Paese che vai, privacy che trovi
Un giudice americano autorizza un genitore ad accedere ai log dei
computer scolastici. Un giudice francese condanna i dirigenti di un
laboratorio per aver intercettato la posta elettronica di uno studente.
di Georgia Garritano
I genitori hanno
il diritto di sapere quali siti Internet vengono visitati dai loro figli
quando usano i computer della scuola. Almeno i genitori americani. A
stabilirlo è una sentenza del giudice Gillian Abramson della corte di
Rockingham Country nel New Hampshire che ha dato ragione a un padre che
voleva conoscere gli indirizzi web raggiunti dai sistemi informatici
scolastici. James Knight, i cui quattro figli erano iscritti a una
scuola pubblica, preoccupato che gli studenti potessero visitare siti
pornografici, ha chiesto al tribunale di poter avere accesso ai log file
- cioè a quei file in cui si tengono registrate le attività compiute
da un'applicazione - per controllare i collegamenti Internet visitati
dal 1998 a quest'anno. Il genitore si è appellato alla legge dello
stato sul diritto all'informazione, in base alla quale i documenti
pubblici devono essere mostrati a chi ne fa richiesta. La spinosa
questione è se le registrazioni conservate nei computer scolastici
siano da considerare documenti pubblici. Secondo il giudice sì, questi
dati hanno carattere pubblico perché l'impiego del computer in aula non
avviene per uso personale ma fa parte integrante dei programmi
didattici. Il magistrato ha, però, disposto che, prima che si possa
prendere visione dei file, la scuola dovrà provvedere a rimuovere le
informazioni confidenziali che permettono di risalire all'identità
degli utenti.
Come sarebbe stato valutato un caso del genere in Italia? Secondo il
consigliere Giovanni Buttarelli, segretario generale del Garante per la
protezione dei dati personali, "un'eventuale domanda di accesso a
registrazioni informatiche in base alla legge 241/90 sull'accesso ai
documenti amministrativi sembra difficilmente ammissibile".
"Per documento" - spiega il consigliere - "si intende la
rappresentazione del contenuto di atti", quindi possono esistere
anche documenti informatici, tuttavia definire "atti
amministrativi" le registrazioni dei computer scolastici suscita
qualche perplessità. Il fatto che il giudice americano abbia disposto
che fossero rimossi i riferimenti alle persone è "un
riconoscimento implicito che i log sono dati rilevanti ai fini della
protezione dei dati personali". Non bisogna dimenticare, però, che
in questo caso sono coinvolti dei minori, la cui capacità giuridica è
soggetta a limitazioni, e che ci sono obblighi di potestà.
Un altro caso, accaduto in Francia, mostra un orientamento molto
cauto in materia di privacy in rete. Pochi giorni fa il tribunale di
Parigi ha stabilito che anche per i messaggi di posta elettronica vale
il principio giuridico della segretezza della corrispondenza e che tale
principio si applica anche alle comunicazioni e-mail inviate dai luoghi
di lavoro. Il giudice francese ha condannato tre funzionari di un
istituto di ricerca universitario per aver intercettato nel 1997 la
corrispondenza di uno studente, Tareg al Baho, comminando loro
un'ammenda di 10 mila franchi (quasi tre milioni di lire). I dirigenti
si sono giustificati spiegando che lo studente faceva un uso massiccio
del servizio di messaggeria tanto da essere sospettato da un collega di
aver compiuto atti di pirateria informatica. Nelle e-mail vennero lette
affermazioni giudicate diffamatorie nei confronti del laboratorio e al
giovane, prossimo alla laurea, fu negata l'iscrizione. L'argomentazione
dei responsabili del laboratorio, che ritengono di aver agito per
preservare la sicurezza della rete e in presenza di un abuso a fini
privati, è stata respinta dalla corte: l'integrità del servizio fruito
dal titolare di una casella di posta elettronica rientra nel campo di
applicazione della legge sulle telecomunicazioni.
Anche in Italia la posta elettronica è parificata alla
corrispondenza cartacea. Non solo: la Corte Costituzionale ha stabilito
che i "dati di traffico" sono tutelati al pari del contenuto.
Sembra, quindi, che, in linea generale, i criteri seguiti negli Stati
Uniti e in Europa in materia di privacy in rete siano piuttosto
divergenti. "Oltreoceano si sono poste prima e con più frequenza
alcune questioni nodali, tuttavia sul piano giuridico la nostra
esperienza benché più giovane è più solida" - assicura il
segretario generale dell'Autorità garante per la protezione dei dati
personali Giovanni Buttarelli - "siamo tra i primi ad aver
provveduto all'equiparazione tra posta elettronica e cartacea e a porre
il problema della riservatezza della corrispondenza sui luoghi di
lavoro". Il diritto alla privacy, anche in rete - conclude -
"è un diritto fondamentale della persona che non può essere
lasciato solo all'autoregolamentazione o alle policy per il
business".
Mercoledi' 15 Novembre 2000
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