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    Mario Costa

    Firenze, 02-06-1996
    Il sublime tecnologico
  • Mario Costa spiega cosa intende per "sublime tecnologico" (1) .
  • Le nuove tecnologie hanno un'enorme influenza sulla produzione artistica. Infatti tutte le avanguardie artistiche di questo secolo sono indotte dall'avvento di nuove tecnologie (2) .
  • Tutte le forme artistiche, per sopravvivere, vivono un'ibridazione reciproca e anche una contaminazione da parte dei nuovi mezzi di cui dispongono (3) .
  • Oggi le tecnologie non sono più protesi del corpo ma si sviluppano fuori di esso (4) .
  • Costa si dichiara interessato agli scenari di intelligenza collettiva, già anticipati da Teilhard de Chardin (5) .
  • Partendo dal concetto di intelligenza collettiva sviluppato da Levy, Costa giunge alla conclusione dei suoi studi di estetica della comunicazione: la prossima fine della soggettività artistica (6) .
  • Costa spiega la sua concezione di "artista tecnologico" ribadendo che la figura che egli ritiene defunta non è quella dell'artista in generale ma solo quella dell'artista che tende alla proprietà assoluta dell'opera (7) .
  • Ancora, il professore fa una breve panoramica sulla storia dell'estetica fino a giungere all'estetica contemporanea che dovrebbe, secondo lui, soffermarsi sull'idea di una molteplicità discontinua di pratiche artistiche diverse (8) (9) .
  • Viene, poi, spiegato perché le nuove tecnologie hanno un basso indice di utilizzabilità soggettiva (10) .
  • La ricerca estetica dovrebbe essere una ricerca collettiva (11) .
  • Rispetto all'opera d'arte oggi non interessa più la riproducibilità ma, piuttosto, la sua producibilità elettronica in tempo reale (12) .




  • INTERVISTA:

    Domanda 1
    Lei ha scritto un saggio dal titolo: "Il sublime tecnologico". Cosa intende con questa espressione?

    Risposta
    Devo dire che è uno dei miei libri fortunati: l'ho scritto nel '90, ed è stato pubblicato in diversi Paesi, quindi tradotto in varie lingue. Nel libro è espresso il concetto teorico fondamentale sul quale mi muovo: il sublime tecnologico è, in qualche modo, la nozione dell'oltrepassamento dell'arte, ed è un essere collocati al di là di quelle che erano le categorie specifiche dell'artistico, vale a dire: il soggetto, l'espressione, la creatività, lo stile. La nozione di sublime tecnologico alla quale le nuove tecnologie permettono di accedere, è una nozione che liquida tutta questa struttura concettuale legata all'artistico e che introduce, invece, quel sistema di categorie concettuali legate, nell'estetica tradizionale, al sublime: la nozione, cioè, di un soggetto debole, di un soggetto sopraffatto da qualche cosa che non è soggetto; ed è questa, a mio avviso - questo è il concetto che io vado sviluppando -, la dimensione nella quale le nuove tecnologie hanno collocato la situazione antropologica in general e. E' una situazione di debolezza del soggetto, di oltrepassamento dell'espressione, di venir meno dello stile, del venir meno di tutte quelle che erano le caratteristiche fondamentali dell'arte tradizionalmente intesa. Questa è la mia nozione di sublime tecnologico. Devo anche aggiungere che è una nozione particolarmente, ormai, ricorrente; mi pare che molti si muovano in questa direzione.

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    Domanda 2
    Lei ha sostenuto che l'innovazione tecnologica ha sempre comportato un ripensamento radicale delle forme tradizionali di espressione artistica. La fotografia, ad esempio, ha portato a ripensare ruolo e forma della pittura. Che influenza hanno avuto le nuove tecnologie sulla produzione artistica tradizionale?

    Risposta
    Questa è una questione che affronto in un altro volume, che si chiama "L'estetica dei media". E' un volume nel quale cerco di indagare, appunto, le interferenze che storicamente sono intercorse tra il progressivo avvento delle tecnologie e le forme artistiche tradizionali. Le trasformazioni più note, per così dire, sono quelle che si riscontrano a proposito della pittura. Il rapporto fotografia-pittura è, da un po' di tempo, abbastanza esplorato, e anche abbastanza conosciuto. Esiste un discreto numero di libri che studiano questo argomento. Molto meno noto, per niente studiato, è il rapporto che intercorre tra gli strumenti della produzione tecnologica del suono e le trasformazioni della poesia, arte del suono per definizione, così come relativamente poco studiata è la relazione che intercorre tra il cinema e le trasformazioni avvenute e avutesi nel teatro. La mia ipotesi è che tutta l'avanguardia artistica, dalla fine dell'Ottocento fino alle ultime avanguardie degli anni Sessanta-Settanta, si sp iega solamente come un complesso di reazione agli avventi progressivi delle tecnologie. La fotografia trasforma la pittura, gli strumenti di registrazione acustica trasformano la poesia, il magnetofono trasforma la musica, il cinema trasforma il teatro. E’ chiaro che la mia è una schematizzazione, ma a ho dedicato una serie di studi, anche molto analitici in proposito. Come si spiega che la storia millenaria dell'arte si trasformi, ad un certo punto, in storia dell'avanguardia artistica? E' un evento, questo dell'avanguardia, assolutamente inedito. Gli artisti, a partire da un certo momento, non sono più artisti, ma fanno dell'avanguardia. Perché avanguardia? Che cosa è successo? Quale è stato l'evento da cui l'avanguardia si è generata, questo fenomeno del tutto inedito, assolutamente nuovo nella storia dell'arte? Questa domanda radicale non è stata mai posta, in ultima analisi. Esistono un'infinità di studi sull'avanguardia, ma interpretazioni dell'avanguardia si possono veramente contare sulle dita di una sola mano. Nei miei lavori io dimostro come gli eventi siano sempre contemporanei, come ad ogni tecnologia appartenente ad un ambito sensoriale specifico, si accompagnino trasformazioni di quel tipo di espressione artistica, che rientra in quell'ambito sensoriale. L’ipotesi che sviluppo consiste in questo: tutto quanto il fenomeno dell'avanguardia, vale a dire la storia dell'arte dell'ultimo secolo fino agli anni Settanta, è tutto dominato e indotto dall'avvento delle tecnologie. La ricerca estetica, se così la possiamo chiamare, si sviluppa in due direzioni: da un lato le trasformazioni che le nuove tecnologie inducono nelle vecchie pratiche artistiche, quindi il cinema trasforma il teatro. L'avanguardia teatrale non si spiega se non come reazione e risposta allo spettacolo cinematografico. La stessa cosa vale per la pittura, la stessa cosa vale per la musica. Tutta la musica, almeno dagli anni Quarantacinque-Cinquanta in poi, non si spiega senza l'avvento del magnetofono, così come le ricerche di poesia sonora, di poesia elettroacustica, di poesia concreta non si spiegano se non a partire da quello che nelle tecnologie stava succedendo. Le stesse ricerche delle prime avanguardie, peraltro, le avanguardie degli anni Dieci, trasformano la parola da un punto di vista acustico, puntano molto di più sulle valenze acustiche e sulle valenze grafiche della parola. Questa è la mia ipotesi. Ripeto: è una ipotesi che sto sviluppando ampiamente da circa quindici anni, seguendo queste due direzioni di ricerche: da un lato come le tecnologie trasformano le tecniche tradizionali, e dall'altro lato come le tecnologie ricercano e ritrovano, alla fine, una loro specificità estetica. Queste sono le due direzioni sulle quali, a mio avviso, ogni ricerca estetica, oggi, dovrebbe muoversi.

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    Domanda 3
    E attualmente non pensa che le nuove tecnologie ridiano vita alle forme espressive tradizionali, anche riattivando un dibattito che sembrava finito?

    Risposta
    No, non attivano nessun nuovo dibattito relativamente alle vecchie tecnologie. Le vecchie tecnologie, le vecchie tecniche, per meglio dire, cercano, in qualche modo, di rifarsi un "maquillage" ibridandosi tra di loro; in qualche altro modo ibridandosi con i nuovi media. A mio avviso queste sono ultime strategie di sopravvivenza che la dimensione artistica tradizionale tenta di costruire. La stessa storia dell'avanguardia non si spiega se non come strategia di sopravvivenza. Il teatro di Brecht, che conta sulla mobilitazione del pubblico, ad esempio, o il teatro di Artaud, che fa del teatro un'esperienza del corpo, sono strategie di sopravvivenza del teatro, messo di fronte al cinema. Il teatro, così come tutte le altre arti, ricerca, per sopravvivere, una propria specificità. Oggi è molto difficile anche parlare di arte. Il sistema dell'arte tradizionale cerca di sopravvivere, in malo modo, ricorrendo a queste strategie di sopravvivenza, che sono da un lato l'ibridazione reciproca tra varie pratich e e varie tecniche, e, dall'altro, attraverso l’ibridazione con strumenti nuovi. Tutto questo resta, però, sempre all'interno di una logica, di un consumo paleoartistico e di una logica di una fruizione e di una reazione emotiva di tipo paleoartistico; mentre, invece, io credo che siamo molto più in là. Dal mio punto di vista le nuove tecnologie non riaprono assolutamente nessun dibattito nelle arti tradizionali, ma forse lo chiudono definitivamente.

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    Domanda 4
    Si parla di nuovi mezzi tecnologici come di protesi del nostro cervello, al contrario delle macchine di un tempo, considerate protesi del corpo. Quando Lei sostiene che le nuove tecnologie mettono in discussione le vecchie nozioni di mezzo, strumento e protesi, pensa a questo?

    Risposta
    Non penso precisamente a questo. La nozione di protesi è una nozione, ovviamente, che già va più in là rispetto alla nozione di mezzo. Noi possiamo distinguere questi tre momenti nell'ambito della tecnica: un momento nel quale la tecnica è mezzo, è strumento, è, effettivamente, una specie di prolungamento che incide ma che non trasforma radicalmente l'essere umano, e che, in qualche modo, lo lascia relativamente immutato. Sottolineo questo "relativamente" perché tutte le tecniche agiscono e ricadono su un livello antropologico. Però bisogna distinguere tra la tecnica, la tecnologia e le neotecnologie. La tecnica lascia ancora relativamente inalterata una nozione dell'uomo di tipo umanistico. E non era questa la nozione di tecnica che aveva McLuhan. McLuhan si rende conto che alla nozione di tecnica come mezzo bisogna sostituire la nozione di tecnica come protesi, come prolungamento del corpo; quindi, non come mezzo neutrale adoperato dall'uomo, ma come un prolungamento del corpo che trasforma il co rpo stesso. Ci sono protesi che trasformano la meccanica del corpo, ad esempio; e ci sono protesi che trasformano il modo di funzionare mentale, l'apporto specifico di McLuhan. Peraltro, prima di McLuhan, lo aveva capito molto meglio e molto bene Teilhard de Chardin, un grande antropologo francese. L'apporto comunque di Teilhard de Chardin e successivamente di McLuhan è che le tecniche, trasformate in tecnologie, trasformano profondamente il corpo. E, in particolare, le tecniche di cui disponiamo oggi - o, per meglio dire, di cui disponevano allora - erano tecniche che, atteggiandosi come strumento, come sistema nervoso tecnologico, agivano direttamente sul sistema nervoso e sulla mente. Quindi: non più tanto e solamente trasformazione della meccanica, della dinamica del corpo, della sensorialità, ma addirittura trasformazione del sistema nervoso e della mente. Questa nozione di tecnica come protesi credo sia già notevolmente oltrepassata. La tecnologia, attualmente, non si atteggia più come una protesi dell' uomo, ma si atteggia molto di più e molto meglio come qualche cosa che sta assolutamente al di fuori, al di là dell'uomo, e che agisce indipendentemente dall'uomo e da cui l'uomo, molto probabilmente, sarà risucchiato e riplasmato, per dirlo in linguaggio mcluhaniano. Le tecnologie, oggi, sempre di più si vanno richiudendo in sé e si vanno autosviluppando. Questo significa che sono sempre di meno protesi e sono sempre di più degli "in sé", delle asseità, diremmo con linguaggio metafisico greco: sono delle asseità tecnologiche che si autosviluppano e che, in qualche modo, sicuramente non agiranno più né solamente sulla dinamica e sulla meccanica del corpo, né più solamente sulla sensorialità nervosa, ma agiranno in una maniera molto più radicale, molto probabilmente anche in tempi non lunghissimi, e che, a mio avviso, porranno in essere una specie di uomo del tutto diversa da quella con la quale abbiamo a che fare oggi.

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    Domanda 5
    E Teilhard de Chardin parlava di "noosfera", di un collegamento fra le intelligenze?

    Risposta
    La nozione di Teilhard de Chardin è fondamentale.

    Teilhard de Chardin ha teorizzato la nozione di "sistema nervoso, tecnologico, planetario". Usa le stesse parole di McLuhan: "sistema nervoso, tecnologico, planetario". E per lui, bisogna dire, che era anche molto più difficile teorizzarlo, perché stiamo parlando addirittura degli anni Venti, Trenta: aveva a disposizione solamente la radio per capire un poco quale sarebbe stato lo sviluppo delle tecnologie. Quindi, Teilhard de Chardin ha teorizzato ciò di cui oggi tanto si parla, e di cui parla in modo particolare Pierre Lévy, che, tra l'altro, è un mio carissimo amico che io stimo moltissimo, e che ha approfondito questo concetto di intelligenza collettiva. Teilhard de Chardin ha capito per primo, (e ancor prima di lui lo aveva capito Nietzsche, ma quest’ultimo non aveva molto a che fare con le tecnologie), che le tecnologie non solo formano un sistema nervoso planetario, ma formano anche una intelligenza collettiva. Lo dice con termini che sono quasi identici a quelli che io uso. La differenza tra Teilhard de Chardin e noi è che la sua prospettiva è, ovviamente, di tipo religioso, di tipo mistico, addirittura; motivo per il quale non fu neanche molto ben accetto alla Chiesa Cattolica; noi, tutto questo, l'abbiamo laicizzato. Ma la prospettiva, da un punto di vista antropologico, è quella che ha intravisto per primo Teilhard de Chardin già negli anni Venti, e poi, sempre meglio, negli anni Trenta e negli anni Quaranta.

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    Domanda 6
    E l'intelligenza collettiva di Lévy è una logica conclusione rispetto alle teorie di De Chardin o apre altre prospettive d’interpretazione?

    Risposta
    L'intelligenza collettiva di Lévy è l'intelligenza resa possibile dalla telematica, resa possibile dalle connessioni, dall'utilizzo e dall'impiego reale ed effettivo dei mezzi informatici di cui, ormai, siamo abbondantemente pieni. Questa nozione di intelligenza collettiva si va non solo chiarendo, ma si va anche rendendo oggettivamente possibile grazie agli strumenti di comunicazione telematica, alle reti di cui disponiamo. Questa è una cosa che avrei voluto dire all'inizio: la nozione di rete è stata da noi teorizzata, sul piano estetologico, nel 1983, assieme a Fred Forrest, grande "artista" francese, con il quale abbiamo fondato questa nozione di "estetica della comunicazione", di un'estetica fondata sugli strumenti della comunicazione in quanto tali e di un'estetica fondata sull'atto della comunicazione, reso possibile dagli strumenti della comunicazione telematica. Questa è, in qualche modo, l'estetica della comunicazione sulla quale lavoriamo da quindici o sedici anni. L'intelligen za collettiva di Lévy, interessantissima, è l'intelligenza collettiva resa possibile dalll'impiego delle tecnologie informatiche. L’aspetto allarmante sul quale è necessario interrogarsi è il seguente: nel momento stesso in cui l'intelligenza collettiva diventa una nozione chiara, e viene anche resa possibile dagli strumenti di cui attualmente la specie umana dispone, in questo stesso istante si assiste ad una esplosione, senza precedenti, di individualismi di ogni genere, di messa in primo piano delle ego, di estroflessione massima del proprio io e anche di particolarismi di interesse, di particolarismi nella ricerca, che sono estremamente arcaici e che sono ben al di là delle disponibilità di cui disponiamo oggi. Probabilmente questo si spiega proprio perché la individualità e l'ego avvertono, al livello profondo, la loro prossima fine.

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    Domanda 7
    Quali prospettive si offrono a quelli che Lei chiama "artisti tecnologici"?

    Risposta
    Più che "artisti tecnologici" io preferisco chiamarli "ricercatori estetici". "Artista tecnologico" è un'espressione che si può utilizzare per capire di che cosa si parla. Io non sostengo affatto che la funzione di quello che una volta era l'artista è una funzione oggi inutile, o venuta meno. Spesso sono frainteso su questo piano, e per questo motivo posso dire di non avere neanche molti amici all'interno stesso dei circuiti della ricerca neoestetologica. Io lo dico una volta per tutte: non sono affatto convinto che la funzione dell'"artista", di quello che una volta era l'"artista", oggi sia venuta meno, sia inutile e debba essere eliminata. Sostengo, viceversa, che il ruolo dell'artista sia profondamente mutato. Gli artisti tecnologici o i ricercatori estetici devono oggi rinunciare - e lo fanno già - ad alcune componenti fondamentali di quello che era l'artista della tradizione. Loro lavorano prevalentemente sul piano del concetto, i progetti su cui lavora no sono concettuali. Il concetto è condivisibile. Questo significa che la produzione può essere, deve essere, e in molti casi lo è già, una produzione concertata, collettiva. Significa che la proprietà esclusiva dell'opera è una nozione arcaica, così come lo stile che una volta caratterizzava l'artista. Perché? Perché, quando l'artista ha a che fare con dei manufatti, con un immediato prolungamento della mano, allora possiamo parlare di stile. Ed era questa già una nozione che metteva notevolmente in crisi, ad esempio, quelli che, oggi o ieri, dovevano riconoscere, attribuire i quadri. Berenson, che è uno dei massimi attributori della storia, dice più volte e continuamente che questa nozione di soggetto, di personalità artistica, è una nozione quasi introvabile, che è difficilissimo stabilire dove finisce un'artista e comincia un altro. Voglio dire che la nozione di stile è una nozione problematica già per quanto riguarda la produzione artistica tradizionale. Quando, invece, si parla di arti tecnologiche, di produzioni neoestetiche, allora, la nozione di stile è una nozione assolutamente priva di senso. La nozione di stile era una delle nozioni fortissime della vecchia produzione artistica, il vecchio apparato categoriale dell'arte. Questo è quello che io intendo quando voglio dire che gli artisti appartengono, ormai, alla preistoria. Appartiene alla presitoria l'artista che si esprime con lo stile, che pone, come momento fondamentale e dominante del suo lavoro, l'espressione di se stesso, del proprio io, se è il caso, del proprio sentimento; è l'artista che tende assolutamente alla proprietà esclusiva dell'opera. Molti artisti tecnologici hanno già superato, nei fatti, tutto questo.

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    Domanda 8
    Lei sostiene che l'estetica filosofica, soprattutto con la spinta delle nuove tecnologie, ha dovuto abbandonare l'idea di un'essenza del bello dell'arte, sostituendola, invece, con la molteplicità discontinua di pratiche diverse, momenti e tempi differenti. Perché, a Suo avviso, le nuove tecnologie, al contrario delle vecchie, che a suo tempo sono state nuove, dovrebbero portare a una perdita di senso dell'arte?

    Risposta
    Uno degli errori fondamentali dell'estetica filosofica, a mio avviso, è quello di aver individuato una categoria generale dell'arte. Questo è avvenuto storicamente, specialmente nelle estetiche idealistiche, le quali hanno sostituito la più sana e la più igienica divisione tra le arti, che era molto praticata nel Settecento, con una categoria forte, generale dell'arte. Peraltro, queste stesse estetiche hanno, poi, identificato quali erano queste arti, vale a dire le arti "belle", le cinque arti, che tutti conosciamo; tutte le altre arti erano notevolmente declassate, arti poco perfette, per dir così, e poco compiute. Le arti erano: l'Architettura, la Scultura, la Pittura, la Musica e la Poesia. Queste arti erano tutte quante unificate da una nozione, da una categoria generale, che era l'Arte. Questo è avvenuto in modo particolare con Croce, il quale negava addirittura la distinzione tra le arti e diceva che l'arte, in ultima analisi, era una sola. Questo si è potuto fare proprio perché c'è stata un a sottovalutazione dei dispositivi dell'arte; si è considerata l'arte un fatto del tutto interno, dello spirito, e non si è capito, non si è voluto capire quanto e come il prodotto sia immediatamente dipendente dai materiali e dalle tecniche che lo producono. In questo tipo di estetica, in modo specifico l'estetica di Croce, il prodotto non ha quasi più senso, perché Michelangelo sarebbe Michelangelo anche se non avesse creato la Cappella Sistina o I Prigioni; basterebbe per lui averli solamente pensati. Una posizione più igienica, più sana, è, a mio avviso, quella, intanto, di capire che l'arte non sta "dentro", ma sta nelle cose, sta nei prodotti, sta nelle opere; e su questo molte estetiche, a dire la verità, convergono; poiché queste "cose" sono dei prodotti di tecniche e di materie, bisogna fare distinzione tra di esse, bisogna capire che ogni prodotto, ogni "qualcosa" generata da una tecnica e da una materia, porta anche con sé un tipo di senso, un tipo di significato, che altre cose, generate da altre materie e da altre tecniche non hanno e non possono avere. Questo significa sostituire alla categoria generale dell'arte, che è una categoria del tutto spirituale, del tutto interna, del tutto ineffabile, una molteplicità di pratiche artistiche, ciascuna delle quali è connessa ad un proprio dispositivo, ciascuna delle quali è capace di produrre un proprio significato che altre non sono in grado di produrre. L'estetica contemporanea che cosa fa oggi? L'estetica contemporanea in generale, la riflessione estetologica contemporanea oggi lavora molto poco sul contemporaneo. E' addirittura testimoniato questo dal fatto che i grandi estetologi o gli estetologi che noi abbiamo oggi parlano ancora di arte in termini tradizionali, e quando fanno degli esempi, citano Holderlin o Van Gogh. Questo era, in qualche modo, legittimo fino ad Heidegger. Heidegger poteva ancora permettersi di discutere dell'arte in questo modo. Oggi, a mio avviso, l'estetica deve molto di più tematizzare, molto di p iù problematizzare la situazione che le nuove cose, le nuove tecniche, le nuove energie ci hanno costretto a considerare. Una vera e propria riflessione estetologica su quello che sta avvenendo oggi, i filosofi, (moltissimi), prefersicono non farla e preferiscono muoversi su un terreno molto più sicuro, molto più tranquillizzante, molto più cauto che è ancora quello dell'arte tradizionale.

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    Domanda 9
    Il senso del bello nella espressione artistica dove viene recuperato se l'espressione artistica si frammenta in momenti diversi, o non ci interessa più averlo il senso?

    Risposta
    Il carattere proprio dell'arte non è il bello. Il carattere proprio dell'arte è il significato. Tanto è vero che esiste un'estetica del brutto, tanto è vero che esiste molta arte che non è bella per niente. L'arte è, sostanzialmente, significato. Oggi, la ricerca estetica va molto di più avviandosi verso la sensorialità, verso quella che Berenson chiamava l'"intensificazione vitale" o le sensazioni immaginarie che non verso questa sensazione del bello artistico; una nozione, oggi, del tutto impraticabile. Quindi, io preferisco mantenere ferma la differenza tra pratiche artistiche, preferisco sostenere che ogni pratica veicola un certo tipo di senso, un certo tipo di significato e problematizzo i prodotti così come di volta in volta mi si offrono.

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    Domanda 10
    Cosa intende quando dice che le nuove tecnologie hanno un basso indice di utilizzabilità soggettiva?

    Risposta
    Intendo quello che ho detto prima quando dicevo che le nuove tecnologie o il complesso delle nuove tecnologie si atteggia come una asseità. Esse possiedono un basso indice di utilizzabilità soggettiva: condizionano, per così dire, molto di più l'artista. L'artista, il ricercatore estetico, deve fare molto di più i conti con questa asseità che sono le nuove tecnologie. Una volta operata questa distinzione tra tecnologia e nuova tecnologia, la differenza diviene comprensibile perché è come la differenza esistente tra il quadro, la fotografia e l'immagine sintetica. Il quadro è una tecnica, la pittura ad olio è una tecnica, l'indice di utilizzabilità soggettiva è molto alto. Se da questo tipo di immagine passiamo alla fotografia, ci troviamo di fronte alla prima immagine tecnologica dalla quale l'artista viene, rispetto al primo, notevolmente ridimensionato: l'indice di inseità di questa tecnica è più alto rispetto all'altro. L'immagine sintetica: andiamo ancora più in là. Essa si presenta ulteriormente come un a inseità, una inseità con la quale l'artista, il ricercatore estetico, deve fare molto di più i conti. La rivista di cui mi sono recentemente assunto il peso si chiama "Epiphaneia". "Epiphaneia" è una parola greca che significa "apparizione". Quello che le nuove tecnologie ci mettono di fronte sono molto di più delle "apparizioni", apparizioni autogenerantesi, autogiustificantesi, che non dei prodotti di un soggetto intenzionale. Gli artisti, oggi, a mio avviso, devono muoversi, devono capire questo. Finiscono comunque col farlo, anche se la loro ideologia è, poi, molto diversa dal ruolo che, di fatto, svolgono, perché spesso svolgono dei ruoli molto avanzati. Questi artisti hanno già, di fatto, messo da parte la nozione di stile, di espressione: lavorano su progetti, lavorano in maniera collettiva; però, quando si tocca la loro artisticità, "fanno scintille". Questo è un equivoco, che, a mio avviso, gli artisti dovrebbero chiarire con se stessi.

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    Domanda 11
    Sì, ma a questo punto però l'artista viene sostituito dal creatore di interfaccia?

    Risposta
    Il lavoro che, a mio avviso, oggi dovrebbe svolgere la ricerca estetica, intesa da parte artistica e non da parte della riflessione, dovrebbe essere, sostanzialmente, un lavoro collettivo, perché gli artisti lavorano su progetti, su concetti, che, come tali, sono condividibili. Penso che a molti artisti tecnologici, l'espressione, il sentimento e lo stile non interessino più. Quindi, gli artisti dovrebbero, a mio avviso, muoversi nella prospettiva di quello che ho chiamato il "sublime tecnologico", cioè: ricerca collettiva, progetti concettuali collettivi. Che cosa hanno di estetico rispetto ad un semplice tecnico delle interfacce? Hanno di estetico che producono sensazioni immaginarie, in un senso diverso da quello berensoniano, che è ancora un senso del tutto interiore e spirituale: producono sensazioni immaginarie reali, attraverso le quali producono intensificazioni vitali, stati sensoriali veri e propri. Questo è un lavoro che è specificamente estetico, perché è un lavoro al quale i tecnici, p er così dire, necessariamente devono collaborare, o dovrebbero collaborare, ma che richiede un tipo di competenza, di atteggiamento della personalità che non ha niente a che vedere con quello del programmatore o con quello del creatore di interfaccia.

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    Domanda 12
    La riproducibilità tecnica dell'opera d'arte, di cui parlava Benjamin nel suo saggio nel '36, sembra essere portata al massimo livello dall'avvento del digitale. Ogni opera digitale è un insieme di bit, per sua stessa natura infinitamente replicabile in maniera identica. Ci troviamo, quindi, di fronte al capitolo finale di quella che Benjamin chiama la "perdita dell'aura", la perdita della sacralità dell'opera d'arte?

    Risposta
    Su quest'ultimo punto sono infinitamente d'accordo con Benjamin. Parlare di un'aura dell'opera d'arte non ha più assolutamente senso. Non sono invece d'accordo quando crediamo di poterci, oggi, muovere ancora nell'ambito della nozione di riproducibilità tecnica, così come Benjamin la tratta e la esperisce. Questo saggio di Benjamin è servito da matrice ad una infinità di libri e di ricerche, viene citato in molte sedi di studio, ma oggi, a mio avviso, siamo molto più in là. Oggi la questione non è più quella della riproducibilità, ma quella della producibilità; è quella della producibilità elettronica in tempo reale, è quella del tempo che annulla se stesso. Invece che riprodursi, il tempo si annulla, si autoannulla, si reitera, vive in atto come tempo reale e come tempo tecnologico. Di tempi tecnologici ce ne sono almeno di tre o quattro specie. Questa nozione della riproducibilità, è un poco come la nozione di protesi di McLuhan. Sono due nozioni che sono ancora credute estremamente moderne e capaci di spi egare quello che avviene; ma sono due nozioni che, a mio avviso, sono state accantonate ed oltrepassate dai tempi. La nozione di protesi è oltrepassata da questa nozione di complessiva asseità del neotecnologico, e la nozione di riproducibilità è oltrepassata da quella di producibilità in tempo reale, di tempo che si annulla. Non più la copia originale è poi riproducibile, ma la nozione stessa di riproducibilità con l'elettronica e con le reti non ha più senso.

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