INTERVIEW:
Domanda 1
Pierre Lévy, lei ha dedicato un libro all'intelligenza collettiva, a un'antropologia del
cyber-spazio. Che cos'è?
Risposta
Credo che le nuove tecnologie di comunicazione e, in particolare, le tecniche di
comunicazione su supporto digitale aprano prospettive completamente nuove. Quello che
tento di fare con questo libro è di vedere quali sono, fra tutte le possibilità, quelle
più positive da un punto di vista sociale, culturale e politico. E mi sembra che questo
dell'intelligenza collettiva sia un vero e proprio progetto di civilizzazione che parte
dalle nuove possibilità che si stanno aprendo. Che cos'è l'intelligenza collettiva? In
primo luogo bisogna riconoscere che l'intelligenza è distribuita dovunque c'è umanità,
e che questa intelligenza, distribuita dappertutto, può essere valorizzata al massimo
mediante le nuove tecniche, soprattutto mettendola in sinergia. Oggi, se due persone
distanti sanno due cose complementari, per il tramite delle nuove tecnologie, possono
davvero entrare in comunicazione l'una con l'altra, scambiare il loro sapere, cooperare.
Detto in modo assai generale, per grandi linee, è questa in fondo l'intelligenza
collettiva.
Domanda 2
E' il progetto dell'Illuminismo che si realizza?
Risposta
Sì, in un certo senso io perseguo, tento di perseguire, credo che si possa perseguire
oggi il progetto di emancipazione dell'Illuminismo. Perfetto, ma evidentemente senza
l'ingenuità degli illuministi di credere che il progresso sia garantito dall'evoluzione
scientifica e tecnica. Oggi si sa che la soluzione di questo problema non è garantita e
che dipende dalla volontà politica, dipende dagli operatori culturali fare in modo che le
possibilità aperte dalla tecnica siano sfruttate in un senso socialmente positivo. Ma non
è affatto scontato.
Domanda 3
Il progresso si trova oggi di fronte ai problemi dell'etica, per esempio al problema dei
valori. Ci può essere un'etica dell'intelligenza collettiva?
Risposta
Certo, c'è un'etica dell'intelligenza collettiva. Credo che oggi si cerchi di sfruttare,
di valorizzare al massimo, per esempio, le ricchezze e i beni economici. Sul piano
ecologico si cerca di evitare gli sprechi e ci si rende conto che ciò che più va
sprecato, che è meno valorizzato, che è meno preso in considerazione, è forse proprio
ciò che è più importante e cioè i valori e le qualità propriamente umane, le qualità
degli esseri umani viventi, ed in particolare le loro competenze, ma non soltanto quelle,
piuttosto l'insieme delle loro qualità umane. Credo che abbiamo oggi i mezzi tecnici per
valorizzare e non sprecare queste ricchezze umane. Se si prende, per esempio, il fenomeno
della disoccupazione, si capisce che si tratta di un enorme spreco di competenze umane -
lo si potrebbe definire proprio così - ma anche nel lavoro classico, nel lavoro
taylorista, in cui si mette una persona a un certo posto per eseguire un compito ben
determinato, c'è un enorme spreco di ricchezze umane. L'etica dell'intelligenza
collettiva consiste appunto nel riconoscere alle persone l'insieme delle loro qualità
umane e fare in modo che essi possano condividerle con altri per farne beneficiare la
comunità. Quindi mette l'individuo al servizio della comunità - ma per fare questo
bisogna permettere all'individuo di esprimersi completamente - e al tempo stesso la
comunità al servizio dell'individuo - poiché ogni individuo può fare appello alle
risorse intellettuali e all'insieme delle qualità umane della comunità. A grandi linee
è questa la prospettiva dell'intelligenza collettiva, a cui, beninteso, si oppongono
tutti i giochi di potere, di oppressione e di dominio. Ritroviamo qui la battaglia per
l'emancipazione: se non è possibile rimuovere questo aspetto negativo della vita sociale,
bisogna almeno tentare di contenerlo nella giusta misura.
Domanda 4
Questa etica della comunicazione deve essere basata sul consenso, sul principio
maggioritario, sulla discussione?
Risposta
No, proprio non può essere regolata dal principio maggioritario. Per questo bisogna
capire bene la natura delle nuove tecniche della comunicazione a supporto digitale. Nella
comunicazione mediatica tradizionale, per esempio la stampa, la radio, la televisione,
c'è un centro di emissione e un gran numero di ricettori che sono insieme passivi,
perché non c'è reciprocità nella comunicazione, e, soprattutto, isolati gli uni dagli
altri. Allora, dal punto di vista dell'intelligenza collettiva, questo fatto è
interessante, perché tutti partecipano alle stesse rappresentazioni, emesse dal centro,
ma non c'è interattività, non c'è costruzione collettiva. Un altro schema di
comunicazione possibile è quello del telefono: qui c'è reciprocità nella comunicazione,
ma non c'è costruzione collettiva. La comunicazione passa semplicemente da individuo a
individuo. Con il cyber-spazio, con i forum di discussione elettronici, con Internet o
anche su scala più ridotta con le BBS su scala di impresa o di associazione o di
quartiere c'è la possibilità non solo che uno emetta verso tutti, non solo che uno
comunichi facilmente con un altro, come sulla rete telefonica, ma che tutti possano
comunicare con tutti. Si crea dunque un contesto comune, ma questo contesto comune non
risulta più dall'emissione di un centro, risulta dall'apporto di ciascuno alla
discussione collettiva. Credo che il vero, autentico atto di comunicazione è quello che
consiste nel costruire in cooperazione un universo di significati comune, nel quale ognuno
si può situare. Nessuno è obbligato a condividere le idee degli altri: semplicemente si
partecipa allo stesso universo di significati, allo stesso contesto. Secondo il mio modo
di pensare, non si tratta affatto di arrivare a un consenso, per fare in modo che la
maggioranza governi. Questa è in un certo modo la democrazia rappresentativa classica.
Credo invece che ognuno può, mediante questo sistema, prendere posizione, sviluppando una
argomentazione assolutamente singolare. Si potranno formare anche delle maggioranze, tante
maggioranze per quanti sono i problemi. E questo farà sì che un individuo possa avere su
un dato problema una certa posizione e su un altro problema un'altra posizione e non
essere semplicemente incluso in una grande categoria massiccia di persone che condividono
tutte le stesse idee. Al contrario si può arrivare a differenziazioni molto sottili.
Domanda 5
Quali sono tuttavia i pericoli di questa tendenza?
Risposta
Pericoli certo ve ne sono. Direi che questa prospettiva dell'intelligenza collettiva, che
permette alle persone di unire le loro forze intellettuali, la loro immaginazione, le loro
conoscenze, eccetera, era la prospettiva di coloro che hanno costruito questo sistema e si
potrebbe dire che, in un certo senso, è il risultato di un vero movimento sociale. Non
c'è nessuna grande società, nessun governo che ha deciso di costruire Internet: è un
fenomeno del tutto spontaneo, è il movimento sociale di una gioventù cosmopolita di
diplomati, che si interessano ai fenomeni dell'intelligenza collettiva. Ciò che accade
oggi è che il cyber-spazio, costruito da un movimento sociale di gente che condivideva
questa utopia, è recuperato dai governi che ne vogliono fare una specie di apparato
collettivo, di grande televisione, e che spesso non capiscono che la televisione
interattiva è una contraddizione in termini: la televisione non può essere interattiva,
se no non è più televisione; o ha una interattività estremamente limitata. Oppure è
recuperato dai commercianti, dalle grandi imprese, che vedono in esso l'occasione di
sviluppare un immenso mercato, un nuovo spazio di vendite, uno spazio mobile, in
definitiva. Non credo affatto che sia qualcosa di puramente negativo il fatto che sia
investito dal mercato capitalistico. Ma sarebbe veramente un peccato che questo aspetto
commerciale sopprimesse o si sostituisse completamente all'altra dimensione. Sarebbe un
po' come nei paesi dell'Est quando dicono: ci siamo battuti per la democrazia e abbiamo
ottenuto il capitalismo. Io dico che ci vuole il formaggio e la frutta. Perché non
sviluppare nuovi mercati? Ma a condizione che il mercato non faccia passare in secondo
piano le altre dimensioni, che sono l'aumento di ricchezze umane e di civiltà. Per me
questo è il pericolo principale. Altri, in un'ottica un po' paranoica, parlano di
controllo eccetera. Non sono molto sensibile a questo aspetto, in primo luogo perché
tutti i sistemi di comunicazione sono stati usati dalla polizia, a cominciare dalle poste:
si sa che le lettere sono state sempre aperte dalla polizia. Oggi se un servizio di
spionaggio o di contro-spionaggio vuole intercettare le comunicazioni telefoniche lo fa.
Si può fare anche nel cyber-spazio, ma da questo punto di vista non c'è nessuna novità
qualitativa secondo me. Anzi forse è più difficile, a causa della pratica del linguaggio
cifrato.
Domanda 6
Nelle reti si trovano miliardi di informazioni e una pletora di dati. Ma l'educazione che
i Greci chiamavano "paideia " e i tedeschi "Bildung " era qualcosa di
più dell'informazione, era un coinvolgimento diretto.
Risposta
Certo l'educazione è qualcosa di costruito, di organico, animato da un certo spirito,
eccetera. Ciò che succede qui è che si ha un'enorme massa di informazioni, anzi non
soltanto una massa, un flusso di informazioni, ma un vero e proprio diluvio. Ho un mio
amico che dice: stiamo vivendo il secondo diluvio. Il primo diluvio è stato di acqua, il
secondo è il diluvio dell'informazione. Dunque il problema è di sapere che cosa si deve
salvare, che cosa si deve mettere nell'arca, come dovremo navigare. Il problema della
navigazione nel cyber-spazio si presenta come navigazione dell'arca nel diluvio
informazionale. E' bene esserne coscienti. Non potremo usare validamente tutti questi
sistemi se non avremo degli strumenti per orientarci e filtrare l'informazione. Ma ce ne
sono sempre di più, e questo è molto importante. In secondo luogo credo che il rapporto
con il sapere sia completamente cambiato: viviamo in un'epoca in cui una persona, un
piccolo gruppo, non può più controllare l'insieme delle conoscenze e farne un tutto
organico. E' divenuto impossibile anche per un gruppo umano importante. Ciò vuol dire che
la ricostituzione di un tutto organico, che abbia senso, non può essere fatta da
individui o da piccoli gruppi. Dobbiamo imparare a costruire un rapporto con la conoscenza
completamente nuovo. In un certo senso non è un male: dà molta più libertà
all'individuo o al piccolo gruppo, ma certo è molto più difficile. Bisogna soltanto
saper prendere partito. Se si resta con la nostalgia di una cultura ben costituita,
organica, con la nostalgia di una totalità culturale, non se ne esce. La conoscenza, la
cultura, è qualcosa che si sta definitivamente detotalizzando. Vi dicono: potrete avere
accesso a tutte le informazioni, alla totalità delle informazioni, ma è proprio il
contrario: adesso sapete che non avrete mai accesso alla totalità. Questo è il messaggio
del cyber-spazio e voi dovete saper selezionare. Ritorno sull'intelligenza collettiva. Voi
e il piccolo gruppo a cui appartenete e con cui avete uno scambio più stretto non potrete
mai sapere tutto e quindi sarete, necessariamente, obbligati a fare appello ad altri, alle
conoscenze d'altri e alle loro capacità di navigazione: i messaggi che hanno più valore
nel cyber-spazio sono quelli che vi aiutano a trovare dei riferimenti, a orientarvi,
quelli che hanno meno valore sono quelli che aumentano la massa senza dare visibilità o
trasparenza alle conoscenze disponibili. Vediamo il Word Wide Web, che è un caso molto
interessante. Se mettete un documento sul Word Wide Web, fate due cose insieme: primo,
aumentate l'informazione disponibile, ma in secondo luogo, fate anche un'altra cosa: con i
nessi che stabilite tra il vostro documento e l'insieme degli altri, voi offrite al
navigatore che arriverà su quel documento il vostro punto di vista. Quindi non soltanto
aumentate l'informazione, ma inoltre offrite un punto di vista sull'insieme
dell'informazione. Il Word Wide Web non è soltanto una enorme massa di informazione, è
l'articolazione di migliaia di punti di vista diversi. Bisogna considerarlo anche sotto
questo aspetto.
Domanda 7
Forse siamo di fronte a un paradosso, perché, se abbiamo paura che si possa realizzare il
Grande Fratello di Orwell, può darsi che oggi dobbiamo combattere, al contrario,
l'appiattimento, il fatto che ogni controversia sarà appianata e che non ci saranno più
padroni del pensiero.
Risposta
Io trovo molto positivo che non ci siano più padroni del pensiero. C'è un fenomeno di
appiattimento, ma è soltanto mettendosi dal punto di vista di Dio che c'è propriamente
appiattimento, perché non c'è più centro, non c'è più controllo, non c'è più
istanza di controllo. Viceversa, da ciascun punto di vista individuale, bisogna
ricostituire un paesaggio differenziato con superfici concave e convesse, eccetera. E' una
forma di dualismo. Ma per ogni individuo o per ogni microgruppo è un paesaggio diverso.
Parlo al futuro, ma succede già oggi.
Domanda 8
Ma gli uomini non troveranno difficoltà a orientarsi in uno spazio in cui non c'è più
il prima o il dopo, il fuori o il dentro, l'interno o l'esterno?
Risposta
Lo spazio in cui ci situeremo sarà uno spazio alla Moebius, in cui l'interno passa
all'esterno e l'esterno all'interno. Ma non soltanto perché lo spazio virtuale sfrutta le
onde dello spazio fisico. E' molto più profondo. Si dice normalmente: l'informazione
informa su una realtà. Per questo deve essere possibile distinguere tra la carta e il
territorio. Ma oggi il territorio principale è l'insieme delle carte e dunque il
passaggio dall'interno all'esterno e dall'esterno all'interno non avviene più soltanto
nello spazio fisico, avviene nello spazio ontologico, per così dire, della realtà della
rappresentazione. La realtà passa continuamente nella rappresentazione, e la
rappresentazione diventa continuamente la realtà stessa. In ciò risiede la difficoltà
con cui ci dobbiamo confrontare. In un certo senso è stato sempre così, perché,
beninteso, non c'è realtà al di fuori del linguaggio, della cultura che la pone. Ma oggi
è diventato assolutamente evidente: non è più il risultato di argomenti filosofici, è
una cosa che possiamo vivere, al limite, tecnicamente e socialmente, ogni giorno, e un
gran numero di persone ha cominciato a rendersene conto.
Domanda 9
Ma non ci sarà un'atrofia della percezione sensibile, in un mondo in cui non servono più
i sensi?
Risposta
Di questo non sarei talmente sicuro: in primo luogo perché penso che ci sia un'enorme
sviluppo della vista, con tutti questi sistemi di comunicazione che permettono di vedere
cose che gli occhi non vedevano. Voi vedete con i satelliti, con gli infrarossi, con gli
skanner, che hanno permesso, in medicina, la produzione delle lastre eccetera, eccetera.
Anche il tatto, l'interazione sensorio-motrice con la telepresenza si sta sviluppando
enormemente, come l'udito con il telefono, le nuove musiche e simili. Non so se si possa
parlare veramente di un'atrofia dei sensi, perché si ha piuttosto una virtualizzazione e
uno sviluppo dei sensi con tutti questi sistemi di telepresenza e di virtualità. Non è
l'atrofia, ma la virtualizzazione delle percezioni, la loro estensione, la loro
trasformazione e, in un certo senso, la loro messa in comune. La loro messa in comune
perché la televisione, come dice la parola, è un modo di vedere lontano, ma la cosa più
interessante della televisione è che tutti vedono con lo stesso occhio; e, del telefono,
che tutti, per ascoltare, usano lo stesso sistema uditivo. Invece l'intelligenza
collettiva è fatta di tutte le dimensioni dell'intelligenza, della memoria e della
percezione.
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