Internet, t'amo, eppur ti odio
Pubblicato il rapporto di Reporters sans
frontières e di Transfert.net sui nemici di Internet
Di Wanda Marra
La
libertà d'espressione su Internet deve essere limitata? È questa
una delle questioni centrali che agitano il nostro tempo, al centro
di dibattiti, di riflessioni etico-filosofiche, di controversie
giuridiche. C'è chi dice no: Reporters
sans frontières e la rivista online Transfert.net
hanno presentato mercoledì il loro rapporto sui nemici di Internet,
scaricabile a pagamento dal sito 00h00.com.
Reporters sans frontières, che si schiera senza incertezze a
favore della libertà della Rete, ha anche deciso di scendere in
campo direttamente e di utilizzare Internet come strumento per
sventare la censura, riproducendo sistematicamente sul suo sito gli
articoli censurati e ospitando i giornali proibiti.
Che la Rete fa paura, è un fatto. Sfugge ad ogni tipo di
controllo, sovverte tutte le regole, sconvolge equilibri
consolidati. Basta pensare che al giorno d'oggi chiunque possieda un
computer e una connessione Internet può diffondere nel mondo intero
le proprie opinioni politiche, denunciare le violazioni della
libertà personale e battersi - almeno a colpi di parole - contro la
repressione in corso nel proprio Paese, fosse anche il più
autoritario del mondo.
Internet fa esplodere il quadro tradizionale dei rapporti tra gli
Stati e coloro che producono l'informazione. Un' e-mail inviata a
mille persone si può ancora considerare una corrispondenza privata
o rappresenta un'informazione di tipo giornalistico? Quali sono le
leggi da applicare alle pubblicazioni virtuali, che per loro stessa
natura sono planetarie e transnazionali?
Di fronte a queste questioni, gli Stati mantengono una posizione
difensiva: tutti vogliono Internet, ma tutti sognano una Rete sotto
controllo e cercano soluzioni repressive. Mentre i regimi più
autoritari legiferano, sorvegliano, censurano con un'energia
impressionante e continua, senza però riuscire a raggiungere il
loro obiettivo, nei Paesi democratici, la paura di una Rete libera,
parzialmente amministrata da entità sopranazionali, si traduce in
tentativi ripetuti di rassicuranti inquadramenti legislativi.
I nemici più radicali di Internet sono la Corea del Nord,
l'Arabia Saudita e la Cina, la punta di un iceberg che - nel
rapporto di Reporters sans frontières e di Transfert.net - viene
analizzato in cinquantanove Paesi. Nella Corea del Nord, la Rete è
completamente inaccessibile, in quanto non esistono neanche i
server. L' Arabia Saudita ha messo in piedi un gigantesco sistema di
filtraggio. Senza dimenticare la Cina, che - sebbene abbia un numero
particolarmente alto di internauti (20 milioni), o forse proprio per
questo - ha messo in campo delle vere e proprie brigate di
poliziotti, per fare la guerra agli articoli antigovernativi che
vengono pubblicati sul web; e, nel caso che questo non bastasse, si
è dotata di un dispositivo legislativo estremamente repressivo, che
punisce la cybercrimalità anche con la pena di morte.
Questi sono casi eclatanti, ma in realtà ogni Paese reagisce a
modo suo: in Afghanistan, i Talebani, che in questi giorni hanno
cominciato la distruzione delle vestigia buddiste preislamiche,
hanno vietato anche la televisione e la musica: la popolazione non
ha né l'autorizzazione né la possibilità tecnica di accedere ad
Internet. E da Cuba - come si legge nel rapporto - Fidel Castro
tuona regolarmente contro la Rete, denunciata come "uno
strumento di manipolazione del capitalismo".
In Occidente, è stata la Francia la prima a cercare di stabilire
delle regole, quando ancora la Rete era in uno stato embrionale. I
progetti di legge si sono succeduti gli uni agli altri,
scontrandosi, però, nella maggior parte dei casi con il principio
costituzionale che garantisce la libertà d'espressione. In Germania
alcuni magistrati hanno manifestato una volontà analoga di
controllo e di censura della Rete, in particolare tentando di
interdire l'accesso ai siti nazisti. Negli Stati Uniti, dove la
circolazione dell'informazione su Internet è largamente protetta
dal primo emendamento della Costituzione, la destra conservatrice
agita lo spettro della "contaminazione pornografica" per
tentare di far votare delle leggi restrittive.
In Paesi come questi, le restrizioni legali alla diffusione
dell'informazione su Internet, rimangono ancora oggi, eccezionali.
Ma esiste comunque il pericolo reale che le iniziative individuali
di giudici favorevoli a un controllo serrato, riescano a far passare
una giurisprudenza liberticida. In realtà, forse Internet ha una
storia troppo recente perché tali problematiche possano essere
affrontate in modo equilibrato e sereno. Ma sorge anche il dubbio
che il tipo di "equilibrio" necessario sia diverso da
quello che adesso riusciamo anche solo ad immaginare.
Anche l'Italia viene denunciata tra i Paesi nemici di Internet.
Sotto accusa è il caso di Isole nella Rete, che fu chiuso dai
giudici nel 1998, in seguito al reperimento, in uno dei suoi forum
di discussione, di un messaggio che incitava al boicottaggio di una
agenzia di viaggi, implicata in una questione di violazione dei
diritti dell'uomo in Turchia. Sotto la pressione dell'opinione
pubblica, la giustizia italiana fu costretta a fare marcia indietro.
Come ha dichiarato Robert Ménard, il segretario generale di
Reporters sans frontières, in un'intervista al quotidiano francese
Le Monde, la posizione ideologica che sta dietro alla costruzione
del rapporto è che a nessuna autorità è possibile definire le
frontiere di ciò che è moralmente e politicamente accettabile:
"Ciò che è moralmente condannabile, non deve esserlo
penalmente ". Per quanto la libertà d'espressione possa essere
pericolosa, infatti, non lo è mai quanto le limitazioni di tale
libertà.
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