La macchina, dunque, ha vinto. Ma è andata
proprio così? Certo, difficilmente Kasparov poteva
perdere peggio l'ultima partita. Una sconfitta
velocissima, dopo che il campione del mondo -
visibilmente nervoso fin dall'inizio del match - è
andato nelle primissime mosse ad infilarsi a testa
bassa in uno scambio vantaggioso in termini materiali
(Deep Blue, col bianco, ha sacrificato un pezzo per
un pedone) ma posizionalmente suicida, per unanime e
consolidato parere della letteratura scacchistica.
Conta poco sapere se Kasparov abbia semplicemente
commesso una banale svista (quelle che in gergo si
chiamano 'cappellate'), invertendo mentalmente
l'ordine di due mosse, o se abbia intravisto per un
istante qualche possibilità di sviluppo rivelatasi
poi inesistente.
In ogni caso, Kasparov ha perso non sul campo di
gioco, ma psicologicamente. E proprio per questo,
forse, Deep Blue non ha davvero vinto. Gli analisti
sono generalmente concordi nel ritenere che Kasparov,
in tutte le partite del match con la sola possibile
eccezione della seconda (la sesta e ultima non è
davvero considerabile come una partita), abbia
giocato meglio di Deep Blue. E la stessa seconda
partita, si è scoperto in seguito, poteva in realtà
portare ad una patta.
Quello che ha inibito Kasparov, e gli ha impedito
di sfruttare un gioco strategicamente migliore, è
stata la sua apparente ossessione nel cercare le
debolezze del computer in quanto computer, piuttosto
che del computer in quanto giocatore di scacchi. In
termini più drastici: se Kasparov avesse giocato
'alla cieca', senza sapere che il suo avversario era
in realtà un computer, probabilmente avrebbe vinto.
Deep Blue è certo un avversario implacabile, ha
mostrato capacità strategiche offensive in parte
limitate ma enormi risorse nel gioco posizionale e
nella difesa (da questo punto di vista le tre partite
finite in patta sono state forse quelle più
interessanti).
Davanti a un Kasparov meno emotivo avrebbe
probabilmente perso. Se ne sono accorti benissimo due
fra i maggiori protagonisti del panorama scacchistico
internazionale: Anatoly Karpov, l'avversario di
sempre di Kasparov, e Susan Polgar, la campionessa
del mondo femminile; entrambi si sono affrettati a
lanciare a Deep Blue il guanto di sfida (con il
proposito non troppo recondito di 'battere'
indirettamente Kasparov). Da questo punto di vista,
la reazione rabbiosa di Kasparov nel dopopartita
("mettetemi davanti Deep Blue in un torneo
normale e lo faccio a pezzi") è qualcosa di
più di uno sfogo: è il riconoscimento di essersi
fatto assorbire in una sfida dalle coordinate
sbagliate, la sfida tra uomo e macchina, piuttosto
che in una partita a scacchi.
E occorre soffermarsi un istante proprio su questo
tema, quello che - probabilmente a torto - interessa
di più: la sfida fra l'uomo e la macchina. Anche se,
nonostante il risultato di New York, Deep Blue non
mostra ancora il livello scacchistico di un campione
del mondo di scacchi, è del tutto presumibile che
l'incontro al quale abbiamo assistito segni davvero
uno spartiacque. Ancora per tre o quattro anni uomo e
computer si sfideranno ad armi pari, poi (negli
scacchi) il computer prevarrà sempre più
decisamente. Ma non è questo il punto: il dato
cruciale è che la vittoria di Deep Blue non
rappresenta in realtà l'evento simbolico che alcuni
hanno voluto leggervi, la prevalenza del computer
sull'uomo, la creazione di una 'macchina
intelligente'. Se c'è una cosa che negli ultimi anni
l'intelligenza artificiale ci ha insegnato, è che la
pura capacità di calcolo non costituisce da sola
quella che chiamiamo 'intelligenza'.
I motivi per cui siamo (giustamente) abituati a
considerare 'intelligente' il gioco degli scacchi
risiedono nel fatto che il giocatore di scacchi umano
effettua una serie di operazioni che non si possono -
o che non sappiamo ancora - ridurre al puro calcolo:
intuizione complessiva della struttura di una
posizione, selezione delle 'più promettenti'
all'interno delle molte linee di sviluppo di una
partita, valutazione quasi 'estetica' della forza o
della debolezza di una mossa, della collocazione di
un pezzo sulla scacchiera, e così via. Deep Blue non
gioca come noi, si basa solo sulla 'forza bruta'
rappresentata dalle sue capacità di calcolo.
Vero, queste capacità hanno dimostrato di essere
talmente impressionanti da poter prevalere
sull'intelligenza umana. Ma un computer
'intelligente' capace di giocare a scacchi (cosa in
linea di principio del tutto possibile) non
giocherebbe come Deep Blue. Dovrebbe incorporare
algoritmi e regole capaci di effettuare proprio
quelle operazioni di 'selezione volante', di
'intuizione', che riconosciamo come caratteristiche
del giocatore umano. Paradossalmente, infatti, noi
consideriamo 'intelligente' il gioco degli scacchi
proprio perché non si riduce al solo calcolo. E
d'altro canto - proprio per la sua natura altamente
astratta e la sua notevole componente di calcolo - il
gioco degli scacchi resta un caso piuttosto
particolare e specifico di comportamento intelligente
umano.
Sappiamo ormai che molti compiti apparentemente
più 'semplici' e alla portata anche di un bambino
piccolo (ad esempio riconoscere in modo affidabile
forme e suoni, o padroneggiare un insieme non
settoriale del linguaggio verbale) sono per un
computer assai più complessi del gioco degli
scacchi. Il team IBM che ha progettato Deep Blue ha
sempre sottolineato, molto onestamente, che Deep Blue
non è un esperimento di intelligenza artificiale, e
non incorpora nessuna delle tecnologie abitualmente
associate all'intelligenza artificiale. È invece un
esempio - e un esempio impressionante - delle
capacità di calcolo di un computer basato su una
architettura parallela, cioè sul lavoro simultaneo e
collaborativo di molti processori. Computer di questo
genere sono adatti a risolvere problemi, come appunto
il gioco degli scacchi, in cui un compito complessivo
(nel nostro caso, analizzare una situazione di gioco)
può essere scomposto in molti compiti subordinati
(ad esempio, analizzare una per una le varie
possibili linee di sviluppo del gioco nella
situazione data).
Possiamo aspettarci che Deep Blue faccia da
modello e da caso di studio per macchine in grado di
affrontare problemi dalle caratteristiche analoghe
(ed in effetti computer 'fratelli' di Deep Blue sono
già usati per la simulazione molecolare e l'analisi
finanziaria). Da questo punto di vista, il match di
New York ha per l'IBM non solo un indubbio riscontro
pubblicitario, ma anche un notevole riscontro
scientifico. Tuttavia, non siamo (ancora) davanti a
un computer intelligente, neanche nel campo specifico
del gioco degli scacchi.