Lunedì 9 aprile 2001




 

 


Il difficile equilibrio tra privacy, anonimato e responsabilità

I navigatori, preoccupati per i crimini informatici, sono favorevoli a un maggior controllo. Aumentano, intanto, negli Stati Uniti le citazioni per diffamazione contro anonimi autori di critiche online

di Georgia Garritano

Disposti a essere meno liberi pur di sentirsi un po' più sicuri: se gli internauti della prima ora, i pionieri della conquista del web, sognavano una rete libera e aperta, agli utenti di oggi va bene che le maglie si stringano se ciò serve a sollevarli da qualche apprensione.

E di apprensioni la gente che si collega ne ha molte. Secondo una ricerca appena pubblicata da Pew Internet & the american life, un'organizzazione nata per promuovere un accesso democratico ai nuovi media, tre quarti dei navigatori si dicono preoccupati, quasi metà addirittura estremamente preoccupati, dello sviluppo di attività criminali in Internet e approvano che le forze dell'ordine abbiano ampia facoltà di intercettare i messaggi telematici di persone sospette, anche a costo di calpestare il diritto alla privacy.

L'assillo che il codice della carta di credito di cui si è titolari venga carpito, la paura che la sicurezza nazionale sia compromessa dagli hacker, il timore che il computer venga infettato da un virus e, più forte di ogni altra angoscia, l'incubo della pornografia infantile, che accomuna il 92 per cento dei navigatori in ansia, fanno sì che molti siano ormai pronti a cedere sul fronte delle garanzie. Sul controverso sistema di controllo della posta elettronica utilizzato dall'Fbi, denominato significativamente Carnivore, l'opinione pubblica si è, infatti, spaccata: il 45 per cento lo considera lesivo dei diritti civili e ritiene che i possibili abusi possano superare i benefici, per il 54 per cento è legittimo e utile a seguire le orme dei criminali.

Ma in rete, in realtà, è ormai sempre più facile rintracciare chiunque: i messaggi elettronici, infatti, recano indirizzi numerici riconducibili al mittente. Se esistono software per impedire che le proprie attività online vengano ricostruite, esistono anche gli strumenti per perseguire l'obiettivo contrario. Che il tempo dell'anonimato stia finendo lo prova il fatto che negli Stati Uniti sono in netto aumento le citazioni giudiziarie, spesso con esiti favorevoli ai ricorrenti, contro "anonimi" autori che affidano al web le loro critiche, di solito nei confronti di avversari politici o datori di lavoro. America Online, ad esempio, l'anno scorso ha ricevuto 475 citazioni civili, il 40 per cento in più rispetto al 1999 e lo stesso è accaduto ad altri portali. È una cosa imbarazzante per le società Internet che da un lato garantiscono ai clienti una politica di riservatezza dei dati, dall'altro ne registrano le tracce. Un cittadino dell'Ohio, ad esempio, che aveva messo online dei commenti critici contro un suo superiore, ha perso il posto dopo essere stato identificato da Yahoo!.

Spesso il ricorso alle vie legali appare pienamente giustificato. Internet ha messo nelle mani di chiunque possieda un computer il potere della pubblicazione e non tutti lo gestiscono in modo responsabile. Inviare in rete attacchi verbali non firmati, con la stessa estemporaneità con la quale ci si può sfogare in una conversazione telefonica, messaggi che vengono divulgati e hanno una visibilità più o meno ampia e duratura - è discutibile che ciò possa rappresentare un diritto.

Negli Stati Uniti, dove la questione si è posta prima, il dibattito è acceso. Anche dal punto di vista giuridico non si è ancora definita una linea comune e si sono avute sentenze discordanti. Un giudice della Florida, in una causa di diffamazione, ha sostenuto che il diritto di un cittadino di affrontare il suo accusatore in tribunale è prioritario rispetto a quello di quest'ultimo di rimanere anonimo. Un giudice della California ha, invece, stabilito che, in virtù della libertà di parola non si può condannare chi esprime la propria opinione. Un giudice della Pennsylvania ha affermato che gli autori di messaggi anonimi devono avere la possibilità di ricusare il merito di una causa prima che sia ordinata la loro identificazione.

Il rischio, tuttavia, è che la citazione sistematica diventi una forma di intimidazione, di intralcio alla libera circolazione delle opinioni. "La gente smetterà di parlare se dovrà preoccuparsi che quello che dice li porterà davanti a una corte" - dice Lauren Gelman, dirigente di Electronic frontier foundation, un'organizzazione per le libertà civili che si occupa delle tutela dei diritti online. "L'anonimato dà origine alla libera espressione, incoraggia la gente a dire quello che ha davvero in mente" - afferma Lyrissa Barnett Lidsky, docente di diritto all'università della Florida.

La perdita dell'anonimato può, dunque, ridurci al silenzio? E si può rivendicare un diritto all'anonimato come si rivendica il diritto alla privacy?

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