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    Alberto Contri

    Milano, 11/06/1998
    La televisione futura tra cultura e pubblicità
  • Contri inizia illustrando i progetti futuri della RAI: l'azienda si è lanciata con trasmissioni via satellite e con l'apertura di 18 siti, per andare ad affrontare anche il mercato multimediale dei CD ROM (1) (2) .
  • Il linguaggio televisivo è ormai fortemente contaminato, in senso positivo, dal linguaggio pubblicitario (3) .
  • I giovani si stanno allontanando sempre più dalla televisione perché trascorrono più tempo libero con i nuovi mezzi tecnologici della comunicazione; tuttavia, questa fascia di utenza tornerà ad interessarsi alla televisione quando si verificherà la sua fusione con il computer, e che darà luogo alle due opzioni di "teleputer" o "compuvision": l'opzione vincente tra le due dipenderà dalla destinazione d'uso dei futuri mezzi (4) .
  • Se è vero che la televisione tende a vendere l'audience ai propri inserzionisti, è vero anche la stessa audience bisogna interessarla con la qualità dei contenuti, e non con il mezzo pubblicitario (5) .
  • Per far ciò è necessario coinvolgere al dialogo professionisti con molta esperienza e giovani con nuove idee creando una sorta di laboratorio in cui vengono discussi i contenuti tenendo conto dell'audience a cui i programmi si rivolgono (6) .
  • Inoltre, è necessario tener conto che il teleutente italiano per il 74% ha una scolarità di licenza media inferiore per cercare di offrire un servizio pubblico televisivo che debba saper raggiungere questa fascia di utenza: mandare Macbeth in prima serata può senz'altro apparire provocatorio, mentre offrire un programma culturale in seconda serata con l'ausilio di una spiegazione può essere una soluzione intelligente al problema della "digeribilità" delle scelte di programmazione (7) (8) .
  • La qualità della televisione, oggi, dipende dal duopolio esistente in Italia di Mediaset e RAI. La responsabilità della televisione generalista consiste nell'offrire al pubblico la possibilità di rivisitare la storia del proprio paese, anche attraverso le inchieste giornalistiche, di conoscere il passato per poter riappropriarsi del senso della storia e della propria identità culturale (9) .
  • I giovani oggi sono attratti da un tipo di programmazione detta "di flusso", nella quale non esistono più forme di programma con struttura apparente. È molto importante, per la RAI, verificare la reazione di questi giovani rispetto alle nuove offerte di programmazione televisiva per poter elaborare qualcosa di veramente interessante per loro: ciò per evitare una sorta di dissociazione tra il mondo televisivo e la realtà (10) (11) .
  • La televisione deve contribuire a rafforzare l'identità storico-culturale del nostro paese anche per poter affrontare con consapevolezza i cambiamenti che i nuovi mezzi tecnologici apportano attraverso il contatto e il confronto con altre, diverse realtà culturali (12) ;
  • in questa direzione la televisione deve recuperare lo spazio del racconto: del talk show e del dibattito politico si è troppo abusato (13) .
  • La prospettiva di una unione europea non potrà modificare le ricchezze culturali locali; il cambiamento della comunicazione avverrà in termini positivi (e lentamente) soltanto nel rispetto delle tradizioni culturali di ogni paese (14) .
  • Il successo della televisione tematica dipenderà dalla qualità dell'offerta gratuita: un buon programma, anche se inquinato da un po' di pubblicità, vince sull'offerta a pagamento (15) .
  • Per migliorare la qualità dei programmi è necessario creare una "scuola" di autori" che sappiano intervenire attraverso un linguaggio nuovo sulla spettacolarizzazione dei contenuti televisivi (16) .




  • INTERVISTA:

    Domanda 1
    L'orientamento è di fare della Rai, nel prossimo futuro, una grande azienda multimediale. Cosa vuol dire, e quali sono gli orientamenti del Consiglio di Amministrazione?

    Risposta
    Vuol dire innanzitutto potenziare quei semi che sono già stati piantati. La Rai è un'azienda che, oltre alla televisione generalista, si è già lanciata, giustamente, con trasmissioni via satellite e con l'apertura di una certa quantità di Siti: in questo momento ne abbiamo più di diciotto. Potrebbe inoltre tranquillamente potenziare tutta una serie di attività editoriali, facendole diventare anche oggetto di business. Si possono vendere videotape, fare dei CD-Rom. Moltiplicare tutto ciò che la Rai già fa con delle sinergie e strategie sulle quali nel Servizio Pubblico non si è abituati a riflettere.

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    Domanda 2
    Allora, però, sarebbe opportuno intendere la Rai, che in linea di massima è una struttura che sa fare televisione, come una struttura che invece sappia fare anche marketing e differenziazione del prodotto…

    Risposta
    È quello che a parer mio dovrebbe essere fatto. E ci stiamo pensando, insieme alla riorganizzazione generale, che è il compito piu' importante che ci siamo dati. In molti casi si tratterà più che altro di trovare sinergie tra strutture esistenti: Rai Trade per esempio, si deve occupare del coordinamento delle offerte sul mercato; mentre strutture che sono specializzate nel fare altro -per esempio la multimedialità- possono trasferirlo sulle varie reti, e muoversi poi nello stesso modo anche nell'offerta, che può essere fatta attraverso diversi canali di vendita.

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    Domanda 3
    C'è un'evoluzione parallela fra il linguaggio televisivo e altri linguaggi contemporanei, come quello pubblicitario?

    Risposta
    Oggi stiamo notando una certa convergenza non soltanto delle tecnologie, ma proprio del linguaggio, e tutto ciò, a parer mio, è davvero molto interessante. Parlavo in questi giorni con dei giornalisti -alcuni dei quali faranno tra l'altro dei programmi anche per la Rai- i quali sono particolarmente interessati, direi intrigati, nello sfruttare al meglio il linguaggio pubblicitario. Lo specifico registico della pubblicità, specifico che attiene alla sintesi, alla rapidità del montaggio, alla capacità di sposare insieme suoni e immagini in modo molto veloce, molto rapido, ma anche molto accattivante, interessa, in tal senso, anche la comunicazione di carattere puramente informativo. Direi quindi che ci troviamo di fronte ad una contaminazione, di carattere positivo, o perlomeno non di carattere negativo, dello specifico registico pubblicitario con il contenuto televisivo tout court.

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    Domanda 4
    È possibile in Italia che si affermi la pubblicità su Internet? E se sì, c'è il timore che una parte della pubblicità sparisca dalla televisione e dalla carta stampata per migrare sul web?

    Risposta
    Io credo che sarà comunque un fatto inevitabile: l'acqua, quando è in discesa, scorre in un certo senso, la si può fermare finché si vuole ma continuerà a scorrere. L'evoluzione della comunicazione interattiva è molto forte, le classi giovanili -intendendo per queste chi oggi ha tredici, quattordici...diciott'anni- si stanno allontanando sempre più dalla televisione in quanto tale, per trascorrere molto più tempo su questi nuovi mezzi. Via via che queste classi diventeranno protagoniste dei consumi sottrarranno inevitabilmente spazio ad una televisione generalista come oggi la vediamo. Naturalmente sono percorsi che richiedono molto tempo; purtroppo noi siamo un po' schiavi del mito alimentato dai titoli giornalistici del tipo "domani sarà così", intendendo per domani davvero domanimattina. Il domani da intendere in questo senso è invece un domani che vuol dire quattro, sei, sette, o magari dieci anni, per alcune tecnologie. Oggi noi siamo in una fase di transizione, abbiamo un pubblico adulto e anche anziano che segue molto la televisione, e abbiamo molti giovani che invece la stanno abbandonando. Probabilmente questi torneranno quando si verificherà quella famosa fusione tra la televisione e il computer. A questo punto si apre l'ormai annoso dibattito se ad avere la meglio sarà il "teleputer" (la televisione che diventa computer) o il "compuvision" (il computer che diventa televisione). Ci sono a riguardo due ampie correnti di pensiero. Mentre io ne ho una personale: sostengo che a fare la differenza, o meglio a determinare l'opzione vincente sarà la destinazione d'uso, ovvero l'ambiente (in senso lato e non lato) dove viene consumato il momento ludico o di lavoro. Sostengo cioè che nella stanza dove oggi c'è la televisione, che diventerà magari computer, l'utilizzo sarà orientato ad una interattività legata comunque all'aspetto ludico, di passatempo; mentre nel luogo dove oggi c'è il computer, che può essere uno studio, ma anche un angolo della medesima sala, lì si potrà ricevere comunque la televisione, si potrà ricevere la CNN o Bloomberg TV per vederle in un angolo del monitor... si potrà ricevere tutto quello che si vuole, sfruttando i famosi servizi interattivi di cui tanto si parla. Non riesco infatti ad immaginare (almeno per molti anni) qualcuno che dialoghi con la propria banca dal televisore di casa, posizionato nell'angolo legato all'intrattenimento, presenti magari altre persone. Non dimentichiamo, inoltre, che al di la'dell'entusiasmo di tanti ingegneri per le sempre nuove e migliori possibilita' offerte dallo sviluppo tecnologico, il televisore di casa non potra' rendere tanto facilmente spettacolare la forma essenzialmente testuale di Internet. Per avere clamorosi sviluppi in questo senso ci vorranno molti anni. Mentre penso alla grande opportunita' che ci sono da cogliere ancora nel campo dell'home theatre e di una sua diffusione a livello di massa. E che andra'di pari passo con la diffusione dell'offerta digitale sia free che pay.

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    Domanda 5
    Da professionista con grandi esperienze nel campo pubblicitario, da persona che ha, come dire, due anime, ritiene che la televisione -soprattutto quella intesa come servizio pubblico- possa svincolarsi da quella logica secondo la quale il condizionamento che esercita la pubblicità sul prodotto televisivo è tale da far pensare che la televisione non si faccia più per l'utente ma per gli utenti pubblicitari?

    Risposta
    L'uscita da questa situazione c'è, ma quando si fanno certi ragionamenti bisogna anche uscire dagli schemi. La televisione commerciale di per sé funziona secondo questo meccanismo: vende l'audience ai propri inserzionisti, dice loro: "io faccio un programma che cerca di catturare sei milioni di ascoltatori e quindi te lo vendo a tot". Un'impresa che ha come obiettivo principale il servizio pubblico deve fare un percorso leggermente ma significativamente diverso, deve dire: "io faccio dei programmi di grande interesse e di grande utilita" per sei milioni di ascoltatori e di conseguenza, visto che ho sei milioni di ascoltatori perché ho fatto un programma di grande interesse e di grande utilita', lo vendo anche agli inserzionisti". Quindi bisogna stare molto attenti a quale sia il primum movens. La cosa difficile è sposare l'audience, l'interesse, con la qualità dei contenuti: questa è forse la sfida principale di fronte alla quale ci troviamo oggi.

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    Domanda 6
    Chi da il via a un meccanismo del genere, il Consiglio di Amministrazione, i produttori di programmi, il pubblico stesso...chi fa il primo passo?

    Risposta
    Deve essere innescato un circolo virtuoso. Io, con la mia esperienza professionale, da quando sono arrivato alla Rai suggerisco di usare sempre piu' sovente la tecnica del brainstorming: so per esperienza che mettere intorno ad un tavolo le persone più disparate e farle parlare a ruota libera per far scaturire delle idee, con un tema di fondo stabilito, è un sistema che puo' dare grandi risultati. Naturalmente sapendolo gestire con mano di ferro in guanto di velluto, come si usa dire. Penso sia fondamentale creare questa sorta di laboratorio dove poter coinvolgere vecchi professionisti con molta esperienza e giovani con nuove idee. Fare ciò vuol dire cominciare a riflettere finalmente sui contenuti. Nei primi tre mesi ho sofferto un po' a dovermi occupare solo di riorganizzazione in senso stretto e non parlare mai di contenuto, quando invece ritengo che il contenuto sia ciò che fondamentalmente debba venir fuori dalla televisione. Probabilmente anche a causa della storia politica che la televisione ha alle spalle, sembra quasi che ciò che passa dallo schermo sia in larga parte l'effetto collaterale di qualcos'altro che si decide e che si pensa altrove. Bisogna invece tornare a pensare veramente al contenuto. In questo senso credo che sia estremamente importante avviare questa rivoluzione solo apparentemente copernicana: di ripensare il modo di fare televisione, di come parlarne, di come trattarla, considerando molto piu' a fondo anche l'audience che abbiamo di fronte. L'audience, tra l'altro – e puo' sembrare paradossale o curioso - è proprio uno di quegli aspetti spesso affrontati in forma paradossalmente superficiale: il mio sarà forse un modo di pensare da tecnico della comunicazione, però ritengo che il correlare sempre il tuo messaggio o il tuo programma il piu' esattamente possibile ai cluster di popolazione che hai davanti sia molto importante. Non si può fare un programma di largo ascolto pensando ad un pubblico di nicchia e viceversa, come invece abbastanza spesso si fa: bisogna avere sempre ben presente chi si ha di fronte. Purtroppo molto spesso la televisione generalista ha di fronte un pubblico che ha in larga parte al massimo la licenza media inferiore, e questo crea il problema difficilissimo di come dialogarvi facendo servizio pubblico in forma necessariamente avvincente, intrigante, spettacolare.

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    Domanda 7
    A chi si rivolge la televisione?

    Risposta
    Forse oggi, quando si parla di televisione, quello su cui si riflette poco -ed è paradossale, vista la quantità dei professionisti che ci lavorano- è proprio il significato di questa televisione: oltre all'audience, all'aspetto numerico, diventa sempre di piu' ineliminabile la riflessione sull'aspetto psicografico dei teleutenti e sulla qualita'dei contenuti e delle forme dei programmi. Quando si parla di televisione generalista non dobbiamo dimenticare che ci rivolgiamo ad un pubblico proveniente da una popolazione che per il 74% (in Italia) non va oltre, in quanto a scolarita', alla licenza media inferiore. Ritengo sia un errore proporre a questo pubblico una programmazione dai contenuti eccessivamente complessi: ma allo stesso modo penso sia scorretto offrirgli solo contenuti leggeri - o peggio cretini – con la scusa della bassa scolarita'. Per parlare a un pubblico non alfabetizzato, non acculturato come questo, ritengo occorra concentrarsi sul problema della "divulgazione". Anche se mi rendo naturalmente conto che in questo campo possiamo andare incontro ai rischi che sono sempre legati ai tentativi di semplificazione della cultura, ciò nondimeno ritengo che spetti proprio al servizio pubblico assumersi la responsabilità di questo difficile compito, che richiede senz'altro da un lato una grande sapienza e dall'altro una grandissima umiltà.

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    Domanda 8
    Sembra che ci sia un gap fra il momento attuale -in cui la media degli spettatori non è di alto livello culturale- e il momento in cui i satelliti digitali, se mai lo faranno veramente, cominceranno davvero ad essere accessibili e funzionali per tutti. Questo momento di transizione come può essere riempito? Qual è il ponte tra la situazione attuale e quella futura?

    Risposta
    Io la vedo abbastanza semplicemente. È vero, purtroppo c'è un gap, un salto che non si può colmare automaticamente. Bisogna secondo me trovare lo spazio, negli orari di programmazione di cui il servizio pubblico dispone, sia per una televisione più semplice, più digeribile, più commestibile anche se non per questo meno colta, e uno spazio per una televisione che possa invece offrire, ad esempio, le opere d'arte nel loro complesso, nella loro integrità, in un orario magari tardo, certo non la notte, ma magari le 23,00 o le 23,30. Si dovrebbe arrivare ad organizzare una programmazione per un largo pubblico, ed una programmazione per un pubblico che voglia assaporare, come dicevo, l'opera d'arte senza bisogno di mediazioni. In questo contesto il Macbeth alle 20,00 non è altro che una provocazione, mentre messo alle 23,00, magari con un po' di spiegazioni intelligenti prima, potrebbe essere comunque interessante, perché potrebbe conquistare due pubblici diversi. Che comunque potrebbero agilmente mettere in funzione il videoregistratore. Certamente gli spazi sono quelli che sono e quindi bisognerà, via via che il satellite decolla, far migrare sul satellite tutto ciò che ha a che fare con gli interessi di nicchie sempre più piccole di popolazione: questo è comunque un processo che si sta definendo un po' dappertutto, direi si tratti di un processo inevitabile, ma che richiedera' comunque ancora del tempo.

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    Domanda 9
    Sempre parlando da pubblicitario prestato alla televisione: quanto può rischiare la Rai di perdere punti di audience, visto che poi la perdita crea una sorta preoccupazione, di considerazione negativa, anche nei confronti dei direttori le cui Reti hanno perduto punti? Qual è la soglia di rischio?

    Risposta
    Il rischio c'è, ovviamente, ma potrebbe anche essere un rischio evitabile. Alla nuova RAITRE abbiamo affidato obiettivi di share (10 %) non certo irraggiungibili. Vedo invece una soglia di carattere soprattutto culturale. Ciò che intendo dire è che oggettivamente oggi la qualità della televisione dipende dal duopolio esistente in Italia: i telespettatori o guardano Mediaset o guardano la Rai. In buona sostanza, per chi fa programmi è come se dovesse andare a dare un esame all'Università studiando per il voto minimo, sicuro comunque di prendere quasi sempre i voti piu' alti. Io mi rendo conto che facendo dei programmi per i quali si viene premiati senza troppo sforzo da un largo ascolto, l'impegno per realizzarli si riduce; ma questo è anche un problema di responsabilità professionale e culturale. La cartina di tornasole di questo ragionamento è che bastano due gradi di temperatura in più e improvvisamente assistiamo alla fuga dalla televisione, e ciò vuol dire che la qualità del contenuto non è molto elevata. Come Presidente dell'Associazione delle Agenzie di Pubblicità italiane ho commissionato poco tempo fa una ricerca assai interessante, dalla quale è emerso che gli italiani oscillano tra la paura del futuro e la mancanza del senso della storia. In fondo (mi si perdoni l'analogia un po' forte) è come se ci trovassimo di fronte a dei bambini che non sanno chi sono, da dove vengono, e hanno una grande paura del buio. A questi bambini, per interessarli e farli crescere bisogna saper raccontare delle cose. Grande responsabilità di un servizio pubblico è quindi quella di raccontare la musica, la storia e la letteratura ma anche l'economia e la politica, spiegare da dove veniamo, quale sia stata la nascita del nostro Paese, magari attraverso una fiction ben fatta. O con il ritorno a quelle inchieste giornalistiche che non si fanno più perché forse manca la voglia, o forse ci si è addormentati in una concorrenza che ha dato per scontato che il grande pubblico lo si conquisti primariamente con dei giochini beoti.

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    Domanda 10
    La fascia giovanile, diciamo fino ai 25 anni, da un punto di vista pubblicitario -quindi dei consumi- una volta contava un po' meno di adesso. Se una volta era quindi giustificato, da un punto di vista pubblicitario, che la televisione si rivolgesse alle classi più adulte ormai questo ragionamento è meno valido: e allora perché si continua a fare una televisione che i ragazzi non trovano quasi mai interessante e stimolante, se non per eventi come il grande concerto, o il grande spettacolo sportivo, ma quasi mai sul quotidiano?

    Risposta
    Per la verita' la fascia piu' interessante per i consumi è quella che va dai 25 ai 54 anni (e comunque anche l'offerta per questa fascia va ritarata). Va comunque osservato che i cluster di popolazione più giovane effettivamente si concentrano oggi su un tipo di offerta diversa. La barriera della lingua, soprattutto per i più giovani, è ormai caduta, e preferiscono guardare le televisioni straniere che fanno soprattutto musica; queste televisioni stanno tra l'altro sperimentando un tipo di programmazione assai complessa, detta "di flusso", nella quale non ci sono più delle forme di programma con una struttura apparente. Questo è un grosso problema di fronte al quale ci troviamo anche per quanto riguarda la radio: la programmazione di flusso è difficile da realizzare e rischia, molto spesso, di diventare un chiacchiericcio indistinto, dove il rumore di fondo rischia di prendere invece il sopravvento. Credo che, in tal senso, si debbano cercare anche delle forme nuove, che non abbiamo francamente ancora trovato. La situazione ci sta obbligando, come dire, un po' italianamente, a correre ai ripari prima che la crisi non ci scoppi di colpo davanti agli occhi. Io preferirei, anche con questi brain-storming interni, cercare di fecondare un po' i cervelli, cercare soprattutto di trovare il modo di riflettere più approfonditamente sul modo di affrontare il nuovo. Ad esempio il modo in cui i giovani reagiscono alle nuove offerte può essere uno stimolo molto importante; certo va preso sul serio, invece temo che per inerzia o per paura di sperimentare, si aspetti un po' troppo, mentre è già arrivato il momento di farlo.

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    Domanda 11
    Non sarà che i giovani sono poco attratti dalla televisione perché in TV c'è un'idea di cultura che non è quella "giovanile"? In altre parole: la cultura da venti anni a questa parte è molto cambiata, cultura oggi è tutto: è anche musica, sport, moda, videogiochi. L'idea della cultura che c'è attualmente in Rai non è ancora quella delle generazioni precedenti? Non c'è un gap quasi incolmabile tra questi due significati di cultura? Non è forse vero che molti ragazzi non sono interessati -soprattutto al "passato"- perché tutto viene loro raccontato, comunicativamente, in una maniera troppo diversa rispetto al loro modo di raccontare? E, allo stesso modo, non è forse vero che molte delle persone di mezza età o anziane non sono interessate al mondo giovanile per lo stesso motivo?

    Risposta
    Penso che sia effettivamente così e su questo, ritengo, si debba approfondire la riflessione . Ho organizzato spesso seminari con dei ragazzi che avevano come oggetto l'analisi di alcuni spot. Dai ragazzi gli spot migliori vengono considerati oggetti di culto, vengono analizzati in ogni loro aspetto, e i più belli sono in fondo quelli che coinvolgono la musica di tendenza, il montaggio di tendenza, la regia di tendenza, sono la parte più avanzata della comunicazione. È perlomeno curioso vedere che questi ragazzi rendono vera quella vecchia battuta circolante tra gli addetti ai lavori che diceva: "i programmi sono quella cosa noiosa che sta in mezzo alla pubblicità". Credo che sia davvero necessario avviare un grande ripensamento, e credo anche che il grosso errore fatto anche di recente sia stato quello di considerare cultura "giovanile" (e gia' l'aggettivo è orrido) quella interpretata da adulti che hanno un' idea tutta propria di cultura giovanile: per cui, ad esempio, delle volte ci troviamo di fronte a qualche disk-jockey, magari un po' scoppiato, che pensa di interpretare i pensieri dei giovani, i quali invece stanno serenamente pensando già a tutt'altro. L'essere sintonizzati con ciò che pensano veramente i ragazzi di oggi dovrebbe essere una cosa a cui prestare grande attenzione, e proprio per questo motivo io ho auspicato, e richiesto a gran voce, di potenziare un ufficio marketing che sia un sensore molto particolare e molto attento nei confronti della popolazione nel suo insieme, e non solo dei ragazzi. Questo per evitare una programmazione che rischia altrimenti di essere totalmente dissociata e distaccata da quello che sente veramente la popolazione.

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    Domanda 12
    Gli italiani fondamentalmente non hanno solo paura del futuro, hanno in realtà anche un grande interesse solo per se stessi, non guardano molto fuori dai confini: cosa può cambiare col fatto che non ci siano più dieci canali, ma cento e in tante lingue diverse, che ci portano una realtà diversa? Culturalmente e, nel caso, sociologicamente, come può cambiare la percezione italiana del resto del mondo con l'avvento del digitale?

    Risposta
    Questo è un discorso molto ampio e molto complesso. Io non so neanche se gli italiani riescano a percepire veramente il fatto di far parte di una Nazione. Forse, come scriveva già Carducci, il popolo italiano ha difficoltà a sentirsi popolo...tranne che durante i mondiali di calcio. Certamente oggi ci troviamo di fronte ad un'evoluzione di cui facciamo fatica a renderci conto. Non ci accorgiamo, per esempio, della lenta invasione da parte dei popoli del sud del mondo, che cominciano col fare i mestieri più umili e gradualmente diventano parte della nostra famiglia. Ognuno di noi ha ormai, intorno a sé, persone di tutti i colori e di tutte le razze. Siamo, ad onor del vero, almeno sotto un certo aspetto, forse una delle nazioni più accoglienti. Il risultato è che nel nostro Paese, senza che ce ne accorgiamo, qualcosa sta veramente cambiando. Sicuramente l'impatto di una comunicazione che ci porta immagini e suoni dal resto del mondo può avere degli influssi. Francamente non so dire che cosa succederà, certamente se uno non ha una coscienza molto forte della propria identità è molto facile che questa possa venir spazzata via assai rapidamente; e questa ritengo sia una cosa assai pericolosa. È per questo che sostengo l'importanza, da parte del servizio pubblico, di assumersi la responsabilità di raccontare e far scoprire le ragioni delle proprie origini, per far nascere poi la curiosità delle origini di altri popoli. Se non si dà chiarezza e coscienza di questa identità si rischia, a mio parere, di prendere non le virtù, ma i difetti di tutti. E questo per me vuol dire, lo ribadisco, che la responsabilità del servizio pubblico in questo senso è ancora enorme.

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    Domanda 13
    La televisione globale, planetaria, premia alcuni settori e i suoi protagonisti, che sono poi essenzialmente lo sport, il cinema e la fiction, e in parte la musica. Ci sono altri settori potenzialmente emergenti? Altri protagonisti planetari?

    Risposta
    Concordo con questa analisi e tra l'altro aggiungo che la nostra televisione non è tra le più brutte del mondo, anzi probabilmente tecnicamente è anche tra le migliori. Essendo poi lo specchio della società, nel bene e nel male, il più delle volte ne rispecchia i gusti, i vizi e le virtu'. Da noi si fa ancora molta attenzione al talk show e al dibattito politico, ma non credo che questo sia uno spazio che possa ancora crescere, anzi. Proprio perché se ne è abusato troppo. Credo invece molto alla possibilità di aumentare la "capacità" di raccontare. Se la televisione recupererà lo spazio del racconto -qualsiasi esso sia, sia nel senso culturale stretto che in quello della grande inchiesta- lì ci saranno spazi di nuovo enormi. La gente è curiosa di sapere, lo dimostrano il successo di programmi –anche, ad esempio, sulla natura- che comunque raccontano mondi lontani da noi. Credo che questo debba essere preso in considerazione per traghettare la televisione italiana del presente, che è un pochettino addormentata su se stessa, a qualcosa di più brillante per il futuro.

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    Domanda 14
    L'unità europea può cambiare qualcosa in questo senso? L'idea che diventiamo gli Stati Uniti d'Europa – anche se magari il processo richiederà trent'anni- può cambiare qualcosa nel meccanismo della comunicazione?

    Risposta
    Questa è una bella scommessa. Quando si parla di unità europea, io cerco di spostare il discorso sulle differenze gastronomiche, perché ritengo che la cultura alimentare sia una forma d'identità strepitosa che non credo cambierà, se viene colta come una ricchezza. Credo tra l'altro che per la Comunità Europea sarà davvero interessante poter offrire anche soltanto ai turisti una varietà di cibi così interessanti e diversi, mentre non sarà così se il piatto diventerà unico e tutto uguale. La metafora vale ancora di piu' per l'offerta culturale. Francamente è molto difficile da stabilire: credo che la barriera della lingua e delle lingue, soprattutto per noi, sarà ancora un elemento di difesa, per un certo tempo, e anche una barriera invalicabile all'inverso. Io consiglio ai giovani di imparare rapidamente una o due lingue per non essere confinati in un ghetto ineluttabile quale quello della lingua italiana.

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    Domanda 15
    Si parla molto dell'idea che le televisioni tematiche siano il futuro e che la televisione generalista sia invece il passato. È davvero così o in realtà si creerà solo un ampliamento del mercato, e la televisione generalista rimarrà?

    Risposta
    Io credo che sarà un mix di tutto, non sono per le soluzioni drastiche. Credo che la televisione generalista invecchierà per molti anni con i propri teleutenti, e ci saranno nuovi utenti che vorranno nuove cose. Ricordo che quattro anni fa vennero in Italia ad un convegno del Centro San Salvador di Telecom due sociologi. Uno era Gilbert, che ha scritto un libro famoso sulla televisione, e l'altro era Kubey. Il primo diceva: la televisione sarà tutta digitale, sarà tutto interattivo, diventeremo un grande pollice su un divano che schiaccerà i telecomandi per vedere i film, ordinare la pizza e controllare il conto in banca. L'altro diceva: la televisione continuerà ad essere puro intrattenimento, e quando uno tornerà a casa dopo aver lavorato ore ed ore, magari con un computer davanti, non vorrà più vedere un mouse ma semplicemente godersi, in senso assolutamente passivo, l'intrattenimento che gli verrà offerto. Forse si erano dimenticati di pensare all'aspetto generazionale: i nostri figli, che oggi hanno diciassette o diciotto anni, sono nati con un mouse in mano e non fanno più quella fatica che facciamo noi di quaranta, cinquanta o sessant'anni, a tradurre il pensiero – anche solo per usare il word processing - in un movimento della mano. Per le nuove generazioni, che sono nate con un videogioco in mano, il mouse è il sesto dito. Loro non hanno più questo problema. È necessario quindi fare un semplice conto: quando questi giovani diventeranno protagonisti dei consumi, anche televisivi, diciamo più o meno tra dieci anni, non avrà più nemmeno senso il problema di porsi questa domanda. La generazione che oggi ha quindici o sedici anni è nata con un mouse in mano, sa tutto di informatica anche senza aver fatto alcun corso, ed è la generazione che si troverà ad interagire con tutte le nuove diavolerie televisive (e non) senza alcun problema. Per un certo periodo conviveranno sicuramente insieme entrambi i tipi di televisione. Ma bisogna anche considerare -questa è la scommessa più difficile- che la televisione tematica, la televisione a pagamento, avranno sempre più successo nella misura in cui ci sarà minor offerta gratuita. È chiaro che se si dovesse trovare ciò che interessa, anche se con un po' di pubblicità, su un canale gratuito, lo si preferirebbe a quello a pagamento.

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    Domanda 16
    È più ragionevole acculturare lo spettacolo o spettacolarizzare la cultura?

    Risposta
    Forse potrebbero essere due lati della stessa questione. Spettacolarizzare la cultura vuol dire semplicemente renderla più appetibile, più semplice, più gradita a persone che non ci si avvicinerebbero diversamente. Faccio un esempio: a molte persone forse Mozart non interessa affatto, però io sono convinto che se si iniziasse a legger loro le lettere di Mozart, licenziose e curiose come sono quelle lettere, che ci portano in un mondo sconosciuto, credo che molte di quelle persone comincerebbero ad interessarsi a Mozart e forse si avvicinerebbe anche al suo mondo musicale. Un film come "Amadeus" è un classico esempio. Questo naturalmente richiede una fatica immensa: penso che raccontare, far percepire il senso di un'epoca storica, può voler dire ad esempio prendere un libro che c'è oggi in circolazione su Caterina de' Medici e usarlo come una sceneggiatura fantastica per raccontare attraverso gli intrighi dell'epoca la musica, l'arte e il pensiero del tempo. Solo affrontando questo tipo di fatica ritengo sia possibile spettacolarizzare la cultura. Per altro verso, rendere più cultura lo spettacolo, anche questo è un grosso obiettivo. Purtroppo oggi la televisione cotta e mangiata ci porta a considerare la battutaccia da caserma stile Covatta inventata in pochi istanti, come qualcosa che vada comunque pagata. Io credo sia invece qualcosa che andrebbe condannato, quindi sostengo l'importanza della riscoperta del lavoro degli autori. La prima cosa che ho chiesto, quando sono arrivato in Rai, è stata se c'era una scuola per autori o per talenti, e mi è stato risposto che non c'era. Ho pensato che fosse stranissimo, dal momento che, visti i fondi che si possono probabilmente reperire -anche lavorando insieme all'Ente Cinema o attraverso altre istituzioni- si potrebbe tranquillamente creare una scuola per tirare sù dei talenti. Mi sembra folle che l'unica sperimentazione sia fatta dal concorrente privato; so che anche la Rai sta cercando di fare qualcosa e ritengo che questo tipo di iniziative vada assolutamente potenziato. Occorre creare un laboratorio per nuovi linguaggi e per nuovi talenti dove poter tra l'altro sperimentare e mettere insieme giovanissimi e anziani di grande esperienza. Organizzare un laboratorio tipo bottega medievale: dove si re-impari a raccontare, dove si inventino nuovi linguaggi facendo tesoro di una cultura professionale accumulata nel tempo. Il tutto in forma trasversale e interdisciplinare, cosa peraltro richiesta dall'evoluzione dei nuovi media. Tutto molto piu' interessante che stare dietro alle beghe politiche, no? E senza dimenticare che l'innovazione del linguaggio passa inevitabilmente, per un'impresa come la RAI, anche attraverso ad una profonda innovazione dell'organizzazione dell'amministrazione e della produzione. Perché è sempre piu' vero che "tutto si tiene", è collegato, e non è pensabile innovare i contenuti senza innovare profondamente le forme ed il contesto della cultura aziendale.

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