INTERVIEW:
Domanda 1
Crede che le nuove tecnologie condurranno ad una globalizzazione della cultura?
Risposta
Potremmo fare riferimento alla distinzione classica, che abbiamo usato anche per il cinema
e per la televisione tra veicoli e contenuti. I contenuti appartengono, di fatto, ad una
cultura locale. Per riempire di qualcosa "l'espressione", ci vogliono interessi
molto forti. Questi interessi li abbiamo nel "locale", che, naturalmente, può
essere geografico, possono essere gruppi, o determinati territori fisici, delle etnie,
delle comunità; il "locale", però, può essere anche espresso da valori, da
elementi astratti che aggregano. Il sistema comunicativo di oggi delle reti spinge sino
all'estremo quella che era già una caratteristica di alcuni prodotti della civiltà
industriale: quella di avere una tendenza internazionale, una tendenza mondiale di mercati
internazionali. Le nuove tecnologie spingono al massimo questo processo. Possiamo
immaginare una globalizzazione dei veicoli, delle possibilità di comunicazione e di
interattività comunicativa -quasi una seconda pelle del pianeta- in cui tutto è più
agevolato, tutto è più diretto e simultaneo; però, perché vi siano dei contenuti da
trasmettere in questo reticolo globale, sono necessari i localismi. Si può negoziare il
valore di queste nuove tecnologie sfuggendo a quella dimensione globale interpretata
soprattutto dalla società dello spettacolo, anzi, correggendola, per arrivare ad
esaltare, invece, le differenze. Internet può valorizzare le differenze, perché può far
scomparire, o può indebolire, o può affiancarsi a quelle che sono state le grandi
agenzie di mediazione: la pagina scritta, lo schermo. Qui, pagina scritta, o schermo, in
qualche modo, dovrebbero cadere e questo linguaggio comunicativo dovrebbe dare la parola a
chi, fino ad oggi, è stato parlato.
Domanda 2
Dunque, a Suo parere, non si corre il rischio di essere assorbiti dalla cultura americana?
Risposta
Il rischio c'è ed è fortissimo. In questo momento Internet è in gran parte invasa non
dalla cultura che potrebbe essere la più "affine" a questa nuova tecnologia; di
fatto è un territorio ancora, in grande parte, vergine e che comincia ad essere invaso
dai poteri della cultura di massa, della società di massa e dell'industria culturale. In
questo senso ci sono tanti siti che corrispondono ai siti cui noi siamo abituati, vediamo
i giornali e la parola scritta che cerca di utilizzare Internet, appunto, per avere un
nuovo mercato. Quando nasce una nuova tecnologia, essa è, comunque, espressione della
nostra vita quotidiana, dei nostri bisogni; si tratta di negoziare se la tecnologia deve
andare in una direzione o, piuttosto, nell'altra. Rispetto al tipo di equilibrio che si è
creato nella società di massa tra poteri, media e società, io credo che nell'innovazione
tecnologica si possa trovare una chance. Certo, c'è il grande rischio, viceversa, che
questa innovazione invece di spezzare i vecchi poteri, in qualche modo li salvi e anzi li
rafforzi, collaborando col vecchio sistema. Questo è il vero rischio.
Domanda 3
Lei cosa pensa della censura in rete?
Risposta
Come sempre nelle fasi iniziali, un nuovo territorio viene invaso da elementi anarchici,
da elementi liberi: non ci sono norme, non vigono regole. E' evidente che Internet è un
sistema che già mostra di doversi regolamentare, poiché un nuovo territorio deve trovare
dei suoi dispositivi di controllo. Io credo che il problema, però, della censura vada
visto non pensando ai rischi che le reti costituiscono per il futuro; esso va affrontato
per come la censura ha funzionato già nel sistema che abbiamo vissuto, e cioè: siamo
proprio sicuri che le norme, le leggi, i meccanismi censori esterni e quelli
interiorizzati abbiano usato una cultura adeguata alla società? Le norme, quindi i
criteri, il senso del controllo, debbono nascere da una esatta valutazione dello spirito
del tempo, che è il sentire comune, che sono le contraddizioni, i conflitti. Io credo che
questo non ci sia; anche in questa drammatica situazione in cui emergono degli strappi,
delle lacerazioni sociali che invitano a ricorrere a delle norme rigide, forti, di
controllo, a mio avviso queste stesse norme vengono un po' ciecamente richiamate, senza
riflettere davvero sulla natura dei fenomeni.
Domanda 4
In rete adesso, con l'arrivo della fine del millennio, sono nati molti siti in cui
sono espresse le paure ataviche dell'uomo. Come si concilia uno strumento tecnologicamente
avanzato con queste profezie di fine millennio?
Risposta
Da sempre, una nuova tecnologia rende inquieto l'individuo, poiché essa ha una natura
doppia, nasce dai nostri desideri. Ma quando, poi, l'individuo vede i propri desideri
prendere corpo, ne può avere un effetto di paura. Il nuovo spaventa sempre, l'ingresso in
un nuovo territorio di cui non si conoscono le caratteristiche, spaventa. Per di più
questo territorio così disponibile ad accogliere qualsiasi individuo, qualsiasi
comunità, si popola anche delle paure del passato. Di fatto, l'eredità della cultura di
massa e dei linguaggi generalisti è esattamente quella di una prevalenza della paura, dei
traumi, dei mostri. Quindi è abbastanza prevedibile quello che sta accadendo, in una
cultura del digitale che di fatto, invece, demotiva, svuota il senso che la civiltà
industriale e la società di massa hanno dato ai mostri. La civiltà industriale ha
vissuto una trasformazione del mondo, una trasformazione dell'abitato, una trasformazione
degli individui, in tempi molto rapidi. Questa velocità ha creato dei traumi. Di
conseguenza, la categoria dominante è stata quella dell'ibrido, del mostro. Questa è una
tecnologia che si presta, viceversa, nel suo gioco continuo tra connessione e
sconnessione, a far scomparire le figure mostruose o, comunque, a naturalizzarle. Ecco: in
qualche modo le metamorfosi prima erano qualcosa che spaventava, oggi è la natura stessa
di questo linguaggio che si presta alle metamorfosi.
Domanda 5
Sarebbe interessante approfondire con Lei il rapporto fra autore e macchina.
Risposta
Nel dibattito intorno alle nuove tecnologie emerge spesso l'idea che queste ultime, per la
prima volta, in quanto dispositivo meccanico, diciamo anche dispositivo artificiale,
investano l'intellettuale. Io credo che questo spieghi anche le difficoltà
dell'intellettuale a trovare il posto giusto, la misura giusta, lo sguardo giusto con le
nuove tecnologie; l'intellettuale, nel processo di modernizzazione, è sempre stato
collegato con la macchina. Ma la casta dell'intellettuale ha tentato sempre e
disperatamente di sostenere che questo legame, questo coinvolgimento del lavoro
intellettuale, della mente, del pensiero, della conoscenza e della coscienza, fosse
libero, invece, dai legami con la macchina. Tipico è stato il modo con cui
l'intellettuale, attraverso i suoi strumenti - il libro e, in gran parte, anche la stampa
- ha sempre marcato il suo non coinvolgimento, la sua distanza, la sua differenza rispetto
all'industria culturale. Se si legge questo processo in modo diverso e si interpreta
l'industria culturale come un meccanismo che ha coinvolto interamente il lavoro
intellettuale, sia quello diffuso, sia quello d'élite, risulta evidente che
l'intellettuale ha vissuto rimuovendo il suo rapporto con la macchina. Oggi questa
macchina è più leggera, meno visibile, sta meglio sul corpo; l'intellettuale se ne serve
e però rischia di commettere lo stesso errore, pur riconoscendo, questa volta, di avere a
che vedere con la macchina, perché può essere interpretata come uno strumento
liberatorio rispetto alla macchina industriale. Nel mondo degli intellettuali ci può
essere un intellettuale che usa il computer, se ne serve, ma se ne serve per rafforzare il
suo statuto di intellettuale tradizionale, le forme del sapere tradizionale. Ci possono
essere intellettuali che non usano il computer, che non si servono del computer, che non
si servono delle reti, ma che ormai hanno abbandonato, invece, le forme di sapere a cui
l'intellettuale appartiene storicamente e socialmente.
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