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Kasparov vs Deep Blue

Partita n. 6 (11 maggio 1997)

Punteggio finale: Kasparov Deep Blue
2,5 3,5

Dettaglio delle mosse:

Bianchi: Deep Blue Neri: Garry Kasparov
1. e4 c6
2. d4 d5
3. Nc3 dxe4
4. Nxe4 Nd7
5. Ng5 Ngf6
6. Bd3 e6
7. N1f3 h6
8. Nxe6 Qe7
9. O-O fxe6
10. Bg6+ Kd8
11. Bf4 b5
12. a4 Bb7
13. Re1 Nd5
14. Bg3 Kc8
15. axb5 cxb5
16. Qd3 Bc6
17. Bf5 exf5
18. Rxe7 Bxe7
19. c4 Vince Deep Blue!

Commento:

La macchina, dunque, ha vinto. Ma è andata proprio così? Certo, difficilmente Kasparov poteva perdere peggio l'ultima partita. Una sconfitta velocissima, dopo che il campione del mondo - visibilmente nervoso fin dall'inizio del match - è andato nelle primissime mosse ad infilarsi a testa bassa in uno scambio vantaggioso in termini materiali (Deep Blue, col bianco, ha sacrificato un pezzo per un pedone) ma posizionalmente suicida, per unanime e consolidato parere della letteratura scacchistica. Conta poco sapere se Kasparov abbia semplicemente commesso una banale svista (quelle che in gergo si chiamano 'cappellate'), invertendo mentalmente l'ordine di due mosse, o se abbia intravisto per un istante qualche possibilità di sviluppo rivelatasi poi inesistente.

In ogni caso, Kasparov ha perso non sul campo di gioco, ma psicologicamente. E proprio per questo, forse, Deep Blue non ha davvero vinto. Gli analisti sono generalmente concordi nel ritenere che Kasparov, in tutte le partite del match con la sola possibile eccezione della seconda (la sesta e ultima non è davvero considerabile come una partita), abbia giocato meglio di Deep Blue. E la stessa seconda partita, si è scoperto in seguito, poteva in realtà portare ad una patta.

Quello che ha inibito Kasparov, e gli ha impedito di sfruttare un gioco strategicamente migliore, è stata la sua apparente ossessione nel cercare le debolezze del computer in quanto computer, piuttosto che del computer in quanto giocatore di scacchi. In termini più drastici: se Kasparov avesse giocato 'alla cieca', senza sapere che il suo avversario era in realtà un computer, probabilmente avrebbe vinto. Deep Blue è certo un avversario implacabile, ha mostrato capacità strategiche offensive in parte limitate ma enormi risorse nel gioco posizionale e nella difesa (da questo punto di vista le tre partite finite in patta sono state forse quelle più interessanti).

Davanti a un Kasparov meno emotivo avrebbe probabilmente perso. Se ne sono accorti benissimo due fra i maggiori protagonisti del panorama scacchistico internazionale: Anatoly Karpov, l'avversario di sempre di Kasparov, e Susan Polgar, la campionessa del mondo femminile; entrambi si sono affrettati a lanciare a Deep Blue il guanto di sfida (con il proposito non troppo recondito di 'battere' indirettamente Kasparov). Da questo punto di vista, la reazione rabbiosa di Kasparov nel dopopartita ("mettetemi davanti Deep Blue in un torneo normale e lo faccio a pezzi") è qualcosa di più di uno sfogo: è il riconoscimento di essersi fatto assorbire in una sfida dalle coordinate sbagliate, la sfida tra uomo e macchina, piuttosto che in una partita a scacchi.

E occorre soffermarsi un istante proprio su questo tema, quello che - probabilmente a torto - interessa di più: la sfida fra l'uomo e la macchina. Anche se, nonostante il risultato di New York, Deep Blue non mostra ancora il livello scacchistico di un campione del mondo di scacchi, è del tutto presumibile che l'incontro al quale abbiamo assistito segni davvero uno spartiacque. Ancora per tre o quattro anni uomo e computer si sfideranno ad armi pari, poi (negli scacchi) il computer prevarrà sempre più decisamente. Ma non è questo il punto: il dato cruciale è che la vittoria di Deep Blue non rappresenta in realtà l'evento simbolico che alcuni hanno voluto leggervi, la prevalenza del computer sull'uomo, la creazione di una 'macchina intelligente'. Se c'è una cosa che negli ultimi anni l'intelligenza artificiale ci ha insegnato, è che la pura capacità di calcolo non costituisce da sola quella che chiamiamo 'intelligenza'.

I motivi per cui siamo (giustamente) abituati a considerare 'intelligente' il gioco degli scacchi risiedono nel fatto che il giocatore di scacchi umano effettua una serie di operazioni che non si possono - o che non sappiamo ancora - ridurre al puro calcolo: intuizione complessiva della struttura di una posizione, selezione delle 'più promettenti' all'interno delle molte linee di sviluppo di una partita, valutazione quasi 'estetica' della forza o della debolezza di una mossa, della collocazione di un pezzo sulla scacchiera, e così via. Deep Blue non gioca come noi, si basa solo sulla 'forza bruta' rappresentata dalle sue capacità di calcolo.

Vero, queste capacità hanno dimostrato di essere talmente impressionanti da poter prevalere sull'intelligenza umana. Ma un computer 'intelligente' capace di giocare a scacchi (cosa in linea di principio del tutto possibile) non giocherebbe come Deep Blue. Dovrebbe incorporare algoritmi e regole capaci di effettuare proprio quelle operazioni di 'selezione volante', di 'intuizione', che riconosciamo come caratteristiche del giocatore umano. Paradossalmente, infatti, noi consideriamo 'intelligente' il gioco degli scacchi proprio perché non si riduce al solo calcolo. E d'altro canto - proprio per la sua natura altamente astratta e la sua notevole componente di calcolo - il gioco degli scacchi resta un caso piuttosto particolare e specifico di comportamento intelligente umano.

Sappiamo ormai che molti compiti apparentemente più 'semplici' e alla portata anche di un bambino piccolo (ad esempio riconoscere in modo affidabile forme e suoni, o padroneggiare un insieme non settoriale del linguaggio verbale) sono per un computer assai più complessi del gioco degli scacchi. Il team IBM che ha progettato Deep Blue ha sempre sottolineato, molto onestamente, che Deep Blue non è un esperimento di intelligenza artificiale, e non incorpora nessuna delle tecnologie abitualmente associate all'intelligenza artificiale. È invece un esempio - e un esempio impressionante - delle capacità di calcolo di un computer basato su una architettura parallela, cioè sul lavoro simultaneo e collaborativo di molti processori. Computer di questo genere sono adatti a risolvere problemi, come appunto il gioco degli scacchi, in cui un compito complessivo (nel nostro caso, analizzare una situazione di gioco) può essere scomposto in molti compiti subordinati (ad esempio, analizzare una per una le varie possibili linee di sviluppo del gioco nella situazione data).

Possiamo aspettarci che Deep Blue faccia da modello e da caso di studio per macchine in grado di affrontare problemi dalle caratteristiche analoghe (ed in effetti computer 'fratelli' di Deep Blue sono già usati per la simulazione molecolare e l'analisi finanziaria). Da questo punto di vista, il match di New York ha per l'IBM non solo un indubbio riscontro pubblicitario, ma anche un notevole riscontro scientifico. Tuttavia, non siamo (ancora) davanti a un computer intelligente, neanche nel campo specifico del gioco degli scacchi.


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