Come cambia
l'Europa?
Dal 7 al 9 dicembre si discutono a Nizza i nuovi
assetti europei.
di Eleonora Giordani
I Paesi
dell'est sono pronti ad entrare nell'Unione europea: ma la cosa è
reciproca? E' una domanda legittima, dato il trambusto che circonda la
sessione del Consiglio europeo consacrato alla questione, in corso a
Nizza. Non sono solo gli scontri tra polizia francese e manifestanti
antiglobalizzazione a turbare l'evento, ma anche il disaccordo dei paesi
partecipanti su alcuni problemi sostanziali. L'appuntamento di Nizza
conclude la Conferenza intergovernativa (Cig
2000) iniziata lo scorso 14 febbraio, in cui i rappresentanti degli
Stati membri si impegnano a modificare i trattati dell'Unione, in vista
dell'allargamento ai paesi dell'est. I cambiamenti riguardano
soprattutto le regole che stabiliscono il peso dei vari governi
nazionali all'interno della Commissione, cosa che provoca non pochi
dissidi tra i Quindici. A far temere il fallimento del vertice è
inoltre la discussione in questa sede della "Carta
europea dei diritti fondamentali", recentemente adottata dal
Parlamento europeo. Per ora è solo un documento di principio, ma molti
sperano che sia un primo passo verso la "Costituzione"
europea. Germania, Belgio e Portogallo vogliono una Carta con valore
giuridico e anche Austria, Spagna, Francia e Italia non sono totalmente
contrarie a questa ipotesi. Danimarca, Finlandia, Irlanda, Svezia e Gran
Bretagna vogliono invece conferire alla Carta solo un valore politico.
Per quanto riguarda i trattati, un punto di contrasto è il numero
dei commissari europei in seno all'esecutivo. Attualmente sono 20: i
paesi più grandi (Francia Germania, Spagna, Italia e Gran Bretagna)
esprimono due commissari a testa, mentre i paesi "piccoli"
hanno un solo rappresentante. Se si mantiene lo stesso criterio, con
l'ingresso nell'Unione di 13 paesi dell'est, ci ritroveremmo con una
Commissione di 35 membri, a giudizio di tutti troppo numerosa. Si
propone dunque un sistema in cui si fissa un tetto massimo di
commissari, ogni stato esprime un solo rappresentante ma a turno
qualcuno rinuncia alla sua presenza in Commissione. Inutile dire che i
paesi "piccoli" accettano a malavoglia il compromesso.
Ancora più marcata è la controversia sul diritto di veto. Oggi il
Consiglio europeo, l'organo decisionale dell'Unione, per deliberare su
alcuni temi fondamentali come fisco, coesione, protezione sociale,
politica commerciale, immigrazione, ha bisogno dell'unanimità: nessuno
Stato cioè deve opporre il suo diritto di veto. In una Unione allargata
a 25-28 Paesi, c'è il rischio di una paralisi totale. Da più parti
arriva la richiesta dell'abolizione del voto unanime su tutte le
questioni, ad eccezione delle riforme istituzionali. Molti i pareri
contrari: la Gran Bretagna non vuole rinunciare al veto sul fisco, la
Spagna sulla politica di coesione, i Paesi nordici sulla protezione
sociale, la Francia sulla politica commerciale.
"Un fallimento a Nizza farebbe male all'euro e alla nostra
economia", ha dichiarato Pascal Lamy, il commissario europeo al
Commercio estero alla vigilia del vertice di Nizza. Ma è proprio questo
centrare insistentemente l'attenzione sull'aspetto economico della
politica comunitaria che alineta la contestazione sociale. Secondo il
manifesto del movimento antiglobalizzazione intitolato Un'altra
Europa è possibile, "La Commissione, che detiene il monopolio
della proposta di atti legislativi comunitari, è da lungo tempo
conquistata alle tesi ultraliberiste e persegue sistematicamente la sua
offensiva contro i servizi pubblici, per la loro privatizzazione e, a
livello internazionale per la liberalizzazione a oltranza del commercio
di beni e servizi, soprattutto quelli dell'educazione della
salute". Anche i sindacati sono scesi in piazza contro la Carta,
dove i diritti sindacali sarebbero largamente ignorati: "Il diritto
di sciopero è stato introdotto solamente in extremis con un giro di
frase e non è fatta alcuna menzione al diritto a un reddito
minimo", recita il documento sopra citato.
Come andrà a finire? Non ci resta che aspettare la fine dei lavori.
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