Mercoledì 14 Febbraio 2001




 

 


Chi ha paura della Rete cattiva?

Il processo iniziato in Cina contro un giovane accusato della diffusione online di materiale anti-governativo è emblematico delle inquietudini legate alla globalizzazione nel gigante economico asiatico

di Wanda Marra

Una Cina con Internet è certamente un posto più libero che una Cina senza Internet: fonti accreditate e osservatori internazionali sembrano affermare di comune accordo questa realtà, che - però - certamente non è affatto pacifica e senza prezzi da pagare.

Il caso cinese appare un punto di osservazione privilegiato per seguire le possibili conseguenze della globalizzazione in un Paese governato da un regime totalitario, ma non insensibile alle sirene del capitalismo, caratterizzato negli ultimi anni da una rapida crescita economica, affiancata da una sempre maggior diffusione di Internet.

Alla situazione cinese sono dedicati due importanti rapporti: uno è quello redatto dal Commitee to Protect Journalists (Cpj), intitolato The Great Farewall; l'altro è il dossier molto ricco è del Digital freedom network, intitolato China and the Net. La Cina sta sperimentando una vera e propria rivoluzione digitale: il numero di utenti domestici di Internet raddoppia ogni 6 mesi, mentre nascono continuamente nuovi siti. Secondo alcuni dati del China internet network information center (Cnnic) alla fine del 2000 il Paese aveva circa 17 milioni di cittadini in Rete: si tratta di una crescita esponenziale, se si pensa che agli inizi degli anni '90 gli internauti non erano che una manciata e nel 1997 soltanto 100.000.

La Rete, che rappresenta una reale possibilità di un'espressione libera, costituisce un terreno di scontro tra i cittadini che vedono in essa uno strumento di libera espressione e il governo che vuole controllare le informazioni diffuse online e utilizzare la tecnologia informatica per spiare i cittadini. Nei mesi di ottobre e di novembre, dopo anni di dibattito interno, il governo ha emanato due serie di regolamenti, tesi specificamente a controllare il possesso, il contenuto ed altri aspetti dell'uso di Internet: d'altra parte, il controllo dei mezzi di informazione è intrinsecamente legato alla storia del Partito Comunista Cinese e a quello delle dittature in generale. Reporter Sans Frontières indica la Cina come uno dei principali venti nemici mondiali di Internet. I leader comunisti, d'altronde, hanno un atteggiamento ambiguo: vogliono i benefici economici derivanti dal commercio elettronico e dalle potenzialità della new economy, in genere, ma temono le conseguenze politiche di un'economia aperta: una contraddizione in termini, difficilmente risolvibile.

Fin dal 1995, quando in Cina venne permesso l'accesso a Internet, i server del governo hanno bloccato l'accesso a una serie di siti, tra i quali i siti di informazione occidentali, i siti dei dissidenti cinesi, i giornali taiwanesi. Il ministro dell'Industria Informatica ha il compito specifico di regolare l'accesso della Cina a Internet, mentre il ministro della Sicurezza di Stato si occupa di monitorare l'uso locale della Rete. Specificamente, il governo cinese ha inteso limitare la diffusione dell'informazione via Internet e sorvegliare i forum di discussione online. Secondo le disposizioni pubblicate dal "People's Daily", l'organo governativo, i gestori dei siti web sono responsabili integralmente dei contenuti veicolati e sono tenuti a controllare gli spazi lasciati agli utenti per esprimersi. Oltre al divieto di distribuire materiale pornografico e violento, vi è anche quello di diffondere notizie che possono danneggiare la sicurezza dello Stato e minare l'unità nazionale. I siti giornalistici, anche quelli con partecipazioni straniere, possono operare solo se in possesso di autorizzazione ufficiale. I siti stranieri che si occupano di diritti umani o della causa del Tibet sono sistematicamente bloccati dalle autorità e resi inaccessibili ai navigatori cinesi.

Nonostante gli sforzi, comunque, Internet continua a sfuggire da tutte le parti al tentativo di imbavagliarla e limitarla.. Siti di organizzazioni come la CNN,  la BBC, il Digital Freedom NetworkHuman Rights in China,  e Amnesty International  sono stati tutti messi al bando, anche se gli utenti cinesi riferiscono che tale censura ha effetto solo sporadicamente.

Un caso emblematico delle reazioni governative rispetto alla libertà d'espressione consentita da Internet, è rappresentato dal processo che si è aperto ieri davanti a un tribunale di Chengdu, nel sud ovest della Cina, contro Huang Qi.Lui, arrestato lo scorso giugno con l'accusa di aver ospitato sul suo sito articoli e informazioni politiche critiche nei confronti del regime. A Huang, formalmente imputato di sovversione, viene in particolare contestato di aver diffuso sul sito www.6-4tiangwang.com (ora chiuso dalle autorità) informazioni relative a dissidenti, al movimento separatista dello Xinjiang, alla setta Falun Gong e alle manifestazioni di piazza Tiananmen, sanguinosamente represse nel giugno 1989. Dieci giorni prima dell'anniversario di Tiananmen, infatti, il sito aveva dato notizia degli appelli delle famiglie delle vittime e della loro richiesta di processare l'attuale presidente del parlamento Li Peng, primo ministro nel 1989, considerato il maggior responsabile della repressione. Secondo le organizzazioni internazionali per i diritti dell'uomo, il giovane rischia almeno dieci anni di prigione. Ma la sentenza potrebbe essere molto più dura: in base alle leggi cinesi anti-sovversioni, Huang potrebbe essere condannato al carcere a vita. Pare che il processo sia stato aggiornato per le pessime condizioni di salute dell'imputato, svenuto durante l'udienza, forse anche in seguito alle torture subite in carcere.

Huang è una delle sette persone arrestate in Cina dal 1998 per crimini collegati a Internet: nella maggior parte dei casi i reati contestati riguardano la diffusione di informazioni o di opinioni indipendenti rispetto alla linea governativa. A dispetto della politica ufficiale di apertura suggerita dalla imminente entrata della Cina nel Wto , l'organizzazione mondiale del commercio, dopo quattordici anni di negoziato e il recente via libera da parte degli Stati Uniti e dell' Unione europea, evidentemente alcuni ancora sperano che la Cina possa rimanere un continente isolato e chiuso in se stesso, lontana dalle tentazioni pericolose di un web libero e sregolato.

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