Reati nuovi, leggi
vecchie
La maggior parte delle leggi nazionali non
contempla i crimini informatici
di Georgia Garritano
Si
sta facendo troppo poco per combattere il crescente fenomeno della
cibercriminalità: nella maggior parte dei paesi, infatti, le leggi
ancora non contemplano i reati informatici. Lo rivela uno studio
effettuato dalla società di consulenza americana McConnell
International.
Sono dieci i tipi di crimini informatici individuati dalla ricerca:
reati relativi ai dati, come l'intercettazione, l'alterazione e il
furto; reati relativi alla manomissione di reti, come l'interferenza e
il sabotaggio; reati di accesso, fra i quali figurano il cosiddetto
hacking, cioè l'intrusione in sistemi informatici protetti, e la
distribuzione di virus; infine frodi, contraffazioni e favoreggiamento.
Ebbene, la reazione dei governi a queste minacce appare piuttosto
fiacca. Ben 33 delle 52 nazioni prese in considerazione nel corso
dell'indagine non hanno ancora inserito nella loro normativa i reati
informatici. Dieci hanno aggiornato la loro giurisprudenza includendo,
però, non più di cinque fattispecie di reato. Le altre nove nazioni,
invece, sono in grado di perseguire più di sei tipi di crimini. La
legge delle Filippine, in seguito alla vicenda del devastante virus
"Love bug", è l'unica a prevedere tutti i dieci tipi di reato
mentre il diritto americano ne contempla nove.
Il rapporto evidenzia che in molti paesi l'idea di estendere al
ciberspazio le norme già in vigore nel mondo fisico incontra una grande
resistenza perché c'è il timore che un eccesso di regolamentazione
possa frenare lo sviluppo del commercio elettronico. D'altra parte,
tutti i responsabili governativi consultati concordano nel ritenere il
fenomeno ormai allarmante.
La via della cooperazione internazionale sembra la più idonea ad
affrontare questo tipo di pericoli perché "nel mondo in rete
nessun'isola è un'isola", come sottolinea Bruce McConnell, autore
del rapporto e presidente della società di ricerca, attualmente
impegnata in un progetto di coordinamento internazionale delle politiche
sull'information technology sostenuto dalle Nazioni Unite. In questa
direzione, forse, qualcosa si sta muovendo. Il Consiglio d'Europa sta
lavorando alla Convenzione sul cibercrimine che ha lo scopo di
armonizzare le leggi nazionali dei 41 paesi membri in materia di reati
in rete, in particolare riguardo le frodi, la pirateria, le violazioni
del diritto d'autore e la diffusione di materiale pedopornografico. Il
testo, ancora provvisorio, è stato redatto grazie a contributi
provenienti sia dal mondo istituzionale che imprenditoriale. La prima
bozza è stata presentata a Strasburgo lo scorso settembre, ha già
subito interventi di modifica e dovrà essere ulteriormente revisionata:
la versione definitiva è attesa per l'autunno del 2001. Il documento,
che è stato accolto positivamente anche dagli Stati Uniti, è il più
articolato provvedimento normativo internazionale finalizzato alla lotta
contro la cibercriminalità.
I paesi valutati nell'inchiesta rappresentano realtà produttive
diverse: sono state considerate sia le società tecnologicamente
avanzate, dagli Stati Uniti all'Australia al Giappone alle nazioni
europee, Italia compresa, sia i paesi in via di sviluppo dell'Africa,
dei Caraibi, del Sud Est asiatico, dell'America Latina e del Caucaso.
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