INTERVIEW:
Domanda 1
Come a suo avviso modificheranno la società le nuove tecnologie?
Risposta
Approfondire come le innovazioni tecnologiche nel settore dell'informazione modificano la
società è un tema che richiederebbe moltissimo tempo. Io cercherò di trattarne solo per
flash. Il primo punto su cui notoriamente ci dividiamo tutti è quello della dimensione -
ottimistica o pessimistica - da adottare nel guardare le modifiche della società indotte
dallo sviluppo della realtà delle informazioni. La tecnologia dell'informazione potrebbe
cambiar tutta la società, trasformare completamente il nostro modo di vivere. C'è una
sorta di voglia di pensare in termini fideistici a questa cultura dell'informazione. In un
sondaggio fatto in America, su 16.000 persone, il 95% ritiene che la tecnologia
dell'informazione modificherà completamente la vita americana, però tra quelli che
rispondono a questo sondaggio, l'80% si ritene più intelligente della media nazionale, il
60% ha un livello universitario o post-universitario, l'80% paga direttamente le
prestazioni della rete, quindi lo fa per lavoro o per gioco, non lo fa perché sta dentro
una scuola o fa un lavoro dipendente, e ha un livello medio di 60.000 dollari l'anno,
cioè il doppio della media americana. Abbiamo già, potremmo dire, i nuovi credenti di
questa nuova tecnologia: abbiamo cioè un'enfasi - in parte utopica, in parte festosa, in
parte esaltata - delle capacità d'influenza della innovazione dell'informazione sulla
realtà sociale. Sotto certi punti di vista vale la frase di uno degli studiosi di
quest'argomento: "Nulla ha più successo dell'eccesso". D'altro canto, però,
abbiamo una serie di atteggiamenti più prudenti, cauti, se non proprio pessimistici.
Ovvero, c'è una certa tendenza a considerare questa rivoluzione dell'informazione come un
qualcosa di destinato a non avere poi quel successo che qualcuno pensa. La stessa frase:
"Nulla ha più successo dell'eccesso" vuol dire: "Va bene, siamo in una
fase di eccesso, poi, alla fine, quando questo eccesso stuferà, ricadremo nella
normalità".
Domanda 2
Rispetto alle innovazioni tecnologiche lei è ottimista o pessimista?
Risposta
Come si fa a capire se hanno ragione i pessimisti o gli ottimisti, oppure se c'è la
possibilità di non dipendere né dall'eccesso dell'innovazione né dal luddismo della
negazione? Secondo me, va chiarito innanzitutto se la nuova tecnologia dell'informazione
sia autoreferenziale o meno. Per qualcuno c'è come una sorta di autogenerazione, ovvero
di un processo inarrestabile. Innovazione che genera innovazione. Ma è vero o non è
vero? E' vero o non è vero che questa realtà della tecnologia dell'informazione è
continuamente autogenerante, che può permettersi di non avere cultura di dialettica nei
confronti dei soggetti sociali? Oppure la storia è sempre il frutto di una dialettica,
che non è per forza marxiana? La storia è sempre fatta dal contrasto fra le realtà
effettive della storia - soggetti, stati, nazioni, sovranazionalità, culture, anime,
religioni - e l'innovazione. La rivoluzione informativa non è come quelle del telegrafo,
dell'elettricità e del treno, potenzialmente esenti da problemi culturali di dialettica
con la società. Questa ce li ha. Sono dell'opinione che ne abbiamo viste anche troppe di
realtà che in qualche misura hanno preteso di essere autoreferenziali e autogeneranti.
Domanda 3
Qual è il punto di collocazione storica dell'attuale innovazione informativa?
Risposta
Nel suo bellissimo libro "Confucio nel computer", Furio Colombo dice che, in
fondo, in questo momento di innovazione, la tecnologia dell'informazione è in qualche
misura un segno di millenarismo. Un secolo che finisce, addirittura un millennio che
finisce, un secolo che finisce ammaccato e spera in una sorta di rinascita. E non può che
vivere la sua rinascita, non nella realtà del secolo, perché le realtà del secolo ce le
siamo consumate tutte - le ideologie, l'anima interiore con il freudismo, la violenza di
massa del nazismo o dello stalinismo - ma andando verso la cultura più raffinata, più
astratta, più pacificante della rete, della non fisicità, della pace non fisica. Un
secolo conflittuale, insomma, si chiuderebbe avviandosi verso una realtà non
conflittuale. Può darsi che sia così. Può darsi che questa rivoluzione
dell'informazione sia il segno di una caratterizzazione del secolo. Ma si potrebbe anche
pensare che ci si trovi di fronte all'ultima espressione della voglia di controcultura,
presente nella società moderna. Chi ha assistito alla presentazione di "Windows
95" nei "campus" americani, ha visto che non c'era poi molta differenza
rispetto alle grandi masse di fans di Joan Baez e di Bob Dylan. La controcultura del '68
andava verso un certo tipo di entusiasmo, di promessa infinita, di un senso di un mondo
migliore. Ebbene, non potrebbe esserci anche una sorta di controcultura annidata
all'interno di questa speranza, di questa continua promessa di qualcosa che non finisce
mai che l'"Information tecnology" incarna? Non è un aspetto secondario cercare
di capire se la rivoluzione dell'informazione sia l'inizio di un ciclo secolare di
trasformazione reale del mondo, oppure altro non sia che il riemergere di una voglia di
controcultura, di una voglia di élitismo, anche giovanile, per cui l'80% di quelli che
stanno in rete si ritengono più intelligenti, vogliono esser pagati il doppio, ritengono
che stanno facendo i sacerdoti del nuovo, che sono il nuovo potere mentale. Dove sta la
verità? Ritengo che nessuna delle due posizioni estreme valga. Come non credo che si
abbia a che fare con un'autorefenzialità sul punto di innovare tutto il secolo, così non
credo che si possa parlare soltanto uno sboccio di controcultura.
Domanda 4
Quale sarà l'impatto sociale delle nuove tecnologie?
Risposta
Dobbiamo ragionare in termini di valutazione complessiva della società. La società
odierna, secondo coloro che vivono l'eccesso della realtà tecnologica, è una società
continuamente "up growing". L'eccesso, l'andare avanti, l'avere di più, il
volere di più, più informazioni, più elementi, più "bit", più
"ram", tutto di più. La società americana ha sempre vissuto di "up
growing". Ma nella società europea è valsa più che altro una logica di "down
growing", di assestamento su livelli medi di comportamenti, di valori. E' pensabile
una trasformazione sostanzialmente legata al continuo "up growing", al
rampantismo continuo, al griffaggio continuo, all'esasperato protagonismo continuo? Non si
può essere deterministi: siccome c'è l'innovazione, cambierà la società. Il rapporto
è sempre estremamente differenziato. Non c'è autoreferenzialità, ma dialettica
storicistica. E nella cultura collettiva di tutti quanti noi c'è più "down
growing" che "up growing". Andiamo a vedere allora dove stanno i punti
pragmatici di connessione fra l'innovazione tecnologica del campo informativo e la realtà
sociale. Primo: bisogna rilevare un meccanismo di crescita delle differenze fra ricchezza
e povertà. I più ricchi saranno sempre più ricchi, i più poveri saranno sempre più
poveri: non ci sarà media, la media non vorrà dir più nulla. Lo avrete notato
immediatamente nel piccolo sondaggio che vi ho indicato: siamo più intelligenti, vogliamo
esser pagati di più, arrivederci, degli altri non ci frega niente. Dovremo andare a
misurar la povertà, come ormai fanno gli Americani, isolandola dalle medie, isolandola
dai rapporti annuali di valutazione di scenario, dovremo andare a vedere la povertà come
il nuovo fenomeno e non come una componente della società. Secondo: probabilmente la
rivoluzione informativa creerà ulteriore spinta a uno squilibrio a favore dell'economia
finanziaria sull'economia reale. E' vero che negli ultimi dieci anni abbiamo abbandonato
l'ipotesi che si può diventar ricchi a mezzo di soldi, però il problema
dell'informazione in tempo reale, del gioco sugli scarti dello 0,075, sui cambi o sui
titoli, eccetera, sarà sempre più accentuato. Terzo: la struttura sociale sarà giocata
non più in termini di segmenti generazionali di età, ma di segmenti generazionali di
computer. Quarto: il meccanismo della cultura fondamentale porta a una sorta di
giovanilismo. Nel "campus" di Microsoft a Seattle, tutti sono fra i venti,
venticinque, massimo trent'anni, poi vanno via. Significa che c'è una sorta di
schiacciamento verso i giovani del processo di trasformazione, con una sorta di
marginalizzazione degli anziani, e, siccome il meccanismo è sempre autogenerante, si
rischia che il meccanismo sia anche sociale. Quinto: il problema è non più nella
conoscenza reale dei contenuti, ma nello strumento che si ha a disposizione. Quando
l'oppositore più a destra dell'amministrazione americana, cioè Gingrich dice: "La
mia proposta è di ridurre i soldi per le scuole, e di garantire a ciascun singolo giovane
americano un computer di proprietà e di allacciarlo in rete", evidenzia una
trasformazione sociale profonda. La scuola, che è uno strumento con dentro dei contenuti,
dei programmi standard, diventa l'affidamento di uno strumento esplorativo: si può
navigare nella rete. Dalle certezze formative alla navigazione a vista. Sesto: aumenta il
meccanismo dei lavori remotizzati. Aumenta perché oggi voi potete avere a disposizione un
programmatore di Singapore, un ingegnere indiano, un contabile di Hong Kong, un grafico
indonesiano. Settimo ed ultimo punto: c'è una ridistribuzione sul territorio, perché,
come dice uno dei guru di questa realtà, l'agricoltura aveva legato l'uomo alla terra,
l'industria l'ha legato alla città, la rivoluzione informativa lo porterà nei piccoli
centri, in campagna. E quindi noi non avremo più il primato della questione urbana. Tutte
queste cose, come vedete, ricreano una serie di problemi, per i quali non credo si possa
dire: l'autoreferenzialità e invincibilità dell'innovazione risolverà tutto.
Domanda 5
Il gioco e l'intrattenimento due aspetti della rete cosa ne pensa?
Risposta
Tutte queste innovazioni, che io vi ho messo in sequenza senza poterle spiegare
compiutamente, sono innovazioni che sono dietro la porta. Storicamente entreranno nei
comportamenti collettivi italiani e dell'Occidente. E quindi dobbiamo saperci lavorar
sopra. Ma ci sono soltanto questi aspetti pragmatici? O ci sono problemi un po' più
profondi in questa realtà? I problemi più profondi sono culturali e sono legati a due
parole chiave: il gioco e l'intrattenimento. Perché noi parliamo di "Information
tecnology", però, alla fine, i due valori fondamentali che stanno nella grande rete
sono il gioco e l'intrattenimento. Il gioco, perché in fondo l'80% dell'utilizzo della
rete è per gioco e probabilmente il 90% dei prodotti che si comprano nei "computer
shop" è di gioco. E allora, se rivoluzione c'è, non è una rivoluzione giocosa, una
rivoluzione che porta la gente ad una sorta di smemoramento nel gioco? Allontanarsi dalla
società per giocare? Andare e navigare per la rete per poter giocare? Ma una rete senza
cultura non vive, una rete senza contenuti, una rete che vive solo di gioco, non vive. E'
un altro nome del gioco, ma non è poi la rivoluzione che cambia la società. Fino a
quando la logica della rete non mi riporta dentro nelle cose serie - magari nel mio
contratto con il contabile indiano o con l'ingegnere di Hong Kong - io resto nel gioco,
resto in una dimensione astorica. "Ma questo vogliamo", potrebbero dire gli
esaltati dell'eccesso che ha successo "questo vogliamo: garantire al mondo un secolo
di gioco, senza dover avere secoli di guerre, secoli di angosce, di depressioni psichiche,
un secolo di gioco". Mi andrebbe bene, ma andrebbe dichiarato, non mi si può
gabellare per cosa seria una grande lotteria. Secondo: l'intrattenimento. Alla fine, il
meccanismo della rete e dell'utilizzo della rete ha sempre meno finalità, resta
intrattenimento, resta presente che sta nel presente, senza nostalgia del passato -
perché non può averla: la memoria non esiste in rete, neppure la memoria
tecnologicamente definita - e senza futuro: finisce il fine, è senza fine. E infatti è
una promessa continuata, infinita. Massimo Cacciari sostiene che la rivoluzione
informatica, la rivoluzione della tecnologia delle informazioni, porterà la cultura
moderna a ragionare in termini di simulateneità e non di sequenza, che noi siamo tutti
figli di una cultura storica di sequenza, una cosa dopo l'altra, mentre invece oggi la
rivoluzione dell'informazione ci permette di avere in simultanea tutto, potenzialmente.
Può darsi che abbia ragione, ma noi siamo figli della sequenza. Ed è difficile - ci
vorranno due, tre generazioni - che si possa capire cosa significa simultaneità. Perché
adesso la simultaneità, siamo onesti, è lo "zapping", è l'idea che, premendo
un tasto, puoi avere tutto e il contrario di tutto.
Domanda 6
Quale potere con la rete?
Risposta
Vedete quanti problemi, culturali, umani, sociali ci sono dentro questa innovazione. Ma
permettetemi un'ultima riflessione sul potere. Perché, in fondo, l'informazione è stata
potere. La rivoluzione dell'informazione è ancora potere? Una rivoluzione che porta in
rete, che fa simultaneità, che elimina la sequenza, che elimina la mediazione, per certi
versi, perché ognuno fa per proprio conto, che elimina la finalità, che sembra sempre un
continuo gioco, fa ancora potere? La televisione faceva potere, il giornale faceva potere.
La grande rete influisce su questo punto cruciale della società moderna che è il potere?
Qui le ipotesi sono tre. Secondo la prima, la cultura della rivoluzione dell'informazione
è una cultura libertaria, individualista, e quindi bisogna far propria una logica
libertaria e individualista. Il potere sta nel signolo e chi vuole potere, vuole essere
eletto Presidente degli Stati Uniti o Presidente della Repubblica Italiana, deve andarselo
a cercare in un mare di individualismo. Ciò che possiamo individuare come futuro è una
società ulteriormente individualistica. Credo che se ad uno di questi ragazzi americani
che navigano dodici ore su dodici nella rete si ricordasse una frase di Lévinas per cui
"Il volto di Dio comincia dal volto dell'altro", alzerebbe le spalle: chi è
l'altro, chi se ne frega dell'altro. Una forma di estraneità totale alla stessa
solidarietà, quindi al rapporto, alla coesione sociale. Ci troveremmo in una realtà di
caos, perché l'individualismo crea una proliferazione di diritti e di attese tipicamente
individuali e quindi difficilmente controllabili in termini di potere. Questa è la prima
ipotesi, ipotesi non di secondaria importanza, probabile. La seconda ipotesi, invece,
sostiene che la rivoluzione della società dell'informazione porterà ad un autoritarismo
soft, perché una società di quel genere sarà propensa alla democrazia diretta, sarà
propensa a pensare alla rete come quarto potere, sarà propensa a dire: non abbiamo più
incentivi a mediare, basta essere in rete. Potremo fare - dice uno di questi guru - un
referendum al giorno, perché stiamo in rete. Potremo chiedere: "Vi va il caffé o
l'orzo?" e sapremo tutti, immediatamente, cosa chiediamo, se l'orzo o il caffé. Una
democrazia diretta, quindi, probabilmente plebiscitaria, tendente a usare lo strumento
informativo tecnologico per poter imporre, non un autoritarismo forte, di violenza fisica,
ma intriso di una sorta di partecipazione emotiva in rete. Del resto, da quei provinciali
che siamo, ne abbiamo avuto un sentore con il popolo dei fax. Tutti: "Ah, il popolo
dei fax". Quattrocento persone che mandano un fax diventano il popolo dei fax. Ma è
il sintomo simbolico della possibilità di fare democrazia diretta, forse anche
plebiscitaria, di autoritarismo soft. La terza ipotesi ci parla di una miscela fra
l'individualismo individuale, personalizzato, e l'autoritarismo soft. E' in fondo il
formarsi di dimensioni intermedie, di istituzioni leggere, di forme fluide ed aperte,
della condensazione di realtà "confuciane" appunto, che siano più grandi della
famiglia, più piccole dello Stato, corpi intermedi, anche volatili, che si formano e si
rendono evanescenti, su cui però si aggrega la società, che non può avere soltanto
individualismo o democrazia diretta. Si formano livelli intermedi, realtà intermedie,
perché al caos dell'indvidualismo continuato, del particolarismo continuato, non si
reagisce attraverso un autoritarismo dall'alto, onnicomprensivo, ma si possono fare, come
diceva Nietzsche, solo degli "orizzonti": al caos si reagisce facendo orizzonte.
E quando uno fa orizzonte, angolo visuale, anche il caos viene riordinato. E siccome ci
sono diversi orizzonti, ogni orizzonte può farsi forma fluida, istituzione leggera,
cultura intermedia, "confuciana", che permette l'aggregarsi. Ma l'aggregarsi di
cosa? Da quarant'anni sono il più grande assertore in Italia dei corpi intermedi, quindi
mi va meglio quest'ultima ipotesi "confuciana", di istituzioni leggere e
volatili. Tuttavia, guardando la campagna elettorale americana, dove sembra di assistere
ad un'asta di interessi, nella quale sarà eletto Presidente chi avrà risposto alle
diverse aste, da quelle dei proprietari delle concessioni televisive a quelle dei
militari, non posso non segnalare il rischio che i circuiti intermedi confuciani possano
poi essere più dettati dall'interesse che dalle opinioni.
- NOTA - Questo intervento è stato raccolto alla
Conferenza internazionale sul futuro dell'informazione organizzata dall'Agenzia ANSA
"L'informazione su misura", tenutasi a Roma il 12 e 13 febbraio 1996. |
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