INTERVIEW:
Domanda 1
Qual è la sua definizione di comunità virtuale?
Risposta
Per usare una metafora che viene dalla letteratura ed in particolare da Bruce Sterling,
uno dei massimi letterati 'cyber-punk', direi che le comunità virtuali sono isole nella
rete, luoghi tridimensionali che si aprono all'interno della rete telematica e, dove,
effettivamente come in una piazza, come in un'Agorà dell'antica Grecia, la gente si
incontra, si trova e stabilisce delle relazioni. In queste isole le relazioni sono
molteplici e costituiscono sostanzialmente un "doppio", anche se modificato, di
tutte le relazioni comunitarie, di tutte le relazioni sociali ed affettive, e,
paradossalmente, anche erotiche, che si svolgono nella vita reale. In queste piazze
virtuali si chiacchiera del più e del meno, ci si seduce, nelle chat-line soprattutto,
nelle messaggerie on-line. Si studia, tuttavia, il motivo per il quale ci siano comunità
virtuali, luoghi nei quali si apprende e ci si scambia sapere e conoscenza.
Esistono siti dedicati a particolari aspetti della cultura, come il grosso sito
americano alla Brown University che si occupa del Decameron: lì sono presenti
coloro che studiano il Decameron, e gli studiosi provengono da qualunque parte del
mondo; quest'ultimo aspetto rappresenta un altro vantaggio delle comunità virtuali
rispetto a quelle reali, che possono essere fruite da punti molto lontani anche
spazialmente: lì, nel sito, tutti coloro che sono interessati al Decameron possono
trovare il testo, le analisi del testo, le analisi critiche. Ci sono, in rete, pezzi di
film di Pier Paolo Pasolini sul Decameron e altri pezzi filmati sul Decameron; c'è,
dunque, tutta una struttura sulla storia degli effetti del Decameron nella storia della
cultura. Soprattutto può succedere che lo studioso interessato può lasciare lì il suo
contributo, il quale diventa immediatamente parte del Decameron Web. Le comunità
di ricerca sono un aspetto di questi luoghi nella rete; altri aspetti sono le comunità di
azione politica. Noi sappiamo che, in realtà, questa realtà ha anche un suo lato
negativo, poiché la rete viene utilizzata dalle organizzazioni criminali. Si stanno
generando, tuttavia, comunità particolari dal punto di vista politico-sociale; in Italia,
quella più nota è la 'Città invisibile': una libera associazione che è nata sulla rete
tre o quattro anni fa, dove, sulla base di uno statuto si aderisce alla 'Città
Invisibile': sostanzialmente, si tratta di una comunità di azione rispetto a fatti o
eventi politici o sociali; una parte del così detto 'popolo dei fax' è stato coordinato,
per larga misura, dalla 'Città invisibile'. Oppure, esistono organizzazioni politiche che
hanno il loro luogo, la loro isola, nella rete, da dove diffondono messaggi.
Durante la scorsa campagna elettorale io ho ricevuto messaggi da tutti e due i poli,
per esempio! La simpatica candidata del polo della mia zona, che io non ho votato, mi ha
scritto per invitarmi a votarla, così come ho ricevuto messaggi dalla coalizione che ho
votato. Dunque, queste comunità virtuali che si stanno strutturando costituiscono, per
molti versi, un doppio virtuale della vita reale, che, però, ha caratteristiche
differenti e singolari rispetto alla vita, alle comunità che si strutturano nel mondo
reale.
Domanda 2
In che modo le comunità virtuali differiscono da quelle reali?
Risposta
Nella teoria sociologica classica per comunità si intendono tutte quelle relazioni che si
basano sul rapporto madre-figlio, sul modello della comunità familiare; per società si
intende, invece, l'insieme delle relazioni formali: il mercato, lo stato, le istituzioni,
all'interno delle quali i rapporti non sono regolati da istanze di tipo
affettivo-comunitario, ma da istanze di tipo formale e istituzionale.
Una bellissima immagine di Hegel dice: "la società è la legge del giorno e la
comunità è la legge della notte"; quest'ultima contiene in sé, dunque, una istanza
più solidaristico-affettiva che formale. In realtà, questa distinzione classica tra
comunità e società è stata criticata da alcuni teorici della filosofia contemporanea,
come dal grande filosofo francese Jean Luc Nancy: egli sostiene che, in realtà, la
distinzione tra comunità e società non è così netta ma, che anzi, non esiste; non si
può dire che esista una comunità mitica, originaria, tutta buona e una società fredda,
calcolistica e tutta cattiva; i due fenomeni si intersecano. Questa è una tesi che io
condivido molto. Per quanto riguarda le comunità della rete, esse posseggono tutte e due
le istanze: ci sono siti e comunità che sono di natura strettamente commerciale, oppure
istituzionale, dove vi si partecipa in ragione di una funzione o di un ruolo regale che si
sfoggia. Ci sono, poi, comunità che si basano molto più su reti di affinità, su
interessi comuni. Tra gli studiosi il dibattito sul concetto di comunità virtuale e sulla
differenza tra comunità in senso tradizionale e comunità virtuale, si è sviluppato
proprio su questo problema: quello della persistenza e della durata delle comunità
virtuali; il teorico Tomàs Maldonado ha ripreso questa tesi nel suo ultimo libro: Critica
della ragione informatica, sostenendo che le comunità virtuali hanno delle
caratteristiche di eccessiva fragilità; non reggono, per esempio il conflitto interno tra
i membri, mentre nelle comunità reali, posizioni spesso diverse stanno dentro un unico
contenitore. Altri teorici post moderni fautori del pensiero debole sostengono che tale
debolezza sia strutturale, sia intrinseca delle comunità virtuali, e sia un vantaggio,
perché - come analizza la psicologa Turkle - questa debolezza, in realtà, permette di
stabilire i vincoli comunitari non sulla base di rapporti di potere, ma sulla base di
scelte libere basate su affinità di interessi; dunque, in questa prospettiva, tale
debolezza si trasforma in un valore positivo.
Io penso che la verità stia un poco nel mezzo, perché se si pensa ad alcune comunità
della rete come la comunità dei banchieri, non si può dire certo che sia una comunità
debole: è basata su una rete di affinità, nel senso che tutti puntano al profitto; se si
pensa alla comunità degli speculatori, si tratta di una comunità molto forte, basata su
reti di affinità che nei fatti ha degli effetti molto pesanti sulla realtà; queste
comunità mettono in discussione le teorie di Talbot o Maldonado, che sostengono il
contrario! In questo senso, io credo, si esca dal paradosso che le comunità virtuali
possano costituire una estensione delle nostre possibilità di relazione comunitaria. Se
analizziamo l'ambito più ristretto dell'università, ciò si comprende molto bene:
l'università nasce nel medioevo proprio come 'universitas', cioè come comunità di
studiosi che tendenzialmente provenivano da luoghi disparati d'Europa (ciò può sembrare
inverosimile, ma allora c'era una mobilità molto alta tra gli intellettuali), e come
tentativo di mettere insieme saperi diversi. In seguito si struttura secondo le regole
dello stato-nazione e, in qualche modo, si chiude; ciò soprattutto per quello che
riguarda i saperi umanistici. Nel campo della comunità scientifica è diverso perché i
fisici, i matematici hanno sempre comunicato sulla base di un linguaggio comune, ed è
sempre stato più facile per loro interagire. Le comunità dei filosofi, degli anglisti,
dei letterati, viceversa, erano comunità chiuse che avevano regole di comportamento
definite all'interno della singola comunità virtuale. Da questo punto di vista, la
comunità della rete, come nel caso del Decameron Web, sono luoghi dove si studiano
collettivamente soggetti, ed in questa direzione possono rompere questa chiusura un poco
provincialistica; ciò vale per l'università italiana che ha tratti molto spesso più
provinciali delle altre, e le comunità virtuali possono effettivamente promuovere un
ritorno all'ideale originario dell'università come 'universitas', aperta ai contributi di
tutti gli studiosi. In questa prospettiva, mi sembra che, come sempre, il problema
riguardi la gestione delle possibilità di accesso alla rete, perché il diritto
all'essere connessi dovrebbe essere un diritto di cittadinanza; questo processo può
avvenire soltanto se l'accesso alla rete non resterà un privilegio di pochi. Se questo
non accade la rete potrebbe diventare uno strumento di, addirittura, discriminazione
sociale.
Domanda 3
Per quanto riguarda la comunità politica, si è detto che le nuove tecnologie possono, in
qualche modo, allargare la democrazia. Lei condivide questa opinione?
Risposta
Il politologo americano Dahl, di cui in Italia si è occupato Giorgio Galli, sostiene da
tempo la teoria del 'micropopulus': la possibilità di estendere le decisioni su grandi
questioni ad un campione selezionato di persone, di popolazione, che potesse, attraverso
strumenti elettronici, esprimersi e costruire la decisione collettivamente. Si tratta di
una teoria molto affascinante, ma che presenta anche molti lati problematici: è evidente
che la partecipazione delle persone alla vita politica attraverso i media telematici si
accresce, ma perché si accresce? La televisione è un media 'uno-tutti': c'è un centro
di produzione dal quale si irradia un messaggio che va sulla massa.
I media telematici hanno, invece, la caratteristica di favorire una comunicazione
'tutti-tutti': per mettere in piedi un centro di produzione televisiva ci vogliono molti
più soldi che non per dotarsi di un collegamento alla rete. Lo schema a rete non è una
connessione gerarchica, o ad imbuto, non c'è un centro, come per la televisione. Ciò,
evidentemente, permette una circolazione più democratica delle informazioni e potrebbe
permettere anche dei livelli di democrazia diretta. Alcuni studiosi hanno detto:
"attraverso la telematica noi potremmo votare su molte più questioni che
tradizionalmente" ; si corre, però, un rischio, quello del plebiscitarismo, come per
i referendum: se i referendum diventano estesi a questioni che non sono controllabili
direttamente dalla popolazione, il rischio che si corre è che questa estensione della
democrazia diventi uno strumento di manipolazione; e, come sempre, ancora, il problema è
quello della gestione politico - istituzionale, che si realizza nella pratica dei nuovi
media che in sé sono neutri, io credo.
Domanda 4
Vogliamo analizzare le posizioni di Gibson e della Turkle?
Risposta
Io sono un appassionato di letteratura cyber-punk e questa passione, effettivamente, mi
mette in una posizione un poco "spiazzata" rispetto agli anglisti del mio
Istituto che si occupano del Settecento! Le loro intuizioni sono state assolutamente
illuminanti; si pensi che Gibson scriveva, nei primi anni Ottanta, Neo Romance, il
suo primo romanzo, dove ipotizzava cow-boy elettronici che navigavano in questa matrice
fatta, peraltro, di oggetti fisici: questi soggetti entravano in comunicazione con la rete
e nella rete si muovevano attraverso palazzi di dati, ponti di dati, piazze di dati. In
realtà, questa visione era assolutamente profetica, perché nei fatti la rete è composta
in questo modo: i browser grafici di oggi ti permettono di navigare attraverso cumuli di
dati e, quanto più diventerà tridimensionale la grafica dei browser tipo Netscape, tanto
più sarà vero ciò che profetizza, se vogliamo, Gibson. In un sito bibliotecario di
Cagliari del C.N.R. hanno già realizzato una biblioteca, costruendola graficamente: si
può selezionare il libro, tirarlo giù, aprirlo. La visione di Gibson di questa città
dei dati costruita, però, come un luogo solidamente fisico, (in realtà, i personaggi di
Gibson possono anche morire dentro questa rete, nella "matrice", come la chiama
Gibson), era assolutamente una visione profetica e, inoltre, ci dice molto anche sulla
natura delle comunità virtuali; egli descrive, in luce virtuale, un ponte di quelli che
connettono Los Angeles alla terra ferma. Questo ponte, virtualmente, si trasforma in una
città: una struttura che doveva servire al trasporto, in questo caso non delle
informazioni ma delle merci, è diventata, nei fatti, un luogo dell'abitare, e Gibson
descrive in maniera molto affascinante tutta questa umanità, randagia e antagonista che
si è assiepata dentro questo ponte; sui vari piloni ci sono botteghe, luoghi dove ci si
fanno i tatuaggi, ristoranti cinesi, e così via, una vera comunità nata sopra questo
mezzo di comunicazione. Questa metafora di Gibson è molto calzante, perché, nei fatti,
la rete telematica è nata esattamente così. Era nata con il progetto 'Arpanet' intorno
al 1967-68 per il Pentagono come uno strumento per favorire le comunicazioni in caso di
attacco militare nucleare sovietico; si volevano eliminare i centri di comando e di
controllo radiofonici perché erano facilmente individuabili dai missili nemici e si
voleva creare una struttura di comunicazione che permettesse, qualora si fosse interrotta
la comunicazione in un punto, di passare da un altra parte; qui nasce il concetto iniziale
della rete: una struttura senza centro dove le informazioni passano, a caso, da una delle
migliaia di possibili interconnessioni tra i punti; una struttura per il trasporto di
informazioni, quindi, per impedire che le informazioni stesse si interrompessero. E'
divertente scoprire che, immediatamente, nelle idee dei primi pionieri della rete, nasce
la prima comunità virtuale che è una bacheca elettronica dove i ricercatori del progetto
'Arpanet' si scambiano opinioni su 'Star-trek' e sulla fantascienza. Immediatamente,
questa utilizzazione della rete diventa molto più importante di quanto non fosse l'uso
per cui la stavano progettando; anche in questo caso, originario, questa struttura che
doveva servire al trasporto di informazioni, diventa un luogo dell'abitare telematico,
un'estensione della nostra corporeità.
La Turkle: nel suo primo libro, Il secondo Io, la studiosa sostiene come
progressivamente noi siamo passati, nel rapporto con la tecnologia, da un approccio di
tipo strumentale, ingegneristico, per così dire, ad un modello del computer come
simulazione dell'identità. E' vero che quando uno si rivolge al computer, soprattutto
quando gli cancella qualcosa, lo insulta come insultasse un essere umano, e questo
atteggiamento è il segno di un momento più profondo che si stabilisce nel rapporto con
il mezzo: si tende a considerare il computer o come un interlocutore o come un'estensione
del nostro corpo. La Turkle, riprendendo il ragionamento di Foucault sull'individuo come
bio-corpo tecnologico, dove la tecnologia è un'estensione della natura, sviluppa l'idea
del computer come secondo 'Io', e dice che questa estensione si è data nel momento in cui
i computer sono passati dall'essere macchine ingegneristiche ad essere macchine di
finzione: da quando si è passati da una struttura di dati e di comandi molto complessi,
come quelli del DOS, a una struttura che equivale ad un ambiente virtuale, il precursore
del sistema operativo Macintosh da cui poi derivano anche tutti quelli più recenti. Da
quando si sono creati questi ambienti virtuali, ha cominciato a costruirsi questo doppio
virtuale della nostra identità che, in qualche modo, la tramuta anche.
Domanda 5
Qual è, invece, la visione di Rheingold?
Risposta
Rheingold è tra gli utopisti, tra i teorici più accesi e più visionari e anche, forse,
più ingenui della comunità virtuale. Questo studioso ha il grandissimo merito di essere
stato il primo ad aver riflettuto sulla natura delle comunità virtuali, riflessioni che
si sono concretizzate in un suo famoso libro che risale agli inizi degli anni Novanta, che
prende il titolo di Comunità Virtuali. Inoltre, egli è il primo teorico che ha
studiato una particolare comunità virtuale, 'Well', una delle prime nate in America, e
che dal 1985, anno in cui è stata fondata, si è sviluppata enormemente e conta, oggi,
più di settanta, ottantamila aderenti. Dentro questa comunità virtuale vi sono più di
270 conferenze: da conferenze dove ci si scambiano consigli sull'educazione dei figli
("Essere genitori") a piazze virtuali molto più serie sulle nuove tecnologie,
oppure su questioni varie del sapere. Studiando 'Well', Rheingold è stato il primo che ha
formulato l'idea che le comunità virtuali potessero rivoluzionare radicalmente le nostre
relazioni e l'ordinamento sociale tradizionale; per questo particolare aspetto del suo
pensiero sostengo che egli sia un teorico molto utopico e anche, per certi versi, un poco
ingenuo. Mi viene da pensare all'idea che ci si faceva nel campo delle comunicazioni di
massa, delle radio libere; quando sono cominciate a nascere le radio libere si diceva :
"questo cambierà radicalmente tutto, diventeremo tutti produttori di informazioni e
avremo accessi più liberi".
E' vero che nella visione di Rheingold, le comunità virtuali sono alternative, per
esempio, allo stato-nazione, nella possibilità di realizzare un grandissimo stato
trasnazionale fatto di relazioni più umane più solidaristiche. A mio avviso, in questo
aspetto del pensiero raingoldiano si coglie un vizio, per dir così, concettuale: in
opposizione alla sociologia classica, si ipotizza una comunità mitologica, allo stesso
modo in cui Rousseau concepiva la sua idea dello stato di natura: l'idea di un eden nel
quale tutti i problemi sociali del conflitto, dello scontro, il problema della gestione
spesso autoritaria del potere si risolvono; ecco perché dico che Rheingold è un
utopista.
Se la rete è, come dice Sherry Turkle, un doppio virtuale del mondo reale, allora,
anche sulla rete si daranno conflitti, anche sulla rete si daranno lotte di potere, lo
vediamo già: la Microsoft ha tentato di monopolizzare la rete con la creazione di
Microsoft network, poi ha fallito perché la rete ha questa struttura effettivamente
troppo policentrica per essere governata da un soggetto solo! E' vero, però, che questo
è un problema che si porrà; in questa prospettiva, l'ideale un poco utopico di un
ritorno ad una sorta di comunitarismo - visto che di comunismo è difficile parlare in
questi tempi -, originario di Rheingold non tiene conto anche degli scontri di potere
concreti che si verificano per la gestione della rete. La sua teoria è molto affascinante
e, certamente, insieme a Pierre Levy, il quale teorizza il fenomeno di 'intelligenza
collettiva' che la rete dovrebbe produrre, ha contribuito a creare grande entusiasmo
intorno a questa trasformazione tecnologica. Ma bisogna tenere conto che accanto ad una
idea di neo comunitarismo se ne può sviluppare un'altra, antitetica: quella di un
accentramento del potere; forse è meglio stare in mezzo a queste due alternative.
Domanda 6
Lei crede che la rete possa condurre ad una globalizzazione della cultura?
Risposta
Penso di si. Si tratta di un fenomeno innato ed anche molto positivo; come dicevo prima,
si sono consolidati dei canoni culturali ed anche disciplinari un poco provinciali,
soprattutto nelle discipline umanistiche; la rete scardinerà questi canoni provinciali e,
probabilmente, anche nelle discipline umanistiche, assisteremo ad una situazione simile a
quella delle discipline scientifiche. Nelle discipline scientifiche, la validità delle
tesi degli studiosi che vengono pubblicate, non è di natura clientelare; nelle discipline
umanistiche questo non avviene, poiché l'interpretazione di un autore è soggettiva.
I siti internazionali su oggetti specifici che stanno nascendo sulla rete sono un
esempio di globalizzazione, poiché lo scambio tra gli studiosi si sta allargando. Ciò
produrrà un elemento positivo: la nascita - sta' già accadendo- di una comunità globale
di ricerca; al di là delle utopie è un fatto che sta' accadendo! Io, per esempio,
dovendo scrivere un saggio sullo storicismo tedesco, ho trovato un saggio molto
interessante su Weber in rete di uno studioso del Camerun: non avrei mai letto questo
scritto senza la rete.
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