Torna alle interviste

    Fausto Colombo

    Summit della Telecom sulla società della telecomunicazione, Napoli, 05-07-1996
    Le molteplici dimensioni del mondo delle reti
  • L'analisi delle reti si può articolare in diversi punti che non intendono separare aspetti isolati di questo mondo ma distinguerli logicamente (1) .
  • Parlare di Internet significa porsi questioni di tipo etico quali quello del controllo sociale, un problema antico quanto le società di massa (2) .
  • Il problema di un'etica planetaria si riconduce a quello di un interesse collettivo regolato dal rispetto per ogni gruppo (3) .
  • Lo sviluppo delle tecnologie implica il ripensamento delle modalità di pensiero e di conoscenza. Interessante è il fatto che i diversi percorsi di ricerca in rete sono stati già percorsi, in linea teorica, da chi ha reso disponibile quel materiale conoscitivo (4) .
  • La dimensione estetica della comunicazione consiste nell'affermazione dell'identità espressiva di chi utilizza i nuovi mezzi, nell'affermazione dell'esistenza di chi comunica (5) .
  • La dimensione estetica si perde, però, se il soggetto che vuole conoscere si pone di fronte all'atto di fruizione con scarsa attenzione e disponibilità (6) .
  • La dimensione sociale evidenzia un capovolgimento del processo di individuazione di una identità sociale. Inoltre le opportunità offerte dal telelavoro rappresentano una nuova variabile da considerare nella definizione dei rapporti sociali (7) .
  • C'è poi la dimensione economica delle reti che non può essere regolata dalle leggi del mercato ma, piuttosto, dagli interventi dei governi (8) .
  • La rivoluzione telematica comporta il rischio di una discriminazione dovuta ai costi dei nuovi strumenti informatici e alle nozioni necessarie per utilizzarli nel giusto modo. Ancora una volta, per ovviare a questo pericolo, sarebbe auspicabile un intervento del governo (9) .
  • L'uso sempre più diffuso di strumenti informatici rappresenta una minaccia per il mondo del lavoro anche se Colombo non condivide la previsione di Rifkin della fine del lavoro. Sarà certamente necessario rivedere i modelli di sviluppo e eventualmente rallentarli affinché nessuno resti indietro (10) .
  • Rispetto alla diffusione delle nuove tecnologie ciascun paese dovrebbe attuare delle politiche consone alle condizioni e alle aspettative già esistenti per valutare la reale convenienza di certi investimenti (11) .
  • L'andamento dello sviluppo tecnologico dovrà essere regolato da precise scelte politiche; altrimenti sarà lo stesso sviluppo a governare la politica (12) .
  • Colombo spiega cosa significa definire la rete come "net", come "ground", come "rizoma" e, infine, come "intelligenza collettiva" (13) .
  • Il motivo principale del ritardo europeo rispetto allo sviluppo tecnologico degli Stati Uniti è la mancanza di una politica transnazionale forte (14) .
  • Il rischio che attraverso questo enorme sviluppo gli Stati Uniti possano esercitare un dominio culturale è molto grande e solo un'intelligente politica planetaria può evitare tale esito (15) .
  • Le nuove tecnologie offrono la possibilità di una evoluzione dei modelli comunicativi, anche se ancora questo fenomeno è limitato ad un ambito istituzionale (16) .




  • INTERVISTA:

    Domanda 1
    Il fenomeno della rete coinvolge diverse dimensioni culturali: quella epistemologica, quella etica, la dimensione politica, la dimensione estetica, e quella strettamente tecnologica.

    Risposta
    Il punto di partenza di ogni discorso sulla rete è quello di considerarla un fenomeno quantomeno bifronte, nel senso che la rete è i suoi aspetti tecnologici, i quali, a loro volta, sono in gioco in uno scambio che comprende la politica, l'economia e lo sviluppo tecnologico in senso stretto. Sull'altro versante, ha a che vedere con i problemi che riguardano la vita quotidiana, con i soggetti che sono implicati nelle grandi decisioni strategiche. Quindi, da un lato, non c'è dubbio che le due dimensioni siano comuni, poiché fanno parte dello stesso fenomeno; dall'altro verso, però, possono essere logicamente distinte. I costruttivisti degli anni Ottanta hanno detto, a proposito delle tecnologie, che esse sono un tessuto senza cuciture; in altre parole, non si possono separare nelle tecnologie gli aspetti della complessità. Però, a mio avviso, si possono distinguere. L 'idea, quindi, di articolare l'analisi delle reti su diversi aspetti, con diversi punti di vista, attraverso sguardi diversi, deriva da questa convinzione: non separare, ma distinguere logicamente.

    Back

    Domanda 2
    Uno di questi aspetti è la dimensione etica.

    Risposta
    Tutte le grandi trasformazioni culturali implicano nuove calibrature della dimensione etica, delle regole che motivano le scelte dei nostri comportamenti. Questo significa, da un lato, che ci si pongono nuovi problemi, e dall'altro che abbiamo uno sguardo nuovo sui problemi tradizionali. Rispetto al controllo sociale, per esempio, ci si pone il problema se sia lecito o no controllare la nostra utenza. La forza con cui le reti pongono questo problema è del tutto nuova; si tratta, tuttavia, di un problema antico che viene ricalibrato, perché la dimensione del controllo sociale, soprattutto nelle grandi società di massa, è un tema fortissimo. Era presente nelle grandi esposizioni universali, era presente nelle manifestazioni di massa della Rivoluzione Francese. La differenza sta nel fatto che, per quanto riguarda le reti, si tratta di un controllo individualizzato, di un controllo, quasi, potenzialmente poliziesco, nel senso negativo del termine. In questa direzione la dimensione etica, quella delle scelte, diventa fondamentale. Fino a che punto è lecito esercitare una attività di conoscenza, anche individuale, su un altro soggetto? Fino a che punto si può entrare nella sua "privacy", fino a che punto si può "squadernare" la propria "privacy" davanti agli altri? Ecco: le reti pongono in un modo molto forte questo problema.

    Back

    Domanda 3
    Remo Bodei riflette sulla possibilità di un'etica planetaria. Quali sono, a Suo avviso, i tratti che caratterizzano un'etica planetaria?

    Risposta
    Il discorso di Bodei è un po' più complesso dell'individuazione di una sola etica. Dice innanzi tutto che nella comunicazione esiste una dimensione plurietica. Non si può dimenticare che, nell'era della globalizzazione, ci sono tante etiche differenti che si incontrano. Basti pensare all'incontro delle grandi religioni e degli integralismi, che fanno parte, come fenomeno non esclusivo, di alcune grandi religioni. Per gli integralismi esistono delle etiche molto rigide, che si devono scontrare necessariamente con le etiche alternative. Quindi, esiste una pluralità di etiche, ed è difficile pensare di rimuovere tale pluralità. Insieme, però, si può pensare di trovare una dimensione etica generale, nel senso che si può ritornare a pensare ad un interesse collettivo, più che generale; ad un interesse che appartiene a tutti quanti i soggetti, a tutte quante le comunità, e che possiede, come contenuto, proprio le diverse etiche locali. Anche in questo caso credo che si possa semplificare dicendo: se tutti quanti abbiamo comportamenti diversi, abbiamo regole differenti - esistono, in sintesi, molte etiche -, allora ci dev'essere un'etica capace di consentire a tutte le etiche locali di sopravvivere, capace di garantire il rispetto delle etiche altrui.

    Back

    Domanda 4
    Un'altra dimensione è quella epistemologica.

    Risposta
    Non c'è dubbio che la centralità dell'informatica e dei linguaggi informatici, comporti una nuova dimensione epistemologica, perché il modo di pensare si modifica. Gli studi sull'intelligenza artificiale ci hanno portato, bene o male, a ricalibrare quello che noi pensiamo della nostra intelligenza. Esiste, probabilmente, la necessità di pensare un rapporto fra il sapere e le sue regole che inglobi le tecnologie. Intendo dire che le tecnologie ci offrono la possibilità di pensare il pensiero in un modo diverso. Un esempio è offerto dalle tecnologie della memoria, che implicano un'idea di sapere e di codificazione del sapere, di ricordo, completamente nuova, anche se attinge a forme tradizionali. Le stanze della memoria consistono nell'idea stessa di cos'è un metodo di ricerca. Il metodo deduttivo e il metodo induttivo sono stati, per lungo tempo, i due cardini del pensiero classico; o l'idea di abduzione, che è emersa con Pierce, sul finire dell'Ottocento: l'idea di un percorso umano che si muove sempre bilanciando, rischiando, muovendo delle ipotesi, che, forse, possono integrarsi con un'idea di ricerca come percorso insieme, guidato da altre esperienze. E, ancora, l'idea che, ormai, ogni percorso di ricerca sia anche il percorso attraverso la ricerca altrui; ciò implica anche una nuova idea di autorità. Noi, in qualche modo, abbiamo rimesso insieme l'idea di autorità nella ricerca, perché quando facciamo un percorso di ricerca in rete, qualcun'altro l'ha già fatto prima di noi per rendercelo possibile. E' stato, almeno potenzialmente, reso possibile. Non si tratta più di un'esperienza immediata, ma di un'esperienza sempre mediata dalla conoscenza altrui che noi inglobiamo nella nostra idea di conoscenza. Possiamo conoscere ciò che, in qualche modo, è già stato predisposto per la conoscenza da un'operazione conoscitiva. Questo mi sembra un dato interessante.

    Back

    Domanda 5
    E la dimensione estetica?

    Risposta
    La dimensione estetica è una dimensione curiosa, perché, in effetti, tutte le tecnologie nel loro aspetto artistico ci rimandano alla versione di azione. Così come le avanguardie avevano messo in luce che ogni atto artistico può essere considerato solo in quanto atto, non per il suo prodotto. Duchamps mette un oggetto pronto in mostra e dice: la caratteristica artistica di questo oggetto non consiste nel fatto che esso esiste, quanto in quello di mostrarlo come un oggetto d'arte! Per quanto riguarda l'attività in rete, il processo è lo stesso: quello che conta, nell' estetica della comunicazione, è di essere presenti, di affermare la propria esistenza e di collocarsi in una dimensione che non è quella utilitaristica. Io sono qui perché comunico e comunico come atto estetico, come atto di affermazione della mia identità espressiva. Io sono qui perché quello che dico ha un senso, non per il suo contenuto, ma per la forma che io adotto. Pensiamo, per esempio, a quei curiosi modi, a quella vera arte grafica che consente di creare questi grafemi nella rete. Pensiamo a quelle piccole icone, che si chiamano "smiles" o "emotikons", che nelle reti segnalano lo stato d'animo. C'è un modo di segnalare questi oggetti: battere una 'o', i due punti, una parentesi chiusa, per cui l'utente, girando la testa da una parte, vede una faccina che sorride, oppure è triste, oppure fa una smorfia. Questa faccina segnala lo stato d'animo di chi sta parlando. Ecco: questa necessità di comunicare lo stato d'animo è propriamente la dimensione estetica.

    Back

    Domanda 6
    E dalla parte del ricettore? Da un certo di vista, nella società della comunicazione e con la moltiplicazione delle fonti di comunicazione, siamo in presenza di una sorta di continua sensibilizzazione dal punto di vista della fruizione estetica, di sovrabbondanza di stimoli.

    Risposta
    Il centro dell'esperienza estetica non è l'oggetto, ma il soggetto, e quindi è la scelta. Così come l'artista compie la scelta di mettere in campo l'oggetto, così il fruitore mette in campo la propria percezione: sceglie, in modo rituale, di definire la sua percezione come percezione estetica. Detto in altri termini, se io mi metto in rete con l'intenzione di navigare velocemente, non sono predisposto ad un'esperienza estetica. Se, viceversa, cerco un determinato tipo di comunicazione e la fruisco col tempo necessario, con l'atteggiamento necessario, allora, questa ricerca, configura la possibilità di una dimensione estetica. La quantità di possibilità di fruizione che si possiede, distrugge la possibilità della percezione estetica solo se il soggetto che vuole percepire non ha la sufficiente attenzione, non si colloca in una dimensione estetica. Ma è il soggetto che riceve, che deve scegliere la propria dimensione di consumo; non basta ridurre la quantità di offerta per generare la dimensione estetica.

    Back

    Domanda 7
    Nella dimensione sociale vengono individuate da un lato una nuova comunità, con l'ipotesi che filosoficamente si potrebbe legare all'idea dell'intelligenza collettiva, e dall'altro canto il telelavoro. Ce ne può parlare?

    Risposta
    La dimensione sociale è, ovviamente, una dimensione che può essere esplorata attraverso molti punti di vista. Un aspetto è quello della identità sociale. Come cambia l'identità sociale in rete? L'identità tribale si afferma attraverso una compresenza spazio-temporale. La comunità, nelle tribù, è tale, perché essa usa determinati linguaggi collettivi. Nelle società moderne, l'identità si sfrangia, diventa più complicata, ma viene ricostruita attraverso una serie di comportamenti che possono essere o di gusti comuni, come può essere l'appartenenza ad una classe, o, nelle fasi recenti, l'appartenenza ad un gruppo di consumo, oppure, può essere l'appartenenza ad una generazione. Che cosa avviene con le reti? Vi nascono delle comunità che hanno come unico collante iniziale quello di comunicare contemporaneamente. Quindi, la nozione di comunità si lega a quella di comunicazione, e non il contrario. Invece che comunicare in un certo modo, perché si appartiene ad una determinata identità sociale, ci si riconosce come un'identità perché si comunica con specifiche modalità. Questa è certamente la novità. Non va enfatizzata, perché le altre forme di identità sopravvivono. Però, necessariamente, entrano in gioco queste doppie dimensioni. Sul fronte del telelavoro bisogna dire che si tratta di una possibilità concreta che le tecnologie mettono in campo, cambiando la nostra idea di lavoro, cambiando la nostra di idea di tempo. Il fatto che si possa lavorare a casa modifica la percezione del ruolo temporale. Una persona che sceglie di lavorare a casa, come distribuirà il proprio tempo con la famiglia, con gli amici, coi figli? Sceglierà di lavorare di notte. Questo lavoro sarà compatibile con la sua vita privata? Sarà più compatibile? Abbiamo un tempo sociale in grado di reggere questa individualizzazione del lavoro? Questa è la grande domanda. Si tratta, per ora, di un fenomeno minoritario; in prospettiva, però, può diventare un fenomeno di massa. In questa prospettiva occorre che l'intera società ripensi il tempo del lavoro complessivamente. Forse non si tratta più nemmeno di una questione di riduzione in termini orari, ma di flessibilità in un altro senso: lavorare quando è possibile. Penso, per esempio - un esempio banale -, alle molte coppie con figli che spendono parte dei loro stipendi per organizzare la vita dei figli perché loro non sono presenti. Ci sono, quindi, persone che vengono pagate per svolgere il ruolo che i genitori dovrebbero svolgere e che non sono in grado di svolgere. Mi chiedo: il telelavoro può rispondere, per esempio, a questa questione?

    Back

    Domanda 8
    La dimensione economica.

    Risposta
    La dimensione economica è quella più complessa. Non si può certo sintetizzare rapidamente. Alcune linee di risposta, o meglio, alcune linee di domanda, possono essere raccolte attorno ad una grande questione: le nuove tecnologie costituiscono un incentivo allo sviluppo economico? O invece sono responsabili della perdita di vecchie professioni e mettendo in crisi una determinata società? La risposta è ambigua. Certamente, da un certo punto di vista, l'investimento nelle nuove tecnologie e nelle opportunità che esse offrono, è in incremento continuo. Certamente quest'incremento è in parte o tutto o in proporzione ancora maggiore ai vantaggi, ed in condizione di creare svantaggi sull'occupazione e sugli investimenti. Facciamo un esempio che ci riguarda un po' tutti: la possibile evoluzione, legata alle nuove tecnologie, del sistema televisivo. La nascita di "pay per view", di "pav T.V.", di sistemi di televisione satellitare a pagamento e non, cambierà la televisione generalista? Che cosa significherà: che ci sarà più televisione, più investimento pubblicitario? O che ce ne sarà di meno? Non ci potrà essere più consumo, per esempio, e meno occupazione? Questa è una delle grandi questioni. Ed è una questione - è bene sottolinearlo - del tutto aperta. In realtà siamo di fronte ad un fenomeno nuovo, e non possiamo aggiustare delle previsioni, compiute per altri campi, a questo settore. Si tratta di un terreno che scopriamo di volta in volta. In questo caso la politica gioca un ruolo forte, poiché non si tratta di un segmento in cui la politica possa entrare a cose compiute. Si sente la grande necessità di un governo, di una progettazione, di uno scopo finale dello sviluppo. Non si può pensare di lasciare l'economia dei media, soprattutto di questi nuovi media, libera di agire secondo "leggi" - tra virgolette - di mercato. Si sente l'esigenza di un governo. E questo è un problema molto importante anche al livello internazionale, sovranazionale, e certamente anche a livello nazionale, locale.

    Back

    Domanda 9
    Stefano Rodotà ipotizza la nascita di un'"apartheid informatica" come differenziazione tra chi ha accesso alla conoscenza, al sapere e chi non ne ha. A suo avviso è un rischio reale?

    Risposta
    Si capisce che è un rischio reale! Il problema dell'accesso alle nuove tecnologie è fondamentale. E' in primo luogo un problema di costi, ma anche di cultura. Il problema dei costi è una delle grandi chiavi dello sviluppo economico futuro. Finché il costo di un computer parte da un minimo di mille dollari, è ovvio che l'accesso ad esso è selettivo, tanto più se bisogna aggiornarsi e, quindi, continuamente comprare "software". E poi il "software" diventa sempre più sofisticato: il mio "hardware" non regge più il "software", debbo fare allora un aggiornamento, un "upgrading" del mio "hardware". La possibilità del cosiddetto "netcomputing" - del computer di trecento dollari, cinquecento dollari, seicento dollari - che si può usare senza il supporto di programmi perché si ha accesso alla rete, e si ha la possibilità di scaricare sul computer i programmi che sono in rete, con un conseguente calo dei costi, avrebbe certamente un effetto positivo. Gli aspetti culturali sono comunque rilevanti. Esistono sacche di analfabetismo informatico molto forti nei ceti bassi, in alcune generazioni. Si tratta di un analfabetismo che rischia di creare delle nuove differenze sociali. Anche in questa prospettiva si pone il problema di governo molto forte, perché si tratta di capire se queste differenze sociali siano tollerabili, quanto siano rigide. Per esempio, cosa può offrire la scuola per evitare l'emergere di queste differenze sociali? Può mettere a disposizione delle competenze, che poi possono essere attivate? Che ruolo hanno le municipalità? Posso pensare che alcune città - come avviene nel caso di Bologna - forniscano ai propri cittadini la disponibilità per entrare in rete, diano l'accesso alla rete a basso costo o addirittura gratuitamente. Che cosa fare delle tariffe telefoniche, per quello che riguarda lo scambio dati? Queste sono grandi questioni che non si possono lasciare all'ottica del mercato e agli operatori economici, perché riguardano il futuro sociale. Una società fortemente frammentata rispetto alle nuove tecnologie, rischia veramente di esplodere; si può creare un conflitto tra la superficie della società, che è fortemente tecnologizzata, fortemente competente, giovane, un po' "yuppie" anche, se vogliamo, e l'"underground", cioè lo stato basso della società che non accede alle fonti informative, mortificandosi in una crescente tecnologizzazione "bassa". Allora: solo televisione generalista, solo media poveri, scarso accesso alle fonti informative, necessità della mediazione di qualcuno e quindi servizi di mediazione, per accedere a determinati servizi. Questo sarebbe un futuro ben misero per le nazioni moderne!

    Back

    Domanda 10
    L'economista Rifkin, in un suo scritto - "La fine del lavoro" - riflette sull'emergere di due grandi classi o caste, per certi versi: da un lato gli "knowledge workers", gli "analisti di simboli", coloro che detengono le conoscenze tecnologiche; dall'altro, un crescente numero di lavoratori, prevalentemente in eccesso. Secondo molti altri, la possibilità di liberarsi dal lavoro materiale rappresenta, viceversa, la possibilità di liberare energie creative. Cosa pensa in proposito?

    Risposta
    Io non condivido affatto la previsione sulla fine del lavoro. Non so cosa significhi. Mi sembra talmente evidente che la terzializzazione, per esempio, abbia comportato la progressiva crescita di alcune grandi questioni che riguardano anche l'occupazione ed il lavoro. L'esempio banalissimo - mi dispiace citarlo, perché rappresenta uno dei grandi rimorsi dell'Occidente - è la spazzatura. Tanto più evolve la società dei consumi, e con essa alcuni parametri che sono, di solito, anche connessi con la terzializzazione, quanto più aumenta la spazzatura. Ma la spazzatura chi la liquida, chi la tratta, come viene utilizzata? I residui, le scorie dove vanno a finire? Possiamo continuare a trasferirle nel paese vicino, poi nella nazione vicina, poi nel continente più vicino, poi in mare? Non è ragionevole pensare che l'"eco-business" diventi una delle tendenze di sviluppo e quindi anche dell'occupazione? Io sono sempre scettico sulle previsioni a medio e lungo termine in questi campi, perché, in realtà, la complessità sociale fa sempre sì che ci siano degli scarti che riposizionano i grandi problemi. I grandi problemi che si preconizzavano dieci anni fa per oggi, oggi sono puntualmente diversi da come li si preconizzava. Credo però che esista il problema di una occupazione qualificata e di una occupazione dequalificata. Non possiamo pensare ad una società che funziona semplicemente ghettizzando alcune aree del sociale nelle occupazioni basse, più a contatto con la realtà - appunto, con la spazzatura, anche in senso metaforico - e occupazioni alte, in cui si naviga ad un livello totalmente differente. L'occupazione tra queste integrazioni richiede la capacità di pensare alla società nel suo complesso. In altri termini, credo ci siano dei costi che forse vale la pena di pagare. Ogni tanto, forse, vale la pena di rallentare la propria crescita per non perdersi per strada altre aree del pianeta, del continente, del paese, della regione e della città, poiché è bene che anch’esse crescano connesse allo sviluppo della società e non in modo separato. Questa è una questione che non fa piacere sentirsi dire, quando ce lo ricordano, per esempio, gli abitanti del Terzo o del Quarto Mondo. L'idea che bisogna correre ed è meglio andare molto in fretta a costo di andare soli, piuttosto che rallentare ed andare con gli altri, è un'idea, però, che domina nelle forme liberiste strette e che, a volte, nel mercato della comunicazione, diventa dominante. Ci sono addirittura alcuni grandi teorici della comunicazione americana - posso citare Gilbert - che sono assolutamente convinti che lo sviluppo vada portato avanti a qualunque costo. Io non sono pessimista, non penso che lo sviluppo porti sempre con sé una tragedia sociale; allo stesso tempo, non sono neanche così ottimista. Credo che, anche in questo caso, la capacità di governo sia l'elemento fondamentale e consista nel mediare costi e benefici di ogni innovazione sociale.

    Back

    Domanda 11
    La dimensione politica?

    Risposta
    La dimensione politica delle telecomunicazioni, per molto tempo, è stata connessa all'assoluta irrilevanza della progettazione del paese. Vorrei dire - spero di non essere provocatorio - che le ultime grandi stagioni della progettazione del mercato della comunicazione politica in Italia sono state connesse prima alla televisione del monopolio, negli anni Cinquanta e Sessanta. Può non piacerci questa affermazione, ma quella era una società che pensava alla televisione in funzione di un modello di sviluppo sociale. Oggi possiamo discutere se fosse un buon modello, che però, tuttavia, funzionava. La metà degli anni Settanta, con la riforma della R.A.I., rappresentò un momento in cui si tentò di pensare una televisione adeguata ad un sistema che stava cambiando. Non si intuì che il sistema sarebbe cambiato in un modo vorticoso, che avrebbe implicato le televisioni private. Adesso, di fronte alla sfida delle nuove tecnologie, spero, caldamente, che non si ripeta il solito balletto degli aggiustamenti progressivi, della necessità di accontentare i singoli operatori economici, che il gioco non si riduca a quante reti debbono avere i singoli soggetti televisivi, e che non si pensi a quanto "budget" di comunicazione può avere un soggetto per costruire un "trust" fra nuove tecnologie, televisione e telecomunicazioni. Spero che si faccia un discorso di sviluppo del paese; che ci si chieda: ha senso cablare il nostro paese, ha senso cablare alcune città? Se ha senso, si rifletta come reagirebbero le varie aree del nostro paese, molto diversificato, peraltro, rispetto alle nuove tecnologie. Quali sono i bisogni delle diverse aree del paese? Qual è la risposta migliore per ogni area a questi bisogni? Che cosa bisogna fare per garantire a tutti gli utenti il servizio universale? Quali autori si possono pensare per garantire ai cittadini il rispetto della loro individualità e dei loro bisogni al primo posto nello sviluppo, e non all'ultimo, come troppo spesso avviene? Questa è una grande questione. Per risolvere questo problema bisogna avere una politica. In questo campo, ahimè, debbo dire che il nostro paese non ha mai brillato. Speriamo che cominci una nuova storia in futuro.

    Back

    Domanda 12
    Infatti, in quest’epoca di trasformazione si avverte una sorta di incapacità della classe politica a saper reagire agli stimoli differenziati di una società complessa. Per certi versi, l’idea di una democrazia diretta, crea una serie di stimoli, per cui la politica non riesce più coerentemente e chiaramente a scegliere le strade. E' possibile realizzare la politica così com'è stata finora o si apre una nuova fase, una nuova idea di politica? E quali sono gli aspetti?

    Risposta
    Io credo che l'universo della scelta politica non sia irrilevante nello sviluppo tecnologico. Troppo spesso noi pensiamo che l'occasione tecnologica sia qualche cosa che sta a sé rispetto alle grandi scelte. Viceversa, forse bisogna rimettere alcune questioni sui piedi, dopo essere state troppo a lungo sulla testa. Esiste, obiettivamente, nei fatti, un primato della politica che riguarda anche le scelte che la politica non fa, le regole che un paese non si dà e che si traducono in scelte politiche. Noi non sappiamo quale modello entrerà rispetto alla televisione interattiva; abbiamo dei dubbi su quale formato tecnologico prevarrà. Prevarrà un modello di evoluzione dal computer verso la televisione? O un modello di evoluzione dalla televisione verso il computer? Prevarrà il satellite, il cavo? Abbiamo ancora dei forti dubbi su queste questioni. E’ dunque necessario aspettare che l'economia della tecnologia decida sulla scelta della tecnologia da utilizzare e poi fare le scelte politiche sulla base della tecnologia eletta? Mi sembra talmente folle questa ipotesi che non debba neanche esser presa in considerazione. Bisognerebbe che le grandi scelte che l'economia della tecnica compie, vedessero, come soggetto forte, anche le singole politiche nazionali e transnazionali: qualunque sia il formato di queste tecnologie future, quali sono i servizi che comunque debbono essere garantiti? Queste tecnologie devono coprire tutta l'area nazionale o possono essere limitate a singole aree? Queste tecnologie devono promuovere quale tipo di "software", quale tipo di programma, quale tipo di contenuto? All'interno di questi "standard" poi, dovrebbe avere valore l'appalto per chi riesce a dare il meglio, con più garanzie, questi servizi. Queste sono le scelte della politica che dovrebbero guidare lo sviluppo tecnologico.

    Back

    Domanda 13
    Lei definisce la rete come "net", come "ground", come "rizoma" e come "intelligenza collettiva".

    Risposta
    Quando parliamo della rete, noi, in realtà, intendiamo due grandi cose distinte. Per fare un esempio: la rete telefonica tradizionale implica che ci siano i fili, che ci siano gli apparecchi ricevitori. C'è un aspetto, però, che, di solito, viene sottovalutato: le culture, i bisogni, i saperi che si servono di questa rete, e che questa rete serve. La dimensione del "network", del "net", si evolve, di solito, secondo una logica che definiremmo newtoniana: quanto più si investe in essa, tanto più si ricava. A volte non è così semplice, per fortuna, poiché non si può sempre sapere se un investimento andrà a buon fine. Sostanzialmente, però, si può contare su una certa prevedibilità. Se si lavora sopra un progetto di cui si è verificata la fattibilità, si è anche a conoscenza che in un determinato numero di anni si riesce a svilupparlo. Viceversa, la dimensione del "ground", della società che si serve delle tecnologie, ha un andamento molto meno prevedibile, perché è un andamento relativistico, un campo di forze in cui ogni azione determina spostamenti anche imprevedibili. Cito la famosa teoria del "caos" per la quale una farfalla, se batte le ali in Giappone, può provocare una tempesta a New York o viceversa. Per quanto riguarda il problema della rete, le due dimensioni non sono sempre così presenti; ragione per la quale spesso pensiamo che tutti i problemi consistano nel lavorare sul "net", mentre i bisogni di una società sono fondamentali. Per noi, forse, il problema consiste nella quantità di informazione che riceviamo. Una volta ho sentito un esperto algerino farmi questo esempio che ho trovato affascinante: pare che in Algeria - non vorrei sbagliar paese, ma credo sia proprio l'Algeria - ci sia un tasso di intossicazione infantile molto alto, e che solo ad Algeri si riesca a salvare una percentuale ragionevole di questi casi di intossicazione. In questo caso, loro inseriscono in rete tutti gli ospedali locali in connessione con l'ospedale di Algeri; i dati in arrivo all'ospedale via rete permettono, attraverso la "telemedicina", di fornire poi le indicazioni per poter salvare i bambini. Questo è un caso che a noi può forse sembrare di tecnologia banale, ma è fondamentale per quel paese. Quindi, lo sviluppo della rete, in Algeria, avrà come uno dei principali obiettivi quello di risolvere questo problema. Di conseguenza, il "net" migliore sarà quello che risponderà al bisogno espresso da quella società. Un altro aspetto, affascinante direi, della rete è quello del "labirinto": una metafora che noi consciamente o inconsciamente utilizziamo per esprimere l'idea che noi abbiamo della rete. Quando si viaggia in Internet, l'impressione del "labirinto" è molto forte. Se noi cerchiamo un dato, ricorriamo ad una serie di scelte progressive, anche utilizzando "netscape". Ogni scelta è accompagnata dal dubbio, poiché noi abbiamo una prospettiva miope, e non riusciamo a prevedere quale sarà la scelta successiva. Di volta in volta guardiamo. Aggiungerei che, addirittura, i cosiddetti "book-marks", i "segnalibro", espletano la funzione di filo d'Arianna: quando noi facciamo un percorso e diventa un po' complicato, mettiamo dei segnali dove siamo arrivati; se poi ci dovessimo perdere ed il collegamento dovesse saltare, possiamo tornare in quel punto, poiché rappresenta un punto fermo. Questo processo dà l'idea della visione labirintica. Ogni tanto, navigando in rete, noi applichiamo un modello di conoscenza che assume questa carica di "labirinto", per la quale diventa meno importante sapere se abbiamo trovato esattamente la cosa che ci serviva; esistono altri aspetti altrettanto rilevanti, che dovremmo analizzare, perché questo modello labirintico ci porta in un certo posto e crea l'illusione che quello che abbiamo trovato sia esaustivo: abbiamo trovato il Minotauro, l'abbiamo ucciso: questa, a volte, non è esattamente la dimensione propria del sapere. L'altro aspetto molto forte è quello dell'intelligenz

    Back

    Domanda 14
    In un rapporto preparatorio al Convegno del Centro Studi "San Salvador", vengono individuate alcune cause del ritardo tecnologico dell'Europa rispetto agli Stati Uniti. Qual è, a Suo avviso, la più importante fra queste ragioni: la mancanza di capitale umano, la mancata liberalizzazione di mercati o la mancanza di integrazione fra informatica e telecomunicazioni?

    Risposta
    Io credo che sia un "mix" dei tre aspetti e sia legato al fatto che l'Europa non riesce ancora a darsi una politica transnazionale forte. A me sembra che noi paghiamo molto in Europa lo scotto di una separazione fra i vari paesi, di strategie differenti all'interno dei vari paesi. Questo è certamente un limite, anche se non va dimenticato, che oltre ai Paesi ci sono i soggetti economici. Non è detto che i soggetti economici dei singoli paesi non abbiano fra di loro connessioni, stratificazioni differenti. Noi abbiamo, in realtà, una forte capacità di innovazione, ma abbiamo una scarsa capacità di investire su queste innovazioni in modo coordinato. Quindi, siamo in possesso delle risorse anche tecnologiche per la ricerca, ma non per imporre i risultati di questa ricerca sul mercato con la forza sufficiente. Io credo che questo sia il dato comune allo sviluppo europeo. Viceversa, gli Stati Uniti, forse non sono sempre così avanzati, ma hanno una straordinaria capacità di rendere immediatamente efficace sul piano operativo e di mercato l'innovazione. In questo consiste la forza dell'America. Il Giappone, forse, non è così innovativo, ma possiede questa grande capacità di riorganizzare il sapere, anche altrui, e di renderlo immediatamente efficace ed operativo. Probabilmente questo è il "gap" ancora dell'Europa.

    Back

    Domanda 15
    Bodei denuncia il rischio che le grandi "corporations" americane, così come stanno facendo su altri campi, finiscano per imporre "le strategie guidate oligarchicamente dall'alto, orientate a sagomare e a rendere malleabile e manipolabile il senso comune e a introdurre contenuti e metodi d'istruzione e d'insegnamento, meno aperti allo spirito critico".

    Risposta
    Certo, questo rischio è presente. Quando si segnalano questi rischi, non significa voler essere catastrofici; non si vuole dire: saremo governati dalla cultura americana. Questo periodicamente succede. Però si segnala un rischio autentico, un rischio limite: l'omologazione culturale. Perché è un rischio? Per due motivi. Il primo: perché è evidente che la riduzione della complessità nel campo culturale rappresenta una perdita, una perdita della ricchezza. La seconda ragione: perché comunque sarebbe un'omologazione di superficie, un'omologazione che tende a cancellare delle identità che, comunque, permangono e risorgono. E risorgono al di fuori della capacità di integrarsi con le altre culture. Non vorrei essere frainteso, e sono certo che non lo sarò, ma vorrei dire questo: la soluzione dei nativi americani operata dai coloni, che è uno dei genocidi più sconvolgenti della storia dell'Occidente, in qualche modo, ha avuto solo ricadute residuali sul grande sistema proprio perché la cancellazione di questa realtà è stata fisica. Gli Indiani d'America non sono stati azzerati solo come cultura, ma sono stati anche messi in condizione di non nuocere in termini fisici: si sono ridotti come popolazione, sono stati lungamente emarginati, tanto che ci sono ancora queste identità, ma rimangono del tutto marginalizzate. Se noi riflettiamo su questo problema in termini planetari e pensiamo che l'innovazione tecnologica tocca un'area molto limitata in termini di popolazione del pianeta, allora proviamo a pensare cosa può significare rimuovere le grandi identità culturali del pianeta in nome di un'identità culturale, che, comunque, appartiene ad una minoranza della popolazione. Ciò significa mettere un coperchio su una pentola in ebollizione, sperando che scoppi il più tardi possibile; Significa dare voce agli integralismi, significa dare voce a forme di rivalutazione delle culture altre, ma in modo esplosivo. Perché, giustamente, queste culture rivendicano un loro posto al sole. Questo di cui stiamo parlando non è solo un problema etico, è anche un grande problema di politica planetaria. Quanto più si crea l'omogeneizzazione di superficie delle culture occidentali, quanto più si rischia che la pentola della popolazione mondiale, delle culture mondiali, ci esploda sulla faccia.

    Back

    Domanda 16
    Alberto Abruzzese, nel definire l'opportunità delle nuove tecnologie per migliorare la qualità della vita, ha usato quest'espressione: "Perché queste tecnologie hanno la vocazione a sfuggire i linguaggi forti della tradizione moderna", intendendo i linguaggi unidirezionali. E' d'accordo con quest'idea?

    Risposta
    Naturalmente ognuno mette il suo carattere in queste previsioni. Certamente le nuove tecnologie sono affascinanti, perché, come in una certa fase lo è stata la televisione, come in una certa fase lo è stato il fumetto, come lo è stato il telefono; un 'mix' di queste tecnologie sembrano offrire la possibilità di un'uscita dai luoghi comuni della cultura e anche dalle grandi istituzioni culturali, dalla guida istituzionale della cultura. Poi, però, ci sono anche altri aspetti. I collegamenti a Internet in Italia sono prevalentemente istituzionali. I grandi soggetti collegati sono le università, le imprese, le aziende, poi ci sono i centri sociali; ma, voglio dire che c'è tutta una un'ampia fascia intermedia di soggetti che non pratica questi nuovi linguaggi. Sul piano dell'emergenza non c'è dubbio che, attraverso le reti, emergano nuovi comportamenti comunicativi, nuove istanze comunicative. Sul piano della complessività del paese, non c'è dubbio che questi fenomeni siano ancora minoritari Perché diventino un vero fenomeno esplosivo, capace di provocare un salto culturale al paese, occorrono: governo, progettazione, estensione delle tecnologie. E questa è una lunga strada, una strada che va percorsa e non si percorre da sola: questo è il problema che, a mio parere, deve essere sottolineato.

    Back torna a inizio pagina