Quale papà sognano i PC?
A venti anni dalla nascita del primo PC Ibm,
circola in Rete la "Vera storia del Personal Computer",
una saga che rende omaggio agli innovatori rimasti nell'ombra
di Eleonora Giordani
Se i nostri computer avessero un codice genetico, se ogni notte
quando li spegniamo avessero facoltà di sognare pescando
nei loro archetipi, a quale volto umano assocerebbero la loro
percezione di figura paterna? Forse il papà dei loro sogni
non sarebbe Bill Gates, come invece vuole una sempre più
consolidata leggenda mediatico-popolare, ma una carovana di illustri
sconosciuti, i veri pionieri dei primi "circuiti selvaggi",
prima che si aprissero le autostrade dell'informazione.
Insomma, siamo proprio sicuri che gli artefici della rivoluzione
tecnologica del nostro mondo industrializzato siano gli attuali
colossi del software e dei microchip? Una domanda lecita, dato
che il 12 agosto scorso si celebrava il ventennale del primo PC
Ibm, il capostipite di tutti i terminali che usiamo a casa e in
ufficio e che si racconta sia nato grazie al genio dell'allora
giovanissimo presidente di Microsoft.
E una provocatoria risposta circola in Rete in questi giorni,
in uno scritto presentato come il primo capitolo di una "vera"
storia del Personal Computer, che "sulla base di fatti e
documenti reali distrugge falsi miti e leggende infondate, restituendo
a personaggi rimasti nell'ombra il posto che meritano nella storia
dell'informatica".
Autore del libello è Carlo Gubitosa, un giornalista free
lance autore di saggi sulle nuove tecnologie per lo sviluppo sostenibile,
che ha deciso di diffondere su Internet gratuitamente questa sua
opera, perché, ci ha detto, "è dovere etico
di ogni intellettuale favorire la trasmissione delle idee e della
conoscenza".
La storia dello sviluppo delle tecnologie della comunicazione
e dell'informazione, spiega Gubitosa, contraddice il concetto
di new economy: tutte le innovazioni sono frutto della passione
di alcuni pionieri e non di strategie di mercato. Quando poi questa
scintilla iniziale è stata cooptata dall'industria e dalle
logiche di Borsa, i precursori sono scomparsi, schiacciati da
chi alla fine ha realizzato un prodotto commerciale di successo
ed è diventato famoso.
E' il caso ad esempio di Phillip Katz, inventore del PKZip, il
programma che permette di comprimere, "zippare", dati
e file riducendo lo spazio di memoria richiesto per la loro archiviazione.
Katz scrisse una delle applicazioni informatiche più diffuse
del mondo "per hobby", senza mai sfruttarla commercialmente
e morendo a soli 37 anni, ubriaco, in un motel. O di Doug Engelbart,
che creò il mouse allo Stanford Research Institute nel
1970 e che non vide nemmeno l'ombra della ridicola somma (40 mila
dollari) ricavata dalla sua Università per la cessione
del brevetto alla Apple.
Per non parlare poi della serie di fortunate coincidenze che
portarono il venticinquenne Bill Gates a firmare nel 1980 un accordo
miliardario con Ibm, per la fornitura di un sistema operativo,
il Dos, utilizzato poi come standard su tutti i personal computer.
Un accordo sfuggito per un soffio ad un programmatore ugualmente
geniale, Gary Kildall, autore di un sistema operativo ugualmente
funzionale ma che non gli ha consentito di sedere sulla poltrona
di uomo più ricco del mondo.
Vi proponiamo dunque, d'accordo con l'autore, questa prima tappa
di un viaggio alle origini del computer, nella prospettiva di
rendere giustizia a chi è rimasto nell'anonimato.
L'insieme del lavoro si basa su diverse fonti, da ricerche in
Rete al "Rapporto
Microsoft" della giornalista Wendy Goldman Rohm (Garzanti,
1999) alla "Biografia
non autorizzata" di Bill Gates scritta da Riccardo Staglianò
(Feltrinelli, 2000). Il libro completo è quasi pronto e
dovrebbe uscire all'inizio dell'anno prossimo, ma tutto è
ancora in forse.
Allora quella di diffondere gratuitamente via Internet un'anticipazione
dell'opera è una decisione ideologica o una scelta obbligata,
una sorta di pubblicità per suscitare l'interesse degli
editori? "L'una e l'altra" spiega Gubitosa : "la
libera circolazione dell'informazione in Rete, anche se non fa
diventare miliardari gli autori, crea una sorta di 'marketing
virale'. Perché curando la diffusione anziché la
redditività, ci sono molti benefici di ritorno: aumenta
il valore dello scrittore, dell'artista, lo spessore di quello
che si dice. E l'interesse dei lettori, dei potenziali acquirenti".
La vera storia del Personal Computer
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