Venerdì 20 aprile 2001




 

 


Che storia il futuro!

Megalopoli immerse negli abissi, stazioni spaziali, automobili volanti. Viaggio nella
letteratura, filmografia e siti per capire come per cent’anni abbiamo immaginato il domani. E poi è arrivato Internet, e…


di MariaGrazia Giordano

“Houston abbiamo un problema, la terra non ci basta più”. Il secondo millennio è volato via e con esso la prima puntata della conquista dello spazio, che oggi si ricorda quasi con tenerezza, è alle spalle. Eppure, c’è ancora voglia di futuro e di cosmo: quello vero, stellare e marziano, ma anche quello dello spazio digitale dove stiamo già viaggiando liberi da ingombranti tute da astronauta e dove ci muoviamo al ritmo della mano che accarezza il mouse.

Sono trascorsi poco più di cento anni da quando nel 1898 Herbert G. Wells scrisse La guerra dei mondi (ed. Mursia), romanzo e film (di Byron Haskin, 1953) in cui gli alieni minacciano la terra in pieno clima da guerra fredda. Ma come si è trasformata la nostra visione dello spazio dall’età della fantasia alle missioni su Marte? Quali sono i diversi scenari che galleggiano tra il set de L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel (1956) e le cascate di microchip di Matrix di Larry e Andy Wachowski del 1999, sint! esi perfetta tra ansie cosmiche e proiezioni virtuali? Per comprendere meglio il sogno cosmico esistono tanto per cominciare alcuni siti: come Retrofuture il ricco portale dove Eric Lefcowitz ha raccolto una vetrina di testi ed immagini con spedizioni sul futuro dal 1950 al 2000, o come Yesterland , che è un tuffo all’indietro nell’immaginario del futuro dal dopoguerra ad oggi, con particolare attenzione al concetto disneyano di Tomorrowland, cioè il parco dei divertimenti la cui ennesima riedizione verrà inaugurata a Hong Kong nel 2006.

In letteratura il grande boom dello spazio, si colloca, invece, tra gli anni ’30 e ’50, un ventennio in cui si guarda al cosmo con fiducia e curiosità: è questa l’era della riscoperta di Jules Verne e dell’uomo che va sulla luna. Ed è proprio negli anni ’50 che si inizia a parlare di missioni interplanetarie e di fuga verso nuove galassie: sulla Terra i pianeti si immaginano arredati con le sedute sinuose del danese Arne Jacobsen, che disegna una serie di sedie dal look cosmico; oppure come i mobili del finlandese Eero Saarinen: delicati oggetti in resina a forma di tulipano che anticipano i set kubrickiani, intrisi di estetica aliena. Nata all’inizio degli anni ’60 la Ball Chair del finlandese Eero Arnio () assomiglia ad un satellite. Ed è solo uno dei tanti oggetti che sembrano caduti dalle stelle sulla terra “secondo un processo di spin-off aerospaziale che coinvolge la forma, ma anche i materiali”, osserva il sociologo Fabrizio Carli, autore di Elettrodomestici spaziali (ed. Castelvecchi).

E mentre la fantascienza anticipa pericolose invasioni di extraterrestri, l’architettura risponde con una serie di “spazi” che sembrano progettati per accogliere mitemente lo sbarco di nuove forme di vita. È il caso di Brasilia, città bianca e spaziale progettata da Oscar Niemeier ed inaugurata nel 1960 in Brasile. Oppure è il Museum of Universe sulle colline di Gavean a Rio de Janeiro, un tempio del cielo, datato 1970 e firmato dagli architetti Renato e Ricardo e Menescal. Ma la “space mania” esplode negli anni. Da Cape Canveral la Nasa lancia missili e sonde a getto continuo. Il mondo segue alla televisione gli spaziodrammi che hanno per protagonisti complicati macchinari dal nome Apollo o Soyouz: ed immagina che di lì a poco tutti saremmo stati chiamati a voli periodici tra le stelle vestiti con pesanti tute della I.L.C. l’azienda che da oltre 33 anni veste gli space men delle missioni SkyLab, Shuttle ed Apollo. Del periodo è anche l’ossessione per la forma sferica, che è la semplificazione di tutti i corpi celesti.

La passione per il tondo torna anche nella grande doppia ruota bianca di 2001, che è il simbolo della stazione orbitante, secondo Stanley Kubrick; l’anno del capolavoro è il 1968, lo stesso in cui Apollo 8 circumnavigò per la prima volta la Luna. Forse furono proprio le immagini di quella passeggiata celeste a sollecitare la creazione di mobili gonfiabili, simbolo di una certa leggerezza evidentemente in antitesi con la pesantezza della vita terrena. E in Italia, il principio del gonfiabile conquista Jonathn De Pas, Donato D’Urbino e Paolo Lomazzi che firmano per Zanotta la poltrona Blow. Ma in omaggio alla logica del volo, già nel 1964 il designer Verner Panton aveva presentato alla Fiera di Colonia le sue Flying Chairs, sedute sospese con cavi al soffitto; nello stesso anno, a Londra, vedeva la luce anche il progetto della Walking City di Ron Herron, una grande navicella urbana che ricorda vagamente la struttura dei Lem lunari. 1970: Arizona, ad una trentina di miglia da Phoenix. È qui che viene deposta la prima pietra della città utopica di Arcosanti, creata dall’archietto Paolo Soleri.

Ma la storia si ripete, e tra qualche mese, sempre in Arizona, sulle pendici dell’antico Roden Crater l’artista americano James Turrell, 57 anni, inaugurerà un’istallazione formata da dodici sale, ciascuna orientata verso un particolare fenomeno cosmico: il tramonto, il chiaro di luna, l’equinozio. Gli anni ’70 registrano il mescolarsi dei concetti di spazio e di futuro a suggestioni psichedeliche e pre-newagiste: tra i maggiori interpreti di quest’atmosfera c’è Luigi Colani, progettista di missili per la Nasa e negli anni ’90 disegnatore per la Swissair: Colani firma teiere aerodinamiche per Rosenthal (1971) e nel 1968 una sedia, la Loop, che già nel nome ricorda capriole cosmiche ed evoluzioni aeree. La Loop è un mobile che potrebbe ben figurare nella casa-globo progettata nel 1979 da Eduardo Longo sulle colline sopra Sao Paulo, arredata con mobili curvilenei in resina, legno e metallo. Gli anni ’90 sono la stagione del revival dei Seventies: così, tornano in auge le Lava lamp, lampade con le gocce colorate che si muovono per effetto del calore; l’aspiravolpere Dual Cyclone 04 del britannico James Dyson assomiglia ad un nipote di Alien ed, infine, Davi Byrne disegna per Illy una serie di tazzine, le Alien Cup, con il volto di piccoli colorati extraterrestri. Ma la vita! cosmica quotidiana, quella prefigurata da serie come Star Trek o Spazio 1999, non si è ancora realizzata. E tra gli anni ’90 ed il nuovo Millennio, l’umanità si attrezza invece per un’altra colonizzazione: quella di cyberspazio, un cosmo parallelo che ha il sapore della saga della Fondazione di Isaac Asimov (ed. Mondadori) e le pulsazioni digitali raccontate da William Gibson in Neuromante (ed. Nord) o da Bruce Sterling in Isole nella Rete (Fanucci). Spazio ed iperspazio sono ormai due universi che convivono, talora si sovrappongono: in Rete si trovano notizie di DestinationMir , una specie di Grande Fratello prodotto dalla Nbc, il cui vincitore verrà portato a fare una passeggiata nello spazio.

E domani? Tra i tanti progetti, uno dei più incredibili a pensarci è quello dell’ascensore spaziale. La Nasa, infatti, sta studiando la posibilità di costruire, prima del 2100, un ascensore per le stelle, un lungo cavo che dovrebbe collegare la terra con un’orbita esterna. Ma noi, che non lo vedremo, ricordiamo una vecchia strofa di Paul Simon: “Credo nel futuro, vivrò in macchina con la radio sintonizzata su una voce proveniente da una stella lontana”. Perché sulla terra abbiamo il difetto di essere oltre che tecnologici e anche,un po’sentimentali.