere un sapere, una competenza, e anche un ceto, che ricostituiscono una sorta di "èlite". Va detto, comunque, che questa "èlite" è qualitativamente diversa dalle precedenti, perché ha componenti diverse, anche di ceto. Sappiamo, però, che queste tecnologie sono in rapida, rapidissima evoluzione, per la necessità stessa che hanno di mutare e di offrirsi ad un mercato sempre più esteso. Quella difficoltà che oggi viene presentata come la costruzione di una nuova rocca del sapere, di un nuovo castello della sapienza - tecnocratica questa volta, invece che umanistica o filosofica -, dobbiamo sapere che non avrà un lungo periodo. Voglio dire che entro un breve periodo queste macchine saranno più direttamente governabili, potranno guidare meglio. Ancora una volta questo non risolve i problemi della disuguaglianza. I problemi della disuguaglianza appartengono ai rapporti di potere, ai conflitti. E’ importante, però, cogliere in queste nuove tecnologie quello che hanno di collaborativo rispetto ai precedenti regimi e capire se sia possibile sfruttare quanto hanno di collaborativo. Oppure capire se sfruttare queste macchine nel senso della collaborazione non sia un errore, perché aggraveremmo gli squilibri e i rapporti di potere della tradizione; oppure, ancora, capire quanto hanno di catastrofico, perché, per quanto hanno di catastrofico potrebbero offrire una "chance", che la modernità non è riuscita a realizzare. Le nuove tecnologie, in effetti, costituiscono uno strumento di grande rottura con i saperi del moderno e con le forme del potere del moderno.

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Domanda 4
A proposito di disuguaglianze, nel saggio "La fine del lavoro", Rifkin, parlando delle tecnologie "labour saving", dell'"engineering" e descrivendo la "Terza Rivoluzione Industriale", pone il futuro come uno scontro fra due forze inconciliabili: un' "èlite" cosmopolita di analisti di simboli, "knowledge workers", che controlla la tecnologia e la fase di produzione ed un crescente numero di lavoratori, permanentemente in eccesso. Ci troviamo di fronte a questo incubo? E poi è realmente un incubo?

Risposta
Il passaggio dalle vecchie alle nuove tecnologie è un passaggio che si inserisce in una trasformazione più generale del sistema moderno, del sistema dei mercati, del sistema della produzione, dei consumi, dei rapporti sociali. Anzi, potremmo dire che le nuove tecnologie sono l'espressione di un processo, che è andato maturando, anche con grandi elementi di crisi, di catastrofe, all'interno della tradizione moderna, dei sistemi industriali moderni e che esplode in qualche modo - o implode - nelle nuove tecnologie, o nella possibilità che le nuove tecnologie hanno di offrire "chances" diverse. Sicuramente, nelle fasi di transizione, i conflitti possono essere duri. Sicuramente noi assistiamo ad un rapporto inverso tra ricchezza ed offerta della tecnologia in termini di prestazione e diminuzione del lavoro, e quindi, per certi aspetti, in certi luoghi, in certi settori, la nuova offerta tecnologica può significare disoccupazione. Questo rapporto stretto fra nuova offerta tecnologica e disoccupazione è dentro un sistema che ha giocato sul rapporto tecnologia-lavoro nell'economia della società industriale, sul rapporto tra lavoro e tempo libero; tale sistema si conferma addirittura nel rapporto tra società e cultura, società e comunicazione, potere e società. E' evidente, quindi, che questo grande problema della diminuzione di lavoro vada rivisto in una ridefinizione globale del sistema. D'altra parte, attraverso uno sguardo distante, che, certamente, è duro mantenere, - perché dietro il problema della disoccupazione c'è sofferenza umana, difficoltà e disuguaglianza -, noi sappiamo che il grande ciclo della civiltà è stato un grande periodo in cui una classe privilegiata sfruttava gli schiavi e poi un periodo in cui, progressivamente, almeno in parte, gli schiavi sono stati sostituiti dalle macchine. Adesso attraversiamo un'altra fase in cui le macchine si trasformano in modo tale, virtualmente, da poter liberare l'uomo dal lavoro, e la liberazione dal lavoro è stata sempre una grande utopia. Una grande utopia di tutte le forze anticapitaliste. Adesso i nodi ritornano al pettine. Bisognerebbe riuscire a ridefinire il sistema, riequilibrando i rapporti; oppure, in effetti, queste nuove tecnologie, almeno nella lunga fase di transizione, nel passaggio dal regime moderno a quello post-moderno, potranno "simboleggiare" la disoccupazione, anche se non saranno l'unico fattore dei fattori, appunto, delle dinamiche di disoccupazione.

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Domanda 5
Nel rapporto del Centro Studi "San Salvador" si individuano alcune cause del ritardo europeo rispetto all'avanzamento degli Stati Uniti per quanto concerne l"Information and communication technology". Vorrei sottoporLe tre elementi di riflessione per, eventualmente, indicare le cause del ritardo: la mancanza di una alfabetizzazione informatica, la mancanza della liberalizzazione dei mercati, e l’assenza di una reale integrazione fra l'informatica e le telecomunicazioni.

Risposta
Io direi che di queste tre posizioni, quella più cruciale per tentare di ridurre la tendenza ad avere l'Europa - e in particolare l'Italia - in una situazione subordinata rispetto al potere tecnologico e di mercato americano, è quello della formazione della ricerca scientifica. Ciò è necessario anche per intervenire su una ridefinizione dei rapporti tra interesse pubblico e di mercato, ed è quindi necessario per una valorizzazione della concorrenza del libero mercato, in modo tale da avere una ricaduta sociale. Inoltre, la formazione nel settore scientifico serve per poter garantire - in questa nostra fase di passaggio segnata dall'ossessione per il vecchio sistema centrocratico, diffusivo e seduttivo della televisone - il passaggio alle reti. Per realizzare tutto questo - che è qualcosa che va ben al di là della dimensione del divertimento o della comunicazione dell'informazione, ma riguarda il sistema nella sua dimensione globale -, quello di cui si ha bisogno è la professionalità. Per questo noi paghiamo gravemente l'assenza, da molti anni in Italia, di qualsiasi processo formativo, di un investimento sulla ricerca, di un investimento nella scuola e nel mondo accademico.

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Domanda 6

In quest’epoca di trasformazione si avverte una sorta di incapità della classe politica a saper reagire agli stimoli differenziati di una società complessa. Per certi versi, l’idea di una democrazia diretta, crea una serie di stimoli, per cui la politica non riesce più coerentemente e chiaramente a scegliere le strade. Quali potrebbero essere, a suo avviso, le strade da scegliere?

Risposta
L'osservazione del rapporto tra nuovi sistemi comunicativi, e la ridefinizione del sistema della comunicazione sono, sicuramente, dei punti di riflessione interessanti per capire la dimensione globale dei fenomeni che stiamo vivendo e per comprendere anche le dimensioni locali e settoriali. E’, comunque, una questione sostanziale per il nostro presente e per il nostro futuro. Noi potremmo dire che stiamo ancora vivendo una dimensione in cui i grandi "media" generalisti hanno costruito un territorio nazionale e internazionale, in cui la politica può agire superando le difficoltà del territorio fisico e trovando, in qualche modo, la possibilità di scegliere forme di governo, costruire rapporti di potere, seguire e perseguire delle strategie. Questa fase, però, mostra tutte le cadute, i vuoti, le difficoltà di questo processo. Il grande territorio televisivo, il grande territorio mediatico, si sta disgregando rispetto ad una complessità sociale che ormai supera le forme della tarda modernità: le identità collettive, i rapporti di potere frontali, i conflitti basati sullo schema della guerra oppure della mediazione; comunque, nell'uno o nell'altro caso, nel costruire processi che debbono portare a un riequilibrio delle differenze, a dei patti, a degli scambi. Quello che, a mio modo di vedere, va colto in questa fase, è che dentro le società di massa, dentro le politiche anche della democrazia - e della democrazia di massa -, stanno sorgendo delle diversità, delle forme di espressione sociale, che sfuggono ai parametri tradizionali del moderno, ai conflitti tradizionali. Nel processo globale, questo elemento è ancora più sensibile con le grandi immigrazioni e con i fenomeni delle insorgenze etniche, e dei fondamentalismi. Vanno insorgendo, dunque, delle diversità che sono assai poco disposte a contrattare, che vogliono affermare la propria diversità, e si costruiscono sul loro specifico sfuggendo ai paradigmi e alle strategie tipiche della società di massa; tipiche di quel sistema di informazione che è servito alla politica per creare una sorta, appunto, di politica mediatica e su cui si sono costruiti i sondaggi, il legame tra l'innovazione informatica e la dimensione, invece, ancora di massa delle maggioranze contro le minoranze. Questa è una grande mutazione che noi viviamo, a mio modo di vedere, con una ricchezza che fa essere l'Italia una sorta di laboratorio; perché l'Italia, in qualche modo, non ha avuto l'esperienza metropolitana, il processo di modernizzazione, se non nella televisione. Quindi, in Italia, noi abbiamo costruito un sistema in cui davvero la televisione è il territorio nazionale dei nostri anni. E quindi è in questo territorio che gli elementi di novità, rappresentati dalle nuove tecnologie, possono assumere un significato straordinario e anche significativo rispetto agli altri paesi.

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Domanda 7
La velocità e la quantità degli stimoli informativi provenienti dai nuovi media, urta contro la capacità riflessiva, ricettiva dell'individuo. Non si corre il rischio di un'inflazione di stimoli che concorrono alla perdita del senso?

Risposta
Io direi che situazioni di ridondanza sono quelle che hanno caratterizzato - e stanno caratterizzando - la fase, in qualche modo terminale, ultimativa della grande comunicazione collettiva della televisione generalista. Insieme alla televisione generalista bisogna però considerare anche tutti gli altri sistemi espressivi, che, in qualche modo, sono egemonizzati, in qualità e quantità, dal sistema televisivo. Perdita di senso, come tutta la filosofia e la sociologia - almeno una sociologia filosofica dei media di questi ultimi vent'anni, di cui un esponente è Henzensberger - è andata dicendo, sostenendo che ormai il televisore non dice più nulla. Queste nuove tecnologie, ancora una volta, offrono due volti. Da un lato sicuramente consentono una informazione ed una comunicazione mirate, dei criteri di guida, di selezione, di accesso e di uscita, degli archivi ordinati. Insomma, offrono qualcosa di leggibile, di organizzabile, di memorizzabile, fuori della dimensione televisiva, così legata all'effimero, al fugace, al difficilmente ricostruibile, al di là dell'evento. E' una dimensione, quella della nuova tecnologia, sincrona: ciascuno ha il suo tempo ed il suo momento per costruire senso, per costruire relazioni e per organizzarsi. Contemporaneamente, l'altro aspetto è che questa risorsa straordinariamente più forte delle precedenti in termini di immagazzinamento dei dati, di raccolta delle immagini, di fatti ed eventi, di comunicazione e di corpi, aumenta enormemente, al di là del concepibile. Ciò che l'uomo moderno ha sentito è la sua sublime impotenza rispetto alla magnificenza della comunicazione, ai territori incredibili della storia e della memoria. Nasceranno delle tecnologie, che a loro volta - e già ci sono, ne abbiamo tutti i segni - ci aiuteranno a navigare attraverso questo immane territorio, ci offriranno la possibilità di costruire delle dimensioni nostre, che possano rendere possibile questo enorme magazzino, che non è rumoroso come la civiltà delle immagini, ma è silenzioso. Silenzioso ed inquietante per la quantità di informazione che contiene, che forse nessuno, singolarmente, potrà mai raccogliere. Come sempre, dunque, la tecnologia si presenta con un volto rassicurante: ci può aiutare a migliorare delle cose e con un volto inquietante; può essere anche una zona di rischio. La protesi tecnologica, come sempre, aumenta delle capacità umane; ciò significa, naturalmente, aumentare gli elementi positivi quanto quelli negativi.

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Domanda 8
Questo sovraccarico di stimoli non comporta anche un rischio della perdita della sensibilità estetica, per certi versi?

Risposta
Se vogliamo usare il termine "sensibilità" come un qualcosa di più ricco, di più articolato rispetto a quello che noi intendiamo per "visione", per lettura, per ascolto; se con sensibilità intendiamo tutto ciò che riguarda il corpo - il quale corpo in questi anni si è intrattenuto eminentemente con i linguaggi del piccolo e del grande schermo ed ora si trova davanti ad un computer- la prima considerazione da fare è che ci potrebbe essere un raffreddamento. Io, al contrario, credo che questo incontro con il computer, che, in sostanza, è un simulatore dell'"altro", è un veicolo per raggiungere e costruirmi l'"altro", mi mette in una condizione di attore del discorso; il cinema, viceversa, o la letteratura, il libro, mi avevano messo nella condizione di spettatore di una narrazione, di soggetto che si deve proiettare nel testo. In questo caso io compio una "performance", di cui sono attore, attraverso la comunicazione cibernetica. Non sono più lo spettatore. Questo elemento, che mi sembra teoricamente, anche nei suoi passaggi storici, abbastanza fondato, mi fa pensare che si sia entrati, appunto, in forme di comunicazione più sensibili. Quello che già McLuhan aveva detto, parlando di televisione, su una certa tendenza alla "tattilità" del linguaggio televisivo, mi sembra che si vada ancora di più sviluppando, invece, nelle nuove dimensioni cibernetiche. C’è una forte presenza del corpo, il quale, piuttosto che mortificato e atrofizzato, è eccitato. Tra l'altro, nei modi di costruire l'analisi di questi mezzi, e nelle utopie, nelle dimensioni fantastiche che si sono costruite su questi mezzi, e che noi sappiamo sono dei modi di lettura validi tanto quanto la ricerca sociologica o filosofica, l'analogia tra le nuove tecnologie e le droghe è sempre stata posta in termini molto forti ed espliciti. E noi sappiamo che le droghe, nelle dimensioni primitive, che sono quelle che più si accostano alla dimensione del postmoderno, rappresentano strategie di eccitazione del corpo, perché il corpo sia più sensibile, più ricettivo, non abbia più cinque, sei, sette sensi, ma ne abbia, appunto, cento, mille.

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Domanda 9
Nel suo intervento, Bodei denuncia il pericolo che la "globalizzazione" comporta nel rischio di omogeneizzazione. E si pone la domanda: chi potrà frenare le spinte verso un pensiero unico?

Risposta
Io credo che ciascun sistema comunicativo, nel suo evolversi, dall'origine stessa della civiltà, ha un suo rischio di massimo autoritarismo e, viceversa, delle possibilità conflittuali che rendono più distribuita la costruzione del sapere e più distribuite le forme del dominio; più distribuite le possibilità di espressione, più distribuiti i diritti e i doveri, e così via. Sicuramente non è un caso: le inquietanti immagini del grande fratello si sono costruite sull'idea dell'immagine, appunto, della società di massa, della cultura di massa, e della possibilità, all'interno di forme di comunicazione collettive, della seduzione, della persuasione, della propaganda e del dominio di un singolo su tutti, facendo riferimento a forme di comunicazione diffusive, che dal vertice vanno alla base o dal centro vanno alla periferia. Quel processo di socializzazione, di fatto, si è sviluppato realizzando una mediazione, una omologazione dei linguaggi. Nel suo rovescio, quindi, esprime una non socializzazione, ma, appunto, puro e semplice dominio. Ora che entriamo nella nuova fase dei media post-televisivi, dei linguaggi digitali, della costruzione digitale dell'informazione e della comunicazione, sappiamo di trovarci di fronte a delle grandi reti, e che queste reti sono molto più capillari e vive rispetto alle reti televisive, perché sono interattive. Sappiamo anche che la minaccia, il rischio di forme di dominio viene potenziato un'altra volta, e quindi bisognerà pesare, cercare di controllare la costruzione di questa rete, perché si costruisca attraverso dispositivi e regole, che cerchino di arginare questo rischio. La rete contiene, al suo interno, maggiori "chances" di trasgressione. La forma di comunicazione che noi stiamo abbandonando, o che dovremmo comunque ridimensionare in un segmento delle funzioni sociali complessive, quella televisiva, va dalla stazione emittente alla stazione ricevente. In questo caso si tratta di un flusso, che può esprimersi in termini di potere, con una bassa, lenta riposta da parte del pubblico alla stazione emittente. Nel caso dei "new media", siamo di fronte a comunicazioni non da uno a molti, ma tra uno e uno, e quindi tra molti e molti. Queste forme di comunicazione realizzano processi sociali di aggregazione e di variazioni e turbolenze che, sicuramente, non erano previste all'interno del precedente schema comunicativo. Quindi, ancora una volta, siamo di fronte ad uno sviluppo in cui abbiamo la possibilità di un controllo. Ma è vero anche che queste tecnologie, per le caratteristiche con cui si collocano nel mercato, per gli aspetti seduttivi che devono avere nel mercato per essere acquistate, per il tipo di investimento che fanno su fantasie, bisogni, desideri dell'individuo e della persona, sono invece molto mirate a consentire una pluralità, una estrema diversificazione e disarticolazione delle figure e delle rappresentazioni, piuttosto che il monolitismo.

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Domanda 10
Riprendendo le riflessioni di Bodei, egli, nel suo saggio, si pone una domanda: "è possibile iniziare ad agire oggi secondo un'etica planetaria, ancor prima che i criteri collettivi di giudizio e di condotta si siano sufficientemente segmentati e assestati?" La risposta è affermativa. Quali possono essere, a Suo avviso, i criteri per un'etica planetaria?

Risposta
Se queste domande debbono essere al centro della riflessione di questi anni, allora vuol dire, comunque, che il porsi delle domande deve immediatamente essere seguito dal dubbio sulle certezze che avevamo, perché, altrimenti, non avremmo bisogno di porci delle domande. Se siamo così sicuri delle etiche che abbiamo portato avanti in questi anni, basta soltanto tentare di applicarle e di fare il possibile, ciascuno di noi, nei conflitti che vive, per difendere le etiche di cui è convinto. Invece, evidentemente, in questo rinnovarsi delle domande ad ogni grande passaggio epocale - questa volta è un pasaggio millenario - vuol dire che ci si ri-interroga sul senso delle etiche. E allora, se eravamo abituati ad un'etica costruita all'interno dei conflitti della civiltà moderna, e quindi tra classi, tra ceti, tra collettività, tra poteri frontali, e se entriamo in una nuova dimensione, che, invece, è tutta trasversale, probabilmente dobbiamo ripensare al concetto di diversità, al concetto di individuo, dobbiamo ripensare al concetto di interesse comune, di legame, di solidarietà. Insomma: dobbiamo vivere fino in fondo questo trapasso, non credendo di essere in continuità con un soggetto storico, che è sempre lo stesso e che può tranquillamente passare, com'era prima, nel pre-moderno, nel moderno e nel post-moderno. Se c'è un'evoluzione, allora vuol dire che anche il soggetto storico cambia. Sono entrati molti soggetti nuovi dentro il soggetto storico del moderno. A molti dei vecchi soggetti, chi è entrato nella televisione generalista è apparso un mostro, è apparso un mutante, qualcosa di culturalmente inaccettabile. Eppure era presente in qualche parte della società stessa. Proviamo, allora, ad interrogarci -e la fantascienza, in questo senso, ci aiuta- su quali sono i corpi, quali sono le sensibilità che stanno entrando nel nuovo secolo. Proviamo a riflettere sul modo in cui si può ricostruire, ricostituire un'etica. E non pensiamo, peraltro, che questo sia legato alla tecnologia e all'effetto della tecnologia, perché basta osservare anche mondi in cui la tecnologia non c'è per capire che delle cose cambiano. E’ sufficiente andare in un centro sociale, o vedere un gruppo di autoproduzione, o vedere dei fenomeni tribali che esprimono sensibilità, modi di affermazione, approcci con l'altro, costruzioni dell'altro, che sono profondamente diversi da quelli del passato. Ed è a quel mutamento che dobbiamo rispondere e pensare, nel giusto bisogno di cercare di regolamentare questo transito, di non pregiudicare la positività di queste tecnologie, sprigionando, invece, soltanto i loro possibili rischi.

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