INTERVIEW:
Domanda 1
In passato le arti figurative, la musica, la scultura erano tutte arti separate le une
dalle altre; adesso, proprio in riferimento alle arti in genere, si parla di "opera
totale". Vuol dire che l'opera d'arte è diventata globale? Lei pensa che dai media,
dal cinema, dalla musica, dalla realtà virtuale, verrà fuori una nuova forma d'arte?
Risposta
Io penso che soprattutto l'interattività nella fiction potrà costituire, per
l'artista, un nuovo supporto, una nuova materia da trattare. Credo che ciò che si
presenta di diverso nelle nuove tecnologie non è tanto l'immagine di sintesi, perché
essa, come si sa, è semplicemente una automatizzazione della prospettiva rinascimentale:
adesso possiamo calcolarla in modo automatico. Se abbiamo, però, immagini fisse
registrate, che i dinosauri di Jurassic Park siano realizzati con immagini di sintesi
piuttosto che con dei robot, non cambia molto per gli spettatori. Penso che ciò che cambi
effettivamente sia il tempo reale e l'interattività, la possibilità per lo spettatore di
essere preso in considerazione nel mondo o nell'universo che gli si offre da visitare. Si
dovrebbe parlare di fiction virtuale piuttosto che di realtà virtuale. Oggi si
possono proporre dei mondi narrativi nei quali lo spettatore è attore, nei quali lo
spettatore ha un ruolo. Il mondo della fiction viene modificato dallo spettatore
così come il mondo reale viene modificato dalla nostra presenza.
Domanda 2
Lei è stato tra i primi a lavorare con immagini virtuali. Ci può parlare della sua
esperienza in proposito?
Risposta
Parlerei più di immagini di sintesi che di immagini virtuali. Ho realizzato una serie
televisiva agli inizi degli anni Novanta intitolata Les Quarks. Benché si
trattasse di immagini precalcolate - si trattava di una serie in 3D per la televisione- il
mio problema era di sfruttare, in un certo senso, i limiti del realismo dell'immagine di
sintesi, per mettere in evidenza la difficoltà di arrivare a una verità definitiva. I quarks
sono degli esseri viventi che sfidano le leggi della natura, che sono aberranti rispetto
alle leggi della fisica, dell'ottica, della biologia, in rapporto al tempo, allo spazio e
alla materia. Bisogna pensare che l'immagine di sintesi ha permesso di rappresentare le
cose con un realismo tale che solo la loro assurdità diventa elemento significante,
altrimenti si resta in un modo di rappresentazione molto vicino a quello della pittura
realista, per esempio, salvo che non possa essere usato nell'animazione. L'immagine di
sintesi, dunque, permette di realizzare cose che non si possono fare con altri mezzi,
nell'animazione, appunto; e penso che l'interattività all'interno dell'immagine di
sintesi come la troviamo nella realtà virtuale, cambi completamente il rapporto del
pubblico con l'opera e cambi anche il lavoro dell'autore. L'autore non è più quello che
organizza le immagini nel tempo e nello spazio, che inquadra le immagini e le compone in
quel certo modo che è uguale per tutti, nel senso che tutti le vedranno allo stesso modo.
Quando io vedo un tavolo, lo vedo composto nello stesso modo in cui lo vede il mio vicino;
anche se, poi, possiamo darne un'interpretazione differente, percepiamo entrambi la stessa
cosa. Nella realtà virtuale, quello che si percepisce è differente per ognuno; il lavoro
di un autore, dunque, non è più un lavoro di composizione in un quadro, non è più un
lavoro di accostamento di colori, ma creazione di leggi, di principi, che dovranno reggere
un mondo e che danno a quel mondo il suo senso. Il lavoro dell'autore, in questo senso, è
quello di definire queste leggi. Ci si sente un po' demiurgi, un po' fuori del mondo, in
una situazione estrema, perché si creano veramente nuovi universi di senso, nuovi
universi di significato.
Domanda 3
Si tratta, dunque, di un'arte sempre più personalizzata per colui che osserva l'opera
d'arte?
Risposta
E' un'arte nella quale la persona che guarda ha il suo posto, nella quale gioca un ruolo
essenziale, perché senza visitatore il mondo che io creo non esisterebbe, non avrebbe
senso; è la presenza del visitatore, è la sua azione che dà senso al mondo. In alcuni
lavori che ho realizzato non esiste niente prima che vengano visitati, niente di veramente
costruito, niente di deciso; si costruisce solo in quanto si visita. In World skin
il posto delle cose non esiste prima che qualcuno vi entri dentro, tutto si decide in
tempo reale. La virtualità è esattamente questo. Questi mondi, sono virtuali nel senso
che hanno la possibilità, la potenzialità della loro esistenza, ma non esistono a
priori. Ci si trova, con gli universi virtuali, in una situazione molto simile al mondo
reale: nel mondo reale c'è quello che si vede e quello che è possibile vedere, ma non si
sa, non si può mai sapere veramente quello che apparirà dopo, ogni secondo successivo è
imprevedibile, almeno, parzialmente imprevedibile. Anche nei mondi virtuali il secondo che
viene dopo è parzialmente imprevedibile, mentre in un film il secondo successivo è già
nella pellicola, dunque non è più imprevedibile. Basta che io veda il film due volte per
assistere allo stesso concatenamento di immagini.
Domanda 4
Le è accaduto, talvolta, di parlare con persone che si sono cimentate con una sua opera e
scoprire qualcosa che l'ha inquietata?
Risposta
Credo che l'esperienza del tunnel sotto l'Atlantico e di World Skin sia stata molto
interessante, con un effetto particolare un poco magico, e momenti di grande emozione. Il
pubblico è stato coinvolto in modo tale che si è sentito profondamente commosso,
contrariamente a quello che si crede comunemente. Si dice: le immagini sono realizzate con
il computer, sono fredde; quando si vedono le immagini registrate non ci si rende conto
che il fatto di essere attori degli eventi che accadono ci può provocare un
coinvolgimento, un intenso coinvolgimento, assai più di quanto ci si aspetti. Quando, per
esempio, quelli che avevano scavato per una settimana il tunnel sotto l'Atlantico si sono
incontrati, il momento dell'incontro ha costituito una emozione molto forte, anche se ci
hanno messo una settimana a scoprire che vedevano una immagine meno buona di quella che ci
dà la televisione in tempo reale. Non è stato un exploit tecnologico: semplicemente, la
situazione aveva una intensità, aveva una carica emotiva, una carica affettiva che
aumentava di giorno in giorno. La gente tornava ogni giorno senza che glielo si chiedesse,
tornava ogni giorno per mezzora, un'ora o due, per partecipare, per essere lì, per
assistere al momento dell'incontro. Quelli che si sono trovati lì, in quel momento, hanno
avuto l'impressione di aver vissuto veramente un evento del tutto eccezionale. Quel
contatto era carico di senso. Quello che stupiva, in World skin, è che la gente
arrivava dicendo: "Vengo a vedere una performance tecnologica", e poi non
vedevano l'immagine di sintesi perché si tratta di foto o di video che non danno la
sensazione di essere nell'immagine di sintesi. Questo è molto positivo; l'immagine di
sintesi non era autoreferenziale: ogni volta che si mostrava un filmato della perforazione
che avanzava dall'altra parte, la gente si sentiva calata in quel mondo, viveva quello che
vedeva. Ci sono stati molti che, alla fine, mi hanno abbracciato, cosa che non era
successa con i miei lavori precedenti. E' un fatto interessante. Lì ho vissuto
un'esperienza emotiva forte che esorcizzava qualcosa che non so spiegare.
Domanda 5
Lei crede che anche gli incontri su Internet possano dare sensazioni forti?
Risposta
Gli incontri su Internet danno sensazioni estremamente forti; è incredibile il semplice
fatto di scambiare della corrispondenza utilizzando l'E-mail con gente che non si conosce.
Questo permette di sentirsi, al tempo stesso, vicini e lontani, creando una relazione
intensa. Ci si può permettere di dire cose che non si direbbero mai a persone che si
conoscono bene; e, d'altro lato, si acquista subito una familiarità che non si
riuscirebbe ad avere con altri mezzi. Si può avere una prossimità affettiva importante
con persone molto lontane da noi, che forse non vedremo mai, ma che, a volte, si possono
incontrare. E c'è sempre paura di quel momento. Tutto questo esiste nella posta
elettronica e ci dà un sentimento di prossimità più grande per il fatto di poter
stabilire una relazione e di ottenere risposta minuto per minuto: posso inviare un
messaggio e ricevere la risposta un minuto dopo e rispedire. Dunque, posso avere cinque o
dieci scambi nella stessa giornata con la stessa persona e a volte si resta vicino al
computer per aspettare la risposta, aspetto evidentemente impensabile con la posta
tradizionale. Il rapporto affettivo che si crea, dunque, è molto diverso e manca del
tutto il vincolo formale dello scritto, in cui bisogna usare le espressioni di cortesia di
cui si sa che resteranno delle tracce. Ne restano, anche in questo caso, delle tracce, ma
c'è, in più, quella spontaneità con cui si parla al telefono, in una sorta di
linguaggio parlato-scritto. Spesso, i corrispondenti tengono tutto. Dunque, contrariamente
a quel che si crede restano delle tracce, ma quando si redige il messaggio si è in quella
condizione di autenticità, di franchezza, di immediatezza proprie del linguaggio diretto,
e, inoltre, c'è il vantaggio della distanza; contrariamente a quello che si crede la
distanza non è un inconveniente, anzi, in questo caso, avvicina.
Domanda 6
In che modo usa Internet nella Sua attività artistica?
Risposta
Le immagini che si prelevano un po' alla maniera dei giornalisti che raccolgono
l'informazione nei paesi di guerra aperti al turismo; quelle immagini possono essere
diffuse ovunque attraverso Internet, e si possono vedere immediatamente, in tempo reale,
le ultime riprese: si sa l'ora, i minuti e i secondi in cui si è realizzata una certa
ripresa; si può seguire su wide screen una situazione in continua evoluzione.
E necessario, dunque, avere una documentazione che si sviluppi costantemente. Io
utilizzo Internet anche per altri lavori: si può visitare il mio sito nella serie delle
Grandi Domande. Una delle Grandi Domande è: Et moi dans tout ça? (Qual è il mio
ruolo in tutto ciò?); ci sono due miei lavori, uno intitolato Et moi dans tout ça? 1,
e l'altro intitolato Et moi dans tout ça? 2. In Et moi dans tout ça? 1 chiunque
può intervenire e modificare provvisoriamente il mondo: c'è la carta del mondo e ci si
può lasciare cadere come un granello di sabbia che quando cade modifica la forma del
mondo; il messaggio può essere collegato con un certo fatto e gli altri possono vedere
che cosa è successo, che cosa è cambiato, se è stata modificata una parte del mondo che
li concerne; se accade nel loro paese potrebbero prenderla per una aggressione. Lasciando
un messaggio diamo senso alla nostra presenza e, successivamente, col tempo, chiunque può
rispondere, cliccando là sopra e inviando un messaggio di risposta, quindi chiedere una
spiegazione, rispondere a ciò che è stato detto e, progressivamente, col tempo, la
nostra presenza si cancella. Il mondo riprende la sua forma. E' anche un modo di dire che
se ciascuno modifica il mondo con la sua presenza è sempre in modo provvisorio,
provvisorio e illusorio. Nel programma Et moi dans tout ça 2 ognuno può
partecipare alla riscrittura della Genesi, dell'inizio, dei sette giorni della creazione,
ognuno può cambiare qualche parola che prenderà posto nel testo. Qui si vede fino a che
punto può arrivare la riscrittura della creazione del mondo da parte dell'uomo, ci si
riappropria della creazione: il mondo come noi lo vediamo è prodotto dall'uomo, noi lo
abbiamo costruito così, noi continuiamo a costruirlo così, e l'interattività permette
ad ognuno di partecipare a un fenomeno in evoluzione. Tutti partecipano, ma per un altro
aspetto tutti offrono anche un contributo di senso, un senso condiviso e che si può
scoprire ovunque.
Domanda 7
Può parlarci di World Skin?
Risposta
Ebbene, World skin, in italiano La pelle del mondo, è presentato in uno
spazio, in un luogo chiamato CAVE, un vano di tre metri di larghezza, dove ogni
muro è uno schermo e anche il suono è uno schermo. Si usano occhiali stereoscopici che
permettono di vedere in rilievo e danno l'impressione che non ci siano più muri intorno a
noi; quando si è dentro, danno l'impressione di essere veramente in mezzo a
quell'ambiente. Poiché vi possono stare parecchie persone assieme, ci si rende conto di
trovarsi in mezzo a un gruppo di turisti e World skin è un safari fotografico nei
paesi di guerra. Dunque, si esplora il mondo della guerra o, più precisamente, il mondo
delle immagini di guerra, perché esso è costituito di immagini provenienti da servizi
fotografici, réportages televisivi o video. In questo ambiente c'è la possibilità,
grazie a speciali apparecchi fotografici, di scattare delle foto. Ognuno, circolando,
esplorando, può raccogliere dei souvenir nel mondo della guerra. Una volta prese e
stampate queste fotografie, si resta in possesso di una traccia tangibile di quel mondo
virtuale che si può portar via con sé. Una volta presa, quell'immagine non è più
disponibile. In altri termini, quella parte di mondo che è stata fotografata, viene
cancellata, diventa bianca, la memoria delle immagini è cancellata, non è più
accessibile ad altri. Agli altri non resta più che il profilo delle forme divenute
bianche e che prima erano qualcosa, erano frammenti di tempo, momenti di un evento vissuto
da altri. In questo modo, progressivamente si cancella il mondo, la memoria, le tracce
della guerra.
Domanda 8
Lei ha scritto che i media mettono tutto sullo stesso piano. Perché?
Risposta
Un giornale impagina materialmente, sotto un titolo che occupa la stessa superficie della
pagina e con lo stesso corpo, la notizia di un attacco terroristico in Algeria, che ha
provocato il massacro di cento persone e quella dell'ultimo incontro di calcio, come se
fossero la stessa cosa. Anche il telegiornale riporta tutto alla stessa materia, che è
una materia-immagine, nella quale la differenza tra fiction e realtà è sempre
meno evidente. Quando si aprono i titoli di testa, la visione della Guerra del Golfo, su
CNN è come Apocalipse Now, una superproduzione hollywoodiana, con titoli in 3D:
"Continua l'avventura. Gli Americani partono per la guerra". Dov'è la finzione,
dov'è la realtà in questo caso? Si può distinguere solo in parte, perché, in fondo,
tutto è messo sullo stesso piano. In World skin appare evidente che più immagini
si producono sul mondo della guerra, più immagini si producono su questo tipo di eventi,
meno ci toccano, meno si ottiene la sensazione che si tratti di violenze reali. La
violenza, nella fiction, è molto più forte della violenza che ci mostrano le
immagini della guerra. La Guerra del Golfo non era fatta di immagini violente, non abbiamo
visto immagini violente: vedevamo qualcosa che si muoveva, effetti di luce, carri armati,
uomini in marcia. Per la Bosnia era molto più chiaro: c'erano le immagini di
un'aggressione. Anche per ciò che succede in Algeria non ci sono veramente immagini: le
immagini vengono dopo l'evento, non ci troviamo davanti a situazioni reali. Le immagini,
comunque, sono solo parti della realtà, sono solo parti del tempo e, inoltre, sono
neutralizzate dal mezzo televisivo. Questa neutralizzazione fa sì che non si possa
prendere parte mediaticamente a una guerra, che non si arrivi a condividere il dolore
degli altri.
Domanda 9
In un'epoca in cui c'è, forse, troppa informazione, lo spettatore che guarda la
televisione si abitua a vedere immagini di violenza e prende le distanze perché è
assuefatto alle immagini...
Risposta
E' proprio qui che volevo arrivare. In fin dei conti, la vera aggressione è nel prendere
immagini, nel produrre immagini, nel prelevare l'informazione, nel riprendere il dolore:
questo è il problema che si pone per me. Prendo immagini autentiche della guerra,
immagini autentiche di morti, immagini di cadaveri e le traspongo in una situazione che, a
priori, non porta nessun contributo alla lotta. In questione, nonostante tutto, è la
creazione di situazioni diverse da quelle che ci presenta la televisione e l'immersione,
la qualità particolare della situazione in cui si trova lo spettatore. In un sistema CAVE,
per esempio, questa immersione in un mondo virtuale ci rimanda una intensità particolare
molto lontana dalla realtà e, nondimeno, assai più grande. Non è la simulazione di una
guerra, non si ha l'impressione di essere calati dentro la guerra, ma l'evento che viviamo
ci ricorda che c'è sempre una guerra da qualche parte del mondo, che la guerra è là e
noi non ne facciamo parte; tutto quello che si fa normalmente, è cancellare.
Domanda 10
Cancellare, in questo caso, significa cancellare la guerra, non conservare le immagini che
si sono fotografate?
Risposta
No: si conservano le immagini fotografate, si mettono in un contenitore, da qualche parte.
Dico che si è cancellato tutto perché si sono portate via quelle che avrebbero potuto
essere delle tracce per gli altri. La questione è: si sono cancellate delle immagini, la
memoria, le tracce della guerra; quello che io mostro non è la guerra ma immagini di
guerra. Sono, dunque, le immagini della guerra che vengono cancellate. Colui che viene
dopo di me non potrà più vederle; quando si prendono delle immagini, questo aiuta a
dimenticare. E' come prendere appunti su un taccuino, per tenere sgombra la mente: una
volta che ho annotato qualcosa, non ho più bisogno di ricordarmene. "E' stato già
detto", "Si è già visto": spesso sentiamo questi argomenti alla
televisione o alla radio. Quando il pubblico interviene a lamentarsi che non si è parlato
abbastanza di questo o di quello, c'è sempre qualcuno che risponde: "Lo abbiamo
fatto vedere la settimana scorsa, abbiamo fatto il nostro dovere, abbiamo fatto il nostro
lavoro". Ci si sente la coscienza a posto, si può dimenticare.
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