INTERVIEW:
Domanda 1
Ci sarà una evoluzione dei sistemi educativi e culturali in un futuro digitale?
Risposta
Il futuro sarà digitale soltanto se avverrà un cambiamento dei modelli educativi e
culturali. Io mi soffermo piuttosto sul cambiamento dei modelli educativi, che dipende da
due questioni fondamentali: quella organizzativa, strutturale e tecnologica della scuola e
l'altra più ampia, o più culturale, più pedagogica del modo di pensare la formazione e
l'educazione, quindi dei processi di conoscenza che si attivano all'interno delle
istituzioni formative. Solo in questo caso il futuro cambierà all'interno della scuola.
Io non sono molto convinto che siamo entrati in un futuro digitale, nonostante tutte le
esperienze condotte in questi anni con le nuove tecnologie, soprattutto con quelle della
comunicazione educativa. Credo, però, che stiamo sperimentando situazioni innovative
all'interno della scuola, ma ogni volta che si propongono progetti sperimentali, vuol dire
che noi stiamo coinvolgendo una porzione minima del mondo della scuola, degli insegnanti,
dei bambini, dei ragazzi; mentre contemporaneamente, tutti i bambini e i ragazzi, invece,
si trovano già, nel contesto sociale e culturale, in un futuro di cambiamento.
Domanda 2
Il libro è il medium, per eccellenza, per l'apprendimento. Fino a che punto il multimedia
potrà ricreare nuove forme di apprendimento?
Risposta
Il multimedia può cambiare sostanzialmente il modo di approccio della cultura scolastica
nei confronti degli oggetti del sapere, degli oggetti in cui il sapere viene riprodotto,
ristrutturato. Il rapporto che il bambino, il ragazzo o il giovane hanno con il libro è
un rapporto difficile, poiché il libro è un testo stabile, rispetto al quale il ragazzo
viene invitato a costruirsi degli strumenti difficili, sintattici, semantici, pragmatici
di lettura. Il giovane, rispetto a questo testo, si trova nella condizione di non potere
operare modificazioni. Anche nei confronti del testo audiovisivo classico come è il
cinema, il giovane è stato abituato ad un approccio che non va a modificare questo
strumento di comunicazione e di cultura, questo testo. Solo nei confronti di un approccio
ipertestuale, piuttosto che multimediale, è possibile costruire il testo, entrare in modo
attivo nella modifica del testo. L'ipermedialità produce qualche cosa di ulteriormente
innovativo, poiché, assieme agli elementi di natura scritta, introduce anche materiali di
natura visiva e sonora. Solo da questo punto di vista credo che si possa innovare
profondamente il modo di percepire i nuovi testi. Uso, non a caso, la parola
"percepire" e non leggere, perché vi è un intervento sostanziale di tutta la
sensorialità, non solo della mano, non solo dell'occhio, non solo dell'udito, ma della
totalità del corpo, che è strumento fondamentale per un approccio alla conoscenza degli
ipertesti, degli ipermedia, dei multimedia.
Domanda 3
A suo avviso è netto il divario tra l'avanzamento tecnologico e la possibilità di
portare nuovi contenuti dentro i nuovi media?
Risposta
Il divario esiste ed è profondo; anche perché bisogna fare una distinzione fondamentale,
io credo, fra il contesto culturale e formativo della scuola e il contesto di consumo
della comunicazione visiva, audiovisiva, multimediale. La scuola è abituata a muoversi
all'interno di un proprio luogo protetto al livello sociale e culturale, in cui il primato
è quello della formazione e non dell'informazione; nella scuola è importantissimo avere
degli strumenti di lettura dei testi, mentre tutto ciò che fa parte del consumo culturale
extrascolastico è qualcosa che non viene considerato dagli insegnanti, che non viene
considerato dal sistema, non c'entra nulla con i programmi, non viene valutato a fine anno
e di cui non si tiene conto nonostante il grande interesse dei ragazzi e dei giovani per
il contesto di consumo. Finché il contesto di consumo culturale e quello di approccio
critico agli stessi testi, scritti, visivi, audiovisivi, multimediali non trova degli
elementi di integrazione, l'innovazione non passa attraverso la scuola. Ecco perché si
pensa che i prodotti "off line", come sono i prodotti CD ROM, come i CD, o le
videocassette, non debbano entrare nella scuola; ma il cambiamento diventa importante,
possibile, se la scuola si apre, se la scuola si mette in una rete tecnologica di
comunicazione con altre scuole, con ciò che si trova fuori dalla scuola: tutti coloro che
entrano nelle reti di comunicazione, centri e singoli individui. Credo che questo sia il
rischio vero che la scuola in questo momento deve correre.
Domanda 4
Può rappresentare un problema trovare il modo per veicolare più efficacemente il
contenuto, il messaggio dentro il medium?
Risposta
Credo che quello di trovare forme nuove di veicolare il contenuto sia un problema. Io,
però, continuo a pensare che le forme nuove di trasmissione di contenuti siano quelle che
la scuola stessa riesce a trovare. Se ragazzi ed insegnanti non diventano attivi in questa
ricerca di forme nuove da dare ai contenuti all'interno dei normali processi formativi,
dei normali processi di apprendimento, lo sforzo che dall'esterno si può fare - sia per
quanto riguarda le tecnologie, sia per quanto riguarda l'offerta anche creativa di
contenuti di qualità da parte dell'editoria elettronica, in questo momento in modo
particolare - non andrà a buon fine. L'editoria normale, anche quando ha lavorato per
offrire prodotti di qualità, non è riuscita in larga misura a modificare il sistema, i
processi di apprendimento all'interno della scuola, nonostante abbia innovato molto negli
ultimi anni, negli strumenti-libro che ha prodotto. Perché la scuola, nonostante ciò,
non cambia in profondità? Poiché le metodologie, le didattiche sono di natura
trasmissiva, fondate sulla lettura dei testi; non sono didattiche di natura attiva,
coinvolgente, che portano i ragazzi a liberarsi della protezione dell'insegnante e a
lavorare direttamente, a costruire direttamente, a dare nuova forma ai propri processi di
conoscenza, anche ai propri desideri, anche al proprio immaginario, anche alla propria
fantasia. La scuola è chiusa nei confronti di questo processo, di questo modo diverso di
apprendere, ed è difficile farlo capire a generazioni di insegnanti che hanno vissuto
all'interno di un sistema in cui hanno sperimentato processi diversi. Nella scuola c'è
così poca attenzione da parte degli insegnanti verso quello che avviene fuori! C'è,
viceversa, una tensione di rifiuto, di censura verso quel mondo, dicendo ai ragazzi che
tutto quello che sta fuori non è cultura, e che a loro non serve molto. Questo
atteggiamento non è voluto da parte dell'insegnante, ma fa parte della sua formazione,
del modo e del mondo in cui ha vissuto. Voglio essere più cattivo: fa parte
dell'università che ha frequentato, un'università chiusa per tanti anni al cambiamento.
Se c'è un luogo in cui le tecnologie della comunicazione educativa sono sconosciute è
l'università. Se c'è un luogo in cui la didattica è una didattica trasmissiva, con
spesso la sparizione anche fisica degli insegnanti, dei docenti, è l'università. Un
insegnante che si forma lì, non è in grado ancora, in questo momento, di avere un
rapporto diverso con i bambini, con i ragazzi.
Domanda 5
E necessario, quindi, un grande lavoro per rendere comprensibile il possibile?
Risposta
Sì, bisogna fare un grande lavoro. Io ho citato l'università perché se non formeremo
gli insegnanti all'università in modo diverso, attraverso le nuove tecnologie, se non
interverranno degli elementi strutturali in termini di investimenti, oltre che di
aggiornamento degli insegnanti, la scuola non potrà cambiare. Il problema non riguarda
soltanto le tecnologie, intese come strumenti. Abbiamo visto molte scuole dotate di
tecnologie finite fra le ragnatele, perché non sono state utilizzate. Il problema dunque
riguarda linvestimento di risorse nel sistema formativo collegato al sistema
esterno. Questo rappresenta l'altro spreco del nostro paese: non siamo riusciti a
collegare gli sforzi di un sistema di televisione pubblico, come la RAI, di un sistema di
telefonia pubblico, come Stet o Telecom, ad un sistema di formazione pubblico, come la
scuola e l'università. Non siamo riusciti a creare quei collegamenti necessari ad operare
il cambiamento; e questo credo che sia oggi la partita persa e forse anche la scommessa
per un futuro diverso.
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