INTERVIEW:
Domanda 1
Chiediamo al professor Maragliano cosa si intende per multimedialità?
Risposta
Ma, si intendono diverse cose, e io credo che bisogna stare attenti a non operare una
sorta di corto circuito tra multimedialità e computer, perché questo sarebbe molto
penalizzante per quanto riguarda l'aspetto culturale. Esiste una multimedialità che deve
essere assolutamente pensata, che deve essere valutata, che deve essere apprezzata, che ha
a che fare con l'incrocio tra i diversi media che veicolano variamente dei messaggi. Se io
penso all'edicola, vi trovo una gran quantità di prodotti "misti", dove il
fascicolo si associa alla videocassetta, il giornale si associa all'audio cassetta o al
"floppy disk": questa è una multimedialità di tipo fisico. E' importante
pensare questa multimedialità perché bisogna rendersi conto che l'utente non ha dei
percorsi d'uso definiti dei vari mezzi. Non avviene come dentro un ambiente monomediale,
ad esempio il libro, dove già esiste un'indicazione di percorso, c'è una struttura di
tipo lineare. Lì invece non c'è una struttura di tipo lineare. L'utente può iniziare da
un mezzo, proseguire con un altro, incrociare elementi con elementi dell'altro.
Praticamente l'utente sta al centro delle operazioni di uso, è il regista dell'uso. Solo
se si parte da questa idea più ampia di multimedialità, entro la quale confluiscono gli
incroci tra i diversi linguaggi, tra i diversi temi, tra i diversi media, allora si può
capire cosa potrà essere e che cosa in parte è la multimedialità di tipo elettronico,
quella veicolata dai computer, quella che troviamo nei CD ROM o, talvolta e con qualche
difficoltà, in Internet. E' appunto un incrocio tra diversi linguaggi, tra diversi media
in senso culturale. La natura di questo incrocio è ancora tutta da valutare, ancora tutta
da pensare. Noi abbiamo una deformazione di tipo gutenbergiano, basata appunto sulla
nostra formazione libresca, che ci porta a proiettare quel tipo di struttura e di
conoscenza, nell'ambiente multimediale. Così facendo sbagliamo, perché l'ambiente
multimediale va pensato con categorie diverse da quelle tradizionali. Uno dei rischi che
si corre a questo proposito è quello di trasferire la logica del libro, la logica della
conoscenza, basata sui meccanismi della lingua scritta, una logica di tipo analitico, di
tipo sistematico, di tipo lineare, dentro il contesto multimediale. Allora faremmo
veramente un grande pasticcio. Di fatto molti lo stanno facendo e sono gli stessi che si
sforzano di non capire cosa sia la televisione. Io credo che sia molto importante arrivare
alla multimedialità avendo comunque provvisoriamente risolto il problema di cosa sia la
televisione. Disgraziatamente questo è un problema aperto proprio per il fatto che molti
ci proiettano dentro l'impianto della propria cultura libresca. La televisione è qualche
cosa di completamente diverso da un libro. Per essere apprezzata, per essere conosciuta,
per essere usata, ha bisogno di categorie, di forme di partecipazione completamente
diverse da quelle della comunicazione scritta. Solo se si riesce a superare questo
scoglio, che è ancora enorme, io credo che si possa arrivare positivamente a valutare
nelle sue immense potenzialità la multimedialità. In altri termini, credo che non si
possa assolutamente passare dal libro alla multimedialità: in mezzo c'è l'audiovisivo,
ossia una cultura la cui fattura, la cui articolazione, la cui forma è completamente
diversa da quella esclusivamente visiva del libro.
Domanda 2
Cosa offrono attualmente i supporti multimediali all'insegnamento?
Risposta
Provocatoriamente posso affermare che offrono l'occasione affinché la scuola possa
ridefinire il suo impianto culturale, la sua forma di insegnamento, le sue modalità di
interazione. La multimedialità non è semplicemente un nuovo supporto entro il quale far
veicolare i vecchi contenuti di conoscenza. E' qualche cosa di più, è qualche cosa di
radicalmente diverso: è la revisione di questi contenuti, la revisione di questi
impianti; è la mobilitazione di energie e di creatività in direzioni assolutamente nuove
per la scuola. Ne risulta allora l'esigenza, per una scuola che effettivamente voglia
prendere sul serio la multimedialità, di ripensare la propria identità, ridefinendo i
propri ambiti di sapere e il proprio rapporto con i giovani.
Domanda 3
Con l'uso del PC, come cambia l'apprendimento per i bambini e, comunque, l'apprendimento
in genere?
Risposta
Cambia in direzioni che ancora non conosciamo, ma che sono comunque reali, che sono
certamente molto importanti e che attendono ancora una adeguata valutazione. Cambia il
rapporto diretto che si stabilisce con la fonte di conoscenza: c'è un incremento di
fisiologia e di psicologia nell'apprendimento multimediale, cioè partecipa tutto il
corpo. Il corpo stesso, e non solo l'intelligenza e la mente, diventa un soggetto di
apprendimento. C'è un elemento manuale, caratteristico della interattività, che non va
per nulla trascurato; c'è una dimensione di immersione, con tutto ciò che questo
comporta al livello di proiezioni, processi di identificazione, che aprono all'universo e
dell'affettività dell'apprendimento, secondo modalità decisamente nuove.
Domanda 4
Alcuni dei profeti della rivoluzione informatica ed elettronica parlano del bambino di
fronte al computer addirittura come insegnante rispetto all'adulto, perché le sue
strutture mentali lo rendono naturalmente più capace di apprendere il funzionamento del
medium elettronico. E' vero tutto questo e cosa comporta per l'insegnante e per il
bambino?
Risposta
E' assolutamente vero. Il bambino, oggi in particolare, è un essere naturalmente
multimediale, cioè che si serve di tutti gli elementi, di tutti gli strumenti, per
entrare in rapporto con il mondo e con se stesso. Non è ancora un adulto, vincolato dal
controllo tipico della comunicazione scritta. E' appunto un essere in formazione, che
accoglie tutti gli elementi utili a lui per porsi in rapporto con il mondo. Ecco, questa
ottica bambina, questo essere multimediali in modo naturale è una caratteristica che non
bisogna assolutamente reprimere o trascurare; al contrario, è un qualcosa che va
assolutamente coltivato e, a mio avviso, deve diventare anche una caratteristica del nuovo
docente. Cioè il nuovo docente, per mantenere la sua identità di adulto che forma, deve
comunque diventare bambino, cioè deve comunque trovare il modo di entrare in sintonia con
questo essere multimediale, diventando anch'egli un essere multimediale. Solo facendosi
bambino, e quindi entrando in comunicazione con quel bambino storico, può mantenere e
sviluppare la sua identità di adulto che forma.
Domanda 5
E chi ha formato questi docenti, per poter insegnare ai bambini di oggi?
Risposta
Li dovrebbe formare l'università. E' un po' difficile che questo avvenga, perché viviamo
in un Paese dove i sacri principi vengono fissati una volta per tutte e poi difficilmente
vengono attuati. Ancora oggi buona parte della formazione degli insegnanti non avviene
nell'università e quanto avviene dentro l'università non ha una caratterizzazione
professionale, ma una caratterizzazione culturale. Facciamo finta che, a breve, si risolva
questo problema. Non avremmo superato l'aspetto strategico, ossia come formare i nuovi
docenti senza investire nel profondo l'identità dell'università: anch'essa dovrà
trasformarsi, dovrà modificare i suoi assetti, ridefinire l'enciclopedia delle sue
conoscenze, le articolazioni dei suoi saperi, per entrare in un logica più fluida, più
aperta al nuovo.
Domanda 6
A cosa porterà l'introduzione dell'informatica nella didattica? Siamo preparati a questo
cambiamento?
Risposta
Attenzione, io non parlerei tanto di introduzione dell'informatica dentro la didattica. Io
parlerei invece dell'introduzione delle macchine, dei computer, anche del televisore
dentro la didattica. Bisogna considerare queste macchine non come strumenti più o meno
neutri finalizzati a trasmettere blocchi di conoscenze, ma come ambienti generali entro i
quali organizzare le forme della conoscenza. Una scelta di questo tipo comporterebbe una
trasformazione radicale dell'identità della scuola e quindi anche dell'identità dei
saperi scolastici. Risulta infatti evidente che lavorare dentro il computer, giocare
dentro il computer, significa cambiare la cifra dell'insegnamento e dell'apprendimento,
vuol dire accettare che ci possa essere una modalità di piacere nell'apprendimento. Noi
veniamo da una tradizione pedagogica che invece associa apprendimento a punizione, a pena,
a disagio, a sforzo. Al contrario, tutto l'apprendimento che avviene entro la
multimedialità, è un apprendimento che si avvantaggia della risorsa, della
compartecipazione, del piacere, della piacevolezza. Già questo scompaginerebbe
l'articolazione pedagogica, didattica della scuola. Ma poi ulteriori effetti si avrebbero
nell'organizzazione delle conoscenze. Quando io opero dentro il computer, attraverso e
incrocio tutte le forme di conoscenza. C'è un elemento tecnico che è comunque importante
dominare; ma, nel momento stesso in cui tocco una tematica, mettiamo di tipo geografico,
la tocco secondo dimensioni che mettono in gioco anche altri aspetti, caratteristiche che
riguardano il sonoro, il visivo, le dimensioni musicali, le dimensioni della scrittura.
Cioè in un CD ROM, anche se tematico, io trovo un incrocio di tutti questi aspetti.
Allora questo vuol dire che se porto quel CD ROM dentro la scuola e lo utilizzo come
ambiente per l'apprendimento, in quel momento non faccio più soltanto quella materia, ma
metto in gioco tutte le forme di conoscenza.
Domanda 7
Di che natura sono le resistenze a questo cambiamento?
Risposta
Ovviamente ci sono moltissime resistenze. Ci sono molte argomentate posizioni contrarie
all'introduzione del computer nella scuola, resistenze che hanno a che fare, con
argomentazioni di tipo economico, di tipo professionale, di tipo culturale. Quelle
economiche e quelle professionali, tecniche, credo che siano delle false argomentazioni,
cioè problemi che possono - in linea di principio - essere risolti. Il vero argomento
contrario è quello culturale, cioè la paura che la scuola, accogliendo questa realtà,
poco conosciuta e così inquietante, debba mettersi in gioco, debba trasformarsi, debba
trasfigurarsi. Questa paura è assolutamente giustificata. Però se questa paura diventa
un blocco che impedisce la trasformazione, allora non ci sono possibilità di uscita:
tanto vale tenerci la scuola come è oggi. Se, invece, siamo desiderosi di cambiare e
vogliamo effettivamente trasformare l'identità della scuola, non possiamo non metterci in
gioco e non mettere dentro il gioco appunto il contributo che viene dai media.
Domanda 8
Si stanno diffondendo alcune scuole per insegnare ai bambini l'uso del PC. La scuola
pubblica perderà anche questa sfida?
Risposta
Io credo che non sia corretto parlare di insegnamento del computer. E' più corretto
invece parlare di formazione, di insegnamento, di apprendimento, dentro l'ambiente
computer. Il computer per un bambino è un essere, cioè non è una macchina; è un
qualche cosa di intermedio tra una macchina e un animale, cioè tra una realtà
tecnologica e una realtà biologica. Cosa c'è in mezzo tra la meccanica e la biologia?
C'è appunto la psicologia. Non a caso i bambini e i veri utenti di computer considerano
il computer un altro io, cioè un altro soggetto, un interlocutore, un individuo che ha
tutte le bizze, tutte le caratteristiche, tutti i tratti di un altro individuo, di un
altro essere. Allora questo vuol dire che lavorare con il computer, vuol dire entrare in
una logica di dialogo, appunto di interazione. La scuola pubblica è in grado di
accogliere questa provocazione, questo impulso alla trasformazione? In linea di principio,
sì; poi è evidente che occorrono delle coraggiose scelte di ordine politico, delle
coraggiose scelte di ordine economico, e tutta una serie di condizioni di tipo
legislativo, non ultima l'autonomia di tutti gli elementi che possono creare una base per
un positivo accoglimento di questi elementi di novità.
Domanda 9
Come si presenta la situazione dal punto di vista legislativo?
Risposta
A livello legislativo siamo abbastanza indietro. Siamo abbastanza indietro perché abbiamo
ancora una mentalità burocratica, cioè il considerare la scuola come un ufficio
regolamentato da una serie di misure che vengono definite centralisticamente. Entrare
invece in una diversa impostazione e pensare alla scuola come luogo autonomo di
elaborazione e trasmissione della conoscenza, dell'esperienza, del sapere, vuol dire
appunto ridefinire, anche legislativamente, l'impianto della scuola. Vuol dire pensare a
delle leggi estremamente sintetiche che diano degli indirizzi generali, ma che poi lascino
libertà, alle singole situazioni, di muoversi, di esplorare, di avere rapporti diretti
col mondo circostante. Mi auguro che presto si arrivi a una filosofia legislativa di
questo tipo, abbandonando una tradizione, tipicamente ottocentesca, della assoluta
regolamentazione di tutti i tratti e di tutti gli elementi di funzionamento della scuola.
Domanda 10
Internet, i CD ROM, la didattica a distanza via TV: tutto questo sta portando alla
"fine del maestro reale" e alla "comparsa del maestro virtuale":
questo, ad esempio, comporta la perdita di tutti i tratti paralinguistici: gesti,
distanza, tono della voce, della comunicazione. Cosa c'è di positivo e cosa di negativo,
in tutto questo?
Risposta
Non sono in grado di dire cosa ci sarà di positivo e cosa ci sarà di negativo, perché
sospetto che, nel fare questa tavola del bene e del male, utilizziamo categorie vecchie,
cioè abbiamo dei sistemi di riferimento che appartengono ad un altro mondo che
proiettiamo inevitabilmente sul nuovo mondo. Il nuovo mondo va invece pensato con
categorie adeguate, coerenti con la sua natura. Allora credo che, in primo luogo, sia
importante non contrapporre in modo secco virtualità a realtà. Il virtuale non è
qualche cosa che si viene a sostituire al reale, ma è una amplificazione delle
possibilità di interpretazione e di uso del reale. Se non ci fosse il sogno, se non ci
fosse la fantasia, se non ci fosse l'immaginazione noi saremmo in balìa delle cose, noi
saremmo in balìa del reale. Fortunatamente queste cose ci sono e sono le cose che ci
rendono esseri umani. Bene la virtualità si colloca esattamente a quel livello. E' un
ampliamento degli spazi, delle categorie, delle forme, entro le quali ridefinire
contrattare una nuova idea di realtà.
Domanda 11
Un esperimento, condotto in Francia alcuni fa, mostrò come la telecamera potesse giovare
ai ragazzi per migliorare il rapporto col sé o col mondo esterno. Il computer può avere
una funzione simile? Può aprire spazi comunicativi ad individui da formare o ad individui
con difficoltà nell'aprirsi al mondo esterno?
Risposta
Io credo che tutti i soggetti che si trovano oggi dentro questa scuola hanno, ciascuno a
modo suo, delle difficoltà. Ovviamente ci sono casi in cui le difficoltà, per una
varietà di ragioni, diventano conclamate ed eclatanti. Però mediamente ogni bambino che
sta dentro la scuola presenta un elemento, un fattore, un'area di difficoltà. In buona
parte questa difficoltà dipende appunto dalla struttura antiquata, luttuosa della scuola.
Un bambino o un ragazzo, che vive un rapporto piacevole, di forte identificazione con il
mondo, attraverso i media, nel momento in cui entrano dentro la scuola, trovano un mondo
in bianco e nero, piatto, rigido, ostile, freddo. Da qui nasce la difficoltà:
paradossalmente la macchina introduce un elemento di colore e di calore e quindi consente
di ridisegnare il volto della scuola e l'ambiente fisico nel momento in cui si fa scuola.
In particolare si avvantaggeranno di queste risorse i soggetti che hanno in modo più
conclamato dei problemi. Interagire con un computer è certamente meno drammatico che
interagire con una persona. C'è un minor numero di variabili, ci sono meno fattori in
gioco quando si interagisce con una macchina come il computer. Però, esattamente come
avviene nel rapporto con una persona, il soggetto si trova ad avere di fronte a sé e a
fianco a sé un essere che lo ascolta, cioè che ascolta le sue istruzioni, che dà
risposta alle sue domande, che lo accompagna nel visitare il suo mondo. Per questo i
soggetti in difficoltà trovano un rapporto positivo con le macchine. Però rendiamoci
conto: dobbiamo cambiare drasticamente le nostre categorie di interpretazione. Laddove
siamo abituati a pensare che le macchine come il computer o la televisione sono fredde,
invece dobbiamo renderci conto che sono macchine calde, cioè che sono macchine
fisiologiche, che entrano direttamente in rapporto con l'interezza dell'individuo. E
quindi portarle a scuola vuol dire riscaldare l'ambiente culturale della scuola, vuol dire
coinvolgere tutti i soggetti, vuol dire rivoluzionare l'assetto generale del sapere.
Domanda 12
Recentemente una rivista del settore, "Tutto scuola", ha pubblicato un dischetto
per conoscere l'Unione Europea. Pensa che iniziative didattiche di questo tipo siano
efficaci?
Risposta
Io penso che iniziative come quella siano particolarmente efficaci, se non altro per un
aspetto che mi preme mettere in evidenza. Nel dischetto di cui stiamo parlando, io trovo
scritto che è consentita la riproduzione. Cioè io posso prendere quel dischetto,
riprodurlo nel mio computer e dare la copia ai miei amici. Questo significa aprire uno
spazio completamente nuovo, anche per il mercato del sapere, cioè una base di conoscenza
libera, scollegata così dalle caratteristiche del mercato economico. In altre parole, è
un sapere gratuito. Questa affermazione è rivoluzionaria. Dante fa parte di questo
ambito, cioè "La Divina Commedia" fa parte dell'ambito del sapere gratuito. Io
posso collegarmi in Internet e scaricare sul mio computer tutta "La Divina
Commedia". Perciò chiunque può accedere a quella forma di sapere, a quel modo, a
quel contenuto di sapere gratuito. Tuttavia penso che un commento aggiornato di Dante,
fatto intelligentemente, debba entrare nel mercato, senza diventare parte dell'area del
sapere gratuito, pur rimanendo all'interno di una zona vastissima di sapere alla portata
di tutti.
Domanda 13
Sempre sulla stessa rivista, si parla di scuola "online", di Internet in classe.
E' un sogno o una realtà?
Risposta
Per diventare realtà non occorre fare operazioni molto sofisticate, dal punto di vista
tecnico né dal punto di vista economico. Occorre invece fare delle operazioni, molto
molto dolorose, per ciò che attiene la strutturazione dei tempi e delle modalità di
insegnamento. Entrare in rete vuol dire entrare in uno spazio infinito o con confini
illimitati: vuol dire avere davanti a sé dei tempi tendenzialmente illimitati, vuol dire
aprirsi a forme di ragionamento che richiedono appunto spazi e tempi adeguati. Vuol dire,
come dicevo, ristrutturare l'organizzazione della scuola. Però io credo che sia molto
importante lavorare anche "off line", cioè riuscire a controllare il proprio
rapporto con il computer. In certe occasioni, si andrà "online", ci si
immergerà nell'oceano delle informazioni virtuali, ma avendo una mappa di riferimento,
avendo un qualche cosa da ricercare. Io non credo che sia giusto andare a scuola e poi
stare quattro ore dentro Internet. Credo che sia più giusto andare a scuola, lavorare con
tutte le macchine, ivi compreso il libro, che è, comunque, una macchina di insegnamento,
di formazione, di apprendimento centrale; soltanto in determinate occasioni, si potrebbe
accedere a Internet: in alcuni casi si potrebbe andare a cercare sapendo si vuole trovare;
in altri casi, si potrebbe girare, gironzolare, guadagnare e contemporaneamente perder
tempo.
Domanda 14
Esistono, in Italia e all'estero,degli esperimenti interessanti, nel settore?
Risposta
Ci sono molte realtà in movimento. Quello che fa difficoltà a muoversi è proprio la
scuola nel suo complesso. Più volte ho incontrato situazioni sia di scuole elementari sia
di scuole secondarie superiori dove le macchine vengono utilizzate per il verso giusto, in
modo intelligente, creativo, senza le paure che sono tipiche invece di un certo impianto
pedagogico fortemente punitivo nei confronti dei media, dove la cultura multimediale di
provenienza dei giovani viene valorizzata, o dove i prodotti non vengono tassonomizzati e
classificati secondo le tradizionali categorie scolastiche. Realtà di questo tipo ce ne
sono. Il problema è che la realtà nel suo complesso non si sta trasformando. Una qualche
fiducia la potremmo avere nell'operazione che si sta adesso tentando a livello di
Ministero della Pubblica Istruzione, con il varo di un impegnativo programma di
sperimentazione, riguardante l'introduzione della cultura della multimedialità, cioè di
una formazione, di una didattica multimediale, in140 scuole di ogni ordine e grado, dalla
materna alla superiore, in tutta Italia. Saranno scuole collegate in rete tra di loro,
godranno del supporto di Istituti universitari e di ricerca, come il CNR, e potranno
diventare delle vetrine, ossia potranno diventare dei punti di riferimento per le scuole
che successivamente intenderanno muoversi in questa direzione.
Domanda 15
Nella sua Università Lei dirige un laboratorio multimediale: un'esperienza abbastanza
rara in Italia, soprattutto per una facoltà di tipo umanistico.
Risposta
Penso proprio di sì, perché generalmente in ambito umanistico, si ha come sistema di
riferimento, concettuale e operativo, la scrittura, il libro. Quindi la monomedialità.
Aprirsi alla multimedialità e, quindi, aprirsi agli incroci di saperi nuovi per
l'università, nuovi per il tessuto accademico, è stata un'impresa nuova per la
tradizione accademica, ma che ha dato dei frutti importanti e interessanti. Questo
laboratorio è un laboratorio di ricerca, ma anche un laboratorio di produzione, dove si
realizzano prototipi di materiali multimediali per la formazione, dove praticamente
vengono costruiti e a volte anche realizzati dei progetti multimediali. E questa è
un'ulteriore novità per la tradizione accademica. Siamo senza sistemi e senza punti di
riferimento definiti, né dal punto di vista delle discipline, né dal punto di vista
amministrativo e dell'organizzazione. Lavoriamo giorno per giorno, ma qualche cosa
l'abbiamo ottenuto, ossia essere riuscito a formare una generazione di giovani che fanno
multimedialità, che già sono in grado di pensare la formazione e anche la realizzazione
di modelli per la formazione, dentro una logica multimediale. E sono giovani che hanno un
orientamento generale di tipo pedagogico, ma sanno usare le macchine, conoscono la musica,
sono in grado poi di scrivere testi: proprio perché sanno fare questo, sono in grado
anche di realizzare ipertesti.
Domanda 16
Ci può parlare della sua recente attività di autore e del suo ultimo libro?
Risposta
Il testo si inserisce nella nuova collana, di cui io sono direttore, "Libro
più" della Nuova Italia. In questa collana vengono affrontati temi, anche
tradizionali, della cultura dei media, ma in modo avanzato, spostando le frontiere della
elaborazione, con un nuovo modo di argomentare, di partecipare e far partecipare il
problema. Sono testi scritti e impaginati secondo impianti nuovi, che li rendono forse
più simili alla tradizione della pubblicistica, di edicola, dei periodici. Inoltre questi
libri hanno un'ulteriore caratteristica, quella di nascondere nella terza di copertina,
una sacchetta dentro la quale sono dati all'utente dei "floppy disk", realizzati
parallelamente al libro. E i primi tre titoli di questa collana sono: "Tele di
Penelope", di Ornella Martini, dedicato ai temi della pubblicità, "Storia di un
ipertesto" di Stefano Penge, dedicato appunto al tema generale della filosofia
ipertestuale, e il mio volume "Esseri multimediali". Qui il riferimento è
esplicito al titolo del libro di Negroponte. Negroponte si riferisce all'impossibilità,
per ciascuno di noi, di non essere un individuo multimediale. La tesi sostenuta appunto da
Negroponte è che, lo vogliamo o no, siamo oggi esseri digitali. Il titolo del mio
volumetto riduce lo spazio di quell'impianto, che comunque condivido, e ai bambini. La
tesi che sostengo in questo volume è che per entrare in rapporto con questi esseri
l'adulto deve farsi bambino, cioè deve coltivare la sua parte bambina, deve riuscire a
sintonizzarsi con questi linguaggi, con queste modalità, deve insomma riuscire a
investire, diciamo, risorse psicologiche, affettive, mentali, in questa sorta di
rigenerazione. Noi siamo circondati da una cultura luttuosa, per ciò che attiene il
rapporto bambino-macchina. Dobbiamo rompere con questa cultura luttuosa, non è più
possibile accettare visioni così catastrofiche sul rapporto bambino-televisione,
bambino-computer. Rendiamoci conto che la logica dei catastrofisti è una logica che
esprime un disagio personale di coloro i quali sentono di perdere il controllo della
situazione. Credo appunto che occorra un incremento di orgoglio per riuscire a mantener
ferma l'idea che come adulti dobbiamo trasformarci per ripatteggiare il controllo delle
situazioni, ridefinire il nostro impianto di conoscenza del reale. In questa operazione il
bambino ci diventa modello. Cioè noi non possiamo più interporci tra il bambino e la
macchina. E' il bambino che ci insegna l'uso giusto della macchina, perché lui non ha le
deformazioni mentali, psicologiche, tipiche della nostra cultura monomediale. Lui è
appunto un essere multimediale. Stiamo dietro le spalle del bambino, cerchiamo di aiutarlo
certamente, ma cerchiamo, tramite lui, anche di aiutarci. Questa è la tesi pedagogica del
volume, a cui si accompagna un "software" che consente all'utente di visitare
gli spazi e l'organizzazione degli spazi di una stanza, la stanza del tesoro appunto,
cioè la stanza del bambino di oggi.
Domanda 17
Per secoli nell'Occidente cristiano è stata predicata la separazione della mente dal
corpo, attribuendo alla mente gli aspetti positivi che il corpo limitava. Questa
liberazione sembra possibile attraverso la realtà digitale. E' possibile pensare che la
rete sia un'esaltazione proprio della liberazione della corporeità e, un esito estremo di
un certo tipo di religiosità tutta mentale, che nel "cyber spazio" trova il suo
pieno compimento?
Risposta
Diventare esseri digitali vorrebbe dire, secondo questa logica, diventare degli angeli,
diventare puro spirito. Credo che questa dimensione sia una dimensione reale, ma parziale.
Cioè non è una rappresentazione esaustiva del rapporto che l'individuo stabilisce con la
macchina e con il mondo. Credo che una dimensione fisiologica sia comunque presente nel
rapporto con la macchina, molto più di quanto è presente nel rapporto con il libro. E
questa dimensione fisiologica, che è esaltata dall'interazione che il bambino stabilisce
con la macchina quando fa il videogioco, rappresenta, comunque, un contatto
importantissimo con il nostro corpo, costituendo un fattore di ricomposizione e non di
scomposizione, di associazione e non di dissociazione.
Domanda 18
In un libro giapponese, viene descritta l'ultima generazione nipponica, affascinata dal
computer si tratta di una sorta di ultima fase della simbiosi uomo-macchina. In un brano
di questo romanzo si legge: "Nel computer non esistono regole, solo giochi. Io gioco
per guadagnarmi da vivere, cosa c'è di male?". Secondo lei esiste una regola del
gioco? E' possibile crearla? Chi sarà in grado di farla rispettare?
Risposta
Le regole del gioco vengono stabilite dentro il gioco, dentro le modalità e le forme di
partecipazione al gioco. E' evidente, da queste annotazioni, che sono in gioco due
culture: è in gioco il conflitto tra due modi di pensare il mondo. Il modo di pensare il
mondo, che è tipico di queste nuove generazioni "digitali", è un modo che crea
disagio, inquietudine nell'adulto. Quindi quest'ultimo si arrocca dentro i suoi saperi
forti. Ma è vero che poi sono forti questi saperi? Da quanti decenni, da quanti secoli
stiamo discutendo i principi della morale? C'è una morale incontrovertibile, un principio
assoluto? Perché vogliamo che sia il giovane il responsabile di questa messa in
discussione dei principi, quando la messa in discussione dei principi della morale
appartiene ad una tradizione filosofica millenaria? Semplicemente il giovane è l'ultimo
anello di una lunga catena storica.
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