Mercoledì 18 aprile 2001




 

 


Su il Nasdaq, per carità!

Il settore hi-tech rallenta e nella Silicon Valley calano le offerte a favore delle organizzazioni non profit

di Georgia Garritano

Non è andato giù solo il Nasdaq nel primo trimestre di quest'anno: insieme all'indice americano dei titoli tecnologici anche le organizzazioni non profit stanno attraversando un momento poco propizio. Di pari passo col rallentamento dell'economia, i grandi donatori dell'industria hi-tech stanno chiudendo, infatti, i loro portafogli alle cause di beneficenza.

United way Silicon Valley, ad esempio, che raccoglie fondi per l'assistenza sanitaria e li distribuisce a un centinaio di associazioni di volontariato della regione, quest'anno ha visto diminuire le contribuzioni addirittura del 40 per cento. Ciò che fa pensare a un legame di causalità diretta con le difficoltà degli imprenditori è il disimpegno dei donatori "ricchi", di quanti cioè versano abitualmente cifre superiori ai mille dollari, una categoria dalla quale l'organizzazione ricava tra il 12 e il 15 per cento delle sue entrate: nei primi tre mesi del 2001 le offerte in azioni hanno raggiunto complessivamente i 28mila dollari (61 milioni di lire) contro i 214mila (466 milioni) dello stesso periodo dello scorso anno.

Ancora peggio è andata alla sezione californiana di Make a wish foundation, un'istituzione nata vent'anni fa per realizzare i desideri di bambini gravemente malati, dall'incontro con celebrità all'organizzazione di viaggi. "Esprimi un desiderio" ha ricevuto 33mila dollari (oltre 70 miliardi di lire) in partecipazioni nel primo trimestre del 2000, uno degli anni migliori per la filantropia; quest'anno, invece, nulla.

Anche Peninsula community, una fondazione che opera nell'area di San Francisco soprattutto nei contesti di disagio giovanile e di emarginazione sociale, conferma la tendenza al ribasso. Quest'anno, infatti, sono entrati nelle casse dell'amministrazione poco più di 14 milioni di dollari (31 miliardi di lire); l'anno scorso quasi cento (213 miliardi).

Perfino l'Esercito della salvezza, storico punto di riferimento per chi fa beneficenza, lamenta un calo delle offerte del 25 per cento. Una cosa simile non succedeva da un decennio e non è certo un segnale rassicurante. Negli Stati Uniti dove la carità, gestita in modo imprenditoriale, agisce, in molti casi, in sostituzione dell'assistenza pubblica, gli operatori del settore cominciano a essere preoccupati.

Le grandi compagnie, anche per motivi di immagine, sono caute nel tagliare i fondi destinati alla solidarietà ma alcune cominciano a ipotizzare la possibilità di elargizioni meno generose. Alla Intel, per esempio, ammettono che si sta aprendo un periodo di austerità: "Dobbiamo essere più parsimoniosi nelle uscite" - annuncia il portavoce Mark Pettinger. L'industria di processori di Santa Clara, che l'anno scorso ha donato 120 milioni di dollari (260 miliardi di lire) in beni, servizi e offerte in denaro, sta per ridimensionare, infatti, il suo sostegno a favore dei programmi educativi per l'alfabetizzazione informatica e la riduzione del divario digitale.

L'altalena dei mercati azionari non compromette solo le donazioni aziendali ma anche quelle individuali. Certo, non sono scomparsi gli imprenditori della new economy "di buon cuore" e di manica larga come, ad esempio, Lorry Lokey, presidente dell'agenzia di informazione Business wire, che ha donato venti milioni di dollari (43 miliardi di lire) all'università di Santa Clara o come Jeff Skoll, cofondatore della casa d'aste virtuale eBay, che ne ha devoluti quasi dieci (21 miliardi) alla Community foundation Silicon Valley. Tuttavia il clima non è lo stesso di un anno fa: nella sola contea di Santa Clara si sono persi 71mila dollari (quasi 154 miliardi) da parte di privati per la ricerca contro l'Aids mentre gli organizzatori di Silicon Valley charity ball, che hanno raccolto un milione di dollari l'anno scorso, stanno facendo fatica a vendere i biglietti per la serata di gala a scopo benefico in programma per il prossimo 21 aprile a San Jose.

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