Su il Nasdaq, per carità!
Il settore hi-tech rallenta e nella Silicon
Valley calano le offerte a favore delle organizzazioni non profit
di Georgia Garritano
Non è andato giù solo il Nasdaq nel primo trimestre di
quest'anno: insieme all'indice americano dei titoli tecnologici
anche le organizzazioni non profit stanno attraversando un momento
poco propizio. Di pari passo col rallentamento dell'economia, i
grandi donatori dell'industria hi-tech stanno chiudendo, infatti, i
loro portafogli alle cause di beneficenza.
United
way Silicon Valley, ad esempio, che raccoglie fondi per
l'assistenza sanitaria e li distribuisce a un centinaio di
associazioni di volontariato della regione, quest'anno ha visto
diminuire le contribuzioni addirittura del 40 per cento. Ciò che fa
pensare a un legame di causalità diretta con le difficoltà degli
imprenditori è il disimpegno dei donatori "ricchi", di
quanti cioè versano abitualmente cifre superiori ai mille dollari,
una categoria dalla quale l'organizzazione ricava tra il 12 e il 15
per cento delle sue entrate: nei primi tre mesi del 2001 le offerte
in azioni hanno raggiunto complessivamente i 28mila dollari (61
milioni di lire) contro i 214mila (466 milioni) dello stesso periodo
dello scorso anno.
Ancora peggio è andata alla sezione californiana di Make
a wish foundation, un'istituzione nata vent'anni fa per
realizzare i desideri di bambini gravemente malati, dall'incontro
con celebrità all'organizzazione di viaggi. "Esprimi un
desiderio" ha ricevuto 33mila dollari (oltre 70 miliardi di
lire) in partecipazioni nel primo trimestre del 2000, uno degli anni
migliori per la filantropia; quest'anno, invece, nulla.
Anche Peninsula
community, una fondazione che opera nell'area di San Francisco
soprattutto nei contesti di disagio giovanile e di emarginazione
sociale, conferma la tendenza al ribasso. Quest'anno, infatti, sono
entrati nelle casse dell'amministrazione poco più di 14 milioni di
dollari (31 miliardi di lire); l'anno scorso quasi cento (213
miliardi).
Perfino l'Esercito
della salvezza, storico punto di riferimento per chi fa
beneficenza, lamenta un calo delle offerte del 25 per cento. Una
cosa simile non succedeva da un decennio e non è certo un segnale
rassicurante. Negli Stati Uniti dove la carità, gestita in modo
imprenditoriale, agisce, in molti casi, in sostituzione
dell'assistenza pubblica, gli operatori del settore cominciano a
essere preoccupati.
Le grandi compagnie, anche per motivi di immagine, sono caute nel
tagliare i fondi destinati alla solidarietà ma alcune cominciano a
ipotizzare la possibilità di elargizioni meno generose. Alla Intel,
per esempio, ammettono che si sta aprendo un periodo di austerità:
"Dobbiamo essere più parsimoniosi nelle uscite" -
annuncia il portavoce Mark Pettinger. L'industria di processori di
Santa Clara, che l'anno scorso ha donato 120 milioni di dollari (260
miliardi di lire) in beni, servizi e offerte in denaro, sta per
ridimensionare, infatti, il suo sostegno a favore dei programmi
educativi per l'alfabetizzazione informatica e la riduzione del
divario digitale.
L'altalena dei mercati azionari non compromette solo le donazioni
aziendali ma anche quelle individuali. Certo, non sono scomparsi gli
imprenditori della new economy "di buon cuore" e di manica
larga come, ad esempio, Lorry Lokey, presidente dell'agenzia di
informazione Business wire, che ha donato venti milioni di dollari
(43 miliardi di lire) all'università di Santa Clara o come Jeff
Skoll, cofondatore della casa d'aste virtuale eBay, che ne ha
devoluti quasi dieci (21 miliardi) alla Community
foundation Silicon Valley. Tuttavia il clima non è lo stesso di
un anno fa: nella sola contea di Santa Clara si sono persi 71mila
dollari (quasi 154 miliardi) da parte di privati per la ricerca
contro l'Aids mentre gli organizzatori di Silicon
Valley charity ball, che hanno raccolto un milione di dollari
l'anno scorso, stanno facendo fatica a vendere i biglietti per la
serata di gala a scopo benefico in programma per il prossimo 21
aprile a San Jose.
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