Siamo
sicuri di avere ancora bisogno di idee nuove?, può ancora avere
un ruolo di guida la figura dell'intellettuale nel mondo di
oggi, dominato dalle tecnologie informatiche? Queste alcune
delle domande centrali, e forse un po' provocatorie della
relazione introduttiva di Peppino
Ortoleva al Convegno "Come
nascono le idee nuove. Innovazione culturale, scienze sociali e
organizzazione della ricerca in Italia" promosso da Cliomedia,
società attiva nella realizzazione di prodotti multimediali nel
settore culturale, insieme alla Fondazione
Giovanni Agnelli e a Rai
- Direzione Teche e Servizi Tematici/Educativi.
Al
di là della risposta affermativa, ma non ovvia, che è
possibile dare alle domande poste da Ortoleva, il Convegno si
proponeva di dare voce a esigenze sempre più urgenti in un
momento in cui il mondo intero sembra dominato dall'innovazione
tecnologica. "Sullo sfondo dei problemi che pone il
fenomeno della globalizzazione" è necessario ridefinire il
compito di produrre e discutere le idee nuove, che in passato
veniva svolto dalla figura isolata dell'intellettuale. Oggi la
produzione culturale è diventata più "collettiva",
ma sarebbe pericoloso dare per scontato che questa
socializzazione, in gran parte dovuta alla diffusione dei mezzi
informatici, sia un bene in sé. Dalla figura dell'intellettuale
di fronte al mondo che cambia al ruolo dei mass media. Di
critica aperta gli interventi sia di Michel Crozier, membro del
parigino Istituto di Francia, sia di Alberto Martini, docente
presso l'Università del Piemonte Orientale. Il noto sociologo
francese ha puntato duramente l'indice contro i media che
privilegiano lo sfruttamento immediato delle risorse culturali e
non innescano processi atti a produrne di nuove, mentre Martini
rilevava polemicamente la scarsa attenzione dei media verso chi
si occupa della diffusione e produzione di cultura.
Quattro
i compiti centrali - emersi nel corso del dibattito - a cui le
istituzioni culturali sono chiamate a rispondere: favorire il
dialogo tra posizioni differenti, fornire strumenti di
riflessione all'opinione pubblica, valorizzare le potenzialità
innovative dei singoli e consentire la formazioni di gruppi
autenticamente produttivi.
Nel panorama attuale
dell'iniziativa privata nella produzione di cultura due sono
stati i modelli proposti. Il primo modello presentato da Alberto
Martini proponeva l'esempio americano dei think tank
sottolineandone "l'impegno nel dare un contributo originale
di idee e
proposte al dibattito pubblico". Forse il tentativo di
esportare e diffondere il modello think tank fuori dagli Stati
Uniti non è del tutto attuabile ma sicuramente può essere
inteso come interessante e positivo esempio di globalizzazione.
Il secondo modello esaminato, l'unico think tank in versione
italiana, è stato proprio quello della Fondazione Giovanni
Agnelli. Marcello Pacini, direttore da ventitré anni della
Fondazione, ha illustrato i punti fondamentali su cui si è
incentrato il suo lavoro nel corso degli anni: programmi di
ricerca concreti, la creazione di un sistema di valori come
fondamento della sua attività, pluralismo dei saperi.
Dell'esperienza della Fondazione Agnelli si è parlato anche
seconda sessione del Convegno, "L'innovazione culturale in
Italia: ricerca e applicazione delle scienze sociali negli
ultimi trent'anni". I relatori, dai diversi punti di vista
forniti dalla particolare esperienza di ciascuno - dall'analisi
più teorica di Guido
Martinotti come sociologo a quella storica di Renato
Giannetti - hanno messo in luce le difficoltà di far nascere in
Italia esperienze analoghe a quella della Fondazione Agnelli,
per efficacia e continuità dell'azione propositiva e di
realizzazione dei progetti culturali. La diagnosi della
situazione italiana è stata pressoché unanime: mancanza di una
concreta legittimazione per le istituzioni culturali e di
ricerca indipendenti, arretratezza sul piano normativo e
soprattutto fiscale che di fatto impedisce il diffondersi di
questo tipo di istituzioni, monopolio delle risorse umane e
finanziarie da parte di una struttura universitaria statale
obsoleta e priva di stimoli.
Proprio
da una radiografia delle condizioni attuali dell'Università
italiana e delle recenti riforme nella direzione di una maggiore
autonomia, ha preso il via la tavola rotonda conclusiva,
"Politiche per l'innovazione culturale: obiettivi,
strategie, strumenti". Le relazioni di Dino Cofrancesco e
Gaetano Quagliarello non hanno però lasciato intravedere la
possibilità, in un futuro prossimo, che l'Università giochi un
ruolo di primo piano nell'innovazione culturale del Paese.
Opinione condivisa è che "l'autonomia non riuscirà a
risolvere i troppi problemi del sistema universitario
italiano" almeno fino a quando mondo della ricerca e
sistema politico rimarranno legati da vincoli di natura
burocratica e clientelare. Rivendicare un nuovo ruolo
dell'Amministrazione Pubblica nel permettere alle istituzioni
culturali di innovare, di creare cultura è stato il tema
dell'interessante intervento di Vera Boltho del Consiglio
d'Europa, che ha anche sottolineato l'impossibilità per certe
forme tradizionali di istituzioni culturali (come ad esempio i
grandi musei) di rinunciare al sostegno pubblico: "lo Stato
deve mantenere una sua forma di intervento nel senso però che
deve essere creatore di processi non di prodotti
culturali". In sintonia con la Boltho, l'intervento di
Barbara Scaramucci, direttore della Direzione Teche e Servizi
Tematici/Educativi della Rai, che ha sottolineato il ruolo
dell'azienda televisiva pubblica come motore propulsivo nel far
nascere idee nuove, per nulla in crisi di creatività come
vorrebbe invece far apparire la stampa . In particolare la
Scaramucci ha voluto indicare tra i meriti della Rai, in
passato, la funzione di diffusiore della lingua italiana e per
il futuro un possibile e auspicabile ruolo di primo piano nell'alfabetizzazione
informatica. Le conclusioni, affidate a Domenico Fisichella -
vice presidente del Senato della Repubblica - hanno ribadito
l'impegno delle istituzioni politiche statali verso "la
sburocratizzazione e la globalizzazione, i due temi cruciali sui
quali si giocherà la credibilità dell'Italia nell'immediato
futuro". |