INTERVIEW:
Domanda 1
Cos'è il network computing?
Risposta
L'espressione network computing potrebbe di per sé sembrare complicata, difficile da
comprendere soprattutto perché le persone l'associano ad Internet; questa espressione
sembra apportare un elemento di complicazione; è necessario, dunque, chiarire cosa sia
Internet. Nella accezione più semplice Internet potrebbe essere considerata una nuova
forma di telefonia; noi siamo abituati alla telefonia tradizionale in cui le grandi reti
telefoniche consentono agli individui di conversare; la telefonia è stata costruita per
la voce umana a 50/60 bit al secondo, che stabilisce il ritmo del parlare. I computer
hanno dei ritmi molto più elevati, producono una quantità di dati impressionante,
quindi, fin dall'inizio, non è stato facile il matrimonio fra telefonia e computer;
però, la telefonia, nella sua capacità di trasmettere i dati in modo elettronico, apre
la strada ad un veicolamento di informazioni che è straordinario, ed oggi, le aziende
telefoniche sanno che trasmettono sempre più dati rispetto a quello che viene trasmesso
via voce, perché sempre più elevato è il traffico di computer. Il computer che entra in
rete, che diventa il vero colloquiatore di rete, offre già l'idea di che cosa sia
un'informatica di rete: tanti computer che parlano tra loro. In realtà questi computer
mediano conversazioni fra individui che hanno introdotto informazioni sugli stessi
computer, quindi essi costituiscono un elemento di mediazione. Internet che cos'è? E'
telefonia, in senso molto lato, fra un individuo ed una serie di computer che sono su una
rete: si entra in questa grande rete che è una somma di reti, e, in qualche modo, si
conversa con dei computer sui quali sono state introdotte delle informazioni che si
vogliono reperire. Questo è, in ultima analisi, Internet; ed esso ha reso estremamente
semplice entrare in rete attraverso il telefono con un personal computer per colloquiare
con i computer che sono in rete. Cos'è il network computing? E' questo, con degli
elementi in più. Esistono altri tipi di conversazione che non sono necessariamente di
tipo Internet che pure usano le reti. Un esempio di rete che non sia Internet, ma che
moltissime aziende hanno, (la IBM, per esempio), è la propria rete dati su base mondiale:
se io mi trovo nel Pakistan dove mi sono dovuto recare per lavoro per la IBM, o in
Turchia, o in Portogallo, e devo colloquiare col mio ufficio, con la mia sede di Segrate
dove ho le mie informazioni, e con il computer voglio entrare in rete (una telefonata
intercontinentale costringe al pagamento di cifre astronomiche), allora entro sulla rete
mondiale IBM, la IBM Global network, che ha, probabilmente, un polo ad Ankara, come così
un polo a Karachi; mi connetto dall'albergo con questa rete con una telefonata locale e
viaggio per avere le mie informazioni, che non sono informazioni di Internet, ma sono
informazioni di posta elettronica. Quindi, il network computing è, in termini molto
generali, tutto ciò che si può ottenere con un computer che si utilizza insieme ad un
modem e ad un telefono e una serie di siti dove esiste un'informazione aggregata
digitalmente a cui si può accedere.
Domanda 2
Recentemente, tuttavia, il paradigma del network computing è stato contrapposto a quello
del personal computing. Lei ritiene che il network computing sia un nuovo paradigma in
grado di scalzare il vecchio?
Risposta
Il mondo del computer che rappresenta il mondo dell'informazione in generale, ha enormi
analogie col mondo biologico perché anch'esso, in sostanza, è un mondo di informazioni:
l'informazione del DNA che si modifica, si altera e si trasmette di generazione in
generazione. Ma l'aspetto significativo del mondo biologico sta' nell'essere costituito da
tutta una serie di nicchie che vengono progressivamente popolate. Quindi non è
sorprendente il fatto che anche nel mondo dell'informazione elettronica esistano una serie
di nicchie che progressivamente vengono popolate. Storicamente si è costruito il
computer, quello che oggi sembra il grande computer degli anni '50/'60. La tecnologia
microelettronica ha una capacità di miglioramento che non ha confronti con nessun altro
tipo di tecnologia. Migliora con un ordine di grandezza di cento volte ogni dieci anni,
quindi in 30 anni migliora di un milione di volte: è semplicemente esplosivo. Per cui non
è sorprendente che ci siano onde tecnologiche successive che si presentino, come dice lo
studioso Kuhn, come dei paradigmi. Allora, il primo paradigma, il primo modello è stato
il grande computer a cui tutti accedevano, come il treno: la prima forma di locomozione
meccanica che l'Europa ha conosciuto sono stati i treni. Questo tipo di tecnologia, quando
è apparso un altro tipo di carburante, un altro tipo di struttura, l'automobile, è stata
contrapposta alla precedente; quindi, il treno e l'automobile si sono contrapposte così
come il personal computer, ricaduta industriale del grande computer, ha consentito una
produttività di tipo personale. Ma, evidentemente, il personal computer, poiché la
microelettronica procede così rapidamente, si è rapidamente complicato in senso buono,
poiché ha avuto molte più funzioni e molte più capacità ed ha costretto ad un più
alto livello di alfabetizzazione. Poi, in seguito, è successo il fatto dirompente: per
anni il computer si è velocizzato molto più di quanto non si siano velocizzate le reti,
quindi si è, sostanzialmente, mantenuto sul computer tutto quello che sul computer poteva
restare. Oggi, però, la situazione si sta rovesciando; si tratta, se si vuole, di una
rivoluzione copernicana perché con l'avvento delle fibre ottiche, con la digitalizzazione
di certe informazioni, con le capacità di compressione dell'informazione, con tutta una
serie di algoritmi software e con tecnica hardware, è possibile trasmettere infinitamente
di più di quanto non si poteva trasmettere anni fa. Nasce perciò questo nuovo paradigma
a cui Lei fa riferimento: io posso mettere in rete non soltanto il dato; in realtà, io
posso mettere in rete tutto il software di cui ho bisogno, e non c'è necessità che io,
sulla mia macchina, tenga il software che utilizzo, ma posso prendere il software dalla
rete quando mi serve perché trasmetterlo costa niente, in termini di tempo, e costa
niente in termini di costi. Per cui la rete verrà, in linea di principio, popolandosi con
sempre più software e sempre più dati che io potrò estrarre dinamicamente in funzione
delle mie esigenze. Lei deve guardare al network computing come ad una strana forma di
paradigma che tiene in rete una popolazione crescente di computer virtuali: quando mi
serve il mio computer virtuale con una telefonata lo chiamo, lui viene con il suo
software, le sue applicazioni, i suoi dati, e con quello io lavoro. Certo che questo, in
un certo senso, tende a smagrire, a rendere più piccola la macchina di cui ho bisogno. Se
a ciò Lei accompagna la caduta verticale del costo della tecnologia ed il suo
potenziamento, noi guardiamo al domani e vediamo che è possibile ipotizzare una macchina
del costo di qualche centinaio di dollari che agisca come i telefoni intelligenti per
caricare questo computer virtuale di cui ho bisogno. Questa, in sostanza, è la
rivoluzione che sta avvenendo; però bisogna stare molto attenti a guardare a questi
fenomeni in termini antitetici: il personal computer non ha ucciso i grandi computer così
come la macchina non ha ucciso il trasporto su treno che ha assunto un altro ruolo. Così
il network computing, il telefono di Internet, per intenderci, non ucciderà il personal
computer, ma lo complementerà; nel mondo del trasporto abbiamo la bicicletta, la
motocicletta, il ciclomotore, l'automobile, il pullman, il fuoristrada, il treno; nel
mondo del computer abbiamo diversi prodotti che vanno ad occupare nicchie di vario tipo, e
non dobbiamo assolutamente pensare che un prodotto uccida gli altri; i prodotti vanno a
collocarsi nell'area specifica, come nel mondo biologico, che loro tendono ad occupare;
quindi il network computing avrà una sua nicchia, ma non mangerà tutto il mercato:
questo è impensabile.
Domanda 3
Ma l'ampiezza di banda sulle reti di trasmissione attualmente è molto bassa e la
diffusione del network computing prevederebbe una serie di investimenti enormi in
infrastrutture che non sono, allo stato attuale, prevedibili, specialmente nel nostro
paese. Credo che nemmeno negli Stati Uniti si possa parlare di vero e proprio network
computing nelle case. Che rapporto esiste tra questo paradigma e la realtà delle
infrastrutture tecnologiche?
Risposta
La sua osservazione è veramente attinente e mi permetto di ricordare che nel 1994 era
uscito negli Stati Uniti, se ricordo bene, un documento a cura della Casa Bianca chiamato
NII (National Information Infrastructure), voluto in particolare dal vicepresidente Al
Gore. In questo documento si domandavano per primi che tipo di struttura occorreva darsi
ed avevano individuato esattamente il problema a cui fa riferimento Lei: se io voglio
portare nelle case delle persone l'informazione con le caratteristiche che l'informazione
dovrebbe veramente possedere - la multimedialità, l'immagine, il suono, il testo, la
voce- la banda, la quantità di bit che io devo trasmettere e quindi la potenza di banda
trasmissibile dovrebbe essere elevatissima; si era pensato, per queste ragioni, alla fibra
ottica. Un conto che fu valutato dalla Casa Bianca prevedeva che l'investimento globale
per cablare in fibra ottica tutte le case degli Stati Uniti avrebbe superato i cento
miliardi di dollari. Il documento, uscito nel '93, e poi il discorso di Al Gore all'inizio
del gennaio del '94 a Chicago, diceva: " Noi non possiamo fare un investimento di
questo tipo perché è troppo elevato; del resto, tanta fibra ottica già viene stesa dai
privati per la televisione privata e per i film a casa da parte di queste case di
distribuzione, ci baseremo quindi su quella". Quindi, la trasmissione dei dati
necessari a fare veramente decollare questo tipo di mondo richiede un'infrastruttura non
solo pervasiva, ma anche estremamente efficiente. Le infrastrutture telefoniche
tradizionali non sono all'altezza, non riescono a dare una risposta efficiente. Negli
Stati Uniti, in sostanza, si è attuata una certa forma di liberalizzazione, come dire:
"Competete pure, chi è nell'informatica entri pure nel mondo della cinematografia,
entri nel mondo della pubblicità, e chi è nel mondo della cinematografia entri nel mondo
dell'informatica, mettetevi tutti insieme e fate comunque qualcosa, vi lascio campo
libero". In Europa, da quello che ho capito io, in documenti successivi che sono
stati scritti - come il libro bianco di Delor che credo sia uscito nel dicembre del '93, o
il documento di Corfù che è stato scritto dai "grandi" a Corfù quando si sono
riuniti nel giugno del '94 e la decisione presa da Strasburgo quando il parlamento si era
riunito a luglio- tutti hanno indicato il fatto che l'Europa debba avere una politica
comune; queste istanze si delineano dai documenti ufficiali. Quindi, per l'Europa bisogna
arrivare ad una forma di standardizzazione generalizzata per questa presa di coscienza;
gli investimenti sono, sicuramente, molto alti, non si può realizzare tutto in fibra
ottica. Molte cose, però, possono essere fatte ancora in rame con tecniche particolari,
utilizzando quindi tecnologie pre-esistenti; si sta lavorando alacremente, e certamente il
problema non si risolverà in un giorno, ma io sono assolutamente ottimista che nel giro
di alcuni anni questa infrastruttura verrà messa in atto. Certo, le contraddizioni ci
sono, e a questo proposito occorrerà rivedere la legislazione e in questo campo io non
sono assolutamente competente; posso solo dire che sicuramente occorrerà rivedere dei
parametri legislativi: tariffazioni, interventi, aiuti, norme governative, situazioni
monopolistiche... C'è un dibattito, in questa direzione, in atto tra Giappone, Europa e
Stati Uniti non soltanto tecnico, ma molto più ampio, che vede la discussione anche del
problema dell' identità di ciascun paese. Resta comunque un dato incontrovertibile, ed è
quello che ha riportato Lei: per decollare, questo tipo di fenomeno o questo tipo di
realtà, ha bisogno di capacità trasmissiva e questa capacità trasmissiva ha bisogno di
un'infrastruttura che consenta la trasmissione di questi dati.
Domanda 4
La seconda obiezione è, se si vuole, di carattere ideologico, di ideologia della
tecnologia: alcuni ritengono che questa attenzione sul network computing porti ad un
ritorno all'ideologia del Main Frame, cioè all'ideologia di una informatica
centralizzata, mentre il PC aveva portato, nelle case di ognuno, le potenze computazionali
che prima erano appannaggio di pochi. Non si corre il rischio di un controllo dello
sviluppo dell'informazione?
Risposta
Certo, è assolutamente vero ciò che Lei sostiene, perché, per dirla in termini molto
più semplici, sembrerebbe che il personal computer porti una forma di democratizzazione
dell'informatica per cui ognuno fa come vuole, la utilizza come meglio crede, acquista i
prodotti che vuole, si muove come crede in totale libertà; questo è certamente vero.
Bisogna considerare un altro aspetto, però: esiste una forma di perversione sottile alla
base dell'informatica che non è mai sufficientemente compresa, e consiste nel fatto che
il software sia una tecnologia molto diversa dall'hardware, molto più complessa, molto
più critica, molto più difficile da sviluppare, molto più difficile da manutenere, da
gestire; in sostanza, incredibilmente più costosa. Il profano crede che l'hardware sia la
parte più costosa, ma ciò non è assolutamente vero; la parte più nobile del computer
è il software. Il paragone che mi viene subito in mente è con la musica: non è lo
strumento musicale l'elemento chiave nella musica, ma la melodia, ed è molto più
difficile sviluppare una bella melodia che la costruzione di uno strumento musicale.
Inoltre, la melodia dura nei secoli, difficilmente lo strumento musicale resiste intatto
nel tempo, si trasforma. I costruttori di software e gli utenti di software sanno che il
software ha problemi di mortalità infantile, facilmente il programma è pieno di errori;
noi non sappiamo come si scrive il software, poiché è una disciplina che non conosciamo,
è una disciplina non continua, al piccolo errore non corrisponde un piccolo guasto. Se,
viceversa, io commetto un piccolo errore nella progettazione, che so io, di un freno o di
qualche altra cosa, lì corrisponde una piccola forma di guasto: questo è un errore di
realizzazione tecnica. Ma nel software se sbaglio un bit, esso può cadere com'è caduto
il missile Arianne, quindi, le conseguenze sono incalcolabili. Il software dovrebbe, per
sua natura, essere perfetto. Il problema è di stabilizzare il software. Avere un
software, in un certo senso centralizzato, come il modello del network computing,
comporta, è vero, l'idea di una minore democratizzazione, però consente di avere una
copia che più facilmente viene replicata su più utenti con minori problemi gestionali e
con più facilità di manutenzione, di esercizio e di sviluppo. Il cosiddetto Main Frame
dà l'idea di una macchina molto grande, ma i Main Frame attuali stanno diventando delle
macchine piccolissime dimensionalmente, ciò che rimane grande è la potenza di calcolo.
Bisogna rivedere lo sviluppo dell'informatica, in un certo senso, come oggi viene rivisto
il rapporto che esiste tra i vari mezzi di trasporto. Nel mondo del trasporto noi
assistiamo alla competizione, essenzialmente, fra quattro mezzi di trasporto: le
metropolitane, le autovetture, i treni e gli aerei. Qual è il settore specifico o qual è
la valenza specifica di un mezzo di trasporto? C'è un ritorno al treno come c'è un
ritorno al Main Frame, ma non c'è un ritorno al treno su percorrenze di 18 ore.
Quest'ultimo sta ritornando ad avere una sua valenza con il grande successo dei treni ad
alta velocità come i TGV, gli elettrotreni, i pendolini, i grandi treni veloci tedeschi,
e da studi che sono stati svolti si è scoperto che questi treni hanno senso per
percorrenze di 400/500 chilometri e non oltre, oltre le 2 ore il mezzo non è più
competitivo con un altro tipo di trasporto che è l'aereo. Anche nel mondo del computer si
situeranno valenze simili: è bene centralizzare certe cose, ma, ancora una volta, non
verrà centralizzato tutto, molte cose resteranno sul tavolo dell'utente se questo utente
è raffinato. Per dirla in termini molto semplici: il network computer non ucciderà il
personal computer. Io prevedo un risorgere di una certa forma di centralizzazione così
come è risorto il treno per certi tipi di trasporto, il treno veloce su percorsi di un
certo tipo. Si ritorna al servente applicativo che non potrà più essere chiamato Main
Frame, ma che potrei chiamare il servente di rete e che avrà certi tipi di applicazione,
non altre, probabilmente, perché questo è il suo ruolo e sarà una macchina piccola
anche se costosa e complessa.
Domanda 5
Quali sono le tendenze della tecnologia in quel settore?
Risposta
Le tendenze della tecnologia sono molto semplici. La prima osservazione di base è
elementare: la vera spinta al mercato viene da qualche cosa che il profano non conosce e
che, probabilmente, nemmeno comprende. L'impulso più forte che è stato dato alla
tecnologia e che è venuto soprattutto dal personal computer è la riduzione dei consumi.
Oggi i costruttori di computer si trovano a fronteggiare, paradossalmente, lo stesso
problema dei costruttori di automobili: ridurre i consumi. I costruttori di automobili per
problemi di inquinamento, e anche perché la riduzione di consumi è fondamentale per
mille altri problemi. Tuttavia, non dimentichiamoci che tutta l'umanità ha un obiettivo
fondamentale che è quello dello sviluppo sostenibile: noi non possiamo vivere di risorse
infinite, ma viviamo di risorse "finite", quindi dobbiamo vivere secondo un
modello di sviluppo sostenibile. Questo è vero anche per l'informatica. Qual è la
risorsa principale dell'informatica? L'elettricità. E l'elettricità, a differenza di
altre forme di energia è una forma di energia molto strana, non ama farsi intrappolare.
In seconda istanza, essa si brucia facilmente, nel senso che l'atto elementare informatico
è elettrico, ed è un atto che produce calore. Noi biologicamente siamo fatti molto bene
come esseri umani perché pensiamo tanto, in linea di principio, produciamo una grande
quantità informativa, però, in realtà, la nostra testa è abbastanza fredda anche se
abbiamo una vascolarizzazione estremamente complessa. Il computer tende a produrre
un'enorme quantità di calore ed il Main Frame è sempre associato ad un'idea di macchina
grandissima; poi, però, se uno va a guardare questa macchina grandissima, sempre più
grande, si accorge di un paradosso: la parte elettronica diventa sempre più piccola
perché così deve essere. Il computer più è potente più è piccolo e più gli spazi
sono brevi. Tutto il resto sono gruppi di alimentazione e gruppi di raffreddamento, non si
poteva arrivare a creare un computer grande così, la parte logica, e lungo centinaia di
metri per l'alimentazione e il raffreddamento. Chi ha dato la strada? I personal computer,
i quali, ovviamente, per primi hanno affrontato il problema della riduzione dei consumi.
Questo problema della riduzione dei consumi sul quale si sono affannati i costruttori per
decenni, aveva una soluzione di laboratorio chiamata tecnicamente CMOSs, Complementary
Metal Oxide Surface Semiconductor; il pregio di questa tecnologia è il basso consumo, ma
possiede una scarsa capacità di utilizzo in una macchina complessa. Sono stati così
bravi nel corso di decenni a disegnare i circuiti ed a densificare, che oggi si riesce ad
installare su un solo microprocessore e tanti circuiti quanti ne mettevano su 2000/5000
chip 30 anni fa. Quindi, oggi, un grande computer è fattibile su un solo chip e negli
anni a venire questo singolo chip diventerà sempre più potente e sempre più denso. Noi
possiamo prevedere di avere dei chip con sopra centinaia di milioni di transistor, questa
è la strada; questi chip, però, costeranno quanto una Rolls Royce. Molti pensano che la
Formula Uno sia uno sport ed è anche uno sport: sicuramente si emozionano, si
entusiasmano, i successi della Ferrari incantano tutti, la Ferrari è un simbolo
dell'Italia; ma il problema della Formula Uno è anche un problema industriale. Nella
Formula Uno vengono ricercate soluzioni che vengono provate in condizioni di stress
estremo: motori che girano a 15.000 giri. Le soluzioni che si adottano in Formula Uno,
molti anni dopo riappaiono sul mercato a basso costo per soluzioni normali; basti pensare,
ad esempio, ai cuscini di sicurezza che si gonfiano, o all'abitacolo deformabile.
Consideriamo il grande Main Frame come una macchina di Formula Uno: è chiaro che molti
anni dopo questo tipo di tecnologia ha una ricaduta industriale, i costi si abbassano. Ma
bisogna comunque tener conto del problema, fondamentale, della riduzione dei consumi.
Negli anni a venire quello che prevedo sono sostanzialmente 2 grandi e distinte famiglie
di computer: una che si porrà il problema delle prestazioni, ma non tanto il problema
dell'alimentazione, come le macchine di Formula Uno che continuamente fanno rifornimento.
Il problema sono quindi i rifornimenti, così come il computer: tirerà fuori potenza
proporzionalmente al calore ed avranno bisogno di tanta alimentazione; queste saranno
macchine grandi quanto una lavatrice, ma con potenze assolutamente esuberanti, molto più
di un Main Frame attuale e quindi molto costose: piccole sì, ma con sofisticazioni
raffinatissime. Il problema di un grande computer, quello che Lei chiama Main Frame è il
problema di un treno: un treno ha tanti passeggeri e quindi deve avere tante porte e tanti
finestrini. Un grande computer non deve avere soltanto una grande capacità di esecuzione
e di istruzioni, ma deve anche possedere una enorme capacità di accesso ai dati, tante
unità periferiche che si possono vedere contemporaneamente; per usare una metafora: tanti
signori che possono entrare e che possono uscire da questo computer. Il personal computer,
come l'autovettura pensata per il privato, può avere due o quattro porte, non ha bisogno
di avere 50 porte o 100, come un treno. Ricordo, da ragazzo, le famose terze classi
avevano una porta per ogni scompartimento e si aprivano tutte insieme. Quindi, il grande
computer, è una macchina che ha bisogno di tanti canali ed i canali sono intelligenza da
costruire, molto complessa, ed ha bisogno di tanta memoria, di memoria tanto veloce; tutti
questi elementi ne innalzano il prezzo. Queste macchine verranno ancora vendute a
centinaia di migliaia di dollari, ma saranno decine di migliaia di macchine. Oggi, tutti i
Main Frame del mondo saranno all'incirca 50 o 60 mila macchine; le altre, saranno macchine
meno costose, costruite con tecnologie diverse, ma tecnologie che dovranno essere le più
fredde possibili. Si costruiranno dei circuiti in modo tale che l'energia non venga
sprecata; se il circuito si chiude e la corrente passa, questa corrente non funziona come
la lampadina che si accende e consuma, viene catturata da un'altra parte e poi restituita
in modo che il computer consumi meno corrente. Con questo metodo noi realizzeremo macchine
diecimila, ventimila volte più veloci di quelle attuali, ma tre o quattro volte più
calde. Per concludere il discorso sulle macchine a connessione, le reti neurali, esse sono
tipologie di computer completamente diverse dal computer tradizionale. Il computer
tradizionale è una macchina organizzata con tantissimi circuiti, ma profondamente diversa
dal cervello umano. Il cervello umano, fatto salvo che il neurone non è confrontabile con
un circuito perché è infinitamente più complesso, a sua volta è un piccolo computer;
un neurone può parlare con 5.000/10.000/80.000 altri neuroni. Se il computer è una
macchina fatta di tanti circuiti e poche interconnessioni, il cervello è una macchina
fatta di tanti neuroni, ma ha un numero spaventosamente più alto di interconnessioni. La
nostra vita, la nostra evoluzione, dal grembo materno fino alla vecchiaia è la
progressiva costruzione di ulteriori interconnessioni; la nostra conoscenza è costruita
su interconnessioni che si vanno ad aggiungere ad altre, ordini ed ordini ed ordini di
grandezza in più di interconnessioni rispetto a quelle del computer. Il computer è
un'entità statica: ogni computer è uguale ad un altro quando esce da una fabbrica, ogni
cervello è diverso da un altro ed il cervello, nel corso della vita, viene modificandosi
di giorno in giorno; la stessa persona, tre giorni dopo non ha lo stesso cervello, ha
altre interconnessioni che continuano a costruirsi. Questo modello ci affascina, ma
sappiamo che è una strada impercorribile perché è una strada biologica; dovremmo prima
inventare la vita e poi seguire la sua strada. Quello che si comincia a cercare di
costruire, adesso, sono queste famose macchine connessionistiche. Che cosa sono la
macchine connessionistiche? Sono quelle macchine che danno prevalenza concettuale, non al
circuito, ma alle connessioni; si cerca di capire se è possibile costruire un computer in
cui le connessioni tra i circuiti, in qualche modo, possono cambiare: è possibile? La
risposta è sì. I campi di applicazioni sono affascinanti, come il riconoscimento
dell'immagine. Si dà un'immagine e si danno certi pesi a certe connessioni, si vede il
risultato e si vede che l'immagine non è quella, si cambiano dinamicamente un po' di pesi
e l'immagine è sempre migliore. C'è un meccanismo di premiazione per cui, alla fine, le
connessioni sono quelle ideali per catturare quell'immagine, meccanismo simile al
funzionamento del cervello del bambino quando riconosce le parole e costruisce la lingua,
ma ordini ed ordini di grandezza più in basso, per cui il confronto non è proponibile.
E' una strada diversa quindi è una strada sperimentale, teorica, anche se le macchine
vengono costruite, ma si tratta soprattutto di ricerca. E non si tratta di una ricerca
svolta per prodotti che si immettono sul mercato per il singolo, viceversa, si tratta di
una ricerca essenziale per far progredire il nostro modo di conoscere le cose. Quindi sono
computer che cercano di vedere l'aspetto connessionistico del cervello, non l'aspetto
circuitale.
Domanda 6
Come definirebbe Internet?
Risposta
Internet è telefonia di computer, parlare al telefono con un computer. Ma non è
assolutamente un colloquio uomo-macchina; un colloquio uomo-macchina non esiste è
assurdo, un uomo parla con un uomo, non può parlare con una macchina; quindi è un
colloquio uomo-uomo mediato da una macchina. Internet consente di parlare con altre
persone o dinamicamente o staticamente, attraverso documenti che queste persone hanno
messo in rete o consentendo il traffico di un certo tipo di posta elettronica, e invece di
fare la conversazione telefonica, molto costosa, la conversazione è di tipo elettronico a
costo di trasferimento dati, che è molto più basso. Ma, in realtà, è anche molto di
più perché Internet dovrebbe consentire di arrivare ad un certo tipo di informazione, e
qui è il punto centrale: quale informazione? Che cosa si fa con Internet? La prima volta
che si entra su Internet, si gioca, ovviamente, si va sul "Louvre" e si tira
giù La Gioconda e lentamente, molto lentamente La Gioconda appare e alla fine uno ha La
Gioconda sullo schermo, a tutti quanti dice: " Gente quant'è bello il mio computer,
che bella che è La Gioconda, che grande Leonardo, che bella la tecnologia, quanto sono
bravo che l'ho tirata giù...!". Dopo un certo numero di questi tentativi l'interesse
si esaurisce ed allora ci si pone la domanda: "E adesso che faccio? Scrivo a
qualcuno? A chi? Ad un interlocutore a cui devo parlare, a cui devo scrivere? Oppure ho
un'informazione che devo reperire?". E allora nasce la curiosità. Ci sono delle
operazioni che si possono fare su Internet che sono per me interessanti ed io ne ho
momentaneamente scoperte due. Io per anni ho collezionato farfalle, lo facevo da bambino,
nasco da una famiglia austriaca, e a Vienna, dove io ho trascorso la mia infanzia, tutti
facevano collezione di qualche cosa, chi di francobolli, chi di soldatini, chi di trenini,
chi di farfalle; a me piacevano le farfalle ed ho raccolto la collezione di farfalle. Ciò
che si inizia da bambino lo si inizia in modo quasi animalesco, quindi si diventa bravi,
si acquisisce tutta un'altra sensibilità, e questa cosa negli anni si è mantenuta nel
senso che la curiosità per le farfalle mi è sempre rimasta; sono addirittura andato in
Nuova Guinea e la Nuova Guinea è il paradiso delle farfalle, ci sono le farfalle più
belle del mondo per dimensioni, colori..., sono talmente belle le farfalle della Nuova
Guinea, così rare che l'uomo le ha messe sotto protezione. Delle 23 farfalle della
famiglia delle ornitottere, 15 sono sotto la Convention or International Trades of
Undangerous Pictures; le farfalle non si possono catturare, non si possono commerciare,
non si possono vendere, quindi sono pressoché scomparse dal mercato, anche se a borsa
nera qualcuno le vende, anche quelle non commerciabili con prezzi che ammontano a migliaia
di dollari, cioè a vari milioni. Un giorno, scherzando, ho cliccato Butterfly su Internet
per vedere se succedeva qualcosa e dopo un paio di minuti Internet mi ha risposto: boom!
Alcuni siti! Ne ho cercato uno e questo si è presentato con la sua paginetta, dichiarando
nella paginetta che lui aveva fatto delle cose che nessuno aveva fatto; per esempio lui
riusciva ad allevare, ed io sapevo quanto quella cosa fosse difficile, alcune famiglie di
farfalle della Nuova Guinea, farfalle che per motivi strani non si fanno allevare, molti
allevamenti di farfalle esistono, ma quelle, in particolare, per motivi strani,
difficilmente si fanno allevare, non ci sono mai riusciti. Allora, con la mia ricerca ho
scoperto che allevava farfalle che a borsa nera erano in vendita dal milione al milione e
mezzo, vendute a 50/60 dollari. Curiosità massima: gli ho scritto, mi ha immediatamente
risposto, c'è stato un piccolo traffico di posta elettronica, poi gli ho mandato un po'
di soldi attraverso un fax perché non mi fidavo; tutto è stato fatto e nel giro di due o
tre settimane le farfalle sono arrivate a casa mia; splendide, meravigliose, a dei costi
dieci volte inferiori ai costi ufficiali, per altro, con tutte le garanzie e tutti i
timbri del governo americano che garantiva che queste farfalle erano di allevamento, non
violavano nulla, e così via. Allora ci siamo incuriositi con un collega poiché con lui
collezioniamo libri d'arte che ormai non sono più in produzione perché l'editore, il
famoso Schirà, da anni ha smesso di produrre questi libri. Ma c'è una collezione di 54
piccoli volumi, un'altra collezione di 30 volumi, ci sono alcune piccole serie e
completarle è un'impresa perché se si trova un antiquario, forse possiede soltanto un
volume. Quindi siamo alla ricerca; quest'estate ne ho trovato uno negli Stati Uniti,
l'altra sera abbiamo provato su Internet, la macchina di ricerca era complicata, abbiamo
imparato ad usare questa macchina di ricerca che voleva le parole dette in un certo modo,
abbiamo battuto Bosch, abbiamo battuto Schirà, abbiamo battuto Art Edition ed alla fine
è venuto fuori che un antiquario di Basilea aveva quel volume a 20 franchi svizzeri,
quindi bastava scrivergli ed il volume arrivava a casa. Lei pensi che cosa avrebbe
comportato questo se io avessi dovuto viaggiare per l'Europa alla ricerca di questo libro!
Io vivo qui a Milano, conosco quei 10/12 antiquari che ci sono, posso fare una presa ogni
due anni, ma non di più. Con Internet forse questa ricerca si chiuderà molto prima di
quanto noi non immaginiamo perché c'è un deposito di informazioni che attiene al
singolo. Queste di cui ho parlato sono informazioni di tipo ludico, ma ci sono
informazioni sul lavoro, documenti, accesso a giornali in base selettiva, ad informazioni
universitarie, c'è l'accesso a libri o a documenti di un certo tipo che io posso stampare
a casa mia con una forma di micro-publishing. Io credo che Internet sarà la strada, al di
là del commercio, per lo sviluppo di una forma di micro-editoria privata per un certo
tipo di informazioni, quindi è un mondo dalle prospettive, a mio avviso, non ancora
esattamente definite; sicuramente è un mondo fortemente orientato al commerciale, ma che
ha delle valenze culturali ancora da esplorare.
Domanda 7
C'è chi ritiene che in questo sviluppo delle tecnologie ciò che più conta sia la
creatività, il fatto di inventare dei contenuti, e non l'innovazione tecnologica in sé
che pure si evolve in maniera veloce. Qual è la sua opinione? Si tratta veramente di un
problema di creatività e di contenuti?
Risposta
Il problema che Lei ha sollevato è uno dei problemi essenziali ed esistenziali di
Internet. Internet, ed in generale la micro-elettronica attuale, è uno strumento di
grandissime valenze e di grande fascino, di grande seduzione, ma anche molto pericoloso.
Io mi sono accorto che potevo usare per la prima volta uno strumento che avevo da tempo e
che non avevo mai cercato di usare in quel modo, rubando ai miei stessi documenti i pezzi
senza doverli scrivere. Di solito si scrive un articolo leggendo, collezionando idee,
sviluppando un modo di pensare, poi, si va a rileggere le frasi e si riprendono
collezionandole, in qualche modo. Ma se questi articoli sono già in formato elettronico e
sono all'interno di un deposito digitale ed da lì si possono estrarre, inserirli in una
memoria e catturarli, allora, col computer si può riprendere l'articolo aprendo una
finestra con i sinonimi, e si può cambiare il testo. In realtà si riesce a sviluppare
qualche cosa che sembra molto originale, ma in realtà è un collage di frasi, di pezzi,
anche di propri articoli, di articoli altrui, che sembra incrementare enormemente la
produttività. Per cui uno diventa un produttore di articoli, di memorie, anche di libri,
se si vuole, che sono incollati elettronicamente ed anche, in un certo senso, gradevoli,
ma che denunciano molto rapidamente all'occhio esperto una sostanziale mancanza di
riflessione e di approfondimento. La creatività è un fatto molto diverso
dall'"incollamento" di frasi; da una parte il computer sembra favorire un certo
tipo di creatività perché mette insieme informazioni diverse e consente certi tipi di
analogie, e la creatività è una forma di analogia: in un certo senso io vedo delle
realtà parallele e le metto insieme. Lei probabilmente avrà seguito il problema di
Unabomber, il pazzo americano che mandava le bombe a tanti studiosi. Ha mandato una bomba
anche a David Gelernter, ferendolo gravemente. Gelernter è uno studioso dell'università
di Yale che ha prodotto un libro sul cosiddetto "pensiero orizzontale", un libro
molto bello. In questo studio, non di intelligenza artificiale, ma di creatività, lo
studioso si pone il problema di che cosa sia la creatività e di che cosa sia il sonno.
Perché sonno e creatività sono così vicini? Perché si fa fatica a dormire quando si è
molto concentrati? E perché quando si è molto concentrati non si riesce ad essere
veramente creativi? L'atto creativo non è un atto sequenziale secondo Gelernter, è un
atto orizzontale, ed anche il sonno, che è una fase di distacco, non è un fatto
sequenziale. Se io sono fortemente coinvolto in un'attività di routine sequenziale,
difficilmente prendo sonno, se mi rilasso e non penso a niente e salto da un argomento ad
un altro, se piove, per esempio, perché la pioggia ha questo rumore così ritmico, mi
addormento più facilmente. Così divento più creativo se riesco a lavorare in
orizzontale, piuttosto che in verticale. Allora, se il computer riesco ad utilizzarlo
orizzontalmente perché riesco a prendere informazioni differenziate e a portarle insieme,
forse questo aiuta la mia creatività; ma se io prendo il computer e quella che è la sua
caratteristica più precipua - quella di essere velocissimo sequenzialmente- ciò lede la
mia creatività; non divento creativo scrivendo un romanzo perché vado a vedere tutti i
sinonimi. Qualche volta, scherzando, racconto il famoso paradosso Tolstoj-Flaubert:
Flaubert aveva scritto Madame Bovary, Tolstoj aveva scritto Anna Karenina; Anna Karenina
ha, in realtà, due storie d'amore e Madame Bovary ne ha una sola. L'eroina, in Madame
Bovary è soltanto Emma Bovary, in Anna Karenina le eroine sono due: una muore e l'altra
invece giunge ad un matrimonio felice. Ma quello che è interessante è che tutti e due
gli autori su questi romanzi hanno lavorato a lungo; il romanzo di Tolstoj, che è tre
volte più lungo di quello di Flaubert, è durato un anno in stesura; quello di Flaubert
che sembra, tutto sommato, piccolo -300 pagine- ha richiesto una stesura di quasi 3 anni,
e, se ricordo bene, la stesura di 20 pagine ha richiesto 90 giorni di lavoro. Adesso, si
potrebbe immaginare di dare un computer in mano a Flaubert e Flaubert avrebbe scritto
queste 20 pagine in un'ora: impensabile. Flaubert era perennemente alla ricerca della
parola giusta, della giusta espressione, dell'inserimento di quel concetto, cioè
dell'atto creativo puro, di come la narrativa si deve porre. La narrativa è un esempio di
creatività, bisogna stare molto molto attenti a rapportare il computer alla creatività,
può essere un grande strumento di creatività, ma può essere anche un illusorio
strumento di creatività. Tanta produzione, ma scarsa qualità.
Domanda 8
Negli ultimi 20 anni la cultura umanistica ha perso completamente un ruolo sociale. Ora la
tecnologia trasmette l'informazione attraverso dati, ed in quanto tali, esistono. Il
problema semantico di queste informazioni potrebbe ridare un ruolo alla cultura
umanistica?
Risposta
Ciò che Lei dice è certamente vero. Noi viviamo un momento veramente tragico: il
ventesimo secolo è stato, forse, il secolo più tragico nella storia dell'umanità. Ciò
perché è stato il secolo delle più grandi contraddizioni dal punto di vista filosofico
ed etico. Questo è stato il secolo in cui la tecnologia è veramente esplosa, ma in cui
la sofferenza umana è anche esplosa: non possiamo dimenticare che due guerre mondiali,
soprattutto la seconda, hanno avuto momenti di crudeltà inimmaginabile. Abbiamo visto il
crescere di una tecnologia straordinaria che si accompagnava, d'altro canto, a delle
aberrazioni, una su tutte il nazismo, incredibili per le sofferenze inflitte all'umanità:
uomini che non sono stati considerati uomini, ma "sottouomini". Cosa ci ha
condotto a questo? Che cosa c'è di strano oggi nel discorso della tecnologia? Il discorso
di Internet ed il discorso della microelettronica, di questa nuova forma di
alfabetizzazione, come si situa in un discorso evolutivo del genere umano? Per essere
anche sostanziali in questo discorso: nel corso degli ultimi 3 o 4 secoli noi abbiamo
assistito ad un divaricarsi di due culture a cui Lei ha fatto riferimento: da una parte la
cultura tecnico-scientifica e dall'altra parte la cultura umanistica. Io direi che a
partire da poco prima dell'illuminismo, da Jean Jacques Rousseau, noi vediamo da una parte
gli umanisti e dall'altra parte il positivismo, gli scienziati, la tecnica premia di se
stessa. Oggi la tecnologia sta avvolgendo tutto: l'informazione sembra essere
distribuibile da tutte le parti, noi siamo in grado di distribuire qualunque tipo di
informazione, di fare qualunque tipo di viaggio, di pervenire, al di là di certe
difficoltà, al dominio di certi tipi di energia, però non vediamo di pari passo crescere
il tasso di felicità umana; sembra, per dire un paradosso, che la vita si allunghi, ma
poi non valga la pena di essere vissuta così a lungo. Un'intervista recente data da
Norberto Bobbio qualche giorno fa per il suo ottantaseiesimo anno di età diceva:
"Sì, è vero, sono invecchiato, però mi domando se valeva la pena di vivere così
quando un Montaigne diceva a 40, sono vecchio". Dov'è il problema e cosa la
tecnologia potrebbe dare? Sembra che la tecnologia possa risolvere certi problemi, ma non
risponde alle domande fondamentali dell'essere umano. Le domande che l'essere umano si
pone sono di due tipi, e, a questo proposito, mi consenta di citare Freud: Freud diceva
nel suo testamento spirituale che noi abbiamo tre nemici: il nostro corpo che invecchia e
non c'è niente da fare, la natura che ci circonda che è piena di imprevisti, terremoti,
esplosioni, temporali, pestilenze (e anche qui ci attrezziamo con la tecnologia per
difenderci), ma soprattutto (e lo diceva già Socrate e tutti i filosofi greci), il
rapporto con i nostri simili, cioè l'etica. Internet, con tutte le sue difficoltà
tecniche, con tutte le sue contraddittorietà, paradossalmente, potrebbe favorire un altro
tipo di etica più generale. Qualche mese fa ho letto l'intervista del cardinale Kung
proprio su questo tema, in cui lui diceva, proprio da uomo di religione, che Internet
potrebbe stabilire un diverso tipo di etica di tipo mondiale, di tipo più generale. Oggi
non c'è cultura o civiltà che non riconosca come comandamento fondamentale quello del
non uccidere, non c'è nessuna società umana che accetti l'atto dell'uccisione del
prossimo come un atto permissibile, però è troppo basso come denominatore comune,
occorrono denominatori comuni più generali perché l'umanità sia felice e si riconosca.
Quindi dobbiamo, in un certo senso, individuare -e forse potremo farlo con questa
distribuzione così pervasiva e capillare di informazione- un denominatore comune più
alto in cui tutta l'umanità si riconosca, e che Internet potrebbe favorire. Però non
dobbiamo dimenticare che l'uomo è anche un animale particolare, è anche legato al suo
territorio di caccia, l'uomo è ancora un animale uscito dalle caverne. Tanto per dire una
banalità: mediamente, in base ad uno studio che ho letto recentemente, l'uomo trascorre
all'aria aperta non più di un paio di ore al giorno, il resto del tempo lo trascorre al
chiuso come lo trascorreva al chiuso tre, quattro, dieci, venti, mille anni fa l'uomo
delle caverne; l'uomo tende a tornare nella caverna! Le persone vogliono tornare nel
terreno in cui sono nate perché c'è un profondo attaccamento biologico al terreno, al
gruppo, al clan, al particolarismo, al dialetto, alla localizzazione. Bisogna riuscire a
sposare, a coniugare il pregio della localizzazione e della particolarità con la
generalizzazione di certi imperativi e di certe categorie morali. Io credo che da questo
punto di vista forse siamo e potremmo essere all'alba di un nuovo
"rinascimento". Il grande rinascimento cui abbiamo assistito era molto simile a
quello greco: l'uomo del Rinascimento non distingueva fra umanesimo e scienza come il
greco non distingueva fra umanesimo e scienza; noi, oggi, distinguiamo la scienza e gli
umanisti, guardando quasi agli umanisti come ormai ad una minoranza. Queste persone forse
studiano delle aree a cui la tecnologia non può dare risposta, che sono quelle dei valori
di cui noi abbiamo bisogno, ed un valore soprattutto fondamentale è: che cosa viviamo a
fare, qual è l'obiettivo della nostra vita, quali sono i nostri obiettivi. La tecnologia
non ci può dire quali siano gli obiettivi della vita, ci può aiutare a raggiungerli.
Stabilire gli obiettivi è un altro compito.
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