Venerdì 2 marzo 2001




 

 


Internet, t'amo, eppur ti odio

Pubblicato il rapporto di Reporters sans frontières e di Transfert.net sui nemici di Internet

Di Wanda Marra

La libertà d'espressione su Internet deve essere limitata? È questa una delle questioni centrali che agitano il nostro tempo, al centro di dibattiti, di riflessioni etico-filosofiche, di controversie giuridiche. C'è chi dice no: Reporters sans frontières e la rivista online Transfert.net  hanno presentato mercoledì il loro rapporto sui nemici di Internet, scaricabile a pagamento dal sito 00h00.com.

Reporters sans frontières, che si schiera senza incertezze a favore della libertà della Rete, ha anche deciso di scendere in campo direttamente e di utilizzare Internet come strumento per sventare la censura, riproducendo sistematicamente sul suo sito gli articoli censurati e ospitando i giornali proibiti.

Che la Rete fa paura, è un fatto. Sfugge ad ogni tipo di controllo, sovverte tutte le regole, sconvolge equilibri consolidati. Basta pensare che al giorno d'oggi chiunque possieda un computer e una connessione Internet può diffondere nel mondo intero le proprie opinioni politiche, denunciare le violazioni della libertà personale e battersi - almeno a colpi di parole - contro la repressione in corso nel proprio Paese, fosse anche il più autoritario del mondo.

Internet fa esplodere il quadro tradizionale dei rapporti tra gli Stati e coloro che producono l'informazione. Un' e-mail inviata a mille persone si può ancora considerare una corrispondenza privata o rappresenta un'informazione di tipo giornalistico? Quali sono le leggi da applicare alle pubblicazioni virtuali, che per loro stessa natura sono planetarie e transnazionali?

Di fronte a queste questioni, gli Stati mantengono una posizione difensiva: tutti vogliono Internet, ma tutti sognano una Rete sotto controllo e cercano soluzioni repressive. Mentre i regimi più autoritari legiferano, sorvegliano, censurano con un'energia impressionante e continua, senza però riuscire a raggiungere il loro obiettivo, nei Paesi democratici, la paura di una Rete libera, parzialmente amministrata da entità sopranazionali, si traduce in tentativi ripetuti di rassicuranti inquadramenti legislativi.

I nemici più radicali di Internet sono la Corea del Nord, l'Arabia Saudita e la Cina, la punta di un iceberg che - nel rapporto di Reporters sans frontières e di Transfert.net - viene analizzato in cinquantanove Paesi. Nella Corea del Nord, la Rete è completamente inaccessibile, in quanto non esistono neanche i server. L' Arabia Saudita ha messo in piedi un gigantesco sistema di filtraggio. Senza dimenticare la Cina, che - sebbene abbia un numero particolarmente alto di internauti (20 milioni), o forse proprio per questo - ha messo in campo delle vere e proprie brigate di poliziotti, per fare la guerra agli articoli antigovernativi che vengono pubblicati sul web; e, nel caso che questo non bastasse, si è dotata di un dispositivo legislativo estremamente repressivo, che punisce la cybercrimalità anche con la pena di morte.

Questi sono casi eclatanti, ma in realtà ogni Paese reagisce a modo suo: in Afghanistan, i Talebani, che in questi giorni hanno cominciato la distruzione delle vestigia buddiste preislamiche, hanno vietato anche la televisione e la musica: la popolazione non ha né l'autorizzazione né la possibilità tecnica di accedere ad Internet. E da Cuba - come si legge nel rapporto - Fidel Castro tuona regolarmente contro la Rete, denunciata come "uno strumento di manipolazione del capitalismo".

In Occidente, è stata la Francia la prima a cercare di stabilire delle regole, quando ancora la Rete era in uno stato embrionale. I progetti di legge si sono succeduti gli uni agli altri, scontrandosi, però, nella maggior parte dei casi con il principio costituzionale che garantisce la libertà d'espressione. In Germania alcuni magistrati hanno manifestato una volontà analoga di controllo e di censura della Rete, in particolare tentando di interdire l'accesso ai siti nazisti. Negli Stati Uniti, dove la circolazione dell'informazione su Internet è largamente protetta dal primo emendamento della Costituzione, la destra conservatrice agita lo spettro della "contaminazione pornografica" per tentare di far votare delle leggi restrittive.

In Paesi come questi, le restrizioni legali alla diffusione dell'informazione su Internet, rimangono ancora oggi, eccezionali. Ma esiste comunque il pericolo reale che le iniziative individuali di giudici favorevoli a un controllo serrato, riescano a far passare una giurisprudenza liberticida. In realtà, forse Internet ha una storia troppo recente perché tali problematiche possano essere affrontate in modo equilibrato e sereno. Ma sorge anche il dubbio che il tipo di "equilibrio" necessario sia diverso da quello che adesso riusciamo anche solo ad immaginare.

Anche l'Italia viene denunciata tra i Paesi nemici di Internet. Sotto accusa è il caso di Isole nella Rete, che fu chiuso dai giudici nel 1998, in seguito al reperimento, in uno dei suoi forum di discussione, di un messaggio che incitava al boicottaggio di una agenzia di viaggi, implicata in una questione di violazione dei diritti dell'uomo in Turchia. Sotto la pressione dell'opinione pubblica, la giustizia italiana fu costretta a fare marcia indietro.

Come ha dichiarato Robert Ménard, il segretario generale di Reporters sans frontières, in un'intervista al quotidiano francese Le Monde, la posizione ideologica che sta dietro alla costruzione del rapporto è che a nessuna autorità è possibile definire le frontiere di ciò che è moralmente e politicamente accettabile: "Ciò che è moralmente condannabile, non deve esserlo penalmente ". Per quanto la libertà d'espressione possa essere pericolosa, infatti, non lo è mai quanto le limitazioni di tale libertà.

Reporters sans frontières
Transfert.net
00h00.com

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