INTERVIEW:
Domanda 1
Lei ha scritto un saggio dal titolo: "Il sublime tecnologico". Cosa intende con
questa espressione?
Risposta
Devo dire che è uno dei miei libri fortunati: l'ho scritto nel '90, ed è stato
pubblicato in diversi Paesi, quindi tradotto in varie lingue. Nel libro è espresso il
concetto teorico fondamentale sul quale mi muovo: il sublime tecnologico è, in qualche
modo, la nozione dell'oltrepassamento dell'arte, ed è un essere collocati al di là di
quelle che erano le categorie specifiche dell'artistico, vale a dire: il soggetto,
l'espressione, la creatività, lo stile. La nozione di sublime tecnologico alla quale le
nuove tecnologie permettono di accedere, è una nozione che liquida tutta questa struttura
concettuale legata all'artistico e che introduce, invece, quel sistema di categorie
concettuali legate, nell'estetica tradizionale, al sublime: la nozione, cioè, di un
soggetto debole, di un soggetto sopraffatto da qualche cosa che non è soggetto; ed è
questa, a mio avviso - questo è il concetto che io vado sviluppando -, la dimensione
nella quale le nuove tecnologie hanno collocato la situazione antropologica in generale.
E' una situazione di debolezza del soggetto, di oltrepassamento dell'espressione, di venir
meno dello stile, del venir meno di tutte quelle che erano le caratteristiche fondamentali
dell'arte tradizionalmente intesa. Questa è la mia nozione di sublime tecnologico. Devo
anche aggiungere che è una nozione particolarmente, ormai, ricorrente; mi pare che molti
si muovano in questa direzione.
Domanda 2
Lei ha sostenuto che l'innovazione tecnologica ha sempre comportato un ripensamento
radicale delle forme tradizionali di espressione artistica. La fotografia, ad esempio, ha
portato a ripensare ruolo e forma della pittura. Che influenza hanno avuto le nuove
tecnologie sulla produzione artistica tradizionale?
Risposta
Questa è una questione che affronto in un altro volume, che si chiama "L'estetica
dei media". E' un volume nel quale cerco di indagare, appunto, le interferenze che
storicamente sono intercorse tra il progressivo avvento delle tecnologie e le forme
artistiche tradizionali. Le trasformazioni più note, per così dire, sono quelle che si
riscontrano a proposito della pittura. Il rapporto fotografia-pittura è, da un po' di
tempo, abbastanza esplorato, e anche abbastanza conosciuto. Esiste un discreto numero di
libri che studiano questo argomento. Molto meno noto, per niente studiato, è il rapporto
che intercorre tra gli strumenti della produzione tecnologica del suono e le
trasformazioni della poesia, arte del suono per definizione, così come relativamente poco
studiata è la relazione che intercorre tra il cinema e le trasformazioni avvenute e
avutesi nel teatro. La mia ipotesi è che tutta l'avanguardia artistica, dalla fine
dell'Ottocento fino alle ultime avanguardie degli anni Sessanta-Settanta, si spiega
solamente come un complesso di reazione agli avventi progressivi delle tecnologie. La
fotografia trasforma la pittura, gli strumenti di registrazione acustica trasformano la
poesia, il magnetofono trasforma la musica, il cinema trasforma il teatro. E chiaro
che la mia è una schematizzazione, ma a ho dedicato una serie di studi, anche molto
analitici in proposito. Come si spiega che la storia millenaria dell'arte si trasformi, ad
un certo punto, in storia dell'avanguardia artistica? E' un evento, questo
dell'avanguardia, assolutamente inedito. Gli artisti, a partire da un certo momento, non
sono più artisti, ma fanno dell'avanguardia. Perché avanguardia? Che cosa è successo?
Quale è stato l'evento da cui l'avanguardia si è generata, questo fenomeno del tutto
inedito, assolutamente nuovo nella storia dell'arte? Questa domanda radicale non è stata
mai posta, in ultima analisi. Esistono un'infinità di studi sull'avanguardia, ma
interpretazioni dell'avanguardia si possono veramente contare sulle dita di una sola mano.
Nei miei lavori io dimostro come gli eventi siano sempre contemporanei, come ad ogni
tecnologia appartenente ad un ambito sensoriale specifico, si accompagnino trasformazioni
di quel tipo di espressione artistica, che rientra in quell'ambito sensoriale.
Lipotesi che sviluppo consiste in questo: tutto quanto il fenomeno dell'avanguardia,
vale a dire la storia dell'arte dell'ultimo secolo fino agli anni Settanta, è tutto
dominato e indotto dall'avvento delle tecnologie. La ricerca estetica, se così la
possiamo chiamare, si sviluppa in due direzioni: da un lato le trasformazioni che le nuove
tecnologie inducono nelle vecchie pratiche artistiche, quindi il cinema trasforma il
teatro. L'avanguardia teatrale non si spiega se non come reazione e risposta allo
spettacolo cinematografico. La stessa cosa vale per la pittura, la stessa cosa vale per la
musica. Tutta la musica, almeno dagli anni Quarantacinque-Cinquanta in poi, non si spiega
senza l'avvento del magnetofono, così come le ricerche di poesia sonora, di poesia
elettroacustica, di poesia concreta non si spiegano se non a partire da quello che nelle
tecnologie stava succedendo. Le stesse ricerche delle prime avanguardie, peraltro, le
avanguardie degli anni Dieci, trasformano la parola da un punto di vista acustico, puntano
molto di più sulle valenze acustiche e sulle valenze grafiche della parola. Questa è la
mia ipotesi. Ripeto: è una ipotesi che sto sviluppando ampiamente da circa quindici anni,
seguendo queste due direzioni di ricerche: da un lato come le tecnologie trasformano le
tecniche tradizionali, e dall'altro lato come le tecnologie ricercano e ritrovano, alla
fine, una loro specificità estetica. Queste sono le due direzioni sulle quali, a mio
avviso, ogni ricerca estetica, oggi, dovrebbe muoversi.
Domanda 3
E attualmente non pensa che le nuove tecnologie ridiano vita alle forme espressive
tradizionali, anche riattivando un dibattito che sembrava finito?
Risposta
No, non attivano nessun nuovo dibattito relativamente alle vecchie tecnologie. Le vecchie
tecnologie, le vecchie tecniche, per meglio dire, cercano, in qualche modo, di rifarsi un
"maquillage" ibridandosi tra di loro; in qualche altro modo ibridandosi con i
nuovi media. A mio avviso queste sono ultime strategie di sopravvivenza che la dimensione
artistica tradizionale tenta di costruire. La stessa storia dell'avanguardia non si spiega
se non come strategia di sopravvivenza. Il teatro di Brecht, che conta sulla mobilitazione
del pubblico, ad esempio, o il teatro di Artaud, che fa del teatro un'esperienza del
corpo, sono strategie di sopravvivenza del teatro, messo di fronte al cinema. Il teatro,
così come tutte le altre arti, ricerca, per sopravvivere, una propria specificità. Oggi
è molto difficile anche parlare di arte. Il sistema dell'arte tradizionale cerca di
sopravvivere, in malo modo, ricorrendo a queste strategie di sopravvivenza, che sono da un
lato l'ibridazione reciproca tra varie pratiche e varie tecniche, e, dall'altro,
attraverso libridazione con strumenti nuovi. Tutto questo resta, però, sempre
all'interno di una logica, di un consumo paleoartistico e di una logica di una fruizione e
di una reazione emotiva di tipo paleoartistico; mentre, invece, io credo che siamo molto
più in là. Dal mio punto di vista le nuove tecnologie non riaprono assolutamente nessun
dibattito nelle arti tradizionali, ma forse lo chiudono definitivamente.
Domanda 4
Si parla di nuovi mezzi tecnologici come di protesi del nostro cervello, al contrario
delle macchine di un tempo, considerate protesi del corpo. Quando Lei sostiene che le
nuove tecnologie mettono in discussione le vecchie nozioni di mezzo, strumento e protesi,
pensa a questo?
Risposta
Non penso precisamente a questo. La nozione di protesi è una nozione, ovviamente, che
già va più in là rispetto alla nozione di mezzo. Noi possiamo distinguere questi tre
momenti nell'ambito della tecnica: un momento nel quale la tecnica è mezzo, è strumento,
è, effettivamente, una specie di prolungamento che incide ma che non trasforma
radicalmente l'essere umano, e che, in qualche modo, lo lascia relativamente immutato.
Sottolineo questo "relativamente" perché tutte le tecniche agiscono e ricadono
su un livello antropologico. Però bisogna distinguere tra la tecnica, la tecnologia e le
neotecnologie. La tecnica lascia ancora relativamente inalterata una nozione dell'uomo di
tipo umanistico. E non era questa la nozione di tecnica che aveva McLuhan. McLuhan si
rende conto che alla nozione di tecnica come mezzo bisogna sostituire la nozione di
tecnica come protesi, come prolungamento del corpo; quindi, non come mezzo neutrale
adoperato dall'uomo, ma come un prolungamento del corpo che trasforma il corpo stesso. Ci
sono protesi che trasformano la meccanica del corpo, ad esempio; e ci sono protesi che
trasformano il modo di funzionare mentale, l'apporto specifico di McLuhan. Peraltro, prima
di McLuhan, lo aveva capito molto meglio e molto bene Teilhard de Chardin, un grande
antropologo francese. L'apporto comunque di Teilhard de Chardin e successivamente di
McLuhan è che le tecniche, trasformate in tecnologie, trasformano profondamente il corpo.
E, in particolare, le tecniche di cui disponiamo oggi - o, per meglio dire, di cui
disponevano allora - erano tecniche che, atteggiandosi come strumento, come sistema
nervoso tecnologico, agivano direttamente sul sistema nervoso e sulla mente. Quindi: non
più tanto e solamente trasformazione della meccanica, della dinamica del corpo, della
sensorialità, ma addirittura trasformazione del sistema nervoso e della mente. Questa
nozione di tecnica come protesi credo sia già notevolmente oltrepassata. La tecnologia,
attualmente, non si atteggia più come una protesi dell'uomo, ma si atteggia molto di più
e molto meglio come qualche cosa che sta assolutamente al di fuori, al di là dell'uomo, e
che agisce indipendentemente dall'uomo e da cui l'uomo, molto probabilmente, sarà
risucchiato e riplasmato, per dirlo in linguaggio mcluhaniano. Le tecnologie, oggi, sempre
di più si vanno richiudendo in sé e si vanno autosviluppando. Questo significa che sono
sempre di meno protesi e sono sempre di più degli "in sé", delle asseità,
diremmo con linguaggio metafisico greco: sono delle asseità tecnologiche che si
autosviluppano e che, in qualche modo, sicuramente non agiranno più né solamente sulla
dinamica e sulla meccanica del corpo, né più solamente sulla sensorialità nervosa, ma
agiranno in una maniera molto più radicale, molto probabilmente anche in tempi non
lunghissimi, e che, a mio avviso, porranno in essere una specie di uomo del tutto diversa
da quella con la quale abbiamo a che fare oggi.
Domanda 5
E Teilhard de Chardin parlava di "noosfera", di un collegamento fra le
intelligenze?
Risposta
La nozione di Teilhard de Chardin è fondamentale.
Teilhard de Chardin ha teorizzato la nozione di "sistema nervoso, tecnologico,
planetario". Usa le stesse parole di McLuhan: "sistema nervoso, tecnologico,
planetario". E per lui, bisogna dire, che era anche molto più difficile teorizzarlo,
perché stiamo parlando addirittura degli anni Venti, Trenta: aveva a disposizione
solamente la radio per capire un poco quale sarebbe stato lo sviluppo delle tecnologie.
Quindi, Teilhard de Chardin ha teorizzato ciò di cui oggi tanto si parla, e di cui parla
in modo particolare Pierre Lévy, che, tra l'altro, è un mio carissimo amico che io stimo
moltissimo, e che ha approfondito questo concetto di intelligenza collettiva. Teilhard de
Chardin ha capito per primo, (e ancor prima di lui lo aveva capito Nietzsche, ma
questultimo non aveva molto a che fare con le tecnologie), che le tecnologie non
solo formano un sistema nervoso planetario, ma formano anche una intelligenza collettiva.
Lo dice con termini che sono quasi identici a quelli che io uso. La differenza tra
Teilhard de Chardin e noi è che la sua prospettiva è, ovviamente, di tipo religioso, di
tipo mistico, addirittura; motivo per il quale non fu neanche molto ben accetto alla
Chiesa Cattolica; noi, tutto questo, l'abbiamo laicizzato. Ma la prospettiva, da un punto
di vista antropologico, è quella che ha intravisto per primo Teilhard de Chardin già
negli anni Venti, e poi, sempre meglio, negli anni Trenta e negli anni Quaranta.
Domanda 6
E l'intelligenza collettiva di Lévy è una logica conclusione rispetto alle teorie di De
Chardin o apre altre prospettive dinterpretazione?
Risposta
L'intelligenza collettiva di Lévy è l'intelligenza resa possibile dalla telematica, resa
possibile dalle connessioni, dall'utilizzo e dall'impiego reale ed effettivo dei mezzi
informatici di cui, ormai, siamo abbondantemente pieni. Questa nozione di intelligenza
collettiva si va non solo chiarendo, ma si va anche rendendo oggettivamente possibile
grazie agli strumenti di comunicazione telematica, alle reti di cui disponiamo. Questa è
una cosa che avrei voluto dire all'inizio: la nozione di rete è stata da noi teorizzata,
sul piano estetologico, nel 1983, assieme a Fred Forrest, grande "artista"
francese, con il quale abbiamo fondato questa nozione di "estetica della
comunicazione", di un'estetica fondata sugli strumenti della comunicazione in quanto
tali e di un'estetica fondata sull'atto della comunicazione, reso possibile dagli
strumenti della comunicazione telematica. Questa è, in qualche modo, l'estetica della
comunicazione sulla quale lavoriamo da quindici o sedici anni. L'intelligenza collettiva
di Lévy, interessantissima, è l'intelligenza collettiva resa possibile dalll'impiego
delle tecnologie informatiche. Laspetto allarmante sul quale è necessario
interrogarsi è il seguente: nel momento stesso in cui l'intelligenza collettiva diventa
una nozione chiara, e viene anche resa possibile dagli strumenti di cui attualmente la
specie umana dispone, in questo stesso istante si assiste ad una esplosione, senza
precedenti, di individualismi di ogni genere, di messa in primo piano delle ego, di
estroflessione massima del proprio io e anche di particolarismi di interesse, di
particolarismi nella ricerca, che sono estremamente arcaici e che sono ben al di là delle
disponibilità di cui disponiamo oggi. Probabilmente questo si spiega proprio perché la
individualità e l'ego avvertono, al livello profondo, la loro prossima fine.
Domanda 7
Quali prospettive si offrono a quelli che Lei chiama "artisti tecnologici"?
Risposta
Più che "artisti tecnologici" io preferisco chiamarli "ricercatori
estetici". "Artista tecnologico" è un'espressione che si può utilizzare
per capire di che cosa si parla. Io non sostengo affatto che la funzione di quello che una
volta era l'artista è una funzione oggi inutile, o venuta meno. Spesso sono frainteso su
questo piano, e per questo motivo posso dire di non avere neanche molti amici all'interno
stesso dei circuiti della ricerca neoestetologica. Io lo dico una volta per tutte: non
sono affatto convinto che la funzione dell'"artista", di quello che una volta
era l'"artista", oggi sia venuta meno, sia inutile e debba essere eliminata.
Sostengo, viceversa, che il ruolo dell'artista sia profondamente mutato. Gli artisti
tecnologici o i ricercatori estetici devono oggi rinunciare - e lo fanno già - ad alcune
componenti fondamentali di quello che era l'artista della tradizione. Loro lavorano
prevalentemente sul piano del concetto, i progetti su cui lavorano sono concettuali. Il
concetto è condivisibile. Questo significa che la produzione può essere, deve essere, e
in molti casi lo è già, una produzione concertata, collettiva. Significa che la
proprietà esclusiva dell'opera è una nozione arcaica, così come lo stile che una volta
caratterizzava l'artista. Perché? Perché, quando l'artista ha a che fare con dei
manufatti, con un immediato prolungamento della mano, allora possiamo parlare di stile. Ed
era questa già una nozione che metteva notevolmente in crisi, ad esempio, quelli che,
oggi o ieri, dovevano riconoscere, attribuire i quadri. Berenson, che è uno dei massimi
attributori della storia, dice più volte e continuamente che questa nozione di soggetto,
di personalità artistica, è una nozione quasi introvabile, che è difficilissimo
stabilire dove finisce un'artista e comincia un altro. Voglio dire che la nozione di stile
è una nozione problematica già per quanto riguarda la produzione artistica tradizionale.
Quando, invece, si parla di arti tecnologiche, di produzioni neoestetiche, allora, la
nozione di stile è una nozione assolutamente priva di senso. La nozione di stile era una
delle nozioni fortissime della vecchia produzione artistica, il vecchio apparato
categoriale dell'arte. Questo è quello che io intendo quando voglio dire che gli artisti
appartengono, ormai, alla preistoria. Appartiene alla presitoria l'artista che si esprime
con lo stile, che pone, come momento fondamentale e dominante del suo lavoro,
l'espressione di se stesso, del proprio io, se è il caso, del proprio sentimento; è
l'artista che tende assolutamente alla proprietà esclusiva dell'opera. Molti artisti
tecnologici hanno già superato, nei fatti, tutto questo.
Domanda 8
Lei sostiene che l'estetica filosofica, soprattutto con la spinta delle nuove tecnologie,
ha dovuto abbandonare l'idea di un'essenza del bello dell'arte, sostituendola, invece, con
la molteplicità discontinua di pratiche diverse, momenti e tempi differenti. Perché, a
Suo avviso, le nuove tecnologie, al contrario delle vecchie, che a suo tempo sono state
nuove, dovrebbero portare a una perdita di senso dell'arte?
Risposta
Uno degli errori fondamentali dell'estetica filosofica, a mio avviso, è quello di aver
individuato una categoria generale dell'arte. Questo è avvenuto storicamente,
specialmente nelle estetiche idealistiche, le quali hanno sostituito la più sana e la
più igienica divisione tra le arti, che era molto praticata nel Settecento, con una
categoria forte, generale dell'arte. Peraltro, queste stesse estetiche hanno, poi,
identificato quali erano queste arti, vale a dire le arti "belle", le cinque
arti, che tutti conosciamo; tutte le altre arti erano notevolmente declassate, arti poco
perfette, per dir così, e poco compiute. Le arti erano: l'Architettura, la Scultura, la
Pittura, la Musica e la Poesia. Queste arti erano tutte quante unificate da una nozione,
da una categoria generale, che era l'Arte. Questo è avvenuto in modo particolare con
Croce, il quale negava addirittura la distinzione tra le arti e diceva che l'arte, in
ultima analisi, era una sola. Questo si è potuto fare proprio perché c'è stata una
sottovalutazione dei dispositivi dell'arte; si è considerata l'arte un fatto del tutto
interno, dello spirito, e non si è capito, non si è voluto capire quanto e come il
prodotto sia immediatamente dipendente dai materiali e dalle tecniche che lo producono. In
questo tipo di estetica, in modo specifico l'estetica di Croce, il prodotto non ha quasi
più senso, perché Michelangelo sarebbe Michelangelo anche se non avesse creato la
Cappella Sistina o I Prigioni; basterebbe per lui averli solamente pensati. Una posizione
più igienica, più sana, è, a mio avviso, quella, intanto, di capire che l'arte non sta
"dentro", ma sta nelle cose, sta nei prodotti, sta nelle opere; e su questo
molte estetiche, a dire la verità, convergono; poiché queste "cose" sono dei
prodotti di tecniche e di materie, bisogna fare distinzione tra di esse, bisogna capire
che ogni prodotto, ogni "qualcosa" generata da una tecnica e da una materia,
porta anche con sé un tipo di senso, un tipo di significato, che altre cose, generate da
altre materie e da altre tecniche non hanno e non possono avere. Questo significa
sostituire alla categoria generale dell'arte, che è una categoria del tutto spirituale,
del tutto interna, del tutto ineffabile, una molteplicità di pratiche artistiche,
ciascuna delle quali è connessa ad un proprio dispositivo, ciascuna delle quali è capace
di produrre un proprio significato che altre non sono in grado di produrre. L'estetica
contemporanea che cosa fa oggi? L'estetica contemporanea in generale, la riflessione
estetologica contemporanea oggi lavora molto poco sul contemporaneo. E' addirittura
testimoniato questo dal fatto che i grandi estetologi o gli estetologi che noi abbiamo
oggi parlano ancora di arte in termini tradizionali, e quando fanno degli esempi, citano
Holderlin o Van Gogh. Questo era, in qualche modo, legittimo fino ad Heidegger. Heidegger
poteva ancora permettersi di discutere dell'arte in questo modo. Oggi, a mio avviso,
l'estetica deve molto di più tematizzare, molto di più problematizzare la situazione che
le nuove cose, le nuove tecniche, le nuove energie ci hanno costretto a considerare. Una
vera e propria riflessione estetologica su quello che sta avvenendo oggi, i filosofi,
(moltissimi), prefersicono non farla e preferiscono muoversi su un terreno molto più
sicuro, molto più tranquillizzante, molto più cauto che è ancora quello dell'arte
tradizionale.
Domanda 9
Il senso del bello nella espressione artistica dove viene recuperato se l'espressione
artistica si frammenta in momenti diversi, o non ci interessa più averlo il senso?
Risposta
Il carattere proprio dell'arte non è il bello. Il carattere proprio dell'arte è il
significato. Tanto è vero che esiste un'estetica del brutto, tanto è vero che esiste
molta arte che non è bella per niente. L'arte è, sostanzialmente, significato. Oggi, la
ricerca estetica va molto di più avviandosi verso la sensorialità, verso quella che
Berenson chiamava l'"intensificazione vitale" o le sensazioni immaginarie che
non verso questa sensazione del bello artistico; una nozione, oggi, del tutto
impraticabile. Quindi, io preferisco mantenere ferma la differenza tra pratiche
artistiche, preferisco sostenere che ogni pratica veicola un certo tipo di senso, un certo
tipo di significato e problematizzo i prodotti così come di volta in volta mi si offrono.
Domanda 10
Cosa intende quando dice che le nuove tecnologie hanno un basso indice di utilizzabilità
soggettiva?
Risposta
Intendo quello che ho detto prima quando dicevo che le nuove tecnologie o il complesso
delle nuove tecnologie si atteggia come una asseità. Esse possiedono un basso indice di
utilizzabilità soggettiva: condizionano, per così dire, molto di più l'artista.
L'artista, il ricercatore estetico, deve fare molto di più i conti con questa asseità
che sono le nuove tecnologie. Una volta operata questa distinzione tra tecnologia e nuova
tecnologia, la differenza diviene comprensibile perché è come la differenza esistente
tra il quadro, la fotografia e l'immagine sintetica. Il quadro è una tecnica, la pittura
ad olio è una tecnica, l'indice di utilizzabilità soggettiva è molto alto. Se da questo
tipo di immagine passiamo alla fotografia, ci troviamo di fronte alla prima immagine
tecnologica dalla quale l'artista viene, rispetto al primo, notevolmente ridimensionato:
l'indice di inseità di questa tecnica è più alto rispetto all'altro. L'immagine
sintetica: andiamo ancora più in là. Essa si presenta ulteriormente come una inseità,
una inseità con la quale l'artista, il ricercatore estetico, deve fare molto di più i
conti. La rivista di cui mi sono recentemente assunto il peso si chiama
"Epiphaneia". "Epiphaneia" è una parola greca che significa
"apparizione". Quello che le nuove tecnologie ci mettono di fronte sono molto di
più delle "apparizioni", apparizioni autogenerantesi, autogiustificantesi, che
non dei prodotti di un soggetto intenzionale. Gli artisti, oggi, a mio avviso, devono
muoversi, devono capire questo. Finiscono comunque col farlo, anche se la loro ideologia
è, poi, molto diversa dal ruolo che, di fatto, svolgono, perché spesso svolgono dei
ruoli molto avanzati. Questi artisti hanno già, di fatto, messo da parte la nozione di
stile, di espressione: lavorano su progetti, lavorano in maniera collettiva; però, quando
si tocca la loro artisticità, "fanno scintille". Questo è un equivoco, che, a
mio avviso, gli artisti dovrebbero chiarire con se stessi.
Domanda 11
Sì, ma a questo punto però l'artista viene sostituito dal creatore di interfaccia?
Risposta
Il lavoro che, a mio avviso, oggi dovrebbe svolgere la ricerca estetica, intesa da parte
artistica e non da parte della riflessione, dovrebbe essere, sostanzialmente, un lavoro
collettivo, perché gli artisti lavorano su progetti, su concetti, che, come tali, sono
condividibili. Penso che a molti artisti tecnologici, l'espressione, il sentimento e lo
stile non interessino più. Quindi, gli artisti dovrebbero, a mio avviso, muoversi nella
prospettiva di quello che ho chiamato il "sublime tecnologico", cioè: ricerca
collettiva, progetti concettuali collettivi. Che cosa hanno di estetico rispetto ad un
semplice tecnico delle interfacce? Hanno di estetico che producono sensazioni immaginarie,
in un senso diverso da quello berensoniano, che è ancora un senso del tutto interiore e
spirituale: producono sensazioni immaginarie reali, attraverso le quali producono
intensificazioni vitali, stati sensoriali veri e propri. Questo è un lavoro che è
specificamente estetico, perché è un lavoro al quale i tecnici, per così dire,
necessariamente devono collaborare, o dovrebbero collaborare, ma che richiede un tipo di
competenza, di atteggiamento della personalità che non ha niente a che vedere con quello
del programmatore o con quello del creatore di interfaccia.
Domanda 12
La riproducibilità tecnica dell'opera d'arte, di cui parlava Benjamin nel suo saggio nel
'36, sembra essere portata al massimo livello dall'avvento del digitale. Ogni opera
digitale è un insieme di bit, per sua stessa natura infinitamente replicabile in maniera
identica. Ci troviamo, quindi, di fronte al capitolo finale di quella che Benjamin chiama
la "perdita dell'aura", la perdita della sacralità dell'opera d'arte?
Risposta
Su quest'ultimo punto sono infinitamente d'accordo con Benjamin. Parlare di un'aura
dell'opera d'arte non ha più assolutamente senso. Non sono invece d'accordo quando
crediamo di poterci, oggi, muovere ancora nell'ambito della nozione di riproducibilità
tecnica, così come Benjamin la tratta e la esperisce. Questo saggio di Benjamin è
servito da matrice ad una infinità di libri e di ricerche, viene citato in molte sedi di
studio, ma oggi, a mio avviso, siamo molto più in là. Oggi la questione non è più
quella della riproducibilità, ma quella della producibilità; è quella della
producibilità elettronica in tempo reale, è quella del tempo che annulla se stesso.
Invece che riprodursi, il tempo si annulla, si autoannulla, si reitera, vive in atto come
tempo reale e come tempo tecnologico. Di tempi tecnologici ce ne sono almeno di tre o
quattro specie. Questa nozione della riproducibilità, è un poco come la nozione di
protesi di McLuhan. Sono due nozioni che sono ancora credute estremamente moderne e capaci
di spiegare quello che avviene; ma sono due nozioni che, a mio avviso, sono state
accantonate ed oltrepassate dai tempi. La nozione di protesi è oltrepassata da questa
nozione di complessiva asseità del neotecnologico, e la nozione di riproducibilità è
oltrepassata da quella di producibilità in tempo reale, di tempo che si annulla. Non più
la copia originale è poi riproducibile, ma la nozione stessa di riproducibilità con
l'elettronica e con le reti non ha più senso.
|
|