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Barbesino: "la crisi dei portali non è passeggera"

Secondo Paolo Barbesino, presidente di Comm-Strategy, azienda di consulenza strategica nell'ambito dei new media, il modello di comunicazione e di business dei portali generalisti è destinato a trasformarsi

È ragionevole parlare di crisi dei portali?

Da più parti, sembra che ci siano degli indicatori che suggeriscono che questa crisi non sia solo passeggera. I dati americani, sia per quanto riguarda la criptalizzazione dei portali, sia per quanto riguarda la forza lavoro, sembrano indicare una progressiva riduzione della centralità dei portali su Internet, così come noi li conosciamo.

E in Italia?

In Italia, anche se la situazione non è così drammatica come negli Stati Uniti, certamente alcuni indicatori suggeriscono che i portali italiani stanno attraversando qualche difficoltà.

Perché la crisi?

Gli analisti sostanzialmente parlano di modificazione significativa del modello di business del portale. Si è sempre pensato che per un portale fosse importante generare pagine-viste e registrare utenti, perché questo consentiva di effettuare una raccolta pubblicitaria proporzionale al traffico. Oggi questo modello sembra essere in crisi e non è ancora chiaro quale modello lo sostituirà.

Le pagine-viste non contano più?

Le pagine viste certamente contano ma quello che in realtà si sta verificando è che, in realtà, il costo/contatto si sta significativamente riducendo. Quindi, a fronte di una crescita anche significativa dei volumi che i portali possono generare, non è così automatico che aumentino gli utili.

Che la pubblicità, invece, sia in calo, è un dato di fatto?

Si, anche se le previsioni per i prossimi mesi sono abbastanza contraddittorie da questo punto di vista.

Forse ci sono troppi portali in Italia?

Oggi in Italia, secondo una recente ricerca, sono 15 i portali che competono per catturare l'attenzione dei navigatori italiani. Probabilmente sono troppi. Non solo perché si tratta di un sovraffollamento di fronte a un navigatore che è sempre più disattento, ma anche perché se analizziamo l'offerta dei singoli portali, si nota che il grande traffico generato sull'homepage si basa sull'offerta di possibilità di intrattenimento e di comunicazione come le chat e l'invio degli sms. Se scorporassimo le pagine-viste generate attraverso l'invio di sms e le chat, a fronte di dati comunque significativi, si avrebbe una riduzione delle pagine-viste generate dai portali. Quello che emerge, quindi, è una competizione sostanzialmente basata sulla generazione di pagine-viste con un'offerta che ha ben poca profondità di contenuti.

La scarsità dei contenuti forse è dovuta al fatto che produrre contenuti costa molto: i portali necessitano di investimenti onerosi. Si parla di 100 miliardi, anche di più.

Certo. Gli investimenti sono un punto significativo per lo sviluppo di un portale. Dobbiamo sottolineare, però, che anche coloro che potevano minimizzare gli investimenti iniziali, come gli editori tradizionali, non sono stati in grado in Italia di definire un'offerta significativa online. Questo ha molto a che fare con il modo di integrare l'online e l'offline, sia per quanto riguarda la produzione che la distribuzione di contenuti.

È un limite per i portali essere così deprezzati rispetto ad un anno fa?

Certamente, la fase che i portali stanno attraversando oggi, è difficile dire se sia l'inizio della fine o la fine dell'inizio. È chiaro che l'espansione del portale, così come era stata pensata l'anno scorso, oggi non è più praticabile. Si è parlato recentemente di acquisizioni di grandi nomi dell'editoria online da parte di editori tradizionali - i grandi portali sono diventati da predatori prede - ed è probabilmente alla luce di questa trasformazione che bisognerà ripensare il ruolo del portale anche in funzione del mutato ruolo che questi svolgono nell'economia di Internet.

La pubblicità è stata data come causa finanziaria. C'è un'effettiva crisi di pubblicità sui portali?

Più che di crisi parlerei di trasformazione del modello. Per quanto i portali possano continuare a generare impression e, quindi, aumentare il magazzino di contatti che possono offrire agli inserzionisti, quello che si verifica è una crescente riduzione del valore del contatto, a fronte di un'offerta di siti specializzati che indirizza direttamente target selezionati di utenza.

Se questo modello è in crisi, qual è il futuro del portale generalista?

Probabilmente non si tratta tanto di crisi di un modello di business, ma di crisi di un format mediatico. Il portale come distributore di contenuti di terzi è, probabilmente, destinato a scomparire, sostanzialmente per una ragione fondamentale: l'utente della rete è un utente molto differente dagli utenti di tutti gli altri media. È fondamentalmente curioso, non si accontenta di un'offerta statica e proposta unicamente da una sola proprietà online, per quanto ricca, ma è, comunque, in grado autonomamente di decidere dove andare. Probabilmente il modello del portale rappresenta una traslazione di un modello che viene da altri media, ad esempio, dalla televisione, per cui con l'evoluzione della Rete è destinato ad essere sostituito da forme più evolute di fruizione di contenuti.

Si andrà verso forme di pagamento di siti?

Ci sono diversi indicatori perché questo modello possa affermarsi. Alcuni siti, recentemente, hanno iniziato a introdurre sistemi di pagamento e tariffazione dei contenuti evoluti, ma è ancora difficile sapere se si andrà in quella direzione o meno.

I portali verticali, i cosiddetti vortal hanno un futuro migliore rispetto ai portali trasversali?

Direi che oggi i portali verticali hanno sviluppato un'offerta di contenuti che è più coerente con il modello di Internet. Dove andranno i vortali, però, è ancora difficile saperlo.