Che storia il futuro!
Megalopoli immerse negli abissi, stazioni spaziali,
automobili volanti. Viaggio nella
letteratura, filmografia e siti per capire come per cent’anni abbiamo
immaginato il domani. E poi è arrivato Internet, e…
di MariaGrazia Giordano
“Houston
abbiamo un problema, la terra non ci basta più”. Il secondo
millennio è volato via e con esso la prima puntata della
conquista dello spazio, che oggi si ricorda quasi con tenerezza,
è alle spalle. Eppure, c’è ancora voglia di futuro
e di cosmo: quello vero, stellare e marziano, ma anche quello
dello spazio digitale dove stiamo già viaggiando liberi
da ingombranti tute da astronauta e dove ci muoviamo al ritmo
della mano che accarezza il mouse.
Sono trascorsi poco più di cento anni da quando nel 1898
Herbert G. Wells scrisse La guerra dei mondi (ed. Mursia), romanzo
e film (di Byron Haskin, 1953) in cui gli alieni minacciano la
terra in pieno clima da guerra fredda. Ma come si è trasformata
la nostra visione dello spazio dall’età della fantasia
alle missioni su Marte? Quali sono i diversi scenari che galleggiano
tra il set de L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel (1956)
e le cascate di microchip di Matrix
di Larry e Andy Wachowski del 1999, sint! esi perfetta tra ansie
cosmiche e proiezioni virtuali? Per comprendere meglio il sogno
cosmico esistono tanto per cominciare alcuni siti: come Retrofuture
il ricco portale dove Eric Lefcowitz ha raccolto una vetrina di
testi ed immagini con spedizioni sul futuro dal 1950 al 2000,
o come Yesterland
, che è un tuffo all’indietro nell’immaginario del futuro
dal dopoguerra ad oggi, con particolare attenzione al concetto
disneyano di Tomorrowland, cioè il parco dei divertimenti
la cui ennesima riedizione verrà inaugurata a Hong Kong
nel 2006.
In letteratura il grande boom dello spazio, si colloca, invece,
tra gli anni ’30 e ’50, un ventennio in cui si guarda al cosmo
con fiducia e curiosità: è questa l’era della riscoperta
di Jules Verne e dell’uomo che va sulla luna. Ed è proprio
negli anni ’50 che si inizia a parlare di missioni interplanetarie
e di fuga verso nuove galassie: sulla Terra i pianeti si immaginano
arredati con le sedute sinuose del danese Arne Jacobsen, che disegna
una serie di sedie dal look cosmico; oppure come i mobili del
finlandese Eero Saarinen: delicati oggetti in resina a forma di
tulipano che anticipano i set kubrickiani, intrisi di estetica
aliena. Nata all’inizio degli anni ’60 la Ball Chair del finlandese
Eero Arnio
() assomiglia ad un satellite. Ed è solo uno dei tanti
oggetti che sembrano caduti dalle stelle sulla terra “secondo
un processo di spin-off aerospaziale che coinvolge la forma, ma
anche i materiali”, osserva il sociologo Fabrizio Carli, autore
di Elettrodomestici spaziali (ed. Castelvecchi).
E mentre la fantascienza anticipa pericolose invasioni di extraterrestri,
l’architettura risponde con una serie di “spazi” che sembrano
progettati per accogliere mitemente lo sbarco di nuove forme di
vita. È il caso di Brasilia, città bianca e spaziale
progettata da Oscar Niemeier ed inaugurata nel 1960 in Brasile.
Oppure è il Museum
of Universe sulle colline di Gavean a Rio de Janeiro, un tempio
del cielo, datato 1970 e firmato dagli architetti Renato e Ricardo
e Menescal. Ma la “space mania” esplode negli anni. Da Cape Canveral
la Nasa lancia
missili e sonde a getto continuo. Il mondo segue alla televisione
gli spaziodrammi che hanno per protagonisti complicati macchinari
dal nome Apollo o Soyouz: ed immagina che di lì a poco
tutti saremmo stati chiamati a voli periodici tra le stelle vestiti
con pesanti tute della I.L.C.
l’azienda che da oltre 33 anni veste gli space men delle
missioni SkyLab, Shuttle ed Apollo. Del periodo è anche
l’ossessione per la forma sferica, che è la semplificazione
di tutti i corpi celesti.
La passione per il tondo torna anche nella grande doppia ruota
bianca di 2001, che è il simbolo della stazione orbitante,
secondo Stanley Kubrick; l’anno del capolavoro è il 1968,
lo stesso in cui Apollo 8 circumnavigò per la prima volta
la Luna. Forse furono proprio le immagini di quella passeggiata
celeste a sollecitare la creazione di mobili gonfiabili, simbolo
di una certa leggerezza evidentemente in antitesi con la pesantezza
della vita terrena. E in Italia, il principio del gonfiabile conquista
Jonathn De Pas, Donato D’Urbino e Paolo Lomazzi che firmano per
Zanotta la poltrona Blow. Ma in omaggio alla logica del volo,
già nel 1964 il designer Verner Panton aveva presentato
alla Fiera di Colonia le sue Flying Chairs, sedute sospese con
cavi al soffitto; nello stesso anno, a Londra, vedeva la luce
anche il progetto della Walking City di Ron Herron, una grande
navicella urbana che ricorda vagamente la struttura dei Lem lunari.
1970: Arizona, ad una trentina di miglia da Phoenix. È
qui che viene deposta la prima pietra della città utopica
di Arcosanti, creata dall’archietto
Paolo Soleri.
Ma la storia si ripete, e tra qualche mese, sempre in Arizona,
sulle pendici dell’antico Roden
Crater l’artista americano James Turrell, 57 anni, inaugurerà
un’istallazione formata da dodici sale, ciascuna orientata verso
un particolare fenomeno cosmico: il tramonto, il chiaro di luna,
l’equinozio. Gli anni ’70 registrano il mescolarsi dei concetti
di spazio e di futuro a suggestioni psichedeliche e pre-newagiste:
tra i maggiori interpreti di quest’atmosfera c’è Luigi
Colani, progettista di missili per la Nasa e negli anni ’90 disegnatore
per la Swissair: Colani firma teiere aerodinamiche per Rosenthal
(1971) e nel 1968 una sedia, la Loop, che già nel nome
ricorda capriole cosmiche ed evoluzioni aeree. La Loop è
un mobile che potrebbe ben figurare nella casa-globo progettata
nel 1979 da Eduardo Longo sulle colline sopra Sao Paulo, arredata
con mobili curvilenei in resina, legno e metallo. Gli anni ’90
sono la stagione del revival dei Seventies: così, tornano
in auge le Lava lamp, lampade con le gocce colorate che si muovono
per effetto del calore; l’aspiravolpere Dual Cyclone 04 del britannico
James Dyson assomiglia ad un nipote di Alien ed, infine, Davi
Byrne disegna per Illy una serie di tazzine, le Alien Cup, con
il volto di piccoli colorati extraterrestri. Ma la vita! cosmica
quotidiana, quella prefigurata da serie come Star Trek o Spazio
1999, non si è ancora realizzata. E tra gli anni ’90 ed
il nuovo Millennio, l’umanità si attrezza invece per un’altra
colonizzazione: quella di cyberspazio, un cosmo parallelo che
ha il sapore della saga della Fondazione di Isaac Asimov (ed.
Mondadori) e le pulsazioni digitali raccontate da William Gibson
in Neuromante (ed. Nord) o da Bruce Sterling in Isole nella Rete
(Fanucci). Spazio ed iperspazio sono ormai due universi che convivono,
talora si sovrappongono: in Rete si trovano notizie di DestinationMir
, una specie di Grande Fratello prodotto dalla Nbc, il cui vincitore
verrà portato a fare una passeggiata nello spazio.
E domani? Tra i tanti progetti, uno dei più incredibili
a pensarci è quello dell’ascensore spaziale. La Nasa, infatti,
sta studiando la posibilità di costruire, prima del 2100,
un ascensore per le stelle, un lungo
cavo che dovrebbe collegare la terra con un’orbita esterna.
Ma noi, che non lo vedremo, ricordiamo una vecchia strofa di Paul
Simon: “Credo nel futuro, vivrò in macchina con la radio
sintonizzata su una voce proveniente da una stella lontana”. Perché
sulla terra abbiamo il difetto di essere oltre che tecnologici
e anche,un po’sentimentali.
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