INTERVIEW:
Domanda 1
Dobbiamo imparare a ragionare nei termini di fantapolitica, fantasociologia e
fantaeconomia. Siamo chiamati, in altre parole, a realizzare uno straordinario sforzo
creativo, a sentirci responsabili di una mutazione radicale, a inventare il futuro e non
il passato. Ci può descrivere qualcosa in merito?
Risposta
Fare riferimento alla fantascienza è un espediente, a volte dichiarato, a volte non
dichiarato, con cui la sociologia e la filosofia soprattutto, lavorano ormai da un paio di
decenni. Molte grandi idee, che hanno percorso il pensiero filosofico in questi ultimi
anni di passaggio dalla modernità alla post-modernità, si devono agli scrittori di
fantascienza. Gli scrittori di fantascienza, che hanno le radici, del resto,
nell'Ottocento e anche prima, che cosa hanno sperimentato? Hanno sperimentato lo sforzo di
immaginarsi un contesto diverso da quello presente e provare a pensare, rispetto a quel
contesto diverso, ad una determinata innovazione tecnologica, lo sforzo di immaginarsi
come la società poteva funzionare. La radice della fantascienza, che è ottocentesca, e
quindi rintracciabile nel grande sviluppo della civiltà industriale, ha spinto sempre
più avanti la fantasia proiettiva dell'uomo moderno e della cultura metropolitana e,
quindi, in qualche modo, ha anticipato la dimensione in cui stiamo entrando davvero oggi.
Essa è costituita da questo transito dalle comunicazioni di massa, che hanno costruito il
territorio della vita sociale in questi ultimi cinquant'anni, all'ingresso nelle reti: una
forma di comunicazione che sfonda lo schermo del grande e del piccolo televisore e
costituisce un territorio del tutto nuovo. Allora siamo nella fantascienza; e se siamo
nella fantascienza, tutti i soggetti della società entrano in questa dimensione di
non-identità, ma di fantaidentità; di non-creatività, ma di fantacreatività, e così
via.
Domanda 2
Lei sostiene che le nuove tecnologie danno delle opportunità per migliorare la qualità
della nostra vita. In che modo?
Risposta
Ciò costituisce gran parte del dibattito attuale sulle nuove tecnologie, e, a mio avviso,
un po' negativamente: le nuove tecnologie spaventano. Spaventano in gran parte a ragione,
ma, in qualche modo, anche a torto. In che senso? A ragione possono spaventare perché
ogni volta si apre una nuova "chance", si inventa un nuovo strumento ed è
giusto porsi la domanda di come useremo quella "chance", quella opportunità.
Sappiamo che l'esperienza della storia, in questo senso, ci ha completamente deluso.
Sappiamo che le grandi attese sulla modernità sono state ampiamente deluse. E' vero che
abbiamo aumentato la qualità della vita, ma è anche vero che l' abbiamo fatto a prezzo
di un sacrificio umano fuori dei perimetri della modernità, fuori dell'Occidente. Allora
è giusto essere inquieti sull'ingresso della nuova tecnologia, dei nuovi mezzi
tecnologici. D'altra parte, però, è anche giusto domandarsi che cosa rappresenta.
Allora: se queste nuove tecnologie, come io credo, rappresentano qualcosa che sfugge, in
modo molto determinato, alle caratteristiche forti della civiltà di massa e
dell'industria culturale, quindi anche alle forme del potere, ai soggetti storici che
hanno guidato la cultura occidentale nel moderno, allora, forse, c'è da interrogarsi su
quali possibilità queste tecnologie potrebbero dare ai nuovi soggetti. E' semplice
parlare di quanto queste nuove tecnologie, duttili, morbide, interattive, eccezionalmente
creative, possono servire al miglioramento della vita quotidiana. Però noi sappiamo che
già nell'epoca precedente la civiltà dei consumi ha migliorato la vita quotidiana, però
non ha ridotto né i conflitti, né le ingiustizie, né la disuguaglianza. Che cos'è,
dunque, che si introduce in questo contesto? L'elemento a cui sono più interessato è
proprio questo: le tecnologie hanno la vocazione di sfuggire i linguaggi forti della
tradizione moderna. Tutto il pensiero filosofico è ragionato sul soggetto moderno. Ma
questo soggetto moderno chi era? Era il soggetto moderno legato alla tradizione della
scrittura. Queste nuove tecnologie e i linguaggi digitali, nel rapido sviluppo che avranno
queste macchine, che avrà il computer, che avrà il dialogo faccia a faccia, si
avvicinano, invece, sempre di più ad un dialogo liberato dai vincoli della scrittura, ai
testi instabili, alle conversazioni, alle piccole reti comunitarie. Io credo che questo
abbia - o possa avere almeno - un grande valore trasgressivo nei confronti del passato e
dei rapporti di potere del passato.
Domanda 3
Stefano Rodotà, in un articolo uscito su "La Repubblica", ha scritto: "La
società delle informazioni rischia di rovesciarsi nella società dell'esclusione".
Condivide questo giudizio o è un giudizio troppo estremo? E poi come fare per evitare
l'"apartheid infomatica"?
Risposta
I problemi relativi alle disuguaglianze vecchie che le nuove tecnologie possono
confermare, o a disuguaglianze nuove che possono introdurre, sono probemi indubbiamente
importanti. Quello che conta, a mio avviso, è far tesoro dell'esperienza passata, e
provare a non commettere gli errori del passato. Noi sappiamo che l'industria culturale ha
funzionato come grande comunicatore collettivo, e sappiamo anche che ciò, comunque, non
ha impedito squilibri, disuguaglianze, "èlites", "lobbies", pubblico
di massa, esclusi; quegli esclusi, tra l'altro, che sono apparsi nella fase terminale
della cultura di massa, nella fase terminale della televisione generalista. Queste nuove
tecnologie hanno la caratteristica di essere trasversali. E' vero: in questo momento
possono richiedere un sapere, una competenza, e anche un ceto, che ricostituiscono una
sorta di "èlite". Va detto, comunque, che questa "èlite" è
qualitativamente diversa dalle precedenti, perché ha componenti diverse, anche di ceto.
Sappiamo, però, che queste tecnologie sono in rapida, rapidissima evoluzione, per la
necessità stessa che hanno di mutare e di offrirsi ad un mercato sempre più esteso.
Quella difficoltà che oggi viene presentata come la costruzione di una nuova rocca del
sapere, di un nuovo castello della sapienza - tecnocratica questa volta, invece che
umanistica o filosofica -, dobbiamo sapere che non avrà un lungo periodo. Voglio dire che
entro un breve periodo queste macchine saranno più direttamente governabili, potranno
guidare meglio. Ancora una volta questo non risolve i problemi della disuguaglianza. I
problemi della disuguaglianza appartengono ai rapporti di potere, ai conflitti. E'
importante, però, cogliere in queste nuove tecnologie quello che hanno di collaborativo
rispetto ai precedenti regimi e capire se sia possibile sfruttare quanto hanno di
collaborativo. Oppure capire se sfruttare queste macchine nel senso della collaborazione
non sia un errore, perché aggraveremmo gli squilibri e i rapporti di potere della
tradizione; oppure, ancora, capire quanto hanno di catastrofico, perché, per quanto hanno
di catastrofico potrebbero offrire una "chance", che la modernità non è
riuscita a realizzare. Le nuove tecnologie, in effetti, costituiscono uno strumento di
grande rottura con i saperi del moderno e con le forme del potere del moderno.
Domanda 4
A proposito di disuguaglianze, nel saggio "La fine del lavoro", Rifkin,
parlando delle tecnologie "labour saving", dell'"engineering" e
descrivendo la "Terza Rivoluzione Industriale", pone il futuro come uno scontro
fra due forze inconciliabili: un' "èlite" cosmopolita di analisti di simboli,
"knowledge workers", che controlla la tecnologia e la fase di produzione ed un
crescente numero di lavoratori, permanentemente in eccesso. Ci troviamo di fronte a questo
incubo? E poi è realmente un incubo?
Risposta
Il passaggio dalle vecchie alle nuove tecnologie è un passaggio che si inserisce in una
trasformazione più generale del sistema moderno, del sistema dei mercati, del sistema
della produzione, dei consumi, dei rapporti sociali. Anzi, potremmo dire che le nuove
tecnologie sono l'espressione di un processo, che è andato maturando, anche con grandi
elementi di crisi, di catastrofe, all'interno della tradizione moderna, dei sistemi
industriali moderni e che esplode in qualche modo - o implode - nelle nuove tecnologie, o
nella possibilità che le nuove tecnologie hanno di offrire "chances" diverse.
Sicuramente, nelle fasi di transizione, i conflitti possono essere duri. Sicuramente noi
assistiamo ad un rapporto inverso tra ricchezza ed offerta della tecnologia in termini di
prestazione e diminuzione del lavoro, e quindi, per certi aspetti, in certi luoghi, in
certi settori, la nuova offerta tecnologica può significare disoccupazione. Questo
rapporto stretto fra nuova offerta tecnologica e disoccupazione è dentro un sistema che
ha giocato sul rapporto tecnologia-lavoro nell'economia della società industriale, sul
rapporto tra lavoro e tempo libero; tale sistema si conferma addirittura nel rapporto tra
società e cultura, società e comunicazione, potere e società. E' evidente, quindi, che
questo grande problema della diminuzione di lavoro vada rivisto in una ridefinizione
globale del sistema. D'altra parte, attraverso uno sguardo distante, che, certamente, è
duro mantenere, - perché dietro il problema della disoccupazione c'è sofferenza umana,
difficoltà e disuguaglianza -, noi sappiamo che il grande ciclo della civiltà è stato
un grande periodo in cui una classe privilegiata sfruttava gli schiavi e poi un periodo in
cui, progressivamente, almeno in parte, gli schiavi sono stati sostituiti dalle macchine.
Adesso attraversiamo un'altra fase in cui le macchine si trasformano in modo tale,
virtualmente, da poter liberare l'uomo dal lavoro, e la liberazione dal lavoro è stata
sempre una grande utopia. Una grande utopia di tutte le forze anticapitaliste. Adesso i
nodi ritornano al pettine. Bisognerebbe riuscire a ridefinire il sistema, riequilibrando i
rapporti; oppure, in effetti, queste nuove tecnologie, almeno nella lunga fase di
transizione, nel passaggio dal regime moderno a quello post-moderno, potranno
"simboleggiare" la disoccupazione, anche se non saranno l'unico fattore dei
fattori, appunto, delle dinamiche di disoccupazione.
Domanda 5
Nel rapporto del Centro Studi "San Salvador" si individuano alcune cause del
ritardo europeo rispetto all'avanzamento degli Stati Uniti per quanto concerne
l"Information and communication technology". Vorrei sottoporLe tre elementi di
riflessione per, eventualmente, indicare le cause del ritardo: la mancanza di una
alfabetizzazione informatica, la mancanza della liberalizzazione dei mercati, e l'assenza
di una reale integrazione fra l'informatica e le telecomunicazioni.
Risposta
Io direi che di queste tre posizioni, quella più cruciale per tentare di ridurre la
tendenza ad avere l'Europa - e in particolare l'Italia - in una situazione subordinata
rispetto al potere tecnologico e di mercato americano, è quello della formazione della
ricerca scientifica. Ciò è necessario anche per intervenire su una ridefinizione dei
rapporti tra interesse pubblico e di mercato, ed è quindi necessario per una
valorizzazione della concorrenza del libero mercato, in modo tale da avere una ricaduta
sociale. Inoltre, la formazione nel settore scientifico serve per poter garantire - in
questa nostra fase di passaggio segnata dall'ossessione per il vecchio sistema
centrocratico, diffusivo e seduttivo della televisone - il passaggio alle reti. Per
realizzare tutto questo - che è qualcosa che va ben al di là della dimensione del
divertimento o della comunicazione dell'informazione, ma riguarda il sistema nella sua
dimensione globale -, quello di cui si ha bisogno è la professionalità. Per questo noi
paghiamo gravemente l'assenza, da molti anni in Italia, di qualsiasi processo formativo,
di un investimento sulla ricerca, di un investimento nella scuola e nel mondo accademico.
Domanda 6
In quest'epoca di trasformazione si avverte una sorta di incapità della classe
politica a saper reagire agli stimoli differenziati di una società complessa. Per certi
versi, l'idea di una democrazia diretta, crea una serie di stimoli, per cui la politica
non riesce più coerentemente e chiaramente a scegliere le strade. Quali potrebbero
essere, a suo avviso, le strade da scegliere?
Risposta
L'osservazione del rapporto tra nuovi sistemi comunicativi, e la ridefinizione del sistema
della comunicazione sono, sicuramente, dei punti di riflessione interessanti per capire la
dimensione globale dei fenomeni che stiamo vivendo e per comprendere anche le dimensioni
locali e settoriali. E', comunque, una questione sostanziale per il nostro presente e per
il nostro futuro. Noi potremmo dire che stiamo ancora vivendo una dimensione in cui i
grandi "media" generalisti hanno costruito un territorio nazionale e
internazionale, in cui la politica può agire superando le difficoltà del territorio
fisico e trovando, in qualche modo, la possibilità di scegliere forme di governo,
costruire rapporti di potere, seguire e perseguire delle strategie. Questa fase, però,
mostra tutte le cadute, i vuoti, le difficoltà di questo processo. Il grande territorio
televisivo, il grande territorio mediatico, si sta disgregando rispetto ad una
complessità sociale che ormai supera le forme della tarda modernità: le identità
collettive, i rapporti di potere frontali, i conflitti basati sullo schema della guerra
oppure della mediazione; comunque, nell'uno o nell'altro caso, nel costruire processi che
debbono portare a un riequilibrio delle differenze, a dei patti, a degli scambi. Quello
che, a mio modo di vedere, va colto in questa fase, è che dentro le società di massa,
dentro le politiche anche della democrazia - e della democrazia di massa -, stanno
sorgendo delle diversità, delle forme di espressione sociale, che sfuggono ai parametri
tradizionali del moderno, ai conflitti tradizionali. Nel processo globale, questo elemento
è ancora più sensibile con le grandi immigrazioni e con i fenomeni delle insorgenze
etniche, e dei fondamentalismi. Vanno insorgendo, dunque, delle diversità che sono assai
poco disposte a contrattare, che vogliono affermare la propria diversità, e si
costruiscono sul loro specifico sfuggendo ai paradigmi e alle strategie tipiche della
società di massa; tipiche di quel sistema di informazione che è servito alla politica
per creare una sorta, appunto, di politica mediatica e su cui si sono costruiti i
sondaggi, il legame tra l'innovazione informatica e la dimensione, invece, ancora di massa
delle maggioranze contro le minoranze. Questa è una grande mutazione che noi viviamo, a
mio modo di vedere, con una ricchezza che fa essere l'Italia una sorta di laboratorio;
perché l'Italia, in qualche modo, non ha avuto l'esperienza metropolitana, il processo di
modernizzazione, se non nella televisione. Quindi, in Italia, noi abbiamo costruito un
sistema in cui davvero la televisione è il territorio nazionale dei nostri anni. E quindi
è in questo territorio che gli elementi di novità, rappresentati dalle nuove tecnologie,
possono assumere un significato straordinario e anche significativo rispetto agli altri
paesi.
Domanda 7
La velocità e la quantità degli stimoli informativi provenienti dai nuovi media, urta
contro la capacità riflessiva, ricettiva dell'individuo. Non si corre il rischio di
un'inflazione di stimoli che concorrono alla perdita del senso?
Risposta
Io direi che situazioni di ridondanza sono quelle che hanno caratterizzato - e stanno
caratterizzando - la fase, in qualche modo terminale, ultimativa della grande
comunicazione collettiva della televisione generalista. Insieme alla televisione
generalista bisogna però considerare anche tutti gli altri sistemi espressivi, che, in
qualche modo, sono egemonizzati, in qualità e quantità, dal sistema televisivo. Perdita
di senso, come tutta la filosofia e la sociologia - almeno una sociologia filosofica dei
media di questi ultimi vent'anni, di cui un esponente è Henzensberger - è andata
dicendo, sostenendo che ormai il televisore non dice più nulla. Queste nuove tecnologie,
ancora una volta, offrono due volti. Da un lato sicuramente consentono una informazione ed
una comunicazione mirate, dei criteri di guida, di selezione, di accesso e di uscita,
degli archivi ordinati. Insomma, offrono qualcosa di leggibile, di organizzabile, di
memorizzabile, fuori della dimensione televisiva, così legata all'effimero, al fugace, al
difficilmente ricostruibile, al di là dell'evento. E' una dimensione, quella della nuova
tecnologia, sincrona: ciascuno ha il suo tempo ed il suo momento per costruire senso, per
costruire relazioni e per organizzarsi. Contemporaneamente, l'altro aspetto è che questa
risorsa straordinariamente più forte delle precedenti in termini di immagazzinamento dei
dati, di raccolta delle immagini, di fatti ed eventi, di comunicazione e di corpi, aumenta
enormemente, al di là del concepibile. Ciò che l'uomo moderno ha sentito è la sua
sublime impotenza rispetto alla magnificenza della comunicazione, ai territori incredibili
della storia e della memoria. Nasceranno delle tecnologie, che a loro volta - e già ci
sono, ne abbiamo tutti i segni - ci aiuteranno a navigare attraverso questo immane
territorio, ci offriranno la possibilità di costruire delle dimensioni nostre, che
possano rendere possibile questo enorme magazzino, che non è rumoroso come la civiltà
delle immagini, ma è silenzioso. Silenzioso ed inquietante per la quantità di
informazione che contiene, che forse nessuno, singolarmente, potrà mai raccogliere. Come
sempre, dunque, la tecnologia si presenta con un volto rassicurante: ci può aiutare a
migliorare delle cose e con un volto inquietante; può essere anche una zona di rischio.
La protesi tecnologica, come sempre, aumenta delle capacità umane; ciò significa,
naturalmente, aumentare gli elementi positivi quanto quelli negativi.
Domanda 8
Questo sovraccarico di stimoli non comporta anche un rischio della perdita della
sensibilità estetica, per certi versi?
Risposta
Se vogliamo usare il termine "sensibilità" come un qualcosa di più ricco, di
più articolato rispetto a quello che noi intendiamo per "visione", per lettura,
per ascolto; se con sensibilità intendiamo tutto ciò che riguarda il corpo - il quale
corpo in questi anni si è intrattenuto eminentemente con i linguaggi del piccolo e del
grande schermo ed ora si trova davanti ad un computer- la prima considerazione da fare è
che ci potrebbe essere un raffreddamento. Io, al contrario, credo che questo incontro con
il computer, che, in sostanza, è un simulatore dell'"altro", è un veicolo per
raggiungere e costruirmi l'"altro", mi mette in una condizione di attore del
discorso; il cinema, viceversa, o la letteratura, il libro, mi avevano messo nella
condizione di spettatore di una narrazione, di soggetto che si deve proiettare nel testo.
In questo caso io compio una "performance", di cui sono attore, attraverso la
comunicazione cibernetica. Non sono più lo spettatore. Questo elemento, che mi sembra
teoricamente, anche nei suoi passaggi storici, abbastanza fondato, mi fa pensare che si
sia entrati, appunto, in forme di comunicazione più sensibili. Quello che già McLuhan
aveva detto, parlando di televisione, su una certa tendenza alla "tattilità"
del linguaggio televisivo, mi sembra che si vada ancora di più sviluppando, invece, nelle
nuove dimensioni cibernetiche. C'è una forte presenza del corpo, il quale, piuttosto che
mortificato e atrofizzato, è eccitato. Tra l'altro, nei modi di costruire l'analisi di
questi mezzi, e nelle utopie, nelle dimensioni fantastiche che si sono costruite su questi
mezzi, e che noi sappiamo sono dei modi di lettura validi tanto quanto la ricerca
sociologica o filosofica, l'analogia tra le nuove tecnologie e le droghe è sempre stata
posta in termini molto forti ed espliciti. E noi sappiamo che le droghe, nelle dimensioni
primitive, che sono quelle che più si accostano alla dimensione del postmoderno,
rappresentano strategie di eccitazione del corpo, perché il corpo sia più sensibile,
più ricettivo, non abbia più cinque, sei, sette sensi, ma ne abbia, appunto, cento,
mille.
Domanda 9
Nel suo intervento, Bodei denuncia il pericolo che la "globalizzazione" comporta
nel rischio di omogeneizzazione. E si pone la domanda: chi potrà frenare le spinte verso
un pensiero unico?
Risposta
Io credo che ciascun sistema comunicativo, nel suo evolversi, dall'origine stessa della
civiltà, ha un suo rischio di massimo autoritarismo e, viceversa, delle possibilità
conflittuali che rendono più distribuita la costruzione del sapere e più distribuite le
forme del dominio; più distribuite le possibilità di espressione, più distribuiti i
diritti e i doveri, e così via. Sicuramente non è un caso: le inquietanti immagini del
grande fratello si sono costruite sull'idea dell'immagine, appunto, della società di
massa, della cultura di massa, e della possibilità, all'interno di forme di comunicazione
collettive, della seduzione, della persuasione, della propaganda e del dominio di un
singolo su tutti, facendo riferimento a forme di comunicazione diffusive, che dal vertice
vanno alla base o dal centro vanno alla periferia. Quel processo di socializzazione, di
fatto, si è sviluppato realizzando una mediazione, una omologazione dei linguaggi. Nel
suo rovescio, quindi, esprime una non socializzazione, ma, appunto, puro e semplice
dominio. Ora che entriamo nella nuova fase dei media post-televisivi, dei linguaggi
digitali, della costruzione digitale dell'informazione e della comunicazione, sappiamo di
trovarci di fronte a delle grandi reti, e che queste reti sono molto più capillari e vive
rispetto alle reti televisive, perché sono interattive. Sappiamo anche che la minaccia,
il rischio di forme di dominio viene potenziato un'altra volta, e quindi bisognerà
pesare, cercare di controllare la costruzione di questa rete, perché si costruisca
attraverso dispositivi e regole, che cerchino di arginare questo rischio. La rete
contiene, al suo interno, maggiori "chances" di trasgressione. La forma di
comunicazione che noi stiamo abbandonando, o che dovremmo comunque ridimensionare in un
segmento delle funzioni sociali complessive, quella televisiva, va dalla stazione
emittente alla stazione ricevente. In questo caso si tratta di un flusso, che può
esprimersi in termini di potere, con una bassa, lenta riposta da parte del pubblico alla
stazione emittente. Nel caso dei "new media", siamo di fronte a comunicazioni
non da uno a molti, ma tra uno e uno, e quindi tra molti e molti. Queste forme di
comunicazione realizzano processi sociali di aggregazione e di variazioni e turbolenze
che, sicuramente, non erano previste all'interno del precedente schema comunicativo.
Quindi, ancora una volta, siamo di fronte ad uno sviluppo in cui abbiamo la possibilità
di un controllo. Ma è vero anche che queste tecnologie, per le caratteristiche con cui si
collocano nel mercato, per gli aspetti seduttivi che devono avere nel mercato per essere
acquistate, per il tipo di investimento che fanno su fantasie, bisogni, desideri
dell'individuo e della persona, sono invece molto mirate a consentire una pluralità, una
estrema diversificazione e disarticolazione delle figure e delle rappresentazioni,
piuttosto che il monolitismo.
Domanda 10
Riprendendo le riflessioni di Bodei, egli, nel suo saggio, si pone una domanda: "è
possibile iniziare ad agire oggi secondo un'etica planetaria, ancor prima che i criteri
collettivi di giudizio e di condotta si siano sufficientemente segmentati e
assestati?" La risposta è affermativa. Quali possono essere, a Suo avviso, i criteri
per un'etica planetaria?
Risposta
Se queste domande debbono essere al centro della riflessione di questi anni, allora vuol
dire, comunque, che il porsi delle domande deve immediatamente essere seguito dal dubbio
sulle certezze che avevamo, perché, altrimenti, non avremmo bisogno di porci delle
domande. Se siamo così sicuri delle etiche che abbiamo portato avanti in questi anni,
basta soltanto tentare di applicarle e di fare il possibile, ciascuno di noi, nei
conflitti che vive, per difendere le etiche di cui è convinto. Invece, evidentemente, in
questo rinnovarsi delle domande ad ogni grande passaggio epocale - questa volta è un
pasaggio millenario - vuol dire che ci si ri-interroga sul senso delle etiche. E allora,
se eravamo abituati ad un'etica costruita all'interno dei conflitti della civiltà
moderna, e quindi tra classi, tra ceti, tra collettività, tra poteri frontali, e se
entriamo in una nuova dimensione, che, invece, è tutta trasversale, probabilmente
dobbiamo ripensare al concetto di diversità, al concetto di individuo, dobbiamo ripensare
al concetto di interesse comune, di legame, di solidarietà. Insomma: dobbiamo vivere fino
in fondo questo trapasso, non credendo di essere in continuità con un soggetto storico,
che è sempre lo stesso e che può tranquillamente passare, com'era prima, nel
pre-moderno, nel moderno e nel post-moderno. Se c'è un'evoluzione, allora vuol dire che
anche il soggetto storico cambia. Sono entrati molti soggetti nuovi dentro il soggetto
storico del moderno. A molti dei vecchi soggetti, chi è entrato nella televisione
generalista è apparso un mostro, è apparso un mutante, qualcosa di culturalmente
inaccettabile. Eppure era presente in qualche parte della società stessa. Proviamo,
allora, ad interrogarci -e la fantascienza, in questo senso, ci aiuta- su quali sono i
corpi, quali sono le sensibilità che stanno entrando nel nuovo secolo. Proviamo a
riflettere sul modo in cui si può ricostruire, ricostituire un'etica. E non pensiamo,
peraltro, che questo sia legato alla tecnologia e all'effetto della tecnologia, perché
basta osservare anche mondi in cui la tecnologia non c'è per capire che delle cose
cambiano. E' sufficiente andare in un centro sociale, o vedere un gruppo di
autoproduzione, o vedere dei fenomeni tribali che esprimono sensibilità, modi di
affermazione, approcci con l'altro, costruzioni dell'altro, che sono profondamente diversi
da quelli del passato. Ed è a quel mutamento che dobbiamo rispondere e pensare, nel
giusto bisogno di cercare di regolamentare questo transito, di non pregiudicare la
positività di queste tecnologie, sprigionando, invece, soltanto i loro possibili rischi.
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