Chi ha paura della Rete cattiva?
Il processo iniziato in Cina contro un giovane
accusato della diffusione online di materiale anti-governativo è
emblematico delle inquietudini legate alla globalizzazione nel gigante
economico asiatico
di Wanda Marra
Una Cina con
Internet è certamente un posto più libero che una Cina senza Internet:
fonti accreditate e osservatori internazionali sembrano affermare di
comune accordo questa realtà, che - però - certamente non è affatto
pacifica e senza prezzi da pagare.
Il caso cinese appare un punto di osservazione privilegiato per
seguire le possibili conseguenze della globalizzazione in un Paese
governato da un regime totalitario, ma non insensibile alle sirene del
capitalismo, caratterizzato negli ultimi anni da una rapida crescita
economica, affiancata da una sempre maggior diffusione di Internet.
Alla situazione cinese sono dedicati due importanti rapporti: uno è
quello redatto dal Commitee to Protect
Journalists (Cpj), intitolato The
Great Farewall; l'altro è il dossier molto ricco è del Digital
freedom network, intitolato China
and the Net. La Cina sta sperimentando una vera e propria
rivoluzione digitale: il numero di utenti domestici di Internet
raddoppia ogni 6 mesi, mentre nascono continuamente nuovi siti. Secondo
alcuni dati del China internet network information center (Cnnic) alla
fine del 2000 il Paese aveva circa 17 milioni di cittadini in Rete: si
tratta di una crescita esponenziale, se si pensa che agli inizi degli
anni '90 gli internauti non erano che una manciata e nel 1997 soltanto
100.000.
La Rete, che rappresenta una reale possibilità di un'espressione
libera, costituisce un terreno di scontro tra i cittadini che vedono in
essa uno strumento di libera espressione e il governo che vuole
controllare le informazioni diffuse online e utilizzare la tecnologia
informatica per spiare i cittadini. Nei mesi di ottobre e di novembre,
dopo anni di dibattito interno, il governo ha emanato due serie di
regolamenti, tesi specificamente a controllare il possesso, il contenuto
ed altri aspetti dell'uso di Internet: d'altra parte, il controllo dei
mezzi di informazione è intrinsecamente legato alla storia del Partito
Comunista Cinese e a quello delle dittature in generale. Reporter
Sans Frontières indica la Cina come uno dei principali venti nemici
mondiali di Internet. I leader comunisti, d'altronde, hanno un
atteggiamento ambiguo: vogliono i benefici economici derivanti dal
commercio elettronico e dalle potenzialità della new economy, in
genere, ma temono le conseguenze politiche di un'economia aperta: una
contraddizione in termini, difficilmente risolvibile.
Fin dal 1995, quando in Cina venne permesso l'accesso a Internet, i
server del governo hanno bloccato l'accesso a una serie di siti, tra i
quali i siti di informazione occidentali, i siti dei dissidenti cinesi,
i giornali taiwanesi. Il ministro dell'Industria Informatica ha il
compito specifico di regolare l'accesso della Cina a Internet, mentre il
ministro della Sicurezza di Stato si occupa di monitorare l'uso locale
della Rete. Specificamente, il governo cinese ha inteso limitare la
diffusione dell'informazione via Internet e sorvegliare i forum di
discussione online. Secondo le disposizioni pubblicate dal "People's
Daily", l'organo governativo, i gestori dei siti web sono
responsabili integralmente dei contenuti veicolati e sono tenuti a
controllare gli spazi lasciati agli utenti per esprimersi. Oltre al
divieto di distribuire materiale pornografico e violento, vi è anche
quello di diffondere notizie che possono danneggiare la sicurezza dello
Stato e minare l'unità nazionale. I siti giornalistici, anche quelli
con partecipazioni straniere, possono operare solo se in possesso di
autorizzazione ufficiale. I siti stranieri che si occupano di diritti
umani o della causa del Tibet sono sistematicamente bloccati dalle
autorità e resi inaccessibili ai navigatori cinesi.
Nonostante gli sforzi, comunque, Internet continua a sfuggire da
tutte le parti al tentativo di imbavagliarla e limitarla.. Siti di
organizzazioni come la CNN, la BBC,
il Digital Freedom Network,
Human Rights in China, e Amnesty
International sono stati tutti messi al bando, anche se gli
utenti cinesi riferiscono che tale censura ha effetto solo
sporadicamente.
Un caso emblematico delle reazioni governative rispetto alla libertà
d'espressione consentita da Internet, è rappresentato dal processo che
si è aperto ieri davanti a un tribunale di Chengdu, nel sud ovest della
Cina, contro Huang Qi.Lui, arrestato lo scorso giugno con l'accusa di
aver ospitato sul suo sito articoli e informazioni politiche critiche
nei confronti del regime. A Huang, formalmente imputato di sovversione,
viene in particolare contestato di aver diffuso sul sito
www.6-4tiangwang.com (ora chiuso dalle autorità) informazioni relative
a dissidenti, al movimento separatista dello Xinjiang, alla setta Falun
Gong e alle manifestazioni di piazza Tiananmen, sanguinosamente represse
nel giugno 1989. Dieci giorni prima dell'anniversario di Tiananmen,
infatti, il sito aveva dato notizia degli appelli delle famiglie delle
vittime e della loro richiesta di processare l'attuale presidente del
parlamento Li Peng, primo ministro nel 1989, considerato il maggior
responsabile della repressione. Secondo le organizzazioni internazionali
per i diritti dell'uomo, il giovane rischia almeno dieci anni di
prigione. Ma la sentenza potrebbe essere molto più dura: in base alle
leggi cinesi anti-sovversioni, Huang potrebbe essere condannato al
carcere a vita. Pare che il processo sia stato aggiornato per le pessime
condizioni di salute dell'imputato, svenuto durante l'udienza, forse
anche in seguito alle torture subite in carcere.
Huang è una delle sette persone arrestate in Cina dal 1998 per
crimini collegati a Internet: nella maggior parte dei casi i reati
contestati riguardano la diffusione di informazioni o di opinioni
indipendenti rispetto alla linea governativa. A dispetto della politica
ufficiale di apertura suggerita dalla imminente entrata della Cina nel Wto
, l'organizzazione mondiale del commercio, dopo quattordici anni di
negoziato e il recente via libera da parte degli Stati Uniti e dell'
Unione europea, evidentemente alcuni ancora sperano che la Cina possa
rimanere un continente isolato e chiuso in se stesso, lontana dalle
tentazioni pericolose di un web libero e sregolato.
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