Satelliti al
servizio dell’ambiente. Per monitorare lo stato di salute del
pianeta e raccogliere dati importanti per lo studio di gravi
malattie endemiche. A rivelare le straordinarie possibilità
spalancate dai dispositivi elettronici e supercomputerizzati
sospesi nello spazio planetario è la Nasa
che, in un articolo pubblicato sui Proceeding of the National
Academy of Sciences, rende noti i risultati
di una ricerca, condotta in collaborazione con l’Università
del Maryland, sulla diffusione del colera. Fornendo tutti i
particolari dell’inedita partnership tra biologia e ingegneria
delle telecomunicazioni, che ora potrebbe inaugurare un nuovo
corso nella ricerca scientifica. All’insegna delle tecnologie
satellitari.
Dai dati
forniti dal satellite è possibile prevedere l’insorgere di
future malattie, rivelano gli scienziati dell’agenzia spaziale
americana. Come, ad esempio, la malaria o l’epidemia del
colera, un’infezione batteriologica che attacca l’intestino,
provocando diarrea, vomito, e perdita di liquidi in un arco di
tempo così rapido da portare, nei casi più gravi, addirittura
la morte. Grazie ai satelliti, infatti, gli scienziati sono
riusciti a seguire la rotta delle fluorescenze del plankton
animale e vegetale che trasporta il batterio del colera e a
raccogliere informazioni sulla temperatura dell’oceano,
l’altezza del mare e altre variabili climatiche registrate nei
computer satellitari.
Confrontando,
poi, i dati sulle variazioni climatiche con quelli sulla
diffusione della malattie, i ricercatori hanno scoperto che
questi parametri sono indicatori di rischio, perché rivelano le
condizioni ambientali favorevoli all’insorgere
dell’epidemia. Un’ipotesi, quella dei biologi americani,
confermata anche dall’epidemia del Bangladesh, dove gli
episodi di colera scoppiati tra il 1992 e il 1995 sono sempre
stati accompagnati da un innalzamento della temperatura e
dell’altezza delle acque costiere dell’oceano indiano, lungo
la costa della Baia di Bengala. A facilitare la diffusione della
malattia sarebbe stata proprio l’alta marea, che avrebbe
spinto il mare salmastro e inquinato dal batterio del colera
anche nei territori più interni, contaminando quanti andavano a
bagnarsi o a bere l’acqua.
“In quegli
anni il Bangladesh è stata colpito da due epidemie di colera,
in primavera e in autunno”, racconta Brad Lobitz, scienziato
della Nasa, “che, secondo i dati satellitari, sono avvenute
proprio in concomitanza con l’aumento della temperatura del
mare”. E aggiunge: “Se estendessimo il modello del
Bangladesh su larga scala, potremo avere un sistema per
prevedere, minimizzare o addirittura prevenire lo scoppio di
focolai epidemici nelle zone più minacciate dal colera”. Non
solo. Ad incoraggiare studi di questo tipo sono anche i costi
estremamente ridotti rispetto a quelli necessari a sovvenzionare
ricerche di tipo tradizionale. Lo spiega Rita Colwell,
presidente dell’Umbi - University
of Maryland Biotechnology Institute -: “Oltre ad
incoraggiare le nostre ipotesi sul legame tra colera e
condizioni ambientali, questi esperimenti sono la dimostrazione
più evidente di come l’uso intelligente delle nuove
tecnologie può favorire la ricerca scientifica, con un
considerevole risparmio di denaro. Come nel nostro caso, in cui
abbiamo sfruttato i dati già disponibili sul Web”.
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