INTERVIEW:
Domanda 1
Padre Busa, Lei è stato tra i pionieri dell'uso dell'informatica per i testi elettronici,
in particolare nella realizzazione dell'"Index tomisticus". Può raccontarci
questa esperienza?
Risposta
Quando preparavo la docenza all'Università Gregoriana di Roma, avevo per tema il concetto
di "presenza" di San Tommaso. Dopo sei mesi di lavoro, ricercando manualmente la
parola "presenza" nei testi, mi sono accorto che quella parola nel vocabolario
di San Tommaso è periferica. La parola centrale, é la preposizione "in".
Allora ho ricominciato da capo. Mi son schedato a mano più di diecimila passi, in cui
c'era l'uso della preposizione "in". Ho giocato dei grandi solitari, con queste
schede, ne è venuto fuori il libro della mia docenza, insieme con due idee. La prima: il
valore pregnante filosofico delle particelle del discorso degli uomini, la preposizione
"in" è una delle chiavi del pensiero filosofico, già dai tempi di Aristotele,
non è iniziato con San Tommaso. Secondo: che io avrei reso un buon servizio alla
comunità degli studi, se avessi trovato la maniera di risparmiarle il rifarsi a mano le
schede di tutte le parole. Nel '49, ebbi l'occasione, di fare un primo viaggio negli Stati
Uniti, dove ho visitato una quarantina di università, da costa a costa, cercando delle
macchine per fare quello che io volevo. Mi rivolsi a un giovane professore al MIT, che mi
mandò alla IBM. Così nel 1949 ho cominciato a trafficare con la macchina della IBM. Il
lavoro è durato fino al 1980, con la stampa dei cinquantasei volumi. Credevo di aver
finito e non avevo finito, perché ero interessato all'evoluzione. Ci sono state tre
epoche: Prima: le schede perforate. L'obiettivo era uno schedario di dodici milioni di
schede, quindi un fronte di novanta metri, alto 1,20, profondo un metro, peso 500
tonnellate. Io avevo perforato e consumato un sei milioni di schede, stampando dietro il
contesto di ciascuna. La misericordia del Signore, ha ispirato i tecnici ad inventare i
nastri magnetici. E così non più cinquecento tonnellate di materiale. Seconda fase:
impiego dei nastri magnetici. Ho avuti un pacco di 1.800 nastri magnetici, che sono 1.600
chilometri di nastro, come da Parigi a Lisbona, o Milano-Palermo. Alla fine ho avuto un
altro formato di venti nastri magnetici, sedici chilometri di nastro, con 1.630.000.000 di
byte. Questi venti nastri magnetici hanno preso da loro due strade: dal 1974 hanno
cominciato ad andare in stampa su carta ed hanno prodotto le settantamila pagine
dell'"index tomisticus". Nel 1980 abbiamo cominciato a pensare a forme più
abbreviate e nel '92 abbiamo messo tutto su CD ROM. Un CD ROM, di quelli ancora in uso, ha
una capienza di seicento milioni di byte. Noi ne avevamo un miliardo e seicentomila, però
han potuto essere compressi, senza perdere informazioni, in duecento megabyte, e adesso
c'è questo dischetto in cui, su una spirale di quattro chilometri e mezzo, c'è tutto
quello che mi stava in venti nastri magnetici. Questa è stata l'evoluzione. Ma io mi
barcamenavo ormai abbastanza bene con i vecchi computer che chiamo i
"dinosauri". Negli ultimi anni, a Venezia, erano una dozzina di armadi come
pianoforti verticali, collegati da cavi sotto il pavimento. Oggi ci sono i personal
computer, sapete meglio di me cosa fanno.
Domanda 2
Lei ha vissuto questi passaggi, da necessità di capienza così grosse a questi minuscoli
CD ROM pieni di dati. Cosa vede per il futuro, che ipotesi fa?
Risposta
Non son profeta e l'esperienza di questi anni mi ha insegnato che è più saggio non fare
profezie sul futuro. Ho alcuni desideri. Il primo: che non si studino i testi di un sola
lingua, ma si facciano assaggi coordinati sui principali sistemi linguistici ed alfabetici
di questo mondo. E' un lavoro che io avevo cominciato già ai tempi dell'"Index
tomisticus", perché, trovandomi a essere il primo a dover eseguire questo tipo di
operazione, ho dovuto lavorare su altri dieci, undici milioni di parole in diciotto lingue
diverse, in alfabeti che vanno dall'ebraico, all'arabo, al gaelico, all'armeno, al gotico,
non me li ricordo tutti, ma erano otto alfabeti diversi, con lingue che scrivono da
sinistra a destra e con lingue che scrivono da destra a sinistra. Questo andrebbe
continuato. Secondo: andrebbe continuata un'analisi più metodica, laboriosissima, per
rifare una filologia, ossia una morfologia, una sintassi, un lessico per uso di computer.
Oggi la filologia è vino vecchio messo in otri nuovi, non funziona molto bene. Non dico
che la vecchia filologia vada gettata via, ma va approfondita, precisata e accompagnata da
informazioni quantitative probabilistiche. Per le applicazioni pratiche del linguaggio,
quello che manca non è da parte del computer, non è che manchino rapidità di accesso o
ampiezza di memoria o abilità di software, mancano informazioni di base, di natura
filologica, su come microanalizzare, e quindi mitizzare, le operazioni umane che noi
vorremmo delegare alla macchina. Per esempio, se Lei é davanti a me e mi chiede quanti
verbi della lingua italiana io conosco, io non so dirlo. Poi Lei incalza e mi dice:
"Padre, di tutti i verbi che Lei conosce, che non so quanti siano, per operare a un
computer bisognerebbe dargliene, mi dica, quali sono sempre e solo transitivi, quali sono
sempre e solo intransitivi e quali qualche volta sono transitivi e qualche volta sono
intransitivi? Poi, di questi ultimi mi dica quali sono le caratteristiche contestuali di
quando sono transitivi, di quando sono intransitivi?" Se io fornisco a un
programmatore queste informazioni, è possibile ottenere un programma di elaborazione dei
testi più spinto di quello che abbiamo oggi. Però noi non ne sappiamo ancora molto.
Cinquant'anni fa, un tecnico dell'IBM nello stato di New York, dove era allora il
laboratorio dellIBM ai tempi delle macchine a schede, aveva già parlato di
"automatic indexing" e "automatic restricting". E un sogno che
fa innamorare. Il sogno di aver ben compiuto un bellissimo programma, fatto da persone
abilissime, in cui ci metto tutte le corrispondenze che arrivano e che partono, e il
programma assegna a ogni documento le parole chiave con cui archiviarlo e recuperarlo.
Questo è ancora un sogno. Chissà perché? Perché noi non sappiamo ancora quali sono i
processi logici nostri di quando noi riassumiamo.
Domanda 3
Come vede il rapporto tra uomo e computer, soprattutto nelle prospettive, un rapporto non
sempre facile, che può presentare problemi?
Risposta
Quarant'anni fa era visto molto male. Quando è scoppiata la cibernetica, era diventato di
moda piangere sui disastri che la cruda tecnologia avrebbe portato nel campo della gentile
Matelda, che "sen va cantando, scegliendo fior da fiore", che era il campo
dell'Umanesimo. Io già allora queste le consideravo stupidaggini. E' durato due, tre
decadi, i due mondi sono rimasti come isolati. Oggi saranno forse otto anni, in cui il
mondo della tecnologia, richiama ed esige interventi della filologia, della psicologia
umana. Io lo vedo un campo molto promettente, lo vedo ribollente e tenendo però fermi
alcuni punti. Il rapporto uomo-macchina, uomo-computer, è il rapporto autore-opera.
Allora si parlava anche del fare la macchina pensante, è vero. Parlare di macchina
pensante ha lo stesso senso come parlare di una orchestra compositrice. Un'orchestra che
sta suonando l'Aida dovrebbe mettere in essere un Giuseppe Verdi con la sua fantasia
creatrice musicale. Mi sembra senza senso, come se uno dicesse che il papà è figlio del
proprio figlio. Il rapporto autore-opera è un rapporto a senso unico, irreversibile.
Tenendo questo, il computer è il figlio della mente dell'uomo, è una specie di
prolungamento strumentale del suo corpo. Il computer lo potrei definire mani off-line di
un uomo, come tutta la sua apparecchiatura corporea, fino alle mani, dai sensi alle mani,
la potrei definire un computer on-line con la mente dell'uomo. Io sono uno degli
innamorati dell'intelligenza artificiale, anche se non mi piace la parola intelligenza
artificiale. Mi sembrerebbe più appropriato dire "espressione artificiale",
più che intelligenza artificiale. Avendo ora messo le mani sui microelementi fisici del
microcosmo, che sono gli elementi di base della natura, le frequenze e i bit, più in giù
di quello non si può andare. Le possibilità di delega, di invenzione, di creatività
sono sfruttate solo ai loro inizi. C'è la spinta economica al guadagno, a produrre,
mettere sul mercato prodotti nuovi. E poi c'è la speranza di quei colpi di fantasia
creatrice, che capitano, secondo le leggi del caso, a qualche persona, secondo riti e
miti, che sono ignoti a noi. Una delle sfide che mi piacerebbe realizzare sarebbe quella
del "riassunto automatico". Non ci siamo ancora. Immagini: io ho una lettera
urgente da mandare, sono trecento parole? Caso vuole che il mio fax sia guasto, il fax di
arrivo pure risulta guasto. Devo mandarla per telegramma. Allora faccio un lavoro di
condensare il messaggio in un numero minimo di parole, che però racchiudano tutte le
informazioni. Si fa facilmente. Poter fare questo a macchina, al programma, sarebbe una
meraviglia. Perché non riusciamo a farlo? Perché noi non abbiamo ancora fatto la
microanalisi di quei processi interiori, quando io mi metto lì, prendo queste trecento
parole e le riassumo in trenta parole. Dobbiamo, per dir così, "liofilizzare",
ridurre alla molecola minimale tutti questi processi mentali, questo andirivieni
tumultuoso, velocissimo, che facciamo noi quando riassumiamo. Quando noi lo avessimo
descritto questo lavoro analitico, dopo mitizzarlo, farne un programma sarà un gioco; non
c'è niente che manca da parte dell'informatica, manca da parte di noi filologi, che non
conosciamo ancora scientificamente tante delle nostre capacità e forze operative.
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