Un sito scheda i medici abortisti: per i giudici è libertà di
espressione
Antiabortisti americani pubblicano gli
indirizzi dei ginecologi che praticano interruzioni di gravidanza,
tre medici vengono assassinati: condanna in primo grado, assoluzione
in appello
di Georgia Garritano
Compilare su un sito Internet una lista di centinaia di medici
abortisti definiti "macellai di bambini"; invitare i
lettori a fornire informazioni dettagliate su coloro che praticano
gli aborti: il loro indirizzo, la targa automobilistica, i nomi dei
familiari; inserire le loro fotografie in manifesti stile vecchio
West con la scritta "wanted", cioè "ricercati",
perché "colpevoli di crimini contro l'umanità" e offrire
una taglia di 5000 dollari ai delatori; aspettare che i ginecologi
che figurano nell'elenco vengano uccisi e, quindi, spuntare con un
tratto nero i nomi dei nemici morti.
Secondo la nona corte d'appello di San Francisco tutto ciò è
lecito: rientra nella libertà di espressione tutelata dalla
costituzione degli Stati Uniti. Violazione della privacy,
intimidazione, istigazione alla violenza: agli autori del sito,
intitolato "Nuremberg files", non è imputabile alcuna
responsabilità. Per il collegio giudicante, infatti, una minaccia
deve essere esplicita e causare "un'immediata azione
illecita". "Se le loro affermazioni si limitano a
incoraggiare terroristi non direttamente collegati, le loro parole
sono protette dal primo emendamento" - ha scritto il giudice
Alex Kozinski. Così il tribunale californiano ha ribaltato la
sentenza di primo grado, emessa a Portland nell'Oregon nel febbraio
del 1999, che aveva ravvisato, invece, in quelle pagine web la
presenza di minacce e condannato il sito al pagamento di un
indennizzo di oltre cento milioni di dollari.
Tre dei medici schedati dal sito sono stati uccisi. Fra questi il
dottor Barnett Slepian, il cui presunto killer è stato arrestato
proprio pochi giorni fa in Francia: gli spararono sotto casa
nell'ottobre del '98 e sul suo nome pubblicato online fu
immediatamente tracciata una linea. Altri 17 hanno subito attentati.
Alcuni dei colleghi inclusi nella lista hanno testimoniato al primo
processo di vivere, insieme con le loro famiglie, nel terrore,
armati, muniti di giubbotti antiproiettile, scortati da guardie del
corpo, costretti a variare ogni giorno orari e spostamenti.
La causa fu intentata dall'organizzazione Planned parenthood, da
una clinica ostetrica e da quattro dei suoi dipendenti, che si
richiamarono a una legge del '94, la Freedom of access to clinic
entrances act, che vieta l'incitamento alla violenza contro i
ginecologi che praticano interruzioni di gravidanza e le loro
pazienti. "La gente di buon senso comprende la differenza tra
la libertà di parola e un tiro al bersaglio che crea un clima
sociale violento. Questo sito rientra nel secondo caso" -
accusò Gloria Feldt, presidente dell'organizzazione. Il procuratore
distrettuale Robert Jones invitò la giuria a tenere presente la
storia violenta del movimento antiabortista, gli omicidi; osservò
che non si poteva considerare semplice libertà di espressione un
messaggio che poteva essere comunemente inteso come un avvertimento.
I giurati stabilirono che gli accusati rappresentavano "una
concreta minaccia" per i medici citati, che le liste nere e i
manifesti con taglia equivalevano a intimidazioni, che ai ricorrenti
spettava un risarcimento danni. Il verdetto divise i giuristi: da un
lato quelli che sostenevano che una minaccia deve essere esplicita;
dall'altro quelli che ritenevano giusto soppesare il contesto e
concludevano che, in quel contesto di episodi violenti, quelle
parole non potevano non essere considerate minacciose.
Lo scorso dicembre il ricorso in appello. Tra i ricorrenti non
c'è l'autore del sito, Neal Horsley, ma figura il dottor Michael
Bray, autore di un libro in cui si giustifica l'omicidio degli
abortisti per fermare la piaga dell'aborto, agli arresti dal 1985
all'89 per concorso in sette attentati dinamitardi contro
altrettanti ospedali. Gli attivisti anti aborto, esponenti di una
dozzina di associazioni, sostengono di essersi limitati a
raccogliere dati nella speranza che un giorno si celebri un processo
agli autori di questo crimine contro l'umanità come si è fatto a
Norimberga per i nazisti.
Il sito è ancora online, con le sue pagine in cui sgocciolano
stille di sangue. Adesso ha aggiunto una "lista dei
buoni", un elenco di "college che non avvelenano i
bambini", cioè di campus universitari che rifiutano di
distribuire la RU 486, la cosiddetta "pillola del giorno
dopo".
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