Media connection, arte della tecnologia o tecnologia artistica?
Inaugurata il 27 giugno 2001 al Palazzo delle
Esposizioni di Roma la mostra Media Connection. Come i media hanno cambiato l'arte
resterà aperta al pubblico fino al 15 settembre per proseguire, dalla metà di ottobre,
alla Triennale di Milano.
Di Paola Rossi
Con le opere di ventisette artisti che, per esprimersi, si sono
serviti di quei mezzi di comunicazione che hanno modificato definitivamente il nostro
rapporto con la realtà, Media Connection propone un viaggio attraverso 50 anni di arte
contemporanea.
Concepita come percorso espositivo la mostra esplora il rapporto
tra artista e new media evidenziando come, da una fase iniziale
in cui i new media stessi erano il prodotto dell'arte, essi si
siano trasformati via via in strumenti per fare arte, un'arte
di secondo livello.
Dalle prime sperimentazioni pionieristiche degli anni 60 si viaggia -
attraverso gli anni 70 e 80 - verso la "rivoluzione digitale" arrivando ai risultati
artistici più innovativi dei giorni nostri. Così, percorrendo un corridoio buio ad alto
impatto sensoriale il visitatore si lascia alle spalle telefono, radio, televisione,
macchina fotografica, cavi e fili manipolati, trattati e assemblati per ritrovarsi
in ambienti dove video e scritte digitali campeggiano sovrani.
La mostra-viaggio per scoprire l'uso creativo
dei media inizia inaspettatamente dall'accesso al percorso dove
il visitatore è quasi costretto ad "impattare" con uno screensaver
di Francis Alys intitolato "Il
ladro". Su uno schermo nero una finestra illuminata fa da
sfondo ad una sagoma umana che, dal nulla, entra in campo, si
dirige verso la luce, scavalca al di là e salta giù. Questo lavoro
realizzato nel 1999 per il website del Dia
Center di New York (che dagli anni 70 svolge un ruolo indiscusso
e riconosciuto a livello internazionale nel promuovere e conservare
progetti d'arte realizzati con l'utilizzo di ogni mezzo espressivo)
vuole essere, nelle intenzioni dell'artista, una riflessione sulla
percezione della realtà nell'era digitale. L'autore, infatti,
istituisce un parallelo tra la metafora rinascimentale del quadro
come finestra e le schermate dei nostri Pc ribattezzate, in esperanto
telematico, "Window". Se nella tradizione si guardava al quadro
come ad un'apertura sul mondo, oggi, nell'era digitale, è la finestra
stessa oggetto del nostro sguardo. Simbolicamente, attraverso
questo varco, il visitatore entra nell'universo dell'immaginario
visivo degli anni 60 quando la società cominciava a proiettarsi
verso il futuro e la televisione iniziava a condizionare la vita
creando nuovi bisogni.
Questo degli anni 60 fu un periodo che subì profondi mutamenti a livello
sociale, economico e tecnologico parallelamente all'influenza dei media che, da quel
momento, sarebbero entrati nella quotidianità delle persone cambiando stili di vita e
modo di percepire il reale. Risalgono a questi anni le prime opere di quegli artisti
che sentirono il bisogno di misurarsi con inediti strumenti espressivi, primo fra
tutti il video.
Tra le testimonianze di questo periodo le prime sperimentazioni del padre della videoarte,
Nam June Paik, sulla manipolazione dell'immagine elettronica, un cubo di Arman composto da
cornette telefoniche, una radio smontata ma funzionante ad opera di Tinguely ed alcune
sculture di Vostel realizzate con i componenti metallici dei televisori.
Una canzone di Jannacci introduce agli anni 70, periodo in cui si
guardava agli strumenti tecnologici con un po' di diffidenza. Questa è la fase del
giudizio critico, della provocazione ma anche di una maggior riflessione sui rapporti
tra tecnologia, comunicazione e ruolo dell'artista. Esempio di questo periodo è la
macchina per fototessere di Vaccari che invita lo spettatore a lasciare il proprio
ritratto come testimonianza del suo passaggio.
Successivamente, durante gli anni 80, gli artisti ormai liberi da
pregiudizi, cominciarono ad usare i media per la loro potenzialità di veicolare messaggi
e contenuti. Gary Hill, maestro indiscusso proprio di questo periodo, produce i suoi
video servendosi di suoni, immagini, oggetti e testi con l'intento di stravolgere gli
schemi percettivi dello spettatore.
Cresciuta a pane e tv, la generazione degli anni 90 ricorre oggi ai videoclip per
reinterpretare, con ironia destabilizzante, le funzioni ell'elettrodomestico più diffuso
nel mondo: la televisione.
Il decennio che, dagli anni 90 arriva fino ad oggi, si caratterizza per
la padronanza delle tecnologie digitali più avanzate con una generazione sempre più
affascinata dal dilatarsi delle possibilità di espressione offerte dal Web.
Nell'era telematica, dove gli artisti sono cyber-artisti, la tela è un monitor e l'arte
si chiama Net art, testi, immagini e suoni vengono miscelati simultaneamente e trasmessi
in tutto il mondo attraverso il Web. Per capire come utilizzare creativamente la Rete
Media Connection propone quindici progetti tra cui quelli di Antoni Muntadas e Jenny
Holzer oltre ad altri basati sulla manipolazione dei codici html e ascii di Jodi.org e
Vulk Cosic.
Un orsacchiotto che ascolta musica con le cuffie saluta il visitatore
ricordandogli come il nostro passato stia ancora giocando con il
futuro.
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