Lunedì 2 aprile 2001




 

 


Un sito scheda i medici abortisti: per i giudici è libertà di espressione

Antiabortisti americani pubblicano gli indirizzi dei ginecologi che praticano interruzioni di gravidanza, tre medici vengono assassinati: condanna in primo grado, assoluzione in appello

di Georgia Garritano

Compilare su un sito Internet una lista di centinaia di medici abortisti definiti "macellai di bambini"; invitare i lettori a fornire informazioni dettagliate su coloro che praticano gli aborti: il loro indirizzo, la targa automobilistica, i nomi dei familiari; inserire le loro fotografie in manifesti stile vecchio West con la scritta "wanted", cioè "ricercati", perché "colpevoli di crimini contro l'umanità" e offrire una taglia di 5000 dollari ai delatori; aspettare che i ginecologi che figurano nell'elenco vengano uccisi e, quindi, spuntare con un tratto nero i nomi dei nemici morti.

Secondo la nona corte d'appello di San Francisco tutto ciò è lecito: rientra nella libertà di espressione tutelata dalla costituzione degli Stati Uniti. Violazione della privacy, intimidazione, istigazione alla violenza: agli autori del sito, intitolato "Nuremberg files", non è imputabile alcuna responsabilità. Per il collegio giudicante, infatti, una minaccia deve essere esplicita e causare "un'immediata azione illecita". "Se le loro affermazioni si limitano a incoraggiare terroristi non direttamente collegati, le loro parole sono protette dal primo emendamento" - ha scritto il giudice Alex Kozinski. Così il tribunale californiano ha ribaltato la sentenza di primo grado, emessa a Portland nell'Oregon nel febbraio del 1999, che aveva ravvisato, invece, in quelle pagine web la presenza di minacce e condannato il sito al pagamento di un indennizzo di oltre cento milioni di dollari.

Tre dei medici schedati dal sito sono stati uccisi. Fra questi il dottor Barnett Slepian, il cui presunto killer è stato arrestato proprio pochi giorni fa in Francia: gli spararono sotto casa nell'ottobre del '98 e sul suo nome pubblicato online fu immediatamente tracciata una linea. Altri 17 hanno subito attentati. Alcuni dei colleghi inclusi nella lista hanno testimoniato al primo processo di vivere, insieme con le loro famiglie, nel terrore, armati, muniti di giubbotti antiproiettile, scortati da guardie del corpo, costretti a variare ogni giorno orari e spostamenti.

La causa fu intentata dall'organizzazione Planned parenthood, da una clinica ostetrica e da quattro dei suoi dipendenti, che si richiamarono a una legge del '94, la Freedom of access to clinic entrances act, che vieta l'incitamento alla violenza contro i ginecologi che praticano interruzioni di gravidanza e le loro pazienti. "La gente di buon senso comprende la differenza tra la libertà di parola e un tiro al bersaglio che crea un clima sociale violento. Questo sito rientra nel secondo caso" - accusò Gloria Feldt, presidente dell'organizzazione. Il procuratore distrettuale Robert Jones invitò la giuria a tenere presente la storia violenta del movimento antiabortista, gli omicidi; osservò che non si poteva considerare semplice libertà di espressione un messaggio che poteva essere comunemente inteso come un avvertimento. I giurati stabilirono che gli accusati rappresentavano "una concreta minaccia" per i medici citati, che le liste nere e i manifesti con taglia equivalevano a intimidazioni, che ai ricorrenti spettava un risarcimento danni. Il verdetto divise i giuristi: da un lato quelli che sostenevano che una minaccia deve essere esplicita; dall'altro quelli che ritenevano giusto soppesare il contesto e concludevano che, in quel contesto di episodi violenti, quelle parole non potevano non essere considerate minacciose.

Lo scorso dicembre il ricorso in appello. Tra i ricorrenti non c'è l'autore del sito, Neal Horsley, ma figura il dottor Michael Bray, autore di un libro in cui si giustifica l'omicidio degli abortisti per fermare la piaga dell'aborto, agli arresti dal 1985 all'89 per concorso in sette attentati dinamitardi contro altrettanti ospedali. Gli attivisti anti aborto, esponenti di una dozzina di associazioni, sostengono di essersi limitati a raccogliere dati nella speranza che un giorno si celebri un processo agli autori di questo crimine contro l'umanità come si è fatto a Norimberga per i nazisti.

Il sito è ancora online, con le sue pagine in cui sgocciolano stille di sangue. Adesso ha aggiunto una "lista dei buoni", un elenco di "college che non avvelenano i bambini", cioè di campus universitari che rifiutano di distribuire la RU 486, la cosiddetta "pillola del giorno dopo".

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