Il difficile equilibrio tra privacy, anonimato e responsabilità
I navigatori, preoccupati per i crimini
informatici, sono favorevoli a un maggior controllo. Aumentano,
intanto, negli Stati Uniti le citazioni per diffamazione contro
anonimi autori di critiche online
di Georgia Garritano
Disposti
a essere meno liberi pur di sentirsi un po' più sicuri: se gli
internauti della prima ora, i pionieri della conquista del web,
sognavano una rete libera e aperta, agli utenti di oggi va bene che
le maglie si stringano se ciò serve a sollevarli da qualche
apprensione.
E di apprensioni la gente che si collega ne ha molte. Secondo una
ricerca appena pubblicata da Pew
Internet & the american life, un'organizzazione nata per
promuovere un accesso democratico ai nuovi media, tre quarti dei
navigatori si dicono preoccupati, quasi metà addirittura
estremamente preoccupati, dello sviluppo di attività criminali in
Internet e approvano che le forze dell'ordine abbiano ampia facoltà
di intercettare i messaggi telematici di persone sospette, anche a
costo di calpestare il diritto alla privacy.
L'assillo che il codice della carta di credito di cui si è
titolari venga carpito, la paura che la sicurezza nazionale sia
compromessa dagli hacker, il timore che il computer venga infettato
da un virus e, più forte di ogni altra angoscia, l'incubo della
pornografia infantile, che accomuna il 92 per cento dei navigatori
in ansia, fanno sì che molti siano ormai pronti a cedere sul fronte
delle garanzie. Sul controverso sistema di controllo della posta
elettronica utilizzato dall'Fbi, denominato significativamente
Carnivore, l'opinione pubblica si è, infatti, spaccata: il 45 per
cento lo considera lesivo dei diritti civili e ritiene che i
possibili abusi possano superare i benefici, per il 54 per cento è
legittimo e utile a seguire le orme dei criminali.
Ma in rete, in realtà, è ormai sempre più facile rintracciare
chiunque: i messaggi elettronici, infatti, recano indirizzi numerici
riconducibili al mittente. Se esistono software per impedire che le
proprie attività online vengano ricostruite, esistono anche gli
strumenti per perseguire l'obiettivo contrario. Che il tempo
dell'anonimato stia finendo lo prova il fatto che negli Stati Uniti
sono in netto aumento le citazioni giudiziarie, spesso con esiti
favorevoli ai ricorrenti, contro "anonimi" autori che
affidano al web le loro critiche, di solito nei confronti di
avversari politici o datori di lavoro. America Online, ad esempio,
l'anno scorso ha ricevuto 475 citazioni civili, il 40 per cento in
più rispetto al 1999 e lo stesso è accaduto ad altri portali. È
una cosa imbarazzante per le società Internet che da un lato
garantiscono ai clienti una politica di riservatezza dei dati,
dall'altro ne registrano le tracce. Un cittadino dell'Ohio, ad
esempio, che aveva messo online dei commenti critici contro un suo
superiore, ha perso il posto dopo essere stato identificato da Yahoo!.
Spesso il ricorso alle vie legali appare pienamente giustificato.
Internet ha messo nelle mani di chiunque possieda un computer il
potere della pubblicazione e non tutti lo gestiscono in modo
responsabile. Inviare in rete attacchi verbali non firmati, con la
stessa estemporaneità con la quale ci si può sfogare in una
conversazione telefonica, messaggi che vengono divulgati e hanno una
visibilità più o meno ampia e duratura - è discutibile che ciò
possa rappresentare un diritto.
Negli Stati Uniti, dove la questione si è posta prima, il
dibattito è acceso. Anche dal punto di vista giuridico non si è
ancora definita una linea comune e si sono avute sentenze
discordanti. Un giudice della Florida, in una causa di diffamazione,
ha sostenuto che il diritto di un cittadino di affrontare il suo
accusatore in tribunale è prioritario rispetto a quello di
quest'ultimo di rimanere anonimo. Un giudice della California ha,
invece, stabilito che, in virtù della libertà di parola non si
può condannare chi esprime la propria opinione. Un giudice della
Pennsylvania ha affermato che gli autori di messaggi anonimi devono
avere la possibilità di ricusare il merito di una causa prima che
sia ordinata la loro identificazione.
Il rischio, tuttavia, è che la citazione sistematica diventi una
forma di intimidazione, di intralcio alla libera circolazione delle
opinioni. "La gente smetterà di parlare se dovrà preoccuparsi
che quello che dice li porterà davanti a una corte" - dice
Lauren Gelman, dirigente di Electronic frontier foundation,
un'organizzazione per le libertà civili che si occupa delle tutela
dei diritti online. "L'anonimato dà origine alla libera
espressione, incoraggia la gente a dire quello che ha davvero in
mente" - afferma Lyrissa Barnett Lidsky, docente di diritto
all'università della Florida.
La perdita dell'anonimato può, dunque, ridurci al silenzio? E si
può rivendicare un diritto all'anonimato come si rivendica il
diritto alla privacy?
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