Digital library (interview) RAI Educational

Paolo Ferri

Milan, 26 November 1997

"The virtual community"

SUMMARY:

  • Virtual communities are "islands in the Net" where people meet and establish relationships. Many are based around research or political interests (1).
  • Ferri discusses various theories on the difference between "community" and "society" and how these relate to virtual communities. He believes that access to the Internet should be the right of every citizen (2).
  • More and more people are participating in politics through the Internet because virtual communities are not hierarchical and allow a more democratic exchange of information than traditional structures. However, as with all forms of "direct democracy" such as referenda, there is a danger of it becoming an instrument of manipulation (3).
  • Ferri analyses the works of William Gibson and Sherry Turkle (4).
  • Howard Rheingold was the first to formulate the idea of the virtual community. He and Pierre Levy, with his idea of "collective intelligence", have helped to create a great deal of enthusiasm for this technological transformation, but are in danger of ignoring that even on the Internet there are conflicts and power struggles (5).
  • The Internet is an important factor in the globalisation of culture. This is already a reality in the academic community (6).

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INTERVIEW:

Domanda 1
Qual è la sua definizione di comunità virtuale?

Risposta
Per usare una metafora che viene dalla letteratura ed in particolare da Bruce Sterling, uno dei massimi letterati 'cyber-punk', direi che le comunità virtuali sono isole nella rete, luoghi tridimensionali che si aprono all'interno della rete telematica e, dove, effettivamente come in una piazza, come in un'Agorà dell'antica Grecia, la gente si incontra, si trova e stabilisce delle relazioni. In queste isole le relazioni sono molteplici e costituiscono sostanzialmente un "doppio", anche se modificato, di tutte le relazioni comunitarie, di tutte le relazioni sociali ed affettive, e, paradossalmente, anche erotiche, che si svolgono nella vita reale. In queste piazze virtuali si chiacchiera del più e del meno, ci si seduce, nelle chat-line soprattutto, nelle messaggerie on-line. Si studia, tuttavia, il motivo per il quale ci siano comunità virtuali, luoghi nei quali si apprende e ci si scambia sapere e conoscenza.

Esistono siti dedicati a particolari aspetti della cultura, come il grosso sito americano alla Brown University che si occupa del Decameron: lì sono presenti coloro che studiano il Decameron, e gli studiosi provengono da qualunque parte del mondo; quest'ultimo aspetto rappresenta un altro vantaggio delle comunità virtuali rispetto a quelle reali, che possono essere fruite da punti molto lontani anche spazialmente: lì, nel sito, tutti coloro che sono interessati al Decameron possono trovare il testo, le analisi del testo, le analisi critiche. Ci sono, in rete, pezzi di film di Pier Paolo Pasolini sul Decameron e altri pezzi filmati sul Decameron; c'è, dunque, tutta una struttura sulla storia degli effetti del Decameron nella storia della cultura. Soprattutto può succedere che lo studioso interessato può lasciare lì il suo contributo, il quale diventa immediatamente parte del Decameron Web. Le comunità di ricerca sono un aspetto di questi luoghi nella rete; altri aspetti sono le comunità di azione politica. Noi sappiamo che, in realtà, questa realtà ha anche un suo lato negativo, poiché la rete viene utilizzata dalle organizzazioni criminali. Si stanno generando, tuttavia, comunità particolari dal punto di vista politico-sociale; in Italia, quella più nota è la 'Città invisibile': una libera associazione che è nata sulla rete tre o quattro anni fa, dove, sulla base di uno statuto si aderisce alla 'Città Invisibile': sostanzialmente, si tratta di una comunità di azione rispetto a fatti o eventi politici o sociali; una parte del così detto 'popolo dei fax' è stato coordinato, per larga misura, dalla 'Città invisibile'. Oppure, esistono organizzazioni politiche che hanno il loro luogo, la loro isola, nella rete, da dove diffondono messaggi.

Durante la scorsa campagna elettorale io ho ricevuto messaggi da tutti e due i poli, per esempio! La simpatica candidata del polo della mia zona, che io non ho votato, mi ha scritto per invitarmi a votarla, così come ho ricevuto messaggi dalla coalizione che ho votato. Dunque, queste comunità virtuali che si stanno strutturando costituiscono, per molti versi, un doppio virtuale della vita reale, che, però, ha caratteristiche differenti e singolari rispetto alla vita, alle comunità che si strutturano nel mondo reale.

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Domanda 2
In che modo le comunità virtuali differiscono da quelle reali?

Risposta
Nella teoria sociologica classica per comunità si intendono tutte quelle relazioni che si basano sul rapporto madre-figlio, sul modello della comunità familiare; per società si intende, invece, l'insieme delle relazioni formali: il mercato, lo stato, le istituzioni, all'interno delle quali i rapporti non sono regolati da istanze di tipo affettivo-comunitario, ma da istanze di tipo formale e istituzionale.

Una bellissima immagine di Hegel dice: "la società è la legge del giorno e la comunità è la legge della notte"; quest'ultima contiene in sé, dunque, una istanza più solidaristico-affettiva che formale. In realtà, questa distinzione classica tra comunità e società è stata criticata da alcuni teorici della filosofia contemporanea, come dal grande filosofo francese Jean Luc Nancy: egli sostiene che, in realtà, la distinzione tra comunità e società non è così netta ma, che anzi, non esiste; non si può dire che esista una comunità mitica, originaria, tutta buona e una società fredda, calcolistica e tutta cattiva; i due fenomeni si intersecano. Questa è una tesi che io condivido molto. Per quanto riguarda le comunità della rete, esse posseggono tutte e due le istanze: ci sono siti e comunità che sono di natura strettamente commerciale, oppure istituzionale, dove vi si partecipa in ragione di una funzione o di un ruolo regale che si sfoggia. Ci sono, poi, comunità che si basano molto più su reti di affinità, su interessi comuni. Tra gli studiosi il dibattito sul concetto di comunità virtuale e sulla differenza tra comunità in senso tradizionale e comunità virtuale, si è sviluppato proprio su questo problema: quello della persistenza e della durata delle comunità virtuali; il teorico Tomàs Maldonado ha ripreso questa tesi nel suo ultimo libro: Critica della ragione informatica, sostenendo che le comunità virtuali hanno delle caratteristiche di eccessiva fragilità; non reggono, per esempio il conflitto interno tra i membri, mentre nelle comunità reali, posizioni spesso diverse stanno dentro un unico contenitore. Altri teorici post moderni fautori del pensiero debole sostengono che tale debolezza sia strutturale, sia intrinseca delle comunità virtuali, e sia un vantaggio, perché - come analizza la psicologa Turkle - questa debolezza, in realtà, permette di stabilire i vincoli comunitari non sulla base di rapporti di potere, ma sulla base di scelte libere basate su affinità di interessi; dunque, in questa prospettiva, tale debolezza si trasforma in un valore positivo.

Io penso che la verità stia un poco nel mezzo, perché se si pensa ad alcune comunità della rete come la comunità dei banchieri, non si può dire certo che sia una comunità debole: è basata su una rete di affinità, nel senso che tutti puntano al profitto; se si pensa alla comunità degli speculatori, si tratta di una comunità molto forte, basata su reti di affinità che nei fatti ha degli effetti molto pesanti sulla realtà; queste comunità mettono in discussione le teorie di Talbot o Maldonado, che sostengono il contrario! In questo senso, io credo, si esca dal paradosso che le comunità virtuali possano costituire una estensione delle nostre possibilità di relazione comunitaria. Se analizziamo l'ambito più ristretto dell'università, ciò si comprende molto bene: l'università nasce nel medioevo proprio come 'universitas', cioè come comunità di studiosi che tendenzialmente provenivano da luoghi disparati d'Europa (ciò può sembrare inverosimile, ma allora c'era una mobilità molto alta tra gli intellettuali), e come tentativo di mettere insieme saperi diversi. In seguito si struttura secondo le regole dello stato-nazione e, in qualche modo, si chiude; ciò soprattutto per quello che riguarda i saperi umanistici. Nel campo della comunità scientifica è diverso perché i fisici, i matematici hanno sempre comunicato sulla base di un linguaggio comune, ed è sempre stato più facile per loro interagire. Le comunità dei filosofi, degli anglisti, dei letterati, viceversa, erano comunità chiuse che avevano regole di comportamento definite all'interno della singola comunità virtuale. Da questo punto di vista, la comunità della rete, come nel caso del Decameron Web, sono luoghi dove si studiano collettivamente soggetti, ed in questa direzione possono rompere questa chiusura un poco provincialistica; ciò vale per l'università italiana che ha tratti molto spesso più provinciali delle altre, e le comunità virtuali possono effettivamente promuovere un ritorno all'ideale originario dell'università come 'universitas', aperta ai contributi di tutti gli studiosi. In questa prospettiva, mi sembra che, come sempre, il problema riguardi la gestione delle possibilità di accesso alla rete, perché il diritto all'essere connessi dovrebbe essere un diritto di cittadinanza; questo processo può avvenire soltanto se l'accesso alla rete non resterà un privilegio di pochi. Se questo non accade la rete potrebbe diventare uno strumento di, addirittura, discriminazione sociale.

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Domanda 3
Per quanto riguarda la comunità politica, si è detto che le nuove tecnologie possono, in qualche modo, allargare la democrazia. Lei condivide questa opinione?

Risposta
Il politologo americano Dahl, di cui in Italia si è occupato Giorgio Galli, sostiene da tempo la teoria del 'micropopulus': la possibilità di estendere le decisioni su grandi questioni ad un campione selezionato di persone, di popolazione, che potesse, attraverso strumenti elettronici, esprimersi e costruire la decisione collettivamente. Si tratta di una teoria molto affascinante, ma che presenta anche molti lati problematici: è evidente che la partecipazione delle persone alla vita politica attraverso i media telematici si accresce, ma perché si accresce? La televisione è un media 'uno-tutti': c'è un centro di produzione dal quale si irradia un messaggio che va sulla massa.

I media telematici hanno, invece, la caratteristica di favorire una comunicazione 'tutti-tutti': per mettere in piedi un centro di produzione televisiva ci vogliono molti più soldi che non per dotarsi di un collegamento alla rete. Lo schema a rete non è una connessione gerarchica, o ad imbuto, non c'è un centro, come per la televisione. Ciò, evidentemente, permette una circolazione più democratica delle informazioni e potrebbe permettere anche dei livelli di democrazia diretta. Alcuni studiosi hanno detto: "attraverso la telematica noi potremmo votare su molte più questioni che tradizionalmente" ; si corre, però, un rischio, quello del plebiscitarismo, come per i referendum: se i referendum diventano estesi a questioni che non sono controllabili direttamente dalla popolazione, il rischio che si corre è che questa estensione della democrazia diventi uno strumento di manipolazione; e, come sempre, ancora, il problema è quello della gestione politico - istituzionale, che si realizza nella pratica dei nuovi media che in sé sono neutri, io credo.

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Domanda 4
Vogliamo analizzare le posizioni di Gibson e della Turkle?

Risposta
Io sono un appassionato di letteratura cyber-punk e questa passione, effettivamente, mi mette in una posizione un poco "spiazzata" rispetto agli anglisti del mio Istituto che si occupano del Settecento! Le loro intuizioni sono state assolutamente illuminanti; si pensi che Gibson scriveva, nei primi anni Ottanta, Neo Romance, il suo primo romanzo, dove ipotizzava cow-boy elettronici che navigavano in questa matrice fatta, peraltro, di oggetti fisici: questi soggetti entravano in comunicazione con la rete e nella rete si muovevano attraverso palazzi di dati, ponti di dati, piazze di dati. In realtà, questa visione era assolutamente profetica, perché nei fatti la rete è composta in questo modo: i browser grafici di oggi ti permettono di navigare attraverso cumuli di dati e, quanto più diventerà tridimensionale la grafica dei browser tipo Netscape, tanto più sarà vero ciò che profetizza, se vogliamo, Gibson. In un sito bibliotecario di Cagliari del C.N.R. hanno già realizzato una biblioteca, costruendola graficamente: si può selezionare il libro, tirarlo giù, aprirlo. La visione di Gibson di questa città dei dati costruita, però, come un luogo solidamente fisico, (in realtà, i personaggi di Gibson possono anche morire dentro questa rete, nella "matrice", come la chiama Gibson), era assolutamente una visione profetica e, inoltre, ci dice molto anche sulla natura delle comunità virtuali; egli descrive, in luce virtuale, un ponte di quelli che connettono Los Angeles alla terra ferma. Questo ponte, virtualmente, si trasforma in una città: una struttura che doveva servire al trasporto, in questo caso non delle informazioni ma delle merci, è diventata, nei fatti, un luogo dell'abitare, e Gibson descrive in maniera molto affascinante tutta questa umanità, randagia e antagonista che si è assiepata dentro questo ponte; sui vari piloni ci sono botteghe, luoghi dove ci si fanno i tatuaggi, ristoranti cinesi, e così via, una vera comunità nata sopra questo mezzo di comunicazione. Questa metafora di Gibson è molto calzante, perché, nei fatti, la rete telematica è nata esattamente così. Era nata con il progetto 'Arpanet' intorno al 1967-68 per il Pentagono come uno strumento per favorire le comunicazioni in caso di attacco militare nucleare sovietico; si volevano eliminare i centri di comando e di controllo radiofonici perché erano facilmente individuabili dai missili nemici e si voleva creare una struttura di comunicazione che permettesse, qualora si fosse interrotta la comunicazione in un punto, di passare da un altra parte; qui nasce il concetto iniziale della rete: una struttura senza centro dove le informazioni passano, a caso, da una delle migliaia di possibili interconnessioni tra i punti; una struttura per il trasporto di informazioni, quindi, per impedire che le informazioni stesse si interrompessero. E' divertente scoprire che, immediatamente, nelle idee dei primi pionieri della rete, nasce la prima comunità virtuale che è una bacheca elettronica dove i ricercatori del progetto 'Arpanet' si scambiano opinioni su 'Star-trek' e sulla fantascienza. Immediatamente, questa utilizzazione della rete diventa molto più importante di quanto non fosse l'uso per cui la stavano progettando; anche in questo caso, originario, questa struttura che doveva servire al trasporto di informazioni, diventa un luogo dell'abitare telematico, un'estensione della nostra corporeità.

La Turkle: nel suo primo libro, Il secondo Io, la studiosa sostiene come progressivamente noi siamo passati, nel rapporto con la tecnologia, da un approccio di tipo strumentale, ingegneristico, per così dire, ad un modello del computer come simulazione dell'identità. E' vero che quando uno si rivolge al computer, soprattutto quando gli cancella qualcosa, lo insulta come insultasse un essere umano, e questo atteggiamento è il segno di un momento più profondo che si stabilisce nel rapporto con il mezzo: si tende a considerare il computer o come un interlocutore o come un'estensione del nostro corpo. La Turkle, riprendendo il ragionamento di Foucault sull'individuo come bio-corpo tecnologico, dove la tecnologia è un'estensione della natura, sviluppa l'idea del computer come secondo 'Io', e dice che questa estensione si è data nel momento in cui i computer sono passati dall'essere macchine ingegneristiche ad essere macchine di finzione: da quando si è passati da una struttura di dati e di comandi molto complessi, come quelli del DOS, a una struttura che equivale ad un ambiente virtuale, il precursore del sistema operativo Macintosh da cui poi derivano anche tutti quelli più recenti. Da quando si sono creati questi ambienti virtuali, ha cominciato a costruirsi questo doppio virtuale della nostra identità che, in qualche modo, la tramuta anche.

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Domanda 5
Qual è, invece, la visione di Rheingold?

Risposta
Rheingold è tra gli utopisti, tra i teorici più accesi e più visionari e anche, forse, più ingenui della comunità virtuale. Questo studioso ha il grandissimo merito di essere stato il primo ad aver riflettuto sulla natura delle comunità virtuali, riflessioni che si sono concretizzate in un suo famoso libro che risale agli inizi degli anni Novanta, che prende il titolo di Comunità Virtuali. Inoltre, egli è il primo teorico che ha studiato una particolare comunità virtuale, 'Well', una delle prime nate in America, e che dal 1985, anno in cui è stata fondata, si è sviluppata enormemente e conta, oggi, più di settanta, ottantamila aderenti. Dentro questa comunità virtuale vi sono più di 270 conferenze: da conferenze dove ci si scambiano consigli sull'educazione dei figli ("Essere genitori") a piazze virtuali molto più serie sulle nuove tecnologie, oppure su questioni varie del sapere. Studiando 'Well', Rheingold è stato il primo che ha formulato l'idea che le comunità virtuali potessero rivoluzionare radicalmente le nostre relazioni e l'ordinamento sociale tradizionale; per questo particolare aspetto del suo pensiero sostengo che egli sia un teorico molto utopico e anche, per certi versi, un poco ingenuo. Mi viene da pensare all'idea che ci si faceva nel campo delle comunicazioni di massa, delle radio libere; quando sono cominciate a nascere le radio libere si diceva : "questo cambierà radicalmente tutto, diventeremo tutti produttori di informazioni e avremo accessi più liberi".

E' vero che nella visione di Rheingold, le comunità virtuali sono alternative, per esempio, allo stato-nazione, nella possibilità di realizzare un grandissimo stato trasnazionale fatto di relazioni più umane più solidaristiche. A mio avviso, in questo aspetto del pensiero raingoldiano si coglie un vizio, per dir così, concettuale: in opposizione alla sociologia classica, si ipotizza una comunità mitologica, allo stesso modo in cui Rousseau concepiva la sua idea dello stato di natura: l'idea di un eden nel quale tutti i problemi sociali del conflitto, dello scontro, il problema della gestione spesso autoritaria del potere si risolvono; ecco perché dico che Rheingold è un utopista.

Se la rete è, come dice Sherry Turkle, un doppio virtuale del mondo reale, allora, anche sulla rete si daranno conflitti, anche sulla rete si daranno lotte di potere, lo vediamo già: la Microsoft ha tentato di monopolizzare la rete con la creazione di Microsoft network, poi ha fallito perché la rete ha questa struttura effettivamente troppo policentrica per essere governata da un soggetto solo! E' vero, però, che questo è un problema che si porrà; in questa prospettiva, l'ideale un poco utopico di un ritorno ad una sorta di comunitarismo - visto che di comunismo è difficile parlare in questi tempi -, originario di Rheingold non tiene conto anche degli scontri di potere concreti che si verificano per la gestione della rete. La sua teoria è molto affascinante e, certamente, insieme a Pierre Levy, il quale teorizza il fenomeno di 'intelligenza collettiva' che la rete dovrebbe produrre, ha contribuito a creare grande entusiasmo intorno a questa trasformazione tecnologica. Ma bisogna tenere conto che accanto ad una idea di neo comunitarismo se ne può sviluppare un'altra, antitetica: quella di un accentramento del potere; forse è meglio stare in mezzo a queste due alternative.

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Domanda 6
Lei crede che la rete possa condurre ad una globalizzazione della cultura?

Risposta
Penso di si. Si tratta di un fenomeno innato ed anche molto positivo; come dicevo prima, si sono consolidati dei canoni culturali ed anche disciplinari un poco provinciali, soprattutto nelle discipline umanistiche; la rete scardinerà questi canoni provinciali e, probabilmente, anche nelle discipline umanistiche, assisteremo ad una situazione simile a quella delle discipline scientifiche. Nelle discipline scientifiche, la validità delle tesi degli studiosi che vengono pubblicate, non è di natura clientelare; nelle discipline umanistiche questo non avviene, poiché l'interpretazione di un autore è soggettiva.

I siti internazionali su oggetti specifici che stanno nascendo sulla rete sono un esempio di globalizzazione, poiché lo scambio tra gli studiosi si sta allargando. Ciò produrrà un elemento positivo: la nascita - sta' già accadendo- di una comunità globale di ricerca; al di là delle utopie è un fatto che sta' accadendo! Io, per esempio, dovendo scrivere un saggio sullo storicismo tedesco, ho trovato un saggio molto interessante su Weber in rete di uno studioso del Camerun: non avrei mai letto questo scritto senza la rete.

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